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Autore: LadyPalma    06/10/2019    5 recensioni
Prima classificata al contest "Pesca la coppia" indetto da EstherGreenwood sul forum di EFP - giudice sostitutivo Dark sider
Prima classificata al contest "Tattoo studio" indetto da Wurags sul forum di EFP - giudice sostitutivo Juriaka

Una storia d'amore che non è mai stata raccontata, ma non per questo non vuol dire che non sia successa.
Alastor e Narcissa attraverso gli anni.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Alastor Moody, Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Attenzione al cuore: ha un lucchetto che, prima o poi, si apre
 
 



 
Narcissa Black aveva sempre avuto una carriera scolastica invidiabile e tutto faceva supporre che avrebbe affrontato anche i M.A.G.O. nel migliore dei modi. Non fu dunque una sorpresa quando, durante l’ultimo mese a Hogwarts, fu tra gli studenti selezionati per un colloquio speciale con il capo auror in cerca di nuove reclute. Fino a quel momento l’idea di un simile futuro non aveva neanche sfiorato la sua mente, e non per mancanza di requisiti: aveva tutte le carte in mano per poter intraprendere quella carriera, semplicemente non aveva mai avuto nessuna intenzione di giocarsele.
“Mi dispiace rubare il suo tempo, signor Moody. Le dico fin da subito che non sono interessata” esordì, facendo il suo ingresso nell’aula di Trasfigurazioni che la McGranitt aveva messo a disposizione. Aveva usato un tono cordiale, eppure nella voce vi era anche un’involontaria nota fredda e altezzosa. “Sono una serpeverde, vede, ho più alte ambizioni” aggiunse con un lieve sorriso, come se la sua identità di casa potesse fungere da giustificazione a quel rifiuto a priori.
L’uomo, seduto dall’altra parte della scrivania, la scrutò a lungo con i suoi occhi scuri, senza parlare, finché le sue labbra si curvarono in un sorriso carico di un’ironia quasi sprezzante. “E io cosa ti sembro, ragazza, un tenero tassorosso forse?” domandò retoricamente in modo brusco. “E sentiamo, poi, quali sarebbero queste tue grandi ambizioni? Sposare un nobile purosangue senza spina dorsale e passare la vita in casa a fare la moglie devota?”
Narcissa fu colta alla sprovvista di fronte a quella provocazione, così diretta e soprattutto così vera. Strinse le labbra alla ricerca di qualcosa da dire, ma alla fine tacque, ben consapevole che il silenzio poteva essere l’unico modo per dominare l’irritazione e la vergogna che sentiva crescere dentro di sé.
“Stai facendo un errore, lasciatelo dire” riprese il capo auror, questa volta con una vaga gentilezza nella voce. “Li conosco bene i meccanismi delle famiglie purosangue ma, da quello che i tuoi professori mi dicono,tu hai una mente brillante e credo che potresti fare decisamente di più nella vita”.
Quelle nuove parole ebbero un effetto imprevisto sulla ragazza. Era strano come la rabbia nel sentirsi giudicata si stesse trasformando in maniera improvvisa in una piacevole sensazione di stupore. Nei suoi diciassette anni di vita era sempre stata considerata solo come un bel faccino destinato a portare avanti un’illustre casata. In molti avevano apprezzato la sua bellezza e la sua innata eleganza, ma mai nessuno aveva esplicitamente notato la sua mente o le sue capacità magiche. E ora, arrivava questo mago burbero e attempato a dirle che sarebbe potuta essere qualcosa di più di un soprammobile parlante nella villa dei Malfoy, se solo avesse osato opporsi al suo destino già segnato. Ma era proprio questo il punto: lei non era Andromeda e non avrebbe mai avuto il coraggio di fare un singolo passo senza l’approvazione della sua famiglia. Le parole taglienti che il mago le aveva rivolto non avevano avuto lo scopo di umiliarla ma, al contrario, di offrirle un motivo di orgoglio; ecco perché si ritrovò a provare un istintivo miscuglio di simpatia e odio nei confronti di quell’uomo: sembrava vederla come una persona reale, qualcuno che lei però non avrebbe mai avuto la libertà di essere.
“Mi dispiace” disse alla fine, in tono risoluto, anche se non poté controllare la sfumatura di malinconia nei suoi occhi chiari.
Alastor Moody colse quel dettaglio ma si limitò a scuotere la testa, lanciandole un’occhiata quasi compassionevole. La vide alzarsi dalla sedia con evidente grazia e non poté che essere disgustato tra sé e sé nel vedere un potenziale futuro andare sprecato.
“No, tu non sai ancora quanto davvero ti dispiacerà, principessina”.
Fu quello l’enigmatico saluto che le rivolse, prima di passare al prossimo candidato.



 
**




“Signorina Black, qui ho finito, venga lei a fasciare la ferita!”
Narcissa rispose in fretta alla chiamata del medimago Jones, raggiungendo il paziente presso il quale era stata convocata. Stesa sul letto c’era una sua fugace eppure indimenticabile conoscenza: il capo auror era rimasto praticamente lo stesso, fatta eccezione per qualche cicatrice in più sul viso e una gamba chiaramente infetta che l’intervento magico non sembrava essere riuscito a salvare. Lei invece, con indosso la divisa bianca da infermiera e i capelli biondi coperti nell’anonima cuffia, era più difficile da riconoscere, anche se l’uomo non ci mise molto tempo a ripescare quel volto famigliare nella sua memoria.
“Narcissa Black, che sorpresa! Hai deciso di lavorare alla fine, eh” borbottò, dando segno di averla riconosciuta.
“Solo temporaneamente. Prima di sposarmi” mormorò lei in risposta, evitando tuttavia di guardarlo negli occhi.
Senza aggiungere altro, gli si avvicinò e iniziò ad applicare la pozione sulla ferita prima di coprirla con delle bende. Lavorava con precisione, notò Alastor, senza mostrare il minimo disgusto davanti all’infezione. Studiò i movimenti di lei con ammirazione, ritrovandosi a pensare di nuovo a distanza di quattro anni dal loro primo incontro che quella giovane strega avrebbe potuto avere una brillante carriera, in qualsiasi ambito avesse scelto.
“Dimmi, è così terribile questa gamba?” le chiese d’un tratto, non appena la fasciatura fu completata.
Narcissa sollevò finalmente lo sguardo ed esitò solo per un momento prima di rispondere. “Temo proprio che dovranno amputarla, signore. Ne sono desolata.”
Sincerità e tatto: che perfetta infermiera, non c’era miglior modo in cui Alastor avrebbe voluto ricevere la notizia. Per un attimo fu talmente preso dallo sguardo intenso che lei gli rivolse da lasciare quasi la devastante informazione scivolare in secondo piano. Però l’aveva sentita e, per quanto detta dalle labbra di un angelo, la verità appena rivelata lo stava facendo comunque sprofondare in un drammatico inferno personale. Come avrebbe fatto a continuare a lottare contro il male senza una gamba? Non poteva permettersi di stare immobile a guardare, non quando c’era una guerra da combattere. Non era mai stato un uomo incline all’autocommiserazione, eppure sapeva che se fosse stato solo sarebbe probabilmente scoppiato in una furia incontrollata. L’unica cosa che lo tratteneva dal piangere di rabbia erano gli occhi di quella strega fissi nei suoi.
“Ti va di farmi compagnia, principessa?” domandò inaspettatamente, soffocando la disperazione.
Narcissa apparve per un attimo sorpresa, ma poi annuì semplicemente.
“Non vado da nessuna parte”.




 
**




La gamba fu effettivamente amputata e sostituita con una artificiale. All’inizio, Alastor non ne aveva voluto sapere di riconoscere quel pezzo di legno come nuova parte di sé; però poi aveva incominciato ad alzarsi e perfino a provare a fare qualche passo con l’aiuto di un bastone che presto gli sarebbe diventato insostituibile. Per fortuna durante quel periodo di convalescenza non era solo: nelle due settimane di riposo forzato, a parte le visite sporadiche di amici e colleghi, aveva potuto contare sull’assistenza piacevole quanto insperata della giovane Black. Spesso nei momenti di pausa prendeva una sedia e si sedeva accanto al suo letto e talvolta si tratteneva anche oltre l’orario di lavoro. Non che facesse molto, perlopiù restava in silenzio e si metteva a leggere un libro, però questo era già più che sufficiente. Nella sua singola richiesta di sostegno quel primo giorno di degenza, Narcissa ci aveva letto tutta la disperazione di un malato che non accetta la sua debolezza e, nell’accettarla, si era tacitamente presa l’onere di mantenere quella promessa per ogni giorno successivo.
La principale malattia di lui era quella di restare solo e lei lo curava tenendogli compagnia.
“Che cosa leggi, principessa? Ancora quel libro babbano?”
Narcissa alzò lo sguardo dalle pagine e curvò le labbra in un sorriso. Quell’appellativo stava cominciando a diventare famigliare, così come le piccole provocazioni che di tanto in tanto il burbero auror le lanciava. La prima volta che era stata costretta a rivelargli di stare leggendo effettivamente un romanzo scritto da una babbana, si era sentita imbarazzata e anche un po’ irritata nel sentirsi presa in giro per via delle tendenze decisamente poco babbanofile della sua famiglia. I babbani sono inferiori, però scrivono bene – erano state queste le parole esatte che lei aveva detto in risposta – e lui, di fronte alla sua espressione seria e al tempo stesso innocente, era scoppiato inaspettatamente a ridere. Così aveva riso anche lei. E ora, che la lettura era quasi giunta alla fine e i loro pomeriggi insieme erano diventati una specie di routine, il sorriso sulle labbra di Narcissa appariva con più frequenza e con più disinvoltura.
“Emma sposerà Knightley, proprio come avevo previsto. Mi piace la visione dell’amore che ha questa Jane Austen. Il fatto di essere affascinante non è sufficiente per indurmi al matrimonio; devo trovare anch’io affascinanti gli altri… almeno uno. È così che dice Emma e penso che sarebbe bellissimo se davvero potesse essere così… Voglio dire che…”
Smise di parlare all’improvviso, immobilizzandosi quasi fisicamente. Assorta nella lettura e nel confortevole silenzio della stanza d’ospedale, non si era quasi accorta di aver lasciato fluire liberamente i suoi pensieri fino a dire qualcosa che non si sarebbe dovuta permettere nemmeno di pensare. Alastor non insisté nel farle proseguire la frase, aveva compreso benissimo tutto quello che davvero Narcissa avrebbe voluto dire. Restò in silenzio a guardarla, avvertendo dentro di sé un inspiegabile senso di tenerezza. Quella ragazza parlava della scelta in amore come se fosse un puro miraggio in uno Specchio delle Brame, mentre non capiva che era il suo matrimonio combinato a essere l’incubo nascosto in un molliccio per la maggior parte delle persone. Il vecchio auror non riusciva a capire come fosse successo, ma si era accorto che lentamente l’iniziale ammirazione che aveva provato per la giovane strega si era trasformata in un sentimento più intenso, sebbene non meglio classificabile.
“E il tuo fidanzato com’è? Non è affascinante, forse?” non riuscì a trattenersi dal chiedere, rompendo il lungo e pesante silenzio che si era creato.
“Lucius? Oh, lui non è così terribile” rispose lei prontamente, cercando di non far trapelare alcuna specifica emozione. Ma se il suo viso era coperto da un’espressione indecifrabile, erano state le sue stesse parole a tradirla.
Alastor scoppiò in una breve risata rauca e ironica. “Ah, io non mi sono mai sposato, è vero… Ma credo che ci voglia più di questo per decidere di diventare schiavo di qualcuno” commentò, prima di soffermarsi su un particolare della frase che lei aveva pronunciato. “Lucius, eh? Dici Lucius Malfoy? Così è lui il tizio che sposerai… Bene, bene… Conosco suo padre, Abraxas. Lui sì che è un tipo terribile. Spero per te che il figlio non sia così…”
Alastor aveva parlato a ruota libera senza guardarla, ma quando tornò a posare gli occhi su di lei si trovò di fronte una maschera di ghiaccio che non l’aveva mai vista indossare prima, per lo meno mai così bene.
“In nome di Salazar, perché mi tratti da sciocca?”
La domanda era stata diretta, un sussurro in tono freddo e controllato che gli fece più male che se fosse stato un grido in preda al fuoco ardente della rabbia. L’aveva ferita e questo era chiaro dal modo in cui lui aveva abbandonato la formula cortese del lei virando in un tu accusatorio. Alastor rimase per un po’ senza parlare, cercando di trovare un modo per rimediare al suo assurdo infantilismo. Come poteva spiegarle che il motivo per cui faceva tanta ironia era la gelosia? Come poteva farle capire che, a dispetto dei tanti anni di esperienza come auror, aveva completamente tralasciato i rapporti interpersonali e ora, vecchio e storpio, si stava innamorando della donna che meno di tutte avrebbe potuto aspirare ad avere? Per dirle tutto questo avrebbe dovuto parlare prima con se stesso, ma in quel preciso istante era lontano anche da quel primo passaggio. Lentamente e con esitazione, si risolse alla fine per protendersi verso di lei e prenderle con delicatezza entrambe le mani nelle sue.
“Non credo che tu sia sciocca. Al contrario, penso che tu sia una strega intelligente e capace, lo penso da sempre” disse, ogni traccia di ironia completamente svanita dal suo viso. “E sei anche bellissima e affascinante. Potresti avere qualsiasi uomo tu volessi, per questo dico che meriti di più di qualcuno che semplicemente… non è terribile”.
Con le mani ancora strette in quelle dell’uomo, Narcissa rimase senza fiato, sentendo la sua maschera di freddezza sciogliersi pian piano, di nuovo. Fin dal primo momento, quel mago l’aveva stupita e continuava a sorprenderla ancora, giorno dopo giorno.
“Bellissima? Credi che io sia bellissima?” chiese, sollevando leggermente le sopracciglia bionde. Forse era stupido ma, per qualche assurda ragione, di tutto quel discorso quello era il particolare che l’aveva colpita di più.
“Oh, per la barba di Merlino! Sei forse la donna più bella che abbia mai conosciuto e ora non fingere che nessuno te lo abbia mai detto prima” borbottò Alastor, nascondendo dietro un tono fintamente annoiato l’imbarazzo che effettivamente provava nel fare un simile complimento.
Narcissa fece un sorriso compiaciuto e arrossì come se il ragazzo più popolare di Hogwarts l’avesse appena invitata al ballo di Natale di Lumacorno. Fin da bambina aveva collezionato complimenti per la sua bellezza, questo era vero, però la parola bellissima faceva tutto un altro effetto se pronunciata dalle labbra di Alastor Moody. Un uomo che alla bellezza non sembrava averci mai dato granché peso.




 
**




I mesi erano passati rapidamente e sul finire dell’estate del 1979, Alastor aveva ormai imparato a gestire la sua nuova gamba ed era tornato operativo come auror. Dopo aver lasciato il San Mungo, non aveva più rivisto Narcissa, né aveva mai osato immaginare qualcosa di diverso. Ogni tanto pensava ancora a lei, ma la vigilanza costante imposta dal suo lavoro non gli consentiva di indugiare troppo a lungo su quel pensiero. Era un bene, dopotutto; si era trattato in fondo solo di una sciocca e inutile infatuazione che per un attimo lo aveva fatto vacillare nella sua grande chiusura verso l’esterno. “Lontano dagli occhi, lontano dal cuore”, diceva un adagio babbano, e mai si rivelò più vero di quando si ritrovò l’oggetto del suo sentimento in carne ed ossa davanti alla porta del suo appartamento e sentì il cuore per l’appunto balzargli in gola.
“Tra una settimana mi sposerò con Lucius” annunciò la ragazza, dopo i vuoti convenevoli che era nella sua natura rivolgere.
Lui inarcò un sopracciglio e la guardò in un curioso misto di sospetto e dispetto. “E che cosa sei venuta a fare, eh? Consegnarmi l’invito, forse?”
Narcissa apparve quasi fragile, ancora sullo stipite della porta, con lo sguardo sfuggente e un timido rossore sulle guance normalmente pallide. “No, volevo solo vederti, Alastor” riuscì a dire senza guardarlo, chiamandolo per la prima volta per nome. “In verità non so neanche cosa dirti. È solo che… Per tutta la vita ho fatto quello che la mia famiglia voleva, adesso voglio fare per una volta qualcosa per me”.
In un unico, rapido gesto, Alastor la tirò dentro casa, fino a stringerla in un improvviso abbraccio. I loro corpi, quello leggiadro di lei e quello grosso e claudicante di lui, erano premuti l’uno contro l’altro e i visi talmente vicini da potersi sfiorare.
“Cosa sta succedendo?” chiese lei in un sussurro, che comunicava tutta la meraviglia di una situazione che nella sua visita non aveva davvero previsto.
“Qualcosa che non riconosceresti, principessa: si chiama amore” rispose lui con un mezzo sorriso ironico. Ed era un’ironia che era rivolta in parte anche verso se stesso, che aveva vissuto molto più di lei e che di amore non ci aveva ancora capito nulla in ogni caso.
Non fu chiaro chi dei due osò per primo, ma presto si ritrovarono coinvolti in un bacio sorprendentemente famelico e passionale. Lui la attirò di più a sé e lei si fece stringere, sentendosi per la prima volta davvero dove avrebbe voluto essere. Si sentiva di stare vivendo una di quelle storie d’amore che aveva letto segretamente nei romanzi babbani, eppure allo stesso tempo in quel momento era così attaccata alla vita concreta come mai si era sentita.
Durante tutta la loro conoscenza lui l’aveva sempre chiamata principessa, e da principessa, infatti, la trattò mentre fecero l’amore per la prima e unica volta. Il corpo rovinato e pieno di cicatrici di lui curiosamente si completava perfettamente con quello candido e intatto di lei; i loro cuori tenuti saldamente al sicuro da qualsiasi impatto esterno erano stati violati con inattesa facilità per colpa di un lucchetto che si era rivelato inefficace. E il fatale alohomora era stato proprio quell’unione di due anime e due corpi.
Un’ora dopo, stesi l’uno accanto all’altra sull’alto letto della sua camera, Alastor guardava la donna addormentata senza osare muoversi neppure per abbracciarla. Alla fine ci era cascato, si era perdutamente innamorato di quella strega, al punto che se il suo patronus non fosse stato incorporeo avrebbe assunto qualsiasi forma animalesca la sua mente avesse associato a lei.
Non sposare quello smidollato: ecco le parole che avrebbe voluto dirle, ma richiedevano un coraggio decisamente maggiore di quello usato per sconfiggere i mangiamorte. E in fondo c’era un motivo se non era stato smistato tra i grifondoro.
Resta con me: questo era il messaggio più preciso che non avrebbe detto comunque. Invece, sapeva già che l’avrebbe vista andare via alle prime luci dell’alba e che una settimana dopo avrebbe letto del suo matrimonio sfortunato su un trafiletto della Gazzetta del Profeta.




 
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Narcissa Black era diventata ufficialmente una Malfoy il 5 settembre del 1979. Nove mesi esatti dopo, il 5 giugno del 1980, nacque suo figlio, Draco, su cui avrebbe riversato tutto l’amore che il suo cuore ormai aperto aveva la necessità di dare. Lo amò a prima vista, nonostante la lieve delusione nel vedere i suoi capelli chiari… Troppo chiari per poter mettere in dubbio che fosse proprio il figlio di Lucius. Mentre la guerra magica proseguiva, lei imparava a rinunciare a qualsiasi sogno che per una brevissima estate si era concessa il lusso di accarezzare e a diventare per davvero una principessa, anche se di un regno che non aveva mai voluto.
Alastor Moody aveva invece continuato a dare la caccia ai mangiamorte e a spedirne molti ad Azkaban, perdendo nel frattempo un pezzo di naso e addirittura un occhio. Malocchio lo chiamavano adesso, in virtù della protesi magica che gli avevano messo. Era un occhio in grado di muoversi di continuo e di spiare in tutte le direzioni: un ottimo strumento per la sua paranoia sempre più crescente di essere circondato da nemici. Eppure, appena terminata la guerra, decise di andare in pensione e di occuparsi al massimo delle nuove reclute. Tra queste, a un certo punto, comparve la goffa ed eccentrica Ninfadora Tonks, che finì per diventare la sua preferita. Non lo avrebbe mai ammesso nemmeno a se stesso ma il motivo dietro quella preferenza era Narcissa, anche se non era chiaro se per via della comunanza tra le due di sangue Black o se, invece, proprio per la totale differenza caratteriale tra quella ragazza e la donna che tanto aveva amato.
Gli anni passavano e ormai le loro strade si erano talmente divise che un nuovo incrocio sembrava impossibile.
Alastor continuava a interessanti di tanto in tanto di lei, più che altro indirettamente, mentre carpiva informazioni su suo marito tramite ex colleghi. Narcissa invece di lui non seppe più nulla per tanto tempo, per lo meno fino al quarto anno di suo figlio a Hogwarts.
“È una lettera di Draco. Ci scrive che quell’idiota di Alastor Moody lo ha trasformato in un furetto per impartirgli una lezione! Ah, sapevo che chiamare quel vecchio rimbambito a insegnare sarebbe stata una follia!” le annunciò un giorno Lucius con un sibilo irritato, entrando nel soggiorno dove lei era intenta a finire la colazione.
Il mago aveva parlato con il consueto tono controllato, senza tuttavia nascondere la ferocia e l’indignazione. Narcissa fu colta talmente tanto di sorpresa da lasciar cadere in un tonfo le posate, non certo per l’atteggiamento di Lucius quanto per il contenuto delle sue parole. Infatti, era la prima volta dopo anni che qualcuno pronunciava ad alta voce il nome di Alastor in sua presenza e mai si sarebbe aspettata che quel qualcuno sarebbe stato proprio suo marito.
“Di sicuro ci deve essere una spiegazione” si ritrovò a dire, prima ancora di rendersene conto. “Voglio dire… Non credo possa aver perso la testa così tanto” aggiunse poi, tentando di riprendere la solita compostezza.
Lucius alzò un sopracciglio e le rivolse un mezzo sorriso scettico. “E tu cosa ne sai, Narcissa? Hai forse mai incontrato Malocchio?” domandò con chiara ironia.
Narcissa non rispose, limitandosi a scuotere la testa. Tante emozioni da tempo sopite si agitavano dentro di lei, ma la predominante era il senso di colpa. Era convinta che in parte fosse colpa sua se Alastor era impazzito, o per lo meno se mostrava ora un accanimento contro suo figlio.




 
**




Narcissa non era innamorata di Lucius, così come sapeva che lui non aveva mai amato lei. Però essere moglie e madre era tutto ciò che le era rimasto nella vita, e parte dei suoi doveri era quello di mantenere le apparenze anche quando suo marito si trovava in prigione. Ogni due settimane si recava ad Azkaban per incontrarlo brevemente, affrontando l’atmosfera lugubre e terrificante di quel posto popolato da assassini e dissennatori, solo per adempiere il suo ruolo. Fu proprio durante una di quelle visite che,  mentre attraversava il lungo ingresso della prigione, si sentì improvvisamente afferrare per un braccio e trascinare in un angolo. Si ritrovò con la schiena pressata contro un muro, e un corpo possente davanti a lei a farle da barriera. Lo spavento si trasformò immediatamente in puro sgomento quando realizzò a chi esattamente quel corpo apparteneva.
“Sei venuta a trovare il maritino, eh?” le chiese Alastor, con la stessa voce aspra e lo stesso tono brusco che lei aveva imparato tanti anni prima ad associare a lui. “Non sei cambiata per nulla” aggiunse poi, quasi tra sé e sé, scrutandola attentamente.
“Neanche tu” rispose lei in un sussurro, fissandolo di rimando con innegabile malinconia.
Alastor fece una risatina priva di allegria. “Non credo proprio, non avevo mica questo occhio qui prima”.
La strega esitò, preferendo non rispondergli che la soggezione di fronte al suo sguardo l’aveva provata sempre e che, ancora a distanza di più di quindici anni, era l’occhio vero e non quello magico a provocarle i brividi. Del resto, prima che avesse il tempo di formulare una risposta, lui le prese il braccio sinistro e le tirò su la manica del vestito, borbottando un’esclamazione di sollievo nel trovarlo bianco e candido esattamente come lo ricordava. L’espressione di Narcissa si addolcì rendendosi conto del significato di quel gesto. Alastor voleva controllare che non avesse addosso il marchio nero ma, mentre se lo ritrovava lì davanti a lei e sentiva il cuore ancora batterle forte, le venne in mente di dirgli che l’unica cosa che si sarebbe veramente tatuata era forse un lucchetto magico. Che si apriva e chiudeva in base a quanto lui le fosse vicino.
Alastor, d’altro canto, indugiò a guardare e toccare quel braccio per più del necessario. Il sollievo si univa alla sorpresa e assurdamente alla speranza, quasi come se la mancanza di quel dettaglio potesse significare una nuova possibilità per tirarla fuori da quella vita che non aveva mai fatto per lei. Ecco perché, senza apparente motivo, si ritrovò a farle d’improvviso la proposta che non aveva avuto il coraggio di pronunciare quella sera lontana nella sua camera da letto.
“Perché non scappi, principessa?” domandò, quasi in tono di provocazione, soprattutto nel pronunciare quello speciale soprannome. “Lascia stare quel covo di depravati… Io… Io posso tenerti al sicuro, nessuno oserebbe venire a cercarti. Ne ho uccisi tanti di mangiamorte e sono ancora ben capace di farlo”.
Sentendo il tono pratico ma al tempo stesso appassionato dell’uomo, Narcissa non poté fare a meno di addolcirsi ancora di più, mentre sentiva gli occhi riempirsi di lacrime inespresse. Nuovamente la vita la metteva di fronte alla possibilità di aprire il suo cuore e nuovamente era costretta a dover chiudere il lucchetto.
“Non posso, ho delle responsabilità e poi c’è mio figlio. Devo pensare a Draco…”
“Sarebbe la cosa migliore anche per il ragazzo! Potrei proteggere entrambi” la interruppe lui prontamente, ancora sull’onda di quello strano slancio di coraggio.
Inaspettatamente, Narcissa fece una piccola risata amara. “E io che credevo che avessi preso in antipatia Draco perché era mio figlio. Ma non eri tu. È buffo ma avrei potuto capirlo proprio io, tra tutti, da quel particolare”.
“Sei stata una sciocca, principessa. Solo perché si trattava di tuo figlio lo avrei avuto tra i miei allievi preferiti, pure se fosse uno stronzo smidollato come suo padre”.
La proposta era stata sincera, ma non c’era veramente bisogno di parole per capire come fosse destinata a venire rifiutata. In silenzio, si guardarono per un altro po’, prima che lui lasciasse andare quasi di scatto il suo braccio e prendesse a incamminarsi lontano con la stessa rapidità.
Nessuno dei due poteva saperlo allora, ma quella fu l’ultima volta in cui si videro.





 
**




Narcissa Malfoy non aveva mai cambiato il suo schieramento; timorosa del Signore Oscuro, aveva osservato impotente suo figlio tatuarsi il marchio nero, salvo poi spingersi a chiedere l’aiuto di Piton per aiutarlo nella missione impossibile di uccidere Albus Silente. Aveva ospitato nella sua casa l’intero gruppo di mangiamorte e non aveva mai abbandonato né sua sorella né suo marito.
Tuttavia, quando la guerra finalmente terminò con la sconfitta di Voldemort, Harry Potter finì per avere comunque una certa indulgenza verso i Malfoy proprio grazie alla donna. Aveva mentito al mago oscuro quando si era avvicinata per controllare che il ragazzo fosse vivo e, sebbene Harry sapesse che lo aveva fatto solo per un tornaconto personale, quello era stato uno dei tanti piccoli dettagli fondamentali per la vittoria. Ecco perché, quando nella Sala Grande di Hogwarts la vide separarsi dal marito e dal figlio per camminare proprio verso di lui, la lasciò parlare.
“Potter, sai dirmi dove è stato seppellito Alastor Moody?”
Harry strabuzzò gli occhi: si era aspettato una domanda, ma sicuramente non quella. Era stupito di quell’inspiegabile interessamento della strega per il vecchio auror, così come dal profondo dolore che si leggeva sul suo viso. E di certo lo sarebbe stato ancora di più se il giorno dopo avesse visto quella stessa donna piangere disperata su una piccola tomba che lui stesso aveva scavato sotto una quercia.
Un cumulo di terra con una croce magica sopra, e al di sotto solo un occhio magico. L’unica cosa che Narcissa di Alastor non aveva avuto il tempo di conoscere.
 



 
Fine
 
 
 
 
 








 ***
NDA: Scrivere su un crack pairing è la cosa che mi affascina di più del mondo delle fan fiction. Questa qui in particolare è stata però forse la sfida più grande in cui mi sia imbattuta: si tratta di due personaggi che di fatto non si sono mai incontrati e che a prima vista sono diametralmente opposti. Pensandoci meglio, però, ho trovato proprio nelle loro diversità uno strano punto in comune e ho tentato (prendendomi qualche piccola libertà) di provare a riscrivere la storia di questi due personaggi all’interno della trama della saga che già conosciamo, tracciando dei momenti che potessero fungere da missing moment senza alterare nessun punto, e anzi richiamando qualche informazione certa. Questo mi è stato facilitato sicuramente dal fatto che non conosciamo molto né di Narcissa né di Alastor. Per quanto riguarda l’IC, vorrei precisare che, ambientando la maggior parte della storia nel periodo pre-saga, ho fatto alcune considerazioni: Narcissa la vedo principalmente come una ragazza brillante e con tanti sogni, ma troppo fragile per opporsi alla famiglia; Alastor invece non è ancora l’uomo paranoico che diventerà dopo la prima guerra magica.
Un ultimo appunto curioso è per qualche “easter eggs” inseriti nella storia che si trovano tutti nella scena dell’incontro tra Alastor e Narcissa ad Azkaban. Lui che le chiede improvvisamente di fuggire con l’intenzione di proteggerla è un’idea che mi è stata suggerita da una scena di Game of Thrones  (a tal proposito, fisicamente e caratterialmente, Alastor e Narcissa non differiscono tanto da Sansa e il Mastino); l’idea invece di reinterpretare il rapporto Alastor/Draco in una mai effettiva dinamica accanimento/protezione richiama invece Piton e il suo rapporto con Harry; l’idea di accennare a un tatuaggio con un lucchetto è invece un richiamo esplicito al contest “Tattoo Studio” a cui la storia partecipa.
Detto questo, spero che la mia follia vi sia piaciuta e che mi concediate per lo meno un po’ di indulgenza! Ahah Alla prossima storia:)
 

 
   
 
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