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Autore: G RAFFA uwetta    07/10/2019    2 recensioni
Il mondo come lo conosciamo è quasi tutto sepolto sotto strati di radiazioni a causa della Terza Guerra Mondiale scatenata dalla Cina. Ma l’avidità umana non è morta con lui, è sopravvissuta così come la voglia di conquista dei superstiti.
Nell’ombra c’è chi si muove guardingo, un passo alla volta per raggiungere il proprio obiettivo. Chi è così insaziabile da sfidare le aree contaminate?
Un mistero che avrà un risvolto inaspettato per l’intero genere umano.
Questa storia partecipa al contest ‘My favourite things’ indetto da fiore di girasole sul forum.
Questa storia partecipa al contest ‘I miei ultimi undici libri’ indetto da Claire roxy sul forum.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Anno del giudizio 14-41


L’unico vero errore è quello da cui non impariamo nulla. (John Powell)


Ascesa1 agli inferi


Un filo di fumo nero si ergeva solitario fino a fendere le spesse nuvole come una spada. Cadeva una pioggia fitta, pesante, che colorava di rosso la poca vegetazione. Da una fenditura tra la roccia, sgusciò fuori un grosso scarafaggio. Dopo avere indugiato sulle zampe, sparì tra l’erba rinsecchita.

Poco più a nord, una strada si inerpicava tra le colline aride fino a interrompersi sul ciglio di un gigantesco cratere, un tempo chiamato Bacino di Groom.

«Ci siamo,» esclamò Gordon spegnendo il motore alimentato ad acqua. «Tiriamo fuori il materiale e prepariamo il campo alla svelta. Aiutami Robert, voglio il Radieshon-ijido2 immediatamente funzionante,» disse rivolto a un uomo alto e tarchiato.

«Sei già stato qui?» chiese curioso Robert mentre con perizia univa dei sottili tubi in acciaio incastrandoli tra loro in modo da formare una griglia pentagonale. Dopo averne preparate sette le porse a Gordon che le fissò a dei gambi flessibili installati su una piattaforma in marmo sintetico.

«Sono nato da queste parti,» spiegò, «e da piccolo ci venivo spesso a giocare. Poi, dopo la Quarantesima Esplosione, tutto è cambiato. Da allora, il livello delle radiazioni è diventato insostenibile.» Nell’aria si diffuse un leggero ronzio e i sette pentagoni presero a oscillare in ogni direzione. Quando si avvertì chiaramente il primo scricchiolio, i cinque esploratori si rifugiarono sotto la tenda di un materiale altamente isolante contro le piogge acide che colpivano la zona.

«Perfetto, riposatevi perché domani all’alba scendiamo di sotto.»

Il nuovo giorno arrivò annunciato dal rollio di assestamento della terra che fece cadere vari contenitori di ferro accatastati in un angolo. La pioggia acida aveva ceduto il posto alla nebbia e l’aria irrespirabile si era incendiata di rosso. Sembrava di essere finiti dentro una tormenta di sabbia.

«Assicurate la tenda al suolo e lasciate qui tutto ciò che non serve per la spedizione. Compresa la tua arma, Sebastian. Sarà anche una vecchia miniera di carbone, ma non voglio correre il rischio di saltare per aria,» disse cupo Gordon al più anziano del gruppo.

«Certamente, capo. Poi non lamentarti quando ti troverai difronte a uno di quei mostri che popolano questa zona e non avrai modo di difenderti,» lo derise. Gordon sorrise sprezzante.

«In questo caso, ritengo sarà più utile questo!» E sfoderò un coltello seghettato dalla lama scintillante. «Gentile concessione di mio nonno, che lo trafugò a un soldato mummificato sepolto in una galleria più a ovest.»

«Smettetela, o con tutto questo testosterone sparato per aria, ogni femmina da qui a Vegas Ohuru3 fiuterà la vostra scia.»

Da dietro il furgone, spuntò Adelhaide, una bassa ragazza dagli sgargianti capelli a spazzola. Le sue forme rotonde erano strizzate dentro la tuta sintetica di un imbarazzante colore giallo.

«Forza, ragazzi, zaini in spalla. Voglio arrivare alla cascata prima che cali il buio.»

«Perché?» chiese Robert mentre si sistemava il carico.

«Lì dovrebbe esserci una struttura ancora integra, ed è l’ideale per passarci la notte. Il nostro principale obiettivo è raggiungere un’area isolata da settantasette metri cubi di cemento armato. Inoltre, su uno dei muri del perimetro, le radiazioni hanno letteralmente stampato la mappa integrale della base militare. Senza quella sarebbe impossibile muoversi nel dedalo dei suoi corridoi.» Impressionato, Robert fischiò.

«Scusa, ma come facciamo ad accedere? Se usiamo un qualsiasi tipo di detonatore saltiamo tutti in aria,» si informò mentre si grattava sovrappensiero la visiera traslucida.

«Se te lo dicessi poi dovrei ucciderti.» Adelhaide lo guardò seria, fissando gli occhi chiari in quelli più scuri dell’uomo.

«Okay, okay. Sei una tipa tosta. Ora, diamoci una mossa,» disse Gordon mettendo le mani sulle spalle della ragazza e spingendola fuori. «Philipe, se non ti decidi ti lasciamo qui!» urlò dietro a un ragazzo chino che rovistava tra la terra. Questo mise fine alla discussione.

In fila indiana, costeggiarono il precipizio per mezzo miglio, scendendo verso il basso e facendo attenzione a non sdrucciolare di sotto. Man mano si allontanavano dalla superficie, l’ossigeno si faceva più rarefatto e le radiazioni pungevano come spilli. Le tute indossate mantenevano stabile la temperatura corporea e li isolavano da quelle potenzialmente mortali. Il casco semitrasparente assorbiva le particelle acquose come una spugna e un filtro, posto davanti alla bocca, estrapolava l’ossigeno.

Rimasero in silenzio finché, dopo avere vagato per chilometri dentro e fuori i vecchi tunnel scavati per il carbone, si trovarono difronte a una porta in spesso acciaio, accartocciata in un angolo. Su di essa era ancora visibile il cartello di divieto d’accesso all’Area 51.

A lato, seguendo la striscia di licheni viola, dopo una curva a gomito, il ruggito della Cascata Rachel li investì con i suoi colori pastello. Sembrava non avere inizio e, se si aveva abbastanza fegato da sporgersi oltre il bordo, era evidente che non avesse nemmeno una fine, perdendosi fino giù nel cuore della Terra. Robert scioccato, si avvicinò tenendo davanti a sé la torcia in resina fossile.

«Stai atten...» Adelhaide non finì la frase che la sostanza oleosa, di cui era composta la cascata, prese fuoco. «Accidenti a te!» esclamò, saltando di lato per evitare una fiammata. «Ritiriamoci dietro quel masso, prima di finire tutti quanti arrosto. L’unico varco per raggiungere la struttura è lì,» indicò un sentiero che si perdeva dietro il flusso d’acqua.

«Ehi! Che diavoleria è questa? L’acqua non dovrebbe trasformarsi in un Ire oku thrower4,» esclamò sgomento Sebastian mentre sbatteva le mani sulla gamba per spegnere un principio di incendio.

«Anni fa ho elaborato una teoria,» si intromise Gordon. «Sotto il suolo dove abbiamo lasciato la tenda, passa la vecchia conduttura degli scarichi che alimentava la base. Visto il flusso, è ancora operativa ma, lungo il suo cammino attraversa aree scoperte particolarmente radioattive. Credo sia l’accumulo delle scorie che la rende infiammabile e le dona il caratteristico colore iridato.»

«Tutto questo è emozionante, ma come facciamo a superare l’ostacolo?» chiese spazientito Robert.

«Oh, è semplice. Ti buttiamo nel fuoco, magari, bruciando, la tua massa cerebrale migliora,» rispose acida Adelhaide mentre estraeva dallo zaino quello che parve un sasso viola. Con circospezione, prese la mira e lo lanciò al centro del flusso arroventato. In men che non si dica le fiamme si estinsero. «Ecco fatto. Aspettiamo ancora un attimo, nel caso sia rimasto qualche focolaio, e poi infiliamoci nel tunnel. Abbiamo ancora mezz’ora di cammino e la notte sta calando.»

Come evocato, un vento gelido iniziò a soffiare dal baratro portando con sé i misteri della notte. Il sottosuolo si risvegliò attirato dagli odori familiari che provenivano dal cielo aperto. Fruscii, mugolii, stridii fecero accapponare la pelle ai cinque esploratori.

«Per di qua,» disse con urgenza Adelhaide infilandosi tra due arbusti secchi. Una volta sbucati dall’ennesimo tunnel, piombarono in uno spiazzo colmo di detriti. Incastrata nel cemento, una piccola porta aveva resistito alla violenza dei bombardamenti che si erano concentrati in quell’area.

«Non c’è via di uscita, Ade, spero tu sappia cosa stai facendo,» bofonchiò Gordon estraendo il pugnale. Senza guardare in faccia la ragazza si mise in posizione di difesa, gli occhi fissi da dove erano arrivati. Sebastian lo affiancò.

«Sbrigati ad aprire,» l’incitò l’uomo, sussultando al ruggito affamato che si propagò intorno a loro. «Quei cosi sono dannatamente vicini.»

«Sono tre cicli5 che studio questa porta,» lo rimbeccò acida la ragazza, «mi basta trovare il pannello che l’alimentava e il gioco è fatto.» China a pochi passi dalla porta, Adelhaide, aiutata da Robert, raschiò il muro fino a disegnare un contorno quadrato. Entrambi, facendo leva con un cacciavite, spostarono il rivestimento sotto il quale si rivelò un mosaico di fili colorati di giallo, verde, blu e rosso. Lesta agguantò il coltello a scatto appeso al collo e recise l’unico filo multicolore nascosto in fondo a quel groviglio. Con uno schianto polveroso, la porta tremò appena sui cardini arrugginiti. «Bene,» disse soddisfatta, «il resto lo dovrà fare la forza bruta.» E ammiccò ai muscoli che pulsavano sotto la tuta grigia di Robert.

Troppo occupati a smuovere l’ostacolo, nessuno di loro si accorse che il più giovane si era infilato in un pertugio finché un urlo disumano non si ripercosse tra i tunnel.

«Philipe.» sussurrò agghiacciato Gordon muovendo dei passi verso destra. «Sbrigatevi ad aprire quella dannata porta e tenetevi pronti al peggio.»

In quell’istante, il corpo martoriato del giovane scivolò fuori dalla fenditura e Gordon si apprestò a soccorrerlo. L’uomo non fece in tempo a inginocchiarsi accanto a lui che due braccia scheletriche arpionarono le gambe di Philipe. «Aiutami,» balbettò. Il suo volto era talmente cinereo che, anche attraverso la visiera sporca di terra, spiccava il rossore dei brufoli. In un attimo sparì inghiottito dal buio.

Dopo un secondo di smarrimento, Gordon raggiunse gli altri. Al suo posto apparve una creatura orrenda. Era completamente scuoiata, con vene e muscoli che palpitavano a ogni movimento. Aveva due fosse nere al posto degli occhi e una bocca larga munita di denti affilati grondanti schiuma. Intorno ad essa aleggiava del fumo nero che puzzava di carne bruciata. Se ne stava acquattata sugli arti frementi, muovendo la testa tozza come quella di un gufo, osservandoli.

«Entrate,» bisbigliò ansante Sebastian. «Evitate movimenti bruschi.» Gli altri due non se lo fecero ripetere. Gordon, troppo vicino alla creatura, si mosse piano, gli occhi fissi su di lei, il grosso coltello saldo tra le dita. «Ci sei quasi, un altro passo e sei alla porta,» lo istruì Sebastian.

Da sopra le loro teste, un involucro scuro volò in un cantuccio, lontano dalla porta. La creatura mosse la testa in direzione dell’oggetto e ruggì forte balzandoci sopra. Quello fu il segnale che permise a Gordon di sgattaiolare incolume oltre l’uscio.

Una volta dentro, chiusero e sprangarono la porta usando alcune delle scansie che fiancheggiavano le pareti della stanza. Pannelli spenti e scaffali alti fino al soffitto dividevano l’ambiente in tre piccoli vani. Scartoffie e polvere erano disseminati un po’ ovunque. A parte la sensazione di abbandono che aleggiava, sembrava che la guerra non fosse mai arrivata sin lì.

«Per ora non possiamo fare altro. Trovatevi un giaciglio e cercate di dormire. Due consigli: non togliete il casco e non aprite quella porta fino a nuovo ordine!» intimò Gordon prima di dirigersi verso un basso mobile senza gambe.

«Che posto è questo?» chiese Robert ancora atterrito, mentre si sedeva in terra con la schiena contro la parete.

«Il centro operativo, il luogo da cui dipendeva il rifornimento di energia per l’intera base.» Adelhaide entrò nel vano più lontano e rovistò nei cassetti di una scrivania. Tolse dei grossi tomi ingialliti da uno scaffale, aprì e chiuse dei quadri di comando finché non si fermò difronte a una sottile lastra nera. «Ecco dove ti avevano nascosto,» bisbigliò soddisfatta. Afferrò di nuovo il cacciavite, che portava sempre con sé, e colpì con forza l’ardesia. Sotto, fece capolino una pulsantiera dove, in un angolo, tre spie rosse tremavano come la debole fiamma di una candela.

«Eureka!» esclamò. «Ragazzi fate buoni sogni, i miei di certo saranno meravigliosi.»

In quel momento, uno schianto fece tremare la porta mentre i calcinacci si staccavano dagli infissi; dei latrati fecero loro accapponare la pelle.

«Siamo al sicuro,» mormorò Gordon mentre estraeva il coltello. «Ma, per evitare spiacevoli sorprese, è meglio se ci mettiamo tutti lì dentro.» Col corpo piegato in avanti, le braccia spalancate e gli occhi fissi sulla porta, si appostò davanti al primo vano. «Entrate,» li incitò, «è l’unico con una porta munita di serratura. Per quel che ne sappiamo, nonostante siano molto forti, non sono in grado di usare una maniglia,» sorrise ferino. I tonfi andarono avanti per tutta la notte finché, con l’apprestarsi dell’alba, le radiazioni ricominciarono a diventare insopportabili.

Da tempo l’uomo aveva abbandonato le zone devastate dalla Terza Guerra Mondiale, diventate ormai invivibili. Così la Natura aveva preso possesso delle loro macerie. Dalle sue viscere aveva generato nuove specie: ibridi in grado di resistere al gelo notturno ma incapaci di sopportare il picco delle radiazioni causato dal calore del sole. Creature che, all’approssimarsi dell’alba, si ritiravano nelle loro tane a centinaia di metri sotto la superficie terrestre. Per cibarsi macinavano chilometri su chilometri, fino a spingersi ai margini delle cinte degli agglomerati umani. Nessuno, prima di allora, aveva conosciuto il loro vero aspetto perché, chiunque vi si fosse imbattuto, non era vissuto abbastanza per raccontarlo. Visto la loro natura erano stati battezzati ironicamente Abali Abali6.

La mattina dopo, i quattro esploratori uscirono dalla stanza con cautela, preoccupati di trovarsi davanti qualcuna di quelle bestie acquattate nell’ombra. Erano scesi parecchio nel sottosuolo, mantenendosi a breve distanza dall’epicentro della Prima Esplosione, il più umanamente possibile vicino alle sue radiazioni.

«Mi sembra che fin qui sia stato tutto fin troppo facile, escludendo Philipe. Pace all’anima sua,» bisbigliò Robert mentre guardava trasognato i graffi profondi sulla porta e sui muri circostanti.

«Beh, non la chiamerei fortuna. Sono settimane che dispongo esche alimentari per spostare il loro territorio di caccia. Secondo le stime, in quest’area, ci sono quasi un centinaio di esemplari, un po’ troppi per attraversare la Route 375 e sperare di restare vivi,» rivelò sbrigativamente Adelhaide. «Credo sia stato il girovagare avventato di Philipe a guidarli fino a noi.» Robert alzò le mani in segno di resa.

«È meglio avviarci,» li interruppe Gordon. «Secondo i miei calcoli, dobbiamo tornare indietro, prendere il quinto cunicolo a destra e percorrerlo fino in fondo, dove troveremo ad attenderci l’ultimo ostacolo. E qui entrerai in gioco tu, Sebastian.»

«Già,» disse ergendosi in tutta la sua altezza. «Vedrete un esperto di esplosivi all’opera.»

«Scusa, ma non si era detto che erano vietate le deflagrazioni?» chiese preoccupato Robert accodandosi al gruppo.

«In realtà si tratta più di disinnescare che far esplodere,» riprese Gordon. «Per preservare ciò che nascondevano qui, uno sparuto gruppo di militari e scienziati, dopo avere fatto evacuare l’intera base, si sono barricati all’interno. Non abbiamo idea se l’intera struttura sia rimasta integra, dopo la guerra, però sappiamo per certo che ciò per cui siamo qui è ancora intatto.»

«E come è…»

«Quante domante, Robert!» sbottò infastidita Adelhaide. «Sei una palla al piede! Se avessi letto il fascicolo che vi ho procurato prima di partire, non saresti così mortalmente noioso. Soprattutto avresti evitato di fare la figura dello zotico. Comunque, riassumendo: il generale Kippler, il valoroso tizio di cui parlava poc’anzi Gordon, è un mio lontano parente. Intuendo l’esito della guerra che stava per scatenarsi, spedì moglie e figli, e l’intera documentazione in suo possesso, in Nigeria. Di tutto il faldone, a noi interessa solo quello che riguarda il bunker numero 14. È là che siamo diretti.»



Note dell’autrice: questa storia partecipa al contest ‘My favourite things’ indetto da fiore di girasole sul forum.

Questa storia partecipa al contest ‘I miei ultimi undici libri’ indetto da Claire roxy sul forum con il pacchetto ‘Io sono leggenda’:

Genere7: Sovrannaturale (vampiri).

Citazione: ‘Poi un giorno il cane non si presentò’.

Ambientazione: un America post-apocalittica.

Obbligo: finale negativo.

La giudice chiede di scrivere una storia basandoci obbligatoriamente su due dei prompt elencati nel pacchetto, un punto in più a ogni prompt aggiunto.

Ulteriori note: il numero nel titolo non è lì a caso. Infatti, il 14 è il mio numero preferito e il 41 è il suo opposto. Inoltre, un giorno, durante la stesura della storia, ferma in un parcheggio commerciale, ho notato che il posto auto era, appunto, 1441.

Buona lettura e i commenti sono graditi.

Disclaimer: l’immagine non è mia ma appartiene agli aventi diritto.

1Inteso come conquista.

2Cattura radiazioni in Igbo lingua della Repubblica Biafra esistita fra il 1967/70

3The New Vegas in Igbo

4Lanciafiamme in Igbo

5Nel mio immaginario, il tempo viene scandito tra una Esplosione e l’altra di radiazioni, e suddiviso a sua volta in cicli.

6Stufato notturno in Igbo

7Non necessariamente il principale ma fondamentale.

   
 
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