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Autore: iron_spider    10/10/2019    3 recensioni
"Ho pensato di prendere Wasp, e tu Iron Man,” rivela Ned.
Sono delle spillette d’acciaio, una per ogni Vincitore del Distretto 12. A Peter non piace molto partecipare alla goliardia generale, considerando che Capitol sta letteralmente torturando e uccidendo delle persone rendendo la loro vita un inferno; ma, in segreto, ha un Vincitore preferito. È stato Tony Stark sin da quando ha memoria.
Vorrebbe avere la metà del coraggio che ha lui.
È un eroe. È un eroe.

[Traduzione // HungerGames!AU // Tony&Peter]
Genere: Azione, Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 14: Giochi peggiori a cui giocare

(Parte 1)

 




Peter rimane in attesa di altre esplosioni che non arrivano. Rimane in attesa di schiantarsi, di sentir precipitare l’elivelivolo. Ma non succede niente di tutto ciò. Hanno tutti lo stesso marchio sul braccio, rimasto dopo che la Dottoressa Cho ha rimosso i localizzatori, ma quando finalmente Peter controlla al di sotto della benda il suo è quasi del tutto scomparso. Anche quei pochi graffi che aveva sul volto stanno sbiadendo, e suppone che vi sia una qualche sorta di guarigione accelerata in atto, assieme a… a tutto il resto.

Guarda fisso Tony. Guarda quella cosa nel suo petto, chiedendosi se gli impedisca di repsirare. Ha addosso una mascherina per l’ossigeno, adesso, la Dottoressa Cho ha ritenuto fosse meglio così. A Peter è sembrata solo un’altra sconfitta. Gli stringe la mano e cerca di trasmettergli la sua forza vitale, cerca di dargli un po’ di quella sua energia in eccesso. La Dottoressa Cho sembra ottimista, ma lui non trova alcun ottimismo dentro di sé. Tony parlava in continuazione, anche quando non voleva. E adesso no. Adesso è disteso lì, con un elettromagnete nel petto. Sembra quasi morto.

Scopre che l’arena era stata costruita nel Distretto Due, vicino all’acqua, e dopo sei lunghe ore di volo arrivano nel Distretto Tredici. L’elivelivolo entra in profondità nel sottosuolo, più in basso di quando sono arrivati nell’arena, e lui si aggrappa alla mano di Tony come fosse una cima di sicurezza, col terrore che gli scorre nelle vene. Non hanno ancora alcuna notizia su chi gestiva le operazioni di recupero, inclusa Janet, e se dovrà sentirsi dire che May è morta, dopo tutto questo, non pensa che sarà in grado di superarlo.

Percepisce l’atterraggio. Sente il motore che si spegne. Rivolge una rapida occhiata a MJ e sente il panico che lo stringe nella sua morsa. Sa che porteranno via Tony, e sa che non potrà andare con lui: dovranno operarlo, cercheranno di migliorare le cose, e non hanno bisogno di alcuna distrazione. Peter ha paura di cosa farà, perché teme di aggrapparsi a lui, di crollare, di dare di matto. È in bilico, sul precipizio di qualcosa di orribile, perché stanno succedendo troppe cose tutte insieme e non ha la minima idea di come affrontarle.

Ha sedici anni. Ne ha abbastanza di tutto questo.

La porta si apre lasciando entrare Bucky, con un altro uomo che spinge una barella dietro di lui. Peter si sente fuori di testa ogni volta che vede Bucky, e da quanto ha sentito si crederà ancor più folle una volta che inizieranno a mescolarsi alla popolazione del Tredici.

Strizza la mano di Tony tra le sue. Rilascia un respiro tremante, col cuore che batte più rapido. MJ è in piedi dietro di lui, e posa una mano rassicurante sulla sua spalla. Cerca di nutrirsi di quell’energia, ma non è più così facile quando vede l’espressione sul volto di Bucky.

Peter sa che Bucky e Tony si conoscono, o che... si conoscevano, ed erano in confidenza l’anno scorso. Sembra soffrire anche lui per quello che è successo a Tony. “Lo prendiamo noi, ragazzo. Sarà nel nostro ospedale, al quinto piano, e non appena avrà finito in camera operatoria ti manderemo a chiamare.”

Peter deglutisce a fatica, annuendo. Ma ancora non ha lasciato andare la mano di Tony. Si accosta a lui, cercando di non guardare la cosa nel suo petto, e batte le palpebre per scacciare le lacrime. Il suo volto non dovrebbe essere così fiacco, così immobile. “Svegliati… svegliati e basta,” gracchia Peter. “Okay? Ho bisogno che tu ti svegli.” Annuisce, cercando di convincersi che Tony possa sentirlo.

Poi lo lascia andare.

Dopodiché si ripiega su se stesso, come se stesse guardando tutto da un profondo recesso della propria mente. MJ gli tiene la mano, poggia il capo sulla sua spalla; gli altri trasferiscono Tony sulla barella e lo portano via, con la Dottoressa Cho che segue la loro scia. MJ lo guida fuori dalla stanza e, se non lo tirasse appena, lui non si muoverebbe neppure.

Rivolge a malapena uno sguardo al resto del gruppo quando si riuniscono nella sala principale dell’elivelivolo, e gli altri uomini – Happy, Matt e Frank – sembrano tutti concentrati su di lui, ognuno di loro con un’aura differente attorno a sé. È abbastanza certo che Matt sia cieco, considerati gli occhiali, ma crede anche che sia molto più consapevole dello spazio che lo circonda rispetto a quanto si potrebbe pensare. Altrimenti non sarebbe qui.

Happy è l’unico ad approcciarlo, mentre si avviano giù dalla rampa e fuori dall’elivelivolo.

“Ehi,” lo chiama, dandogli una pacca sul braccio. “Sono una sorta di pezzo grosso, qua dentro, quindi se ti serve una guida per andare in giro, chiedi a me. Ti do una mano io.”

Peter lo guarda da sopra la spalla, annuendo brevemente. Nessuna offesa per Happy, ma vuole che siano Tony e May a fargli da guida. È loro che vorrebbe davvero. Vuole scoprire tutto e perdersi con loro. Costruire una nuova vita insieme.

Alza lo sguardo una volta fuori dal velivolo: sono in un enorme deposito che sembra uscito fuori da una base militare, e vi è ogni sorta di jet e armamenti, oltre a degli uffici con pareti di vetro che ospitano più meraviglie tecnologiche di quante ne abbia viste a Capitol. Punta gli occhi davanti a sé mentre attraversano il tutto, e intravede qualcuno in testa al gruppo che li guida, camminando a falcate decise. Happy supera tutti gli altri e si affretta a raggiungerlo, mormorandogli qualcosa all’orecchio.

L’uomo si gira, guardandoli. “Da questa parte,” dice, e svolta bruscamente in un altro spazio. “Seguitemi e basta, prego.”

MJ gli stringe la mano. Lui continua a tenere il passo, e si chiede se Janet sia tornata sana e salva con May e Ned. Si chiede dove abbiano portato Tony. Non riesce a trovare un senso di normalità. Non sa nemmeno se esista, è come un concetto estraneo sul quale la sua mente non riesce a far presa. Vuole sapere cosa sta accadendo nel mondo esterno, cos'è successo dopo la loro fuga dall’arena, come hanno reagito i Distretti, quali sono state le ritorsioni di Capitol. Ma ha paura di scoprirlo.

Si spostano in un’ampia sala, e anche se è tutto metallo e acciaio sembra comunque più calda di Capitol o dell’arena.

Happy si volta a guardarli, sorridendo. “Vi portiamo direttamente ai vostri nuovi alloggi... a meno che non vogliate farvi dare un’altra occhiata nell’ala medica? Cho è incredibile, e abbiamo un altro dottore, Yinsen–”

“Penso che siamo tutti a posto, giusto?” chiede Steve, lanciandosi un’occhiata attorno. Peter controlla di nuovo sotto la sua fasciatura, e non c’è neanche più un segno.

“C’è altro che dovremmo sapere?” chiede Natasha, ed è raro vedere quell’agitazione nei suoi occhi. Peter sa che è preoccupata per suo marito.

“Siamo in silenzio radio, per il momento, così non possono rintracciare la nostra frequenza,” dice Happy, guardandosi di nuovo alle spalle. “Una volta che le acque si saranno calmate, potremo tornare operativi. Ma adesso c’è troppo fermento e non vogliamo intercettazioni.”

“Avete saputo qualcos’altro, prima che arrivassimo?” chiede Riri. “Qualunque cosa riguardo alle nostre famiglie e amici? So che eravate con noi, ma…” rivolge lo sguardo all’altro uomo accanto a Happy, come se fosse lui quello a cui chiedere.

Happy lo guarda a sua volta, e lui scuote la testa. A Peter sprofonda il cuore. “Sentite, abbiamo tre diverse stazioni d’atterraggio, e ora c’è un po’ troppo caos. Forse sono già arrivati, ma la notizia potrebbe non essere arrivata fin qui.”

Una densa preoccupazione si sta avvolgendo come un bozzolo attorno al loro gruppo, e Peter sprofonda ancor di più nella propria testa. Precipita nelle fauci spalancate di un abisso, mentre scalcia e si dibatte e urla. Ma non ha voce.

Si avvicinano a una serie di doppie porte, e Happy e l’altro uomo ne aprono una. Il gruppo di muove in un ampio spazio che deve essere una sorta di centro nevralgico, o sala comune. Peter non riesce a distinguerlo appieno perché ci sono… persone ovunque. Persone che stanno in quelli che sembrano negozi, e gli ricorda il Forno che del loro Distretto. Persone, in piedi vicino a dei tavoli, piazzate accanto a carichi di cibo e cestini ricolmi di libri. Persone qui e su, più su, ancor più su, fin dove riesce a vedere, in ogni livello circolare dell'ambiente. Sono addossati ad ogni ringhiera e guardano in basso. Li guardano tutti con una sorta di meraviglia negli occhi, e quel sentimento aleggia nell’aria come un fiore catturato dal vento, delicato. Il silenzio è riverente.

Happy si guarda indietro, e sembra sul punto di dire qualcosa.

Poi qualcuno inizia ad applaudire.

È solo uno, all’inizio, in alto da qualche parte, e poi qualcun altro si unisce a lui, due persone che applaudono a tempo. Poi un altro, e un altro, un intero gruppo e poi, in un lampo, sono tutti. Tutti quanti. Stanno applaudendo con una forza e una determinazione che Peter non ha mai visto a Capitol, con le lacrime agli occhi, lacrime che scorrono e a cui viene permesso scorrere senza vergogna.

La gente inizia a esultare, grida di gioia, ed è l’emozione più strana che Peter abbia mai provato in vita sua. Si adagia su tutto il resto, e lui diventa un guscio di se stesso, un qualcosa che viene avvolto in qualcos’altro, ed è tutto inerte, è tutto anonimo, è di nuovo all’inizio. È niente, è un’ameba. Ma loro esultano. Sono al settimo cielo. Per lui, per il gruppo di Tributi di cui fa parte, per ciò che sono riusciti a realizzare.

Capisce solo allora. Sono fuggiti. Sono fuggiti dall’arena. Non c’è stato alcun Vincitore dei Sessantesimi Hunger Games, perché otto Tributi sono evasi. I ribelli hanno dichiarato guerra.

Altre porte si aprono alla loro destra, appena oltre a quello che sembra un mercato in allestimento.

A Peter si blocca il respiro, e il suo mondo rallenta.

Vede Janet, Thor, Carol, Strange. Luke, Jessica, tutti gli altri Vincitori. Sono in testa a un gruppo numeroso, un gruppo che si sparpaglia e inizia a scansarli da parte quando vede chi hanno davanti.

“Clint!” grida Natasha, e Peter la vede scattare in avanti, lontano da loro, scontrandosi con un uomo dai capelli chiari, che la solleva in aria con slancio.

“Oddio, Tasha,” dice Clint, facendole fare una piroetta. “Oddio.”

Anche Riri si distacca dal gruppo, poi Misty, Shuri, MJ…

“Peter!”

Tutti stanno ancora applaudendo, ma il suo udito diventa ovattato, come se fosse sott’acqua. La vede, in mezzo alle famiglie riunite, e non è attraverso lo schermo di una TV, non è un ricordo, e prima che riesca a fare più di due passi May è lì, proprio di fronte a lui, ad avvolgerlo tra le braccia.

“Oh, mio Dio, piccolo,” piange, aggrappandosi a lui, premendogli una mano dietro la testa. “Piccolo mio, piccolo mio, Peter. Oddio. Oddio.”

Lui all’inizio è rigido, paralizzato dallo shock, e quando trova un appiglio sulla sua spalla realizza che è davvero qui. È davvero con lui, non è un trucco, non è un’altra illusione nell’arena. Sono insieme, sono insieme.

Lei si discosta prendendogli il volto tra le mani e lui crolla, sciogliendosi in lacrime.

“Oh, tesoro,” sussurra, sporgendosi per posargli un bacio sulla guancia. “Tesoro, stai bene. Stai bene, sei al sicuro.” Lo bacia di nuovo sulla guancia, lo bacia sulla fronte. La guarda mentre lo prende per il braccio girandolo, e per un attimo crede che stia esaminando la fasciatura… ma capisce che sta cercando il punto in cui l’ha morso il ragno. C’è solo un minuscolo segno, adesso, quasi del tutto svanito, e lei vi posa sopra un bacio, con una delle sue lacrime che cade a scivolargli sulla pelle.

“May,” riesce a dire, con la voce scossa da tremiti. Grazie a Dio. Grazie a Dio.

“Ned è qui, tesoro,” dice lei, guardandosi alle spalle e posandogli una mano sulla guancia. “Eccolo, qui… Ned–” Cerca a tentoni dietro di lei, lanciando occhiate alla gente che si ricongiunge attorno a loro, e poi Peter vede anche lui, mentre May trova il suo polso tirandolo in avanti.

“Oddio,” singhiozza Ned, e sta già piangendo. Si sporge verso Peter, lo attira a sé, e lui nasconde il volto nella sua spalla. Lui prende a piangere di più. “Dio, Peter, abbiamo– abbiamo avuto così tanta paura–”

“Anch’io,” sussurra lui, stringendolo forte. Ha ancora paura. Di tutto. Sente May che gli bacia la tempia, e c’è così tanta gente che piange, attorno a loro. Che ride e si abbraccia e si bacia.

Sono qui. Sono davvero qui.

Ned si stacca da lui, si asciuga gli occhi e rivolge uno sguardo a May prima di concentrarsi di nuovo su Peter. “Hai lanciato quel coso nel cielo e… ed è diventato tutto nero,” dice poi. “Non sapevamo cosa fosse successo. E poi… Janet Van Dyne si è presentata alla porta di May.”

“Eravamo tutti e due quasi nel panico,” dice May, scuotendo la testa. “È stata dura per lei farci uscire di nascosto senza attirare l’attenzione.”

“Anche la tua famiglia, vero?” chiede Peter, guardando Ned.

“Sì,” risponde lui, annuendo. “Anche loro.”

Peter si limita a fissarli. Sono fantastici, sono incredibili, non riesce a credere che siano qui. Sono con lui. Si copre il volto con la mano e si sente sul punto di cadere a terra.

“Sei un supereroe,” dice Ned, stringendogli il braccio. “Sei davvero un supereroe.”

Peter scuote la testa. Non vuole che lo chiamino così. Si sente male, vuole essere felice ma si sente male, e non riesce a controllare il proprio respiro. Stanno succedendo troppe cose. C’è troppo a cui pensare.

Ma sono vivi. Sono vivi.

Qualcuno gli tocca la spalla, e si volta per vedere Frank Castle in piedi lì accanto. Torna in sé, tirando un po’ su col naso, e gli applausi sono cessati, ma ci sono molti mormorii e discorsi eccitati tutt’attorno. Molti altri pianti, e anche risate.

“Puoi venire con me, per favore?” chiede Frank, così piano che Peter a malapena riesce a sentirlo.

Si sposta istintivamente più vicino a May. “Non senza di loro,” dice. “Devo–”

“Frank?” chiede May. Sta stringendo il braccio di Peter con forza, come se temesse di vederselo portar via di nuovo.

Frank annuisce, e c’è una mitezza, nei suoi occhi, che sembra inappropriata per lui. “Signora Parker,” dice.

“Cristo, pensavo fossi…” comincia May, e guarda rapidamente Peter. Non completa la frase. È strano. Perché dovrebbe conoscerlo?

“Possono venire anche loro, Peter,” dice Frank. “Dobbiamo… fare una sorta di… riunione. Non so se è il termine corretto.” Abbassa lo sguardo a fissarsi i piedi. “Il Presidente del Tredici vuole incontrarti. Parlare di alcune cose.”

Peter deglutisce a forza. Sente “Presidente” e pensa “Stane”. Ma non è più laggiù. È qui, è nel Tredici. Stane non può raggiungerlo. Non può. Non può.

“Potete seguirmi?” chiede Frank.

Peter si guarda alle spalle, verso il punto in cui vede MJ. È ancora abbracciata a sua madre e sua sorella, le stringe forte a sé. Peter non vuole lasciarla indietro, ma non vuole neanche disturbarla.

Se ne va in silenzio, con May e Ned dietro di lui.

 
§

 
Realizza, mentre Frank li guida attraverso il labirinto che è il Tredici, che quel posto è molto più vasto di quanto avesse immaginato. È ancora un po’ stranito dal fatto che May conosca Frank e continua a orbitare nel suo spazio, temendo di vederla scomparire. Ned lo guarda in modo strano, e non sa cosa dirgli. Continua semplicemente a fissarlo, perché vederlo lì lo fa sentire coi piedi per terra. Lo fa sentire reale.

Mentre camminano, Ned allunga una mano verso di lui e gli scosta il bavero del giacchetto, rivelando la spilla di Iron Man. Peter abbassa lo sguardo, toccandola brevemente.

“Per tutto il tempo, ho avuto paura che la perdessi,” dice Ned, con la preoccupazione che gli increspa la fronte. “Ne hai passate così tante e non… non sapevo se avesse resistito.”

“Tony l’ha fissata bene,” dice Peter, e gli si spezza la voce sul suo nome. Si schiarisce la gola, con una rapida occhiata a Ned. “Tu hai la tua, vero?”

“Certo,” replica lui. Scosta la propria giacca, e la spilla di Wasp è lì. Come lo è sempre stata. “Cosa, uh… dov’è Tony? Dov’è, sta… sta facendo qualcosa d’importante?”

La domanda lo assale come una cinghia che gli strizza il cuore. “Uh, lui… era sull’elivelivolo, per farci scappare. È… è rimasto ferito.” Gli si incrina la voce e distoglie lo sguardo.

“Peter,” lo chiama Ned, una mano sulla sua schiena. “Mi… mi dispiace.”

Peter scuote la testa. “Andrà tutto bene,” replica. “Andrà… andrà sicuramente tutto bene.”

“Certo che sì,” concorda Ned. “Insomma, è Tony Stark.”

Peter adesso sa chi è Tony Stark, e sa che non è fatto di ferro, per quanto vorrebbe che lo fosse. È colmo di dolore che lo fa a pezzi ogni giorno. È il bersaglio di persone potenti. E adesso è spezzato.

Libera un respiro, e quando alza lo sguardo vede Frank e May immersi in una fitta conversazione. Non sa perché, ma lo innervosisce. Finalmente, dopo altri lunghi momenti, svoltano in un vicolo cieco e si fermano di fronte alla porta di fondo.

“Eccoci,” dice Frank. Si china così da permettere a qualcosa nel muro di scansionargli il volto, e la porta si apre. Entra per primo, facendo un cenno col braccio a May.

L’uomo che Peter presume sia il Presidente li aspetta all’interno, in piedi. È alto, imponente, con una benda sull’occhio, e di fronte a lui c’è un tavolo straripante di documenti, assieme a una decina di schermi che trasmettono ogni tipo di violenze. Quando si avvicina Peter realizza che sono riprese in diretta, e che vengono dai Distretti. E… da Capitol. Rimane lì a fissarle, le sopracciglia aggrottate, e infine si accorge che Frank gli sta offrendo una sedia.

“Peter,” esordisce Frank. “Signora Parker, signor Leeds… questo è il Presidente Fury.”

“Ho aspettato a lungo questo incontro,” dice Fury, rapido, senza alzare lo sguardo su di loro. “Frank, chiudiamo alla svelta. Stark aveva il video, giusto?”

“Giusto,” conferma lui. Cerca nella borsa che ha in mano, e Fury sembra continuare a fare quello che stava facendo, come se loro non fossero nemmeno lì. “May, questo era, uh… originariamente per te. Ma Christine Everhart, una dei profughi, ha compiuto per anni delle ricerche sulla corruzione di Capitol e ha disseppellito questo, dandolo a Tony. Io ne ero già a conoscenza. Ero l’unico a cui l’avessero detto.”

Peter si sente come se qualcuno gli stesse tagliando l’ossigeno, e guarda rapido May, vedendo i suoi occhi emotivi e colmi di preoccupazione. Lei e Ned lo circondano come il suo campo di forza personale, e Frank attiva un palmare di fronte a loro, spingendolo davanti a Peter. C’è una schermata nera. Preme il tasto d’avvio.

Sua madre appare sullo schermo.

Negli istanti successivi, quel qualcosa che Peter aveva continuato a chiedersi viene confermato. Guarda i suoi genitori che lottano per rivelare il loro più grande segreto, e a dispetto di tutto l’orrore che gli ribolle nel petto, prova la cosa più simile a un senso di pace dall’inizio di tutto questo. L’hanno protetto. L’hanno fatto volontariamente.

Peter, ci dispiace così tanto…
Ma ti vogliamo–

Il video termina, e rimangono seduti lì in un silenzio scioccato.

“Non sapevano che avrebbe acquisito dei poteri, vero?” chiede Fury, prima che Frank possa dire qualcosa.

“No,” risponde lui. “Non credo.” Sospira pesantemente, e i suoi occhi cercano quelli di May. “Stark era già… molto incazzato con me, perché abbiamo permesso a Peter di… morire, di soffrire, ma sapevamo che Capitol–”

“No,” lo interrompe May, fermamente. “Non importa quello che mi dite su quei maledetti di Capitol. Tony e io la pensiamo allo stesso modo.”

“Anche noi stavamo guardando,” dice Ned, a bassa voce. “E le persone che gli vogliono bene. L’abbiamo… visto tutti.”

Peter sospira, stringendogli il braccio.

“È questo che l’ha reso così potente,” dice Fury. Si alza in piedi, si rassetta la giacca e incrocia le braccia sul petto. “L’amore che la gente prova per te, Peter, è… Cristo, è impressionante. È ovunque. È diverso da qualunque cosa abbiamo mai visto prima. E questa è roba potente. È roba che smuove le montagne. Sappiamo cosa sarebbe successo se ti avessero visto morire. Ma non si trattava solo della tua morte. Ma del fatto che saresti tornato. E sapevamo che saresti tornato.”

Peter non sa cosa dire. Ha l’impressione che May si infurierebbe, se provasse a dire qualcosa, perché… lo capisce.

“Ma i poteri? Nessuno se li aspettava, Spider-Man. Cristo.” Fury emette uno sbuffo rivolto a lui, come se fosse stata una sua scelta.

“Non voglio che voi lo usiate come l’hanno usato loro,” dice May, agitandosi sulla sedia. “Come Capitol. I suoi genitori hanno fatto tutto questo per permettergli di vivere, ed è vivo grazie a loro–”

“È vivo anche perché avevamo un piano,” dice Fury, puntando ora le mani sui fianchi. “Perché abbiamo inviato i nostri uomini migliori a salvarlo. Perché Tony Stark si è lanciato in prima linea.”

Peter chiude con forza gli occhi, passandosi una mano sul volto. Sprofonda un po’ di più nella sedia.

“Cosa è successo a Tony?” chiede May, guardando prima Fury, poi Peter.

“È stato ferito,” dice Peter, fissandosi le mani strette in grembo. “Per tirarmi sull’elivelivolo. È vivo, ma non… non sta bene.”

May annuisce, rilasciando un respiro controllato. Fury cammina avanti e indietro un paio di volte, e si nota una netta tensione nelle sue spalle. Peter sa che ha molto a cui pensare, visto che è al comando di tutto questo.

“Non lo useremo, signora Parker,” dice Fury. “Dipende da lui. Ma ha conquistato cuori e menti per un motivo. Non ci sono mai state rivolte a Capitol. Contro nessuno. Non fino ad ora. E qui abbiamo una promettente rivoluzione, in cui Peter è rimasto coinvolto affinché quest'altro, qua, non dovesse affrontare l’arena e il resto delle loro stronzate.” Fa un cenno imperioso verso Ned.

“Farò tutto ciò che volete che faccia,” dice Peter, cercando di suonare controllato e adulto, anche se si sente tutto meno che quello. “Voglio solo… devo aspettare che si svegli Tony e–”

“Non devi,” dice Fury, e Peter non sa se guardarlo nell’occhio o nella benda quando ce l’ha di fronte. “Non adottiamo la loro stupida politica dei Mentori, qui. Non hai bisogno di un baby-sitter.”

Peter scuote la testa e sente un capogiro. “No, no, io voglio–”

“Presidente Fury,” interviene May. “Capisco cosa sta succedendo, e quanto tutto possa essere… folle, in questo momento. Lo capisco, davvero. Ho sempre saputo chi fosse Peter, da prima che il mondo iniziasse ad adorarlo. Capisco la vostra storia. Capisco quello che hanno fatto i suoi genitori, quello che è successo e che loro non avevano previsto, che ha finito per… esaltare tutti ancor di più.” I suoi occhi si spostano decisi su Peter e inclina il capo, come se cercasse di guardarlo meglio. Lui sente di poter trarre forza da lei, anche solo avendola qui.

May continua, riportando lo sguardo a Fury. “Ma questo ragazzo ha bisogno di un momento di tregua,” dice lei. “Quello che ha passato è più di quanto chiunque possa sopportare. È stato negli Hunger Games. È stato costretto a fare cose che nessuno dovrebbe essere costretto a fare, soprattutto non qualcuno come lui. E poi è– è...”

“May,” mormora Peter, accostandosi a lei.

“È– è morto. E sembrava– sembrava–” Risucchia un respiro tremante. “Lo sapete. L’avete visto. L’abbiamo pensato tutti, e io non riesco nemmeno a immaginare come sia stato per lui. Quell’esperienza… è sua. Sua e solo sua. Individuale. E adesso Tony, il suo mentore, il suo eroe… è ferito? In seguito a un evento in cui lui era coinvolto? Conosco il mio ragazzo. E dopo tutti quegli orrori… ha bisogno di una pausa. Se la merita. Come chiunque.”

Termina il proprio discorso con un sospiro spezzato, e Peter posa la testa sulla sua spalla, serrando con forza gli occhi.

Quando li riapre, l’espressione sul volto di Fury è cambiata.

“L’avrà,” dichiara.

Peter si raddrizza, guardandolo interrogativamente.

“Ho vissuto sottoterra per tutta la mia vita, dannazione,” continua l’altro. “Sono passati sessantuno anni da quando sganciarono le bombe. Io avevo due anni. Non ricordo nulla di ciò che è successo, non ricordo i miei genitori perché morirono nell’esplosione. Questo posto mi ha cresciuto, questa comunità, e ho visto il cielo solo una manciata di volte in vita mia. Conosco solo la guerra, ragazzo, o la sua attesa, il prepararsi ad essa, quindi capisco il bisogno di riposare. Lo capisco. Sei appena tornato, va bene. Abbiamo un po’ di bei posti in cui puoi farti un giro.”

Peter lo fissa. Teme che sia un inganno.

“Frank,” lo chiama Fury, e fa un gesto secco con la mano verso sinistra. “Puoi portarli ai livelli inferiori?”

“Certo,” replica lui, alzandosi.

“Uh,” tentenna Peter, alzandosi a sua volta, sulla difensiva. “Come farete a… uh, come faccio a dirvi che–”

“Ti troviamo noi,” dice Fury, “e quando sarà il momento dovrai di nuovo essere te stesso su un palco nazionale, Spider-Man. So che puoi farcela, perché sulle spalle hai lo stesso senso di responsabilità che pesa sulle mie.” Poi si rimette seduto, rivolgendo di nuovo la propria attenzione agli schermi, cambiando inquadrature, scorrendo rapido un’orda di messaggi.

Peter sente il cuore in gola e annuisce, mentre loro tre seguono Frank all’esterno.

 
§

 
Peter è sicuro che Frank Castle non sia abituato ad essere il galoppino di nessuno. Ha la stazza di un soldato e agisce allo stesso modo, ma ci sono anche tristezza e compassione nei suoi occhi, soprattutto ora che May è qui. Peter vorrebbe fargli delle domande, vuole scoprire cosa sa, ma qualcosa lo frena. È rimasto con loro, sin dall’elivelivolo. Ma è ovvio che abbia avuto un qualche tipo di comunicazione con Fury. Peter sa che qui le faccende sono molto politiche, fino alle fondamenta, e lui ha a malapena scalfito la superficie.

Frank li fa entrare in una stanza tre livelli più sotto e, non appena varcano la soglia, scompare di nuovo in corridoio.

“Peter!” lo chiama la voce di MJ.

Riesce appena a lanciare un’occhiata alla stanza che se la ritrova tra le braccia, col volto nascosto contro il suo collo. Lo stringe come se si fosse aspettata di non vederlo mai più, e quando si scosta da lui gli posa una mano sulla guancia. “Sei sparito di colpo, dannazione,” dice, affannata. “Eri lì e poi… e poi…” Realizza che non è da solo e i suoi occhi trovano May e Ned oltre la sua spalla. “Oh, uh, oh…”

Sembra un momento fatto di cristallo, datogli in dono, uno che potrebbe facilmente rovinare, uno che avrebbe potuto non vedere mai. Ma si fa leggermente da parte, tendendo una mano verso May e Ned.

“MJ,” dice, deglutendo a forza. “Ehm, questa è… questa è mia zia, May Parker, e lui è il mio migliore amico, Ned Leeds. May, Ned, lo– lo so che conoscete Michelle Jones, ma uh… questo è il nostro– è la presentazione ufficiale che non abbiamo avuto occasione di fare.” Si schiarisce la gola. Dio, è davvero un deficiente.

Ma loro non fatto neanche caso ai suoi balbettamenti. MJ guarda entrambi, più volte, con gli occhi che le si riempiono di lacrime, poi li attira a sé avvolgendoli in un grande abbraccio.

“È davvero bello conoscervi,” sussurra poi.

“Oh, e anche per me, cara,” dice MJ, sfregandole la schiena. “Grazie per esserti presa cura del mio ragazzo.”

“Sei stata fantastica, là dentro,” mormora Ned, stringendola. “Mi è piaciuto soprattutto come hai usato quel cartello di stop.”

Tutti e tre ridono, e Peter si sente come se stesse guardando direttamente il sole. Poi sente qualcuno che gli tocca il braccio. Alza lo sguardo, e vede che è Natasha.

“Perché hai ancora addosso la loro stupida uniforme?” chiede, squadrandolo da capo a piedi.

Lui ride, come un idiota, facendo un paio di passi verso di lei. Riesce a guardarsi intorno, e l’unica parola che gli balena in testa per descrivere la stanza è accogliente. È spaziosa, è arredata per assomigliare a un rifugio, con tappeti e divani e quello che sembra un camino finto nell’angolo. Librerie, un cucinino… è molto diversa dal resto del Tredici che ha visto finora. Questa stanza sembra fatta apposta, è come se fosse stata creata per il suo utilizzo attuale: un posto dove riprendere fiato. Un posto per loro. Peter nota tutti gli altri Tributi e le loro famiglie, e alcuni degli altri Mentori: Thor, Carol, Luke e Jessica. Ma non Janet, non Tony, e sente di nuovo freddo.

“Cristo, eccolo qui,” dice un uomo, spuntato da dietro Natasha, e Peter sobbalza tornando sulla Terra. È lo stesso uomo con cui l’ha vista prima, solo che adesso sul suo volto c’è un sorriso aperto invece di un sofferto sollievo. Ha un tutore che gli blocca la gamba, e quello che sembra un apparecchio acustico all’orecchio destro.

“Mio marito,” dice Natasha. “Clint Barton.”

“Ragazzo, sei un eroe…”

Peter scuote la testa, e sente il collo andargli a fuoco. “Non sono–”

“Senti, a questa donna non serve l’aiuto di nessuno, mai,” dice Clint, abbassando lo sguardo su Natasha, “ma l’unica volta che le è servito, quando era appesa fuori da quella finestra… c’eri tu. Quello che hai fatto, io non– non ti ringrazierò mai abbastanza. Davvero.”

Natasha gli rivolge un sorriso caloroso a Peter. “Era tutto sotto controllo. Mi bastavano solo un paio di minuti in più.”

“Mhm,” mugugna Clint ironico, con ancora un gran sorriso in faccia. “Volevo solo dirti grazie, okay? Grazie. Non darò di matto perché ti meriti di meglio, ma sei– sono fiero di conoscerti, ecco.” Gli tende la mano che non cinge le spalle di Natasha, e Peter la stringe rapido.

“Grazie,” dice, e non sa se sia davvero la cosa giusta da dire.

“Peter,” sente la voce di Steve. Lui sbircia da sopra la spalla di Clint e lo vede seduto accanto a Bucky, mentre si alza in piedi. “Non ti hanno lasciato cambiare?”

Clint dà una pacca sulla spalla di Peter mentre lui lo supera, e questi gli rivolge un sorriso impacciato, avvicinandosi a Steve. “Uh, ho… ho dovuto incontrare Fury.”

“Non ti fanno neanche respirare, eh?” scuote la testa Steve. “Andiamo.”

“Ehm,” esita Peter, guardandosi da sopra la spalla. May, MJ e Ned sono ancora raggruppati vicini.

“Non preoccuparti,” dice Clint, seguendo il suo sguardo. “Gli dico io dove sei.”

 
§

 
Peter rimane seduto sotto il getto della doccia per quelle che sembrano tre vite. Non riesce a venire a patti col fatto di essere stato nell’arena fino a poche ore fa. Non riesce ad accettare di esserne uscito, anche se sa che è vero. Lo sporco e il sudiciume si scollano dalla sua pelle e scivolano nello scarico, e sembrano non finire mai.

Prima di tutto ciò pensava che l’avessero sporcato. Non aveva potuto prevedere quello che gli avrebbero fatto. Sa che delle parti di lui rimarranno sempre laggiù, a prescindere da quello che accadrà a quell’arena, da cosa ne resterà, da quello che Capitol sceglierà di conservare. È morto laggiù. È cambiato. Gli hanno portato via qualcosa.

Quasi spacca la manopola dell’acqua calda quando la chiude.

C’è un piccolo spogliatoio fuori dalla doccia, con un intero armadio pieno di vestiti etichettati PETER PARKER. È strano pensare che qualcuno li abbia scelti per lui. Ne erano così sicuri. Erano così pronti. Gli ricorda il suo armadio abbandonato a Capitol, e prima o poi, presto, vuole scegliersi da solo i vestiti. Prendere le proprie decisioni.

Rimanda un crollo emotivo prima di tornare fuori, sentendosi per un istante troppo rotto per andare avanti. Risucchia un respiro, sapendo che verranno a cercarlo presto, ed esce di nuovo nell’ingresso.

Ci sono varie porte in questa zona, e sa che anche il resto delle famiglie dev’essersi rintanato là dentro, insieme agli altri Vincitori e ad alcuni dei profughi. Sente le voci che arrivano dalla sala comune: quella tonante di Thor, quella di Steve che si intreccia a quella di Bucky, e quest'ultimo è ancora così strano da sentire. Ascoltarlo nella vita reale. Vivo. Che parla.

È strano essere qui, punto.

Sente una porta aprirsi dietro di lui e gira di scatto la testa, con un residuo del panico da arena che ancora non allenta la presa su di lui. Inizia a pensare a quanto abbia bisogno di dormire, quando vede chi ha appena aperto la porta.

È esattamente come l’ha vista nell’illusione. Quella che ha creato lui stesso. Uguale alle foto fornite dal palmare.

“Peter Parker,” dice Cassie Lang, stringendo ancora la maniglia. La lascia andare rapidamente, però, e si muove più velocemente di lui perché lui è congelato, bloccato, vede suo padre nei suoi occhi, nel modo in cui si muove. Lei gli corre incontro, e lui si inginocchia senza nemmeno pensarci. Teme di essere troppo spaventoso. Teme che lei lo odi. È colpa sua se suo padre è morto. È colpa sua.

Non dice nulla, e deglutisce a stento.

“Stai bene?” chiede lei, piano, coi grandi occhi concentrati su di lui. “Ho… hanno detto che stavate arrivando, e ci chiedevamo se…”

“Sto bene,” dice lui, sentendosi insignificante.

“A mio… a mio papà piacevi tanto,” dice lei, annuendo. Si porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Si capiva.”

“Ti amava più di ogni altra cosa,” dice Peter, con la voce che gli si incrina, gli occhi che bruciano. “Lo sentivo in ogni parola che diceva.”

“Lo so,” dice Cassie annuendo di nuovo, e ha gli occhi rossi e gonfi, come se avesse pianto molto. Vi si formano delle nuove lacrime anche adesso. “Volevo– volevo solo dirti che… volevo dirti grazie,” dice poi. “Per– per quello che hai fatto, alla fine. Mamma non– mi ha fatto uscire dalla stanza, ha mandato da me Paxton… lui è il mio patrigno. Lui e papà andavano d’accordo, però. Ma lei– lei mi ha detto cosa hai fatto e– e sono contenta che tu… l’abbia fatto.”

Peter si sente in mille pezzi. “Certo,” risponde. “Mi– mi ha salvato la vita. Era fantastico.”

“Sì,” dice Cassie, rivolgendogli un sorriso un po’ tremante. “Era davvero fantastico.” Poi si appoggia a lui, avvolgendolo in un abbraccio stretto, per qualcuno così piccolo, e lui la abbraccia di rimando, pensando a Scott. “Sei un eroe,” sussurra Cassie, contro la sua spalla. “Sei veramente un eroe.”

“No,” replica Peter. “Non lo sono, giuro.”

Una donna dai lunghi capelli biondi esce in fretta dalla stessa porta da cui è uscita Cassie, e trattiene il fiato quando li vede. Il rumore spaventa Cassie, che si ritrae di scatto correndo verso la donna e superandola d’impeto, rientrando nella stanza. Peter rimane lì in ginocchio, col cuore bloccato in una morsa viziosa.

“Mi dispiace, davvero,” dice la donna.

“No, non– no…” Si rimette in piedi barcollando.

“No, intendo…” la donna si poggia allo stipite della porta. “Per quello… che hai passato. È solo… mi dispiace molto.” Gli rivolge una rapida occhiata, con un cenno, e si ritira nella stanza.

Peter indietreggia trascinando i piedi, poggiandosi al muro, e si pianta la base dei palmi negli occhi. Ha le vertigini, e il dolore che vive in lui adesso sembra troppo enorme, troppo forte.

“Ehi,” lo chiama la voce di MJ, all’improvviso, e sente le sue mani che gli scorrono lungo i suoi fianchi. “Ehi, ehi.”

“Scusa,” gracchia Peter. “Stavo– stavo tornando.”

“Non fa niente,” dice lei, rapida. “Va tutto benissimo.”

“Ho appena visto Cassie,” dice lui, lasciando scivolare via le mani. Fa un cenno verso la porta. “E io sono il motivo per cui suo padre è morto, quindi… questo è quanto. L’ho vista, dal vivo, e avrei dovuto aspettarmi che–”

“Peter,” lo interrompe lei, corrugando le sopracciglia. “Sai che Scott non è stato colpa tua. Lo sai.”

Peter deglutisce a fatica, scuotendo la testa, e non gli riesce di seguire i suoi stessi pensieri. Sta cadenzo a pezzi. “E io… io sono la loro nuova icona, o quel che è, solo che non ho idea di cosa stia accadendo là fuori perché nessuno mi ha detto nulla e ho troppa paura per chiedere. Ho incontrato il Presidente e ho visto delle immagini, ma non– avevo troppa paura e basta.”

“Hai incontrato il Presidente?” chiede MJ.

Peter annuisce. “Sì, e mi sta dando un po’ di tempo, ma so che non aspetterà in eterno. E non so quanto tempo mi serve. Un milione di anni, probabilmente. Io– non ho idea di chi sono, di– di cosa sono. Non so più come essere me stesso, non ho mai capito perché piacessi a tutti e non– non so come essere ciò in cui mi ha trasformato quel ragno. Non so come fare. Non– non so come essere un eroe.”

Lei lo osserva con la preoccupazione negli occhi, per poi avvicinarsi, posandogli una mano sul fianco.

“E Tony,” continua Peter, con il carico di lacrime represse che rompe gli argini non appena pronuncia il suo nome. “È stato nella mia vita da sempre, anche quando non c’era davvero, e adesso è– è–” La sua voce si spezza di nuovo e abbassa lo sguardo, con il volto che si contrae. “E anche quello è per causa mia. E ho bisogno di lui, MJ. Ho bisogno di lui, è– è come se fosse mio papà. È come un padre, per me.”

MJ fa scorrere le mani su e giù lungo le sue braccia, poi gli prende il volto tra le mani. Preme la fronte contro la sua.

“Tony starà bene,” sussurra, accarezzandogli la guancia col pollice. “Non ti lascerebbe mai. Sa che sei qui, che sei di nuovo in un posto dove può vederti… si sveglierà. Hanno dei dottori incredibili, qui, Thor ce lo stava dicendo. Faranno quello che devono fare e non smetteranno di lavorare finché non sarà in perfetta forma.”

Peter annuisce, cercando di incamerare il suo profumo.

“E tu… devi smetterla di prenderti tutte le colpe, tanto per cominciare. Sei una vittima, qui, come tutti noi. Tutti quelli che abbiamo perso nell’arena sono colpa di Capitol. È solo colpa loro.”

“Già,” sussurra lui. Ama il suono della sua voce. Ha un certo effetto su di lui e, nonostante tutto l’orrore che lo circonda adesso, lo sta calmando. Solo toccandolo e parlandogli.

“Adesso non sei diverso,” dice lei, piano. “Tu sei tu. Sei amato perché sei spontaneo. Perché sei buono. Perché non porti una maschera. Non cerchi di nascondere ciò che provi, e prendi a cuore le cose con tutto te stesso. Tutto e tutti. Sei così pieno d’amore. E non dico mai niente del genere a nessuno, perché invece io provo a reprimere i miei sentimenti, ma tu… con te non ci riesco. Perché sei fatto così.”

Peter sente il proprio respiro diventare più leggero.

“Anch’io ho paura di quello che sta accadendo là fuori,” dice lei. “Ma qualunque cosa sia, d’ora in poi… siamo insieme. Va bene?”

“Va bene,” risponde lui, e non è mai stato così certo di qualcosa. Sono insieme. Sono insieme.

Lei colma la piccola distanza che ancora li separa e lo bacia. Non è come il bacio nell’arena, troppo rapido e straripante di panico. È pieno di desiderio e bisogno, morbido e calmo, e lei si fa più vicina, con le mani che scivolano ad afferrargli la nuca. Le cinge la vita e il suo stomaco fa le capriole, e pensa che forse la ama.

Il bacio si rompe dopo un momento, le loro fronti che ancora si toccano.

“Okay?” chiede lei.

“Okay,” risponde lui, e non è neanche certo di cosa stiano parlando.

Sente qualcosa sfiorargli la gamba, e quando abbassa lo sguardo vede la gatta di Carol che cammina impettita avanti e indietro, chiaramente convinta di essere più importante di qualunque evento in corso.

MJ ride, posando un altro rapido bacio sulle sue labbra prima di chinarsi. “Oh, mio Dio,” sussurra. “Non hai idea di quanto mi siano mancati gli animali.”

“Questo qui è davvero sfacciato,” dice Peter, inginocchiandosi accanto a lei e posando il capo sulla sua spalla mentre lei accarezza Goose sulla schiena. “È di Carol. Faceva sempre zapping tra i Distretti Undici e Dodici.”

“Ah,” dice MJ, poggiandosi a lui mentre si porta Googe in grembo. “Una piccola ribelle fatta e finita.”

“Decisamente,” sospira Peter. Cerca di liberare la mente per un momento, e di rimanere lì. Proprio lì, e basta.

 
§

 
Sta ondeggiando nel dormiveglia nel suo nuovo alloggio quando lo chiamano. Si mette a sedere sul letto, sfregandosi gli occhi. Hanno tutti stanze singole, che sono più o meno grandi la metà di quella che aveva nell’attico, ma non gli importa. Il letto è comodo, alla porta accanto ci sono May e Ned e a quella di fronte MJ. In teoria, anche Tony sarà di fronte a lui. Quando si sveglierà.

C’è un piccolo pannello accanto alla porta, dal quale proviene il suono. Porta le gambe oltre la sponda del letto e vi arriva a tentoni, sfregando ancora via il bruciore dagli occhi. Preme il tasto verde di risposta, e vede la Dottoressa Cho sullo schermo.

“Peter,” dice. “Sei–”

“È sveglio?” chiede Peter, cercando di concentrarsi,

“Non ancora,” risponde lei, come se si aspettasse quella domanda. “Ma puoi venire a fargli visita, se vuoi.”

Peter sente le spalle afflosciarsi per la sconfitta, ma annuisce. “Uh, l’ala medica?”

“Quinto piano,” risponde lei.

Gli ci vogliono circa quindici minuti per arrivarci, perché si perde cinque o sei volte e non vuole chiedere aiuto. Questo intero luogo è come uno strambo labirinto, ma c’è gente ovunque. Tutti fanno qualcosa, tutti lavorano, tutti aiutano qualcun altro. Non c’è alcuna TV in giro e gli sembra una scelta oculata, l’esatto opposto di come sono le cose a Capitol e nei Distretti. Continua a rammentarsi che questo è, tecnicamente, un Distretto. Ma nessuno sa che è ancora qui. Nessuno sa che sono qui. Si chiede cosa pensi la gente riguardo a quello che è accaduto. Si chiede se lo ritengano morto.

Esce dall’ascensore mordicchiandosi il labbro inferiore e raggiunge l’ala medica, finalmente. C’è un’altra serie di porte con una chiusura a impronta, ma accanto c’è una breve lista di nomi con gli autorizzati, e c’è anche il suo. Preme una mano contro lo schermo, lo osserva mentre la scannerizza, e poi la porta si apre.

L’interno somiglia molto all’ospedale del Centro Tributi, come se fosse stato modellato su di esso e poi migliorato. C’è una scrivania alla sua destra, con una donna dall’aria gioviale dietro. Gli fa un cenno.

“Salve, signor Parker,” lo saluta. “Quinta porta in fondo, sulla tua sinistra.”

“Grazie,” risponde lui, suonando piccolo e stupido perché il cuore gli tambureggia nel petto, la sua ansia è vertiginosa e sente il sudore freddo che lo inonda perché Tony è ferito, è ferito, è ferito, e non importa dove sia adesso lui, non può aiutarlo. Non può salvarlo. Non può fare niente di niente. E per quanto voglia credere a tutto ciò che gli ha detto MJ, non può fare a meno di pensare che sia ormai spezzato per quello che gli hanno fatto, per quello che l’hanno obbligato ad affrontare, perché sente che i pensieri non sono più i suoi. Gli sono entrati in testa.

Bussa cautamente alla porta quando la raggiunge, impaziente di vedere Tony, ma tentato dal fuggire via e nascondersi in uno dei molti anfratti di questo luogo.

La Dottoressa Cho apre la porta sorridendogli cordiale, e la chiude dietro di lui. Sente delle voci più forti, adesso, proprio dietro il muro alla sua sinistra. “Peter, devo… devo dare un’occhiata anche a te. Dopo quello che è successo. Fury ha mandato delle direttive, e stavamo cercando di lasciarti un po’ di spazio, ma sai benissimo che c’è qualcosa che–”

Peter si ritrae di scatto da lei. “Sono venuto qui per vedere Tony, e voglio vedere Tony,” dice, con la bocca secca. “E non– non voglio che voi mi… visitiate mentre sono– da solo. Voglio qui May, o Ned, o MJ, o Tony, e adesso non sono pronto per–”

“Va bene,” dice Cho, rivolgendogli un cenno, come se fosse cosciente che è sul punto di esplodere. “Inventerò una scusa, va bene? Ma non è come pensi. Vogliamo solo capire cosa c’è di diverso, se c’è qualcosa di cui dobbiamo preoccuparci. Capire come gestire il tutto.”

“Okay,” le accorda Peter, lanciando un’altra occhiata verso la stanza adiacente. Crede di sentire delle persone conosciute.

“Okay,” ripete lei. “Entra. Mi scuso se la visita non è privata. Ti faccio rimanere quando se ne andranno.”

Lui annuisce in un ringraziamento silenzioso, e svolta l’angolo. C’è più gente di quanta si aspettasse: un medico, Janet, Happy, Bruce, cavolo, e… Nebula. Nebula. Nebula, che è morta. Peter rimane impalato lì, cercando di contenere lo shock, e quando Janet si volta riesce a vedere Tony. Non è in una veste da ospedale: ha addosso solo un maglione bianco, e sembra quasi in pace: non c’è più una batteria per auto attaccata a lui, ma Peter vede ancora il lieve contorno del cerchio in mezzo al suo petto. Ci sono dei macchinari accanto al letto, e l’elettrocardiografo non emette alcun rumore, ma Peter osserva comunque la linea che si muove.

“Peter,” lo accoglie Janet, con un sorriso esausto.

“Ragazzo…”

“Signor Parker,” dice il medico.

Né Bruce né Nebula parlano, ma lei ha un’espressione di pietra, mentre Bruce sta sorridendo.

“Sono lieto che tu sia qui. Io sono Ho Yinsen, e il signor Stark sta significativamente meglio.”

“Vedo ancora… quella cosa, sotto alla maglietta,” dice Peter, rimanendo lì impacciato.

“Qui, Peter,” dice Janet, alzandosi dalla sua sedia.

“No, no, non fa niente,” dice lui.

“Su,” insiste Janet. Si avvicina a lui, lo prende per mano e lo guida fino alla sedia. Gli dà una lieve pacca sulla spalla e lo fa sedere.

Peter cerca di non guardare fisso Nebula. Sapeva che ci sarebbero stati altri Tributi vivi, ma è comunque… scioccante. Si rivolge invece verso Tony. Lancia un’occhiata al Dottor Yinsen e sente Happy e Bruce che parlottano tra loro vicino al muro divisorio.

“La Dottoressa Cho e io abbiamo creato un reattore arc miniaturizzato per impedire alle schegge di arrivare al suo cuore. Genera tre gigajoule al secondo, e lo farà stare bene.”

Peter non chiede perché non abbiano semplicemente rimosso le schegge, perché crede di potersi rispondere da solo. Con tutta probabilità è estremamente pericoloso. Avrebbero potuto ucciderlo. Quindi questo è il meglio che gli è concesso.

“È molto all’avanguardia,” dice Yinsen. “Potrebbe far battere il suo cuore per cinquanta vite.”

Peter annuisce, perché quella gli sembra una cosa molto buona.

“Una versione più grande del reattore arc fornisce energia al Distretto Tredici, Peter,” dice Bruce, alle sue spalle. “È il meglio del meglio. E sono certo che, quando Tony si sveglierà, avrà anche un paio di idee per potenziarlo.”

Peter rilascia un respiro, alzando gli occhi su Janet. Sembra sfinita, mentre gli scompiglia i capelli. Si china verso Tony e gli lascia un lungo bacio sulla fronte, poi esce dalla stanza senza aggiungere altro. Peter teme che non stia affatto bene. Che non stia gestendo la situazione. Spera che MJ riesca a parlarle, se non l’ha già fatto.

“Torno subito,” dice Yinsen, spostando lo sguardo tra tutti loro. “Il signor Stark riceverà ossigeno a intervalli regolari, non prendetelo come un cattivo segno. Fa parte della procedura. E dobbiamo controllare anche te, Peter.”

Peter sente un piccolo balzo al cuore, e non dà cenno di aver sentito. Mentre Yinsen esce, si sporge per prendere la mano di Tony.

“Hai fatto un ottimo lavoro nell’arena,” dice Nebula, dall’altro lato del letto. “Si vede che Stark ti ha influenzato.”

“Grazie,” dice Peter, con voce un po’ spezzata. “È che– io– scusa, solo che è assurdo…”

Lei abbassa lo sguardo su Tony, sporgendo leggermente il mento. “Lo so,” dice soltanto. “Non è stato facile neanche per me, quando mi sono svegliata. Ma ci stiamo tutti adattando a modo nostro.” I suoi occhi scattano in alto a trovare i suoi, e lui se ne sente intimidito esattamente come quando l’ha vista come Tributo.

“Posso immaginare,” gracchia, annuendo. “Lo capisco.”

“A te è andata peggio, in confronto a me,” dice lei. C’è un istante di silenzio, riempito solo dai suoi pensieri impazziti e dai mormorii di Happy. “Non mi piacciono molte persone, ma mi piace Stark. E ho visto che effetto gli ha fatto la tua morte. Spero che tu sia qui con lui quando si sveglierà.”

“Certo,” dice lui, rapido. “Ci sarò.”

Lei non lo guarda di nuovo. Si limita a tirare indietro i capelli di Tony, sfiorandoli appena, poi si alza anche lei, uscendo dalla stanza come i due prima di lei.

Peter stringe la mano di Tony e lo fissa, come se fissarlo abbastanza intensamente possa farlo svegliare. Ha bisogno di parlare con lui, ha bisogno di sentire la sua voce: è fuori dall’arena, è di nuovo con May e Ned, ha MJ… sente che riuscirebbe a gestire tutto il resto, se solo Tony si svegliasse. Deve svegliarsi. Tutti si comportano come se stesse bene, in perfetta forma, a dispetto di qualunque cosa hanno detto che abbia nel petto. Un reattore arc. Quindi perché diavolo non si sveglia?

“L’abbiamo recuperata,” dice in quel momento Happy. “Lei e Bucky. Kate Bishop. Brunnhilde. Jennifer Walters. Danny Rand. Miles Morales. [1] Un gruppetto di loro.”

Peter sente il cuore incespicare. Non riesce a crederci, cazzo, a nulla di tutto questo. Risucchia un respiro, spostando la sedia in modo da sedersi di traverso. “Come, uh… come va nei Distretti?” chiede, esitante. “Che succede là fuori?”

Happy e Bruce si scambiano uno sguardo, come se fossero sorpresi dalla domanda, e anche Peter è sorpreso. Vuole sapere, non vuole sapere. Ma sente che sono informazioni necessarie, non importa quanto siano terribili. È stato lui a fare tutto questo, e si sente in dovere di essere informato. In più, nonostante l’attuale situazione di Tony, si sente come se lui gli stesse dando forza. Per il solo fatto di essere nello stesso luogo.

“Beh, la rivoluzione è cominciata,” dice Happy. “In alcuni posti va meglio di altri. L’Uno e il Due sono roccaforti di Capitol, non avevamo molti agenti dormienti là dentro, quindi si stanno preparando ad agire a lungo termine e aspettano rinforzi. Nel Cinque è lo stesso, perché devono difendere la diga, ma al momento è uno dei nostri bersagli principali. La resistenza è stata forte nel Quattro e nel Sei, quindi si stanno impegnando a tenersi in vantaggio.”

“Il Dodici?” chiede Peter, con voce sottile.

“Stanno bene,” dice Happy. “Quella è casa tua, quindi combattono strenuamente, più di tutti gli altri. Tutti sono coinvolti. Torneremo in ogni Distretto per recuperare altri profughi, ma il Dodici sta facendo ottimi progressi. Anche l’Undici.”

Non menziona le perdite. Non ne parla.

“E Stane?” chiede Peter, con un picco bollente che gli scatta all’interno. “Lui?”

“È ancora rintanato nella sua torre d’avorio,” dice Happy colmo di fiele, con un’occhiata a Bruce.

“Stane lascia il lavoro sporco agli altri,” dice Bruce, muovendosi appena sul posto e incrociando le braccia sul petto. “Gli piace rimanere a guardare. È deviato, e sadico, e non arriveremo a lui fino all’ultima azione di questa guerra. Farà in modo che sia così. Ma quando sarà il momento, se vorrai, potrai essere tu a eliminarlo. Credo che tu ti sia guadagnato quest’onore, e sicuramente aiuterà la nostra storia.”

Peter corruga le sopracciglia. Per quanto voglia morto Stane, non riesce a immaginarsi di ucciderlo lui stesso. Ha già ucciso fin troppe persone, e non vuole mai più far parte di nulla del genere. “No,” replica. “No, non potrei–”

“Non fa niente,” lo ferma Bruce. “Non siamo neanche lontanamente vicini a quel momento.”

Peter sospira, riportando lo sguardo a Tony.

“Tutto questo è stato enormemente difficile, Peter,” continua Bruce. “Quasi impossibile. E volevo solo ringraziarti per averlo reso possibile. Non avrebbe funzionato senza di te, e non stai ingannando nessuno. Sei semplicemente… insomma, voglio solo ringraziarti per essere te stesso. Mi dispiace per quello che hai passato, mi dispiace davvero, e non– vorrei che non avessi dovuto vivere quelle esperienze. Nessuna di esse. Vorrei aver gettato un po’ più di luce sul piano e non aver tenuto all’oscuro tutti voi, ma c’erano orecchie ovunque, ed era tutto in precario equilibrio.”

“Capisco,” risponde Peter. Ma prova comunque una sensazione che non riesce a descrivere. Una sorta di… risentimento. Non sa se provenga da lui, o dal nucleo dell’anima di Tony che avvolge loro e l’intera stanza e tutto il resto.

“I quartier generali dell’arena sono diventati una zona di guerra nel momento stesso in cui hai manifestato i tuoi poteri,” spiega Bruce. “Lotte fisiche. Armi. Ordini per l’arena provenienti da Stane in persona, e non aveva idea di come reagire. Gli altri continuavano a tentare di contattarlo, ma abbiamo tagliato le linee. Il fuoco è stata opera loro. L’oscurità è stata… un incidente. Sono sicuro che abbia reso la fuga più difficile. Mi dispiace anche per quello.”

“Adesso è finita,” dice Peter.

“È appena cominciata,” dice Bruce. Si avvicina a lui, inclinando un poco il capo, è c’è un’estrema gentilezza nei suoi occhi. “Detesto che tu sia in questa posizione. Vorrei non doverci appoggiare così tanto su qualcuno che è stato scaraventato in questo mondo, ma ti prometto che avrai tutto il supporto di cui avrai bisogno. In ogni senso.”

“Presto sarò pronto,” balbetta Peter, guardando di nuovo Tony. “Devo solo–”

“So che hai parlato con Fury,” dice Bruce. “Non preoccuparti, va bene? Rilassati e basta. Aspetta Tony.”

Peter sospira. “Non so nemmeno che ore siano,” dice, sfregandosi gli occhi con la mano libera.

“Le nove di mattina,” risponde Bruce. Gli dà una pacca sulla spalla. “È un nuovo giorno, Peter.”

A quel punto sia Bruce che Happy escono dalla stanza, lasciandolo solo con Tony. Sospira, uno di quei sospiri che sembrano scaturirgli dalla punta delle dita dei piedi e che gli attraversano tutto il corpo. Si china in avanti, premendo la fronte contro la spalla di Tony.

“Infrangerò la nostra promessa, se non ti svegli,” sussurra, strizzandogli la mano. Cerca di tenere a mente la sua nuova forza, e andrebbe del tutto fuori di testa se dovesse fargli male, poco ma sicuro. “Mi farò un bicchiere, hai capito? Mi… mi scolo un’intera bottiglia di tequila, mi senti? Ma non lo farò, se ti svegli. Non lo farò. Va bene? Però svegliati, ti prego. Ti prego.”

Non vuole piangere di nuovo. Ma lo fa lo stesso.

 
§

 
Rimane con Tony per un’ora e mezza, raccontandogli cose che probabilmente non ricorderà, pregando e piangendo e, in pratica, diventando folle. Quando alla fine se ne va lascia con riluttanza che Cho e Yinsen lo visitino, ma solo quando MJ lo raggiunge.

Ha acquisito massa muscolare che prima non c’era. Il suo metabolismo è sensibilmente più veloce. È tre centimetri più alto. La sua forza è fuori misura, più grande di quella mai misurata nell’essere umano. Riflessi, senso dell’equilibrio e agilità superiori alla norma. Vista e udito migliorati. E ha anche una guarigione accelerata, a seconda del tipo di ferita. Non riescono a spiegarsi il fatto che riesca ad attaccarsi ai muri, ma dicono che ci lavoreranno sopra. È nella forma fisica migliore in cui sia mai stato. È al picco delle proprie forze, ma si sente come una fragile statua di sale. Incapace di smettere di guardarsi alle spalle, verso ciò che gli è accaduto. Sul punto di cadere a terra.

Subito dopo mangia pancake con MJ, nella nuova area mensa che ancora devono esplorare e, di nuovo, non riesce a uscire dalla propria testa.

MJ si sporge verso di lui, prendendogli la mano, e lui solleva lo sguardo forzando un sorriso.

“Scusa,” dice.

“Per cosa?” chiede lei.

“Niente, per… come sono.”

“Non devi mai scusarti per quello,” dice lei, seguendo le linee del suo palmo con un dito. “Ehi, ce l’abbiamo fatta, no? Non siamo a cena fuori, ma siamo– Peter, ce l’abbiamo fatta fino al Dopo. Il nostro Dopo. Ho conosciuto May e stiamo… stiamo facendo colazione insieme. Solo noi due. Ancora meglio.”

Per qualche motivo, quello gli sembra come un enorme pugno nello stomaco e sente un rimescolio di sensazioni ovunque, di felicità e pura, genuina tristezza. Le prende la mano e le bacia le nocche. Non importa come si senta lui, sa che è felice che lei sia qui. Che sia qui con lui.

 
§

 
Tony è sul confine tra il sonno e la veglia. Un sonno troppo profondo per essere davvero sonno, intessuto a troppo dolore. Ha provato molto dolore in vita sua, abbastanza da considerarlo un vecchio amico, ma questo ha cercato di affogarlo. Questo dolore ha affondato gli artigli nella sua carne e l’ha lacerato, finché, per la prima volta, non si è trovato tra le grinfie della morte. Riusciva a sentirli dall’altro lato, sentiva Pepper che chiamava il suo nome.

Ma c'era anche la voce di Peter in quel coro. E Peter… non è morto. Non più. Tony lo sa, nel suo cuore. Il mondo è diverso, quando non c’è Peter Parker.

Quindi è andato alla deriva nell’oscurità, ma ha tenuto salda la presa.

I suoi occhi sfarfallano aprendosi e sente il dolore in circolo, che ristagna al centro del petto. Batte le palpebre, disorientato, poi porta la sinistra al petto e sente qualcosa sotto alla maglietta. Qualcosa di duro, rotondo, infisso nel suo torace. Ne segue il contorno con la punta del dito, emettendo un lamento da dietro la mascherina dell’ossigeno.

Gli hanno messo addosso un maglione, cazzo. Non mette un maglione da anni. Questa sembra opera di Janet, ma è troppo debole per arrabbiarsi sul serio.

È disteso in un letto d’ospedale, col busto inclinato. Non ci sono finestre, solo alcune luci troppo violente. Realizza che c’è… qualcosa alla sua destra, e abbassa lo sguardo. C’è un cuscino premuto contro il suo fianco, e Peter vi è adagiato sopra, con un braccio sotto la testa e l’altro che stringe la sponda del letto. Non sembra affatto una posizione comoda, ma sta comunque dormendo.

Tony scolla la mascherina dell’ossigeno dal proprio volto con la sinistra, gettandola da parte, e rimane a fissarlo.

L’ultima cosa che ricorda è l’esplosione. Stava cercando di issare Peter sull’elivelivolo, e poi l’esplosione. È tutto ciò che ricorda. E adesso sono qui, Peter è qui… non è più nell’arena. È qui, ed è vivo.

Quella realizzazione si abbatte su di lui. La prova reale che il ragazzo ce l’ha fatta. Dopo tutto quello che ha passato, dopo che il loro piano impossibile ha davvero funzionato. Peter è vivo. È qui. È al sicuro. Non si vede mai un Tributo uscire dall’arena. Solo se si è fortunati. Solo se si vince. Ma ne hanno fatti uscire otto. Sono riusciti a salvarne otto, se tutto è andato per il verso giusto dopo che quella maledetta aeronave li ha colpiti. Otto, incluso Peter.

Ha visto Peter morire, e adesso è qui. È davvero qui. Non è un sogno, o un’allucinazione alimentata dal troppo gin.

Tony lo fissa come se fosse una visione. Come se non fosse davvero lì. Perché lui non è mai così fortunato. Non lo è, mai. E adesso il ragazzo è qui. È proprio qui.

Peter contrae le sopracciglia e rigira il volto nel cuscino, emettendo un piccolo verso. La sua testa freme, e prende a respirare dalla bocca.

Un incubo, se Tony dovesse tirare a indovinare. Ne ha affrontati abbastanza da saperlo.

Allunga una mano e gli scosta esitante i capelli dalla fronte. Ha un paio di lunghi tagli che prima non c’erano, ma sembra che stiano già sbiadendo, lasciando dietro di sé solo il loro fantasma. Peter emette un altro verso sofferto, col respiro che accelera, e Tony passa di nuovo la mano tra i suoi capelli, cercando di calmarlo.

“Shh, ragazzo,” sussurra. “Shh, va tutto bene. Stai bene. Non sei più laggiù, sei qui. Va tutto bene.”

Il respiro di Peter rallenta e storce la faccia, girandosi verso la mano di Tony. I suoi occhi si aprono lentamente, e batte le palpebre verso di lui, guardandolo, ma evidentemente senza registrare cosa stia vedendo. È ancora mezzo addormentato, con l’incubo che scema nei suoi occhi.

Tony sorride, arruffandogli ancora i capelli. “Ehi, ragazzo,” dice, cercando di non far sentire che sta così male. Ma l’emozione c’è tutta, è messa a nudo, e non sta più cercando di contenerla.

Peter lo fissa, e poi il suo sguardo si fa più limpido. Allunga una mano, trova quella di Tony e la stringe mentre si tira su, fissandolo a bocca aperta. “Oh, mio Dio,” esala.

“Nah,” replica Tony. “Solo io.”

“Oh, mio Dio,” ripete Peter, con gli occhi che si riempiono di lacrime. “Tony… Cristo, finalmente, sono passati tre giorni, mi hai spaventato a morte–”

“Mi dispiace, la morte per te è assolutamente off-limits, perché lo dico io,” dice Tony, e gli si spezza stupidamente la voce da qualche parte nel mezzo della frase, e adesso sta avendo serie difficoltà. Vuole chiedere cosa cazzo abbia il suo petto che non va, ma… non riesce a smettere di guardare il ragazzo. Di stringergli la mano. È proprio qui. È proprio qui.

“Tony,” sussurra Peter, corrugando le sopracciglia, e si porta più vicino a lui.

“Pete, è bello rivederti,” dice Tony, ridendo. “Dio, è… stai bene? Che diavolo è successo?”

Peter tira su col naso, portando la mano libera ad asciugarsi gli occhi, e Tony scuote la testa, sentendo quella tensione nel petto che sembra impossibile da cancellare.

“Non importa, vieni qui,” continua, mettendosi seduto meglio, iniziando a piangere anche lui come una fontana. “Qui, qui, vieni qui.”

Peter emette un paio di respiri strozzati, ancora appollaiato sulla sponda del letto, e Tony lo attira in un abbraccio che era in dirittura d’arrivo da quelli che adesso sembrano anni. Peter nasconde la faccia nella sua spalla, scosso da singulti e singhiozzi e aggrappandosi a lui, e Tony si sente come se qualcuno lo stesse pestando a sangue, col petto che gli esplode, le braccia che tirano: gli fa male tutto. Ma non importa, perché ha qui Peter. È con lui.

Gli passa una mano tra i capelli, respirandolo a fondo.

“Dio, mi hai spaventato,” sussurra Peter, contro la stoffa del maglione. “Mi hai spaventato.”

“Lo so,” dice Tony, strofinandogli la schiena. “Lo so, ragazzo, mi dispiace. Se stiamo tenendo i conti, anche tu mi hai spaventato, ma non è stata colpa tua, quindi immagino che adesso io sia doppiamente in debito con te.”

Peter ride appena, e Tony lo stringe più forte. Gli sembra un dannato miracolo, ed è restio a lasciarlo andare. Neanche Peter sembra incline a farlo.

“Ci sono delle schegge che rischiano di raggiungerti il cuore,” dice Peter, cercando di placare il pianto, la guancia poggiata contro la sua spalla. “Quel coso nel tuo petto impedisce che ci arrivino. Ti rende più forte. Sei un cyborg, adesso.”

Tony trattiene una risata, poi sussulta, perché fa un male cane. “Beh, quello è sempre stato il mio destino,” dice, spostando la presa su Peter e premendogli un palmo alla base del collo. “Stai bene? Sinceramente.”

“No,” dice lui. “Per nulla. Neanche lontanamente. Fisicamente, sì, certo. Emotivamente, sono un caso da ricovero. Ma questo… questo aiuta. Aiuta molto.”

Tony libera un altro sospiro, cercando di abituarsi a quella sensazione. Non sa se ci riuscirà mai, e dovrà parlare con qualche medico per capire cosa cazzo gli stia succedendo. Peter si ritrae, ancora col singhiozzo, e riesce a formare un sorriso piccolo e stanco. Tony tende una mano, sfiorandogli la guancia con le nocche. “È veramente bello vederti,” dice, con la voce che si spezza.

“Anche per me,” dice Peter. “Finalmente. Non ti saresti dovuto quasi buttare dall’elivelivolo per prendermi.”

Tony alza gli occhi al cielo. “Ragazzo.”

“No, sei quasi morto,” dice Peter, incrociando le braccia. “Sei quasi morto e sai che non potrei sopportarlo. Non voglio sopportare la morte di nessun’altra persona che amo–”

Tu sei quasi morto,” dice Tony, piantandogli un indice sulla spalla. “Stavi cadendo, mi sono lanciato fuori da quel catorcio perché nessuno si stava muovendo abbastanza in fretta e non avrei mai permesso che mio figlio precipitasse di nuovo in quel cazzo di buco infernale. Neanche per sogno.” Sospira, sussultando di nuovo e strofinando le dita attorno ai bordi di quel coso rotondo. “Com’è che l’hanno chiamato?” chiede, picchiettandoci sopra. Brilla di una tenue luce blu sotto il maglione, e si chiede se sarà sempre visibile sotto a tutte le sue magliette.

“Reattore arc,” dice Peter, ancora un po’ immusonito.

“Okay,” dice Tony, cercando di assorbire quel fatto. Alza di nuovo lo sguardo su Peter. “Abbiamo recuperato tutti?”

“Tutti quelli del nostro gruppo, sì,” conferma Peter.

“Janet?” chiede Tony. “May e Ned? Sam?”

“Janet ha portato qui May e Ned, insieme a un gruppo delle altre famiglie,” risponde lui. “Non ho ancora visto Sam, ma so che è qui, me l’ha detto Thor.”

Peter sembra stanco. Più vecchio di quanto non sia. C’è una spossatezza che gli pesa addosso, e Tony la riconosce dal suo personale periodo Dopo I Giochi, subito dopo, ma adesso è tutto diverso. È tutto diverso. C’è una maledetta guerra in corso, e al centro c'è proprio Peter.

Il ragazzo si sdraia, premendo la fronte contro la sua spalla. “Ho rimandato il compito di diventare la loro icona, o quel che è, e so che stanno perdendo la pazienza con me. Ho detto loro che ti stavo aspettando. Abbiamo fatto qualche foto che hanno messo in circolazione, così che la gente sapesse che sono vivo, ma vogliono fare queste… pass-pro pubblicitarie per… risollevare le truppe non– non lo so, non lo so. So che devo, l’accordo è questo, e potrei solo rovinare ancor di più le cose se non–”

“Non stai rovinando nulla,” dice Tony, stringendogli la nuca. “Okay? Sono fortunati ad averti. E tre giorni non sono nulla, cazzo, queste cose non si vincono o perdono in tre giorni. E non ci sbatteranno fuori, perché le ripercussioni sarebbero… enormi.”

“Devo farlo,” dice Peter. “So che devo.”

“E io sarò lì con te,” replica Tony. Punta lo sguardo verso la porta di fondo. Ce la può fare. Può alzarsi dal letto. Può essere di nuovo se stesso. La versione migliore di se stesso. Quella che Peter si merita di avere a supportarlo. “Capito? Sempre. Fino alla fine. Non stiamo più giocando secondo le regole di Capitol, e non possono più portarmi via da te. E questo è quanto, okay? Sei in grado di fare tutto, e hai un intero sistema di supporto, qui. Siamo tutti qui per te.”

Sente Peter annuire. “Va bene,” mormora. “Se lo dici tu.”

“Ne sono sicuro,” replica Tony, posandogli un bacio sulla tempia. “E se ti turba qualcosa, la cambiamo. La aggiustiamo.

“Va bene,” sussurra Peter. “Basta che tu rimanga qui. Non ti addormentare di nuovo in mia presenza.”

“Fidati, non accadrà,” dice Tony. Ripensa all’oscurità, a tutti quei suoni distorti in quel mondo comatoso e diviso a metà. “E se ricordo bene, hai minacciato di infrangere la nostra promessa? Di scolarti una tequila, o qualcosa del genere? Ragazzo, è una cosa terribile da dire a un uomo in coma.”

Peter si ritrae di scatto, gli occhi sbarrati. “Mi hai sentito?” chiede.

“Già,” dice Tony, sorridendo del suo sbigottimento. “O comunque, me lo ricordo.”

“Beh, bene,” dice Peter, alzando fiero il mento. “Si vede che sono stato chiaro.”

Dio, Tony gli vuole un bene dell’anima.

 
§

 
Dopo aver fatto rapporto a May, Peter si addormenta nella soffice poltroncina nell’angolo, e Tony si chiede che diavolo di ritmo sonno-veglia abbia adottato da quando è qui. Parla con Yinsen, che getta lumi sul reattore arc spiegandogli quale siano le sue vere condizioni, e riesce a ringraziare sia lui che Helen Cho, per essersi assicurati che non morisse.

Passeggia per la stanza solo per dimostrare a se stesso di riuscirci, e si infila un paio di pantaloni un po’ più decorosi della tuta arancione che nessuno, se non Janet, avrebbe osato mettergli addosso.

È vicino alla porta quando lei in persona la attraversa, affiancata da Happy Hogan, il pilota dell’aereo.

“Oh,” esclama Janet, fissandolo incredula. “Dio. Dio, sei… sei sveglio, cammini…”

“Non ti ha avvertita nessuno?” chiede Tony. È dannatamente felice di rivederla.

“No,” risponde lei. “Happy voleva solo passare di nuovo a trovarti, e ho pensato…”

Tony si sporge oltre lei per tendere la mano a Happy. “Signor Hogan, non ci siamo incontrati esattamente nelle migliori circostanze, ma mi stai simpatico e vorrei lo sapessi. Sei un ottimo pilota e il ragazzo si fida di te, il che mi basta.”

“Grazie mille,” replica lui. “E il ragazzo è grandioso, è incredibile. Proprio come te, eh?”

Tony ricambia il sorriso e, sì, gli piace proprio questo tipo.

“Vi lascio da soli, Jan,” dice Happy. “Tony, sono davvero contento che tu sia sveglio, e che lavori con noi! È un onore.”

“Onore mio,” ribatte Tony, e lo osserva lasciare la stanza. “Parla piano, Peter dorme, ed è chiaro che ultimamente non ci sia riuscito molto.”

“Sei sicuro che tu possa andartene in giro così?” chiede lei, cercando di usare le maniere forti per spingerlo di nuovo all’interno della stanza.

“Sto bene,” replica lui, senza indietreggiare. “Ho un nuovo, adorabile gingillo nel petto, proprio quello che ho sempre voluto. Come stai? Stai bene?” Trattiene entrambi nella piccola anticamera, così da non disturbare Peter.

Janet distoglie lo sguardo, scuotendo la testa. “Ho tenuto d’occhio quello che sta accadendo là fuori,” risponde. “È un disastro, Tony. I Distretti sono nel caos. Stanno morendo così tante persone, e gli unici che stanno avendo la meglio sono quelli che hanno dalla loro parte i soldati del Tredici.”

“Su, le guerre non si vincono in un giorno, come si dice,” replica Tony. “Un giorno, tre giorni, uguale…”

“Hanno bisogno di supporto, o non si vincono affatto,” ribatte Janet, incontrando i suoi occhi.

“Metteremo in azione Peter tra poco,” dice Tony, sbirciando oltre il muro per assicurarsi che stia ancora dormendo. “Quello dovrebbe risollevare un po' gli spiriti.”

“Aiuterà, ma io… io penso di voler combattere,” dice Janet.

Il mondo sprofonda nelle viscere di Tony e rimane lì, a ribollire. Il suo dolore s’impenna, di schianto, e sente dei brividi corrergli su e giù lungo le braccia.

“Tony,” lo anticipa lei, interpretando all’istante la sua espressione.

“No,” dice lui, scuotendo la testa. “Non mi piace. Neanche un po’.”

“Peter è la loro stella polare, ma possono trovare qualcosa in ognuno di noi,” dice lei. “Siamo inutili, rintanati qui, sottoterra. Nascosti.”

“Sei inutile da morta,” sputa fuori Tony, con la rabbia che lo infiamma. “Capito? Mi hai detto che non puoi perdermi, beh, neanch’io posso perderti.”

“È diverso, adesso,” ribatte Janet, accostandosi a lui. “Questo è… più grande di noi. Più grande di ciò che siamo mai stati in vita nostra. Non ci sono regole, e rende solo più difficile prendere questo tipo di decisioni…”

“Facile,” la interrompe Tony. “Dico no. Fatto. Decisione presa.”

Lei gli sorride come se avesse già deciso senza di lui. E hanno sempre preso le loro decisioni insieme. Da sempre, da quando era il suo Tributo. Da quando è diventato il suo Vincitore. Da quando è diventato Mentore, al suo fianco.

Gli sembra che quel cazzo di reattore arc si stia trasformando in acido, trapassandolo da parte a parte.

Lei gli posa una mano sulla guancia.

“Janet,” dice lui, la voce che s’impenna sull’ultima sillaba. “Non… mi sono praticamente appena svegliato.”

“Non preoccuparti,” dice lei, accarezzandogli lo zigomo col pollice. “Non ti sparisco davanti.”

“Ecco, fai bene,” dice lui, stridulo.

Lei lascia ricadere la mano, sorridendogli in un modo preciso, particolare. “Torna a riposarti, tesoro. Devo incontrare di nuovo il Presidente e, per come siamo messi ora, non ne sono entusiasta.”

Tony la guarda storto, seguendola mentre si dirige verso la porta. “Sì, vai. E per favore rimediaci dei cazzo di cercapersone o qualcosa del genere, così posso contattarti.”

“Lo farò,” replica lei. Indugia sulla soglia per un istante, squadrandolo da capo a piedi. “Ti sei tolto i vestiti che ti avevo messo.”

Se n’era quasi dimenticato. “Uh, sì, grazie per avermi vestito come un agente immobiliare di Capitol, l’ho adorato.”

Lei sbuffa dal naso e gli lancia un bacio, chiudendo la porta dietro di lei. Lui la fissa, respirando a fatica, e di sicuro non ha tenuto bassa la voce. Sa che Peter adesso ha un udito potenziato, maledizione, e Janet doveva lanciargli addosso quella bomba di notizia proprio ora. Sente il cuore che lavora a doppio ritmo e il suo respiro si fa sibilante, e Cristo, quella donna lo ucciderà.

È come se qualcosa scattasse nella sua testa, come se sentisse un improvviso bisogno di impazzire, un’incapacità di gestire ciò che ha tra le mani. Janet è una costante, è il suo quotidiano, la certezza che ha nella propria vita. E il pensiero di ciò che gli ha detto lo taglia a pezzetti. Come se fosse perso nel deserto, incapace di essere chi dovrebbe essere. Senza di lei? Come?

Gli si oscura la vista, si restringe, ma non è sicuro del motivo. Fa capolino oltre l’angolo e il ragazzo è ancora fuori gioco. Si sente irrequieto, instabile, e si avvicina a lui, sfiorandogli la caviglia. Non vuole disturbarlo, ma, merda, deve fare qualcosa. Qualcosa che magari non significa nulla, ma comunque qualcosa.

“Pete,” lo chiama in un sussurro.

Lui si sveglia di colpo dopo due scossoni, gli occhi spiritati finché non si posano su di lui, calmandosi un poco. “Ehi, ehi,” bofonchia, assonnato. “Stai bene? Va tutto bene?”

“Sì, sto bene,” mente Tony. “Niente incubi, vero?”

“No, no… perché non sei a letto?” chiede Peter, ripiegando rapido il poggiapiedi. Si chiude con un forte schiocco, come se il ragazzo fosse stato sul punto di rompere la poltrona.

Tony sa che Janet gli ha scombussolato la testa, ma non sa cosa farci. Yinsen non vuole che lui lasci l’ospedale fino a domani, per trasferirlo in chissà quali capsule in cui fanno vivere la gente qui, ma Tony si chiede in che tipo di guai si caccerebbe se decidesse di andarsene un po’ a zonzo. Si chiede se qui abbiano la stessa reverenza per i Vincitori che hanno nel resto dei Distretti, e se potrebbe sfruttarla a suo vantaggio nel caso finisse per fare qualcosa di stupido. Sa di non poter seguire Janet, perché lei si infurierebbe con lui e lui con se stesso. Ma deve muoversi, adesso, prima di cadere a pezzi. È tutto quello che può fare.

“Tony,” lo chiama Peter, alzandosi e prendendolo per il gomito.

“Ti va di farti un giro?” chiede lui. “Tipo… lungo il corridoio, così. Sto diventando claustrofobico qua dentro e credo sia in via di peggioramento, considerando che siamo… sottoterra, dannazione.”

“Sei sicuro di sentirtela?” chiede Peter. “Perché–”

“Senti, ragazzino, non volevo nemmeno svegliarti, ma non volevo che ti svegliassi senza trovarmi, e sapevo che se fosse successo non saresti rimasto qui, quindi–”

“E va bene,” sbuffa Peter. “Ma rimaniamo nell’ospedale. È abbastanza grande.”

Tony non è sicuro di volerlo fare, ma lascia crede al ragazzo di avere il controllo, per ora. Annuisce e si avvia per primo, cercando di non incurvarsi come un cavolo di vecchio del villaggio. Raggiunge il corridoio e realizza di non avere idea di che ore siano, e sa che qua dentro i giorni cominceranno a scorrere l’uno sull’altro finché non arriverà il momento di prendere delle grosse decisioni. Continua a portarsi una mano al reattore arc, e si chiede quando si abituerà a sentirlo lì. O se dovrà mai farlo.

“Sai se qui dentro c’è qualcun altro?” chiede poi, osservando un infermiere che attraversa l’atrio senza degnarli di un’occhiata.

“Nessuno che conosca,” risponde Peter. “O, almeno… non me l’hanno detto. Non so quello che non mi dicono.”

Tony mugugna tra sé. È impaziente di vedere Sam, è impaziente persino di vedere Hammer. Chiunque gli sia familiare, che possa stabilizzarlo. Janet l’ha… angosciato, cazzo. Ma ha qui Peter, deve solo continuare a guardare Peter. Peter è qui. È vivo, è vivo. Deve essere forte per lui. Deve fare l’adulto.

C’è una porta decorata in fondo all’atrio, e Tony inclina la testa in quella direzione, perché sembra fuori posto, qua dentro. “Guarda,” dice, indicandola. “Credo che quella conduca a una dimensione parallela.”

“Credo che tu debba stenderti,” dice Peter, prendendolo per l’avambraccio. E Tony riesce a percepire la sua forza, la prima, vera dimostrazione al di fuori di uno schermo. È leggermente scioccante e gli riserva un rapido sguardo, ma continua ad avanzare.

“Questa porta, poi mi riposo. Va bene, Spider-Man?” gli chiede.

Peter sospira e lo lascia andare. “Va bene.”

Tony afferra la maniglia quando vi è davanti, e i suoi occhi registrano la placca CAPPELLA E MEMORIALE solo quando sta già entrando.

La sala è… incredibilmente grande, illuminata da piccole candele chiaramente finte, perché del fuoco in un posto come questo non sarebbe una buona idea. È dipinta d'arancione, brillante, con circa sei file di panche su ogni lato che arrivano a una piccola predella con un altare. Là ci sono dei fiori di vetro soffiato, dorati e rossi e rosa come un tramonto, che rilucono come i riflessi del mare.

E i muri.

Sulla sinistra, c’è una frase che sovrasta quelli che sembrano migliaia e migliaia di nomi, incisi in granito color bronzo. La frase è scritta a caratteri solenni: ALLE MIGLIAIA DI VITE RUBATE NEL BOMBARDAMENTO DEL 2046. Si snodano sotto di essa come un’onda, nome dopo nome dopo nome, e Tony non sa come riescano a entrarvi tutti.

“Il bombardamento li ha sterminati,” sussurra Peter, dietro di lui.

“Già,” gracchia Tony.

Inizia a pensare che entrare qui dentro non sia stata una grande idea, considerando che il suo dannato cuore è rotto fisicamente ed emotivamente. E poi decide di affaticarlo ancor di più, girandosi verso il muro di destra: non vi è alcuna frase, lì, ma quando si avvicina vede che anche quelli sono nomi di persone perdute, divisi per anno e Distretto, da dopo il bombardamento.

Ci sono così tanti morti. Così tanti.

“Cristo,” esala Tony, mentre attraversano le panche e si accostano al muro di destra.

“Hanno tenuto traccia di tutti,” dice Peter.

Cominciano l’anno in cui sono cominciati gli Hunger Games, e non vi sono elencati solo i Tributi mai tornati a casa. Ci sono altri nomi per ogni anno, per ogni Distretto, e Tony percepisce il proprio cuore in modo diverso, ora, lo sente tendersi, quando pensa a lei. Si chiede se sia qui e trova l’anno, trova il proprio anno, e le sue dita vanno a tracciare quel P E P P E R come se vi fossero legate da un filo invisibile. Rilascia un respiro tremante, seguendo anche il contorno del suo cognome, e ricorda di quando discutevano se farla diventare Pepper Stark o se adottare il doppio cognome. Non hanno mai avuto la possibilità di scegliere.

Ci sono i nomi dei Tributi uccisi, e di tutti gli altri che Capitol si è preso, e quando li ha presi. Tony si chiede come facciano a saperlo. Come l’abbiano scoperto. Quanti corpi abbiano visto.

Li immagina mentre guardano quello di lei.

“Sì, questa stanza è stata una cattiva idea,” dice, schiarendosi la voce. “Scusa, Peter.”

“Già, te l’avevo detto,” dice lui, ma non vi è rabbia né foga, nelle sue parole. “Dai. È ora di riposarti.”

“Cristo,” sussurra Tony, asciugandosi gli occhi mentre Peter lo prende di nuovo per il braccio. “Non volevo diventare vecchio così presto.”

“Ti sei svegliato oggi, in pratica,” replica Peter.

Tony prende ad addossare mentalmente la colpa a qualcuno, inizia a pensare che è stata Janet, ma in verità ha fatto tutto da solo. La reazione che ha avuto davanti a lei, l’idea di perderla, hanno scalciato via un paio di rotelle nella sua testa. Janet è padrona di se stessa, lo è sempre stata, ma lui non riesce, non può pensare di perderla. Lo sta facendo vacillare. Lo riempie di dubbi.

Se Janet può andarsene, può farlo anche Peter. Sono parti di lui, loro due, le due persone al mondo a cui tiene di più. Ha quasi perso Peter, poi l’ha riavuto, e adesso Janet sta programmando di andare a bussare alla porta della morte per il bene superiore. Peter è il bene superiore, ne è assolutamente convinto, e se lei può farlo, può farlo anche lui. Non vuole nemmeno pensare al ragazzo che se ne va, perché se Janet sta avendo su di lui quest’effetto, sa che annegherà completamente se dovesse farlo anche Peter. Perdere entrambi è una condanna a morte. Il mondo non può funzionare. Il suo mondo.

Davanti a loro si para una distrazione, sotto forma di Sam e Hammer che sbucano nell’atrio, come se i desideri di Tony li avessero fatti apparire di fronte a lui. Vorrebbe aver avuto prima quel potere, ma gli va bene anche adesso. Sam tiene per il braccio Hammer in modo molto simile a come Peter sta tenendo lui, e stanno battibeccando tra loro. Sembra tutto come prima, come quello a cui era abituato, e lascia andare un respiro che non era conscio di trattenere.

“Sei fuori di testa,” sta dicendo Sam. “Dovrei lasciarti cadere per terra. Proprio qui. Mollarti qui. Nuovo tappeto! Nuovo tappeto per l’atrio.”

“Non lo faresti, sei troppo buono,” replica Hammer. Si guarda alle spalle quando sente chiudersi la porta della cappella, e il suo volto si illumina. “Oh, porca puttana. Eccoli qui. Tutti e due, di ritorno dalle braccia della morte.”

“Oh, ehi,” dice Sam, con un gran sorriso. “Sei sveglio, adesso, ragazzo? Sono passato ieri a trovarti ma stavi ancora ronfando.”

“Devi avermi mancato di poco,” dice lui, aggrottando le sopracciglia.

“Ho fatto solo un salto di sfuggita,” dice Sam. “Mi sto assicurando che questo cretino non muoia, ma sono abbastanza sicuro che sia solo ipocondriaco. Come stai, Pete? Ci hai reso tutti fieri.”

“Sto meglio, ora che ti vedo,” replica Peter.

Justin sbuffa. “Ipocondriaco. Non dategli retta. Comunque, che diavolo ci facevate là dentro?” chiede poi. “La cappella? Sul serio, Tony?”

“Davamo solo un’occhiata in giro,” replica lui, cercando di raddrizzare la schiena per riconquistare la sua altezza normale. “È bello vedervi vivi, che vi è successo? Siete feriti?”

“Un Pacificatore testa di cazzo mi ha sparato alla gamba mentre stavamo recuperando le famiglie del Quattro,” spiega Hammer. “Nel senso, non mi ha riconosciuto. O magari sì. Comunque, che vadano tutti a fanculo. La parte peggiore di essere un ribelle è non avere con me i miei vestiti. Non un singolo blazer, non un singolo paio di calze. Non so come farò a sopravvivere.”

“Cristo,” dice Sam, alzando gli occhi al cielo. “Io mi sono beccato una coltellata nella spalla nel Sette. Non è nulla di che.”

“Non cercare di fare il duro,” lo rimbecca Hammer.

Tony trattiene una risata, abbassando lo sguardo, e si accosta un poco a Peter. “Sono davvero contento di vedervi entrambi qui,” dice, in un rapido respiro. Ripensa a tutti quei nomi sul muro, e cerca di scacciarli dalla sua mente. “Davvero, davvero contento.”

Chiacchierano per una decina di minuti, prima che Peter si inventi una scusa per lui, come leggendogli nel pensiero, e rientrano nella sua stanza, mettendosi di nuovo comodi. Tony avrebbe voluto continuare a parlare, ma la spossatezza e il panico lo stanno divorando, e deve smetterla, cazzo. Non è più un bambino. Non lo è, non lo è, non lo è da tantissimo tempo. Deve essere responsabile.

“Stai bene?” chiede Peter.

Tony è seduto sulla sponda del letto, con la testa sepolta tra le mani. Peter non dovrebbe chiederglielo. Non dopo tutto quello che ha passato. “No,” dice senza pensare, perché non ci riesce, a pensare. Si asciuga gli occhi e alza lo sguardo, cercando di riprendere il controllo del proprio cervello. Cercando di rimettersi sulla giusta rotta. Si tratta di Peter. Si tratta del ragazzo. Non può essere egoista, cazzo. “Sì,” si corregge.

“Tony,” dice Peter, inclinando di lato la testa.

“È solo che… Janet ha esternato l’intenzione di… di unirsi ai combattimenti,” dice lui, concludendo che a sincerità sia la strada migliore. “E mi ha scombinato il cervello. Mi dispiace.”

“Perché vuole farlo?” chiede Peter, aggrottando la fronte. Lancia un’occhiata verso la porta, come se si aspettasse di vederla apparire ora che parlano di lei. “C’è MJ, lei–”

“Non dirlo a lei, per favore,” lo ferma Tony, prendendogli la mano. “Senti, io… non sto prendendo in considerazione la cosa. Davvero. Voglio… voglio solo concentrarmi su di te. Tutto qua. L’importante… l’importante è questo.”

“Lei è importante,” ribatte Peter, con voce incrinata.

“Sì, ma– ma può fare le proprie scelte… senza di me,” dice Tony, cercando di convincersi. “Io devo… tenerti d’occhio, accertarmi che non ci siano degli stronzi che vogliono trarre vantaggio da te. Devo essere sicuro che… che tutto… vada bene.” Gli stringe la mano. Se Janet se ne va, gli rimane solo il ragazzo. “Hai appena attraversato l’inferno e una parte di me non riesce a crederci, non riesce a… farlo quadrare. Il fatto di riaverti qui. Supera qualsiasi cosa per cui abbia mai pregato, ma è… mi sta facendo a pezzi il cervello. Perché non mi è mai successo. Questo– questo per me è un nuovo territorio.”

“Nessuno di noi due è davvero a posto,” sussurra Peter.

Tony libera un respiro. “Già,” concorda. “Ma staremo bene.”






 
*




Tradotto da: ever in your favor: worse games to play, di iron_spider da _Lightning_


 Note:
 
[1] Jennifer Walters aka She-Hulk


Note della traduttrice:

Cari Lettori,
innanzitutto mi scuso per il ritardo con cui è arrivato questo capitolo, pur avendolo già anticipato tramite le risposte, ma a mia discolpa dico che era lungo sessanta pagine di Word e mi sono ritrovata letteralmente sommersa :')
Non per fare un torto all'autrice, ma ho deciso di dividerlo in due parti di lunghezza più o meno uguale, sia perché in tutta sincerità ho avuto problemi io in primis a leggerlo in una seduta, sia per farvi arrivare in tempi decenti almeno una parte del gran finale. Spero apprezzerete la scelta <3

Ringrazio infinitamente tutti voi che avete recensito, letto e aggiunto alle vostre liste finora, e vi do appuntamento col capitolo finale a lunedì prossimo!
Hasta la vista,

-Light-


 
   
 
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