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Autore: Carmaux_95    12/10/2019    15 recensioni
Il silenzio dei suoi genitori lo atterriva, lo consumava, riducendolo in polvere e cenere.
Quello di Francesco era diverso: era un silenzio condiviso, partecipe, che teneva compagnia e confortava; un silenzio che, in quel frangente, sembrava quasi un vero e proprio regalo di Natale.
Sorridendo di nuovo, pensò che non aveva mai incontrato nessuno con cui si sentisse tanto bene tacendo.
- partecipa alla ‘Challenge delle domande scomode’ indetta da LiHuan.85
- PRIMA CLASSIFICATA al contest "Back to School" indetto da GiuniaPalma sul forum efp
- SECONDA CLASSIFICATA al contest "Happy Birthday to you" indetto da MaryLondon sul forum di efp
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Questione di chimica'
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FANTASMI DI SALE
 
26 Dicembre
Francesco sarebbe volentieri rimasto a letto fino a sera inoltrata: il pranzo natalizio del giorno prima lo aveva stremato, tanto fisicamente quanto emotivamente.
Aveva aperto gli occhi alle dieci del mattino, ma era rimasto a letto per un'altra ora, in uno stato di dormiveglia e con il viso immerso nel profumo dell'ammorbidente che sua madre usava fin da quando era bambino. Adorava quel profumo e la consistenza di quel materasso e ne sentiva sempre la mancanza quando, durante l'anno accademico, viveva a Milano per portare avanti gli studi di medicina. Avesse potuto, avrebbe incluso tutto il letto nel trasloco, ma sua madre aveva pacatamente dichiarato che non avrebbe viaggiato per millecinquecento chilometri con un mobile intero in macchina.
Si rigirò fra le lenzuola stiracchiandosi e respirando a pieni polmoni un altro odore di cui aveva nostalgia: quell'aroma di salsedine che entrava dalla finestra, aperta nonostante fosse pieno inverno, ma affacciata proprio sulla spiaggia fra le cui piccole dune era cresciuto; quell'odore salato, frizzante, con uno strano retrogusto di alga; quell'odore di casa.
Guardò dall'altra parte della stanza.
Il letto che una volta era stato della sua sorellina, in quei giorni era occupato dal suo migliore amico, Riccardo, che era stato invitato a trascorrere le vacanze di Natale a casa loro.
Nonostante la notte appena trascorsa, non si stupì di trovare vuoto quel giaciglio, che gli ricordava di fredde notti invernali passate abbracciando la più giovane delle sue sorelle.
Era già tardi quando i festeggiamenti erano finiti. Francesco avrebbe volentieri ceduto al sonno, ma alla fine era rimasto sveglio ancora a lungo, facendo silenziosamente compagnia a Riccardo: lo aveva sentito agitarsi, durante la notte.
Sapeva che non erano gli incubi a portarlo a rivoltarsi in continuazione fra le coperte, alla vana ricerca di una posizione che lo aiutasse a rilassarsi, ma solo ansia e semplice nervosismo. Non era insolito che Riccardo fosse agitato, ma solitamente si trattava di un'irrequietezza elettrica, spigliata, vivace e, soprattutto coinvolgente. Quella che lo aveva attanagliato durante il giorno di Natale, invece, sembrava vera e propria angoscia; quell'angoscia che ti estranea da ciò che ti circonda e che ti tiene sveglio, per l'appunto, fino all'alba.
Se avesse dovuto osare, infatti, Francesco avrebbe scommesso che Riccardo non avesse dormito più di un paio d'ore.
Era rimasto immobile, girato su un fianco, osservandolo. Non aveva aperto bocca perché sapeva che non sarebbe servito a nulla: non lo avrebbe tranquillizzato né aiutato a prendere sonno. Se ne avesse avuto bisogno, ne avrebbero parlato insieme il giorno dopo, ma non voleva forzargli una confessione se non si sentiva pronto. Così lo aveva solo osservato, ascoltando i suoi sospiri frustrati – come se Riccardo gli stesse davvero confidando cosa non andava... e forse, sotto una certa luce era proprio così – e interpretando i pensieri che sembravano guizzare senza sosta dalla sua mente a tutti gli arti, rendendoli irrequieti.
Infine, appena prima di addormentarsi, aveva riconosciuto la delusione farsi largo sul suo volto quando una piccola vibrazione aveva fatto illuminare il suo cellulare con la notifica di un messaggio: si era seduto con uno scatto fulmineo e aveva recuperato il telefono dal comodino solo per scoprire che il mittente non era chi sperava. Lo sconforto, tuttavia, non era stato totale e un minuscolo quanto fugace sorrisetto aveva intaccato quel muro di amarezza: forse non era il messaggio che sperava, ma quelle poche righe gli avevano fatto piacere.
Dopo l'ennesimo sbadiglio, decise di alzarsi.
Per poco non finì steso a terra quando inciampò su un paio di scarpe del coinquilino. Lo maledì silenziosamente – lui e il suo maledetto disordine! – e scese al piano di sotto.
 
 
Era la prima volta che correva sul lungomare calpestando, al posto della sabbia, un candido manto di neve, ma non ci fece caso.
Gli piaceva correre e una volta aveva anche provato a spiegare a Francesco il perché: -La corsa è... strana: è stancante tanto da purificarti, e ti aiuta molto bene a collegare insieme le nascoste radici degli attimi... quasi non si sa se sei tu che corri o se tutto scorre attorno a te in un lento movimento di giostra*.-
Non sperava né, in fin dei conti, si aspettava che Francesco lo capisse: erano amici da troppo tempo e con gli anni avevano imparato a volersi bene accettando le reciproche stranezze senza farsi domande.
Era da quasi mezz'ora che si allenava senza sosta.
Si era svegliato presto, sentendosi stanco morto e, dopo aver provato per più di un'ora a riaddormentarsi, aveva deciso di alzarsi. Quando era sceso in cucina aveva incontrato la madre di Francesco, che gli aveva prontamente offerto una brioche alla ricotta per fare colazione, ma lui aveva scosso la testa, forzando un sorriso, e meno di dieci minuti dopo aveva già indossato una tuta, la giacca ed era uscito.
Solitamente, come aveva raccontato a Francesco, gli era facile concentrarsi sul dolore dei muscoli in fiamme per dimenticarsi dei suoi problemi. Quella mattina, tuttavia, più cercava di aumentare il ritmo, più forte sentiva i propri pensieri rimbombare contro le tempie. Sarebbe stato tutto più facile se avesse potuto palleggiare e tirare a canestro ogni tanto, come faceva quando ancora viveva a Roma: una volta era così che sfogava la tensione.
Rallentò l'andatura, ascoltando il rumore delle suole che affondavano nella neve fresca.
Infilò la mano in tasca e recuperò il cellulare.
La situazione era rimasta invariata: l'ultimo messaggio da parte dei suoi genitori era datato a più di due giorni prima.
Chi voleva prendere in giro? Perché semplicemente non lo ammetteva?
Soltanto la nonna gli aveva fatto gli auguri di Natale e la vecchiaia le aveva fatto decorare quelle poche parole con l'emoticon di un cactus al posto di quella del classico abete addobbato.
In cima all'elenco delle conversazioni attive capeggiava l'immagine personale di Mattia.
Quando, quella notte, gli era vibrato il telefono, aveva sperato che fosse suo padre. Nonostante la delusione, nel momento in cui aveva riconosciuto quegli occhi grigi la sua mente aveva trovato un breve momento di pace e, digitando una risposta, non aveva potuto fare a meno di mordersi appena il labbro inferiore.
Fortunatamente Francesco stava dormendo altrimenti avrebbe sicuramente avuto da commentare, soprattutto dopo quel discorso che gli aveva fatto appena qualche giorno prima tirando in ballo psicologia, sentimenti e desideri repressi e qualche altro termine tecnico che Riccardo non aveva fatto lo sforzo di imparare.
Non ne avevano mai parlato esplicitamente: Francesco non aveva mai fatto nomi o pressioni di alcun tipo e Riccardo non aveva mai intavolato un vero discorso circa i sentimenti che provava – o, forse, credeva soltanto di provare – per quel ragazzo di qualche anno più grande.
Non che fosse una novità: non parlava mai dei suoi veri sentimenti e, se interrogato, si limitava a scrollare le spalle sorridendo.
Si sedette, incurante del fatto che la neve gli avrebbe bagnato i vestiti, e studiò le calme onde sospinte dal gelido vento invernale. Non gli piaceva il mare e quel costante e ripetitivo infrangersi dei flutti a qualche centimetro dai suoi piedi per poi ritrarsi lo infastidiva. Corrugando la fronte, non poté fare a meno di pensare a quanto quel semplice movimento gli ricordasse i suoi genitori: gli si avvicinavano quanto bastava per dargli una parvenza di affetto e compassione e, subito dopo si allontanavano, lasciandolo solo e infreddolito.
Si sfilò un guanto e appoggiò la mano sulla sabbia fradicia.
“Va bene se festeggiamo il Natale tutti insieme giù in Sicilia da Francesco?”
Aspettò che un'onda venisse a lambire la sua pelle secca.
“Certo.”
Un tremito lo scosse: l'acqua era gelata.
“Quando arrivate?”
“Scusa tesoro, ma sai: il lavoro... sai quel posto libero nello studio? Tuo padre avrà candidati da valutare fino alla Vigilia!”
“Quindi... non ci sarete per Natale?”
“Sai com'è fatto tuo padre: se si mette in testa una cosa...”
“Potreste scendere per Santo Stefano?”
“Ma certo, tesoro: faremo il possibile.”
L'onda si ritrasse.
“Quando arrivate?”
Ancora una volta ci aveva creduto: si era tuffato e l'onda lo aveva rigettato a riva, fradicio e incrostato di salsedine. Sollevò la mano, la asciugò nei pantaloni e se la portò alle labbra. Quel sapore arido e beffardo era quanto gli rimaneva da quello scambio di messaggi abbandonato senza una risposta: minuscoli granelli che, invisibili, rimanevano appiccicati alla sua pelle; ineffabili fantasmi di sale che infestavano la sua cute liscia contaminandola con mezze verità, disinteresse e rancori.
Sai quel posto libero nello studio?
Come poteva dimenticarsene? Non gli avevano mai perdonato la scelta di studiare chimica al posto di seguire le loro orme e lavorare, un giorno, nello studio legale di famiglia: era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso perché, oltre al danno di aver optato per una carriera scientifica, aveva aggiunto anche la beffa del trasferimento in un'altra città.
Nonostante fosse passato quasi un anno, ogni occasione era buona per rigirare il coltello nella piaga.
Riccardo scosse la testa. In cuor suo pensava che il tempo avrebbe sanato quella pugnalata a tradimento – come la avevano definita i suoi genitori – ma piano piano cominciava anche a rendersi conto di una triste verità: le vecchie ferite non si rimarginano mai completamente, sono sempre pronte a riaprirsi**.
Un piattino con su la stessa brioche che gli era stata offerta quasi un'ora prima lo distolse dai suoi pensieri.
-Mangia.- disse Francesco, abbassandosi e appoggiando il peso sui tricipiti per non bagnarsi con la neve. Riccardo declinò ancora, ma l'amico non demordette: -Non hai quasi toccato cibo ieri, nonostante fosse Natale! Devi mangiare qualcosa.-
Allungò il piatto fin sotto il naso del ragazzo, sporcandogliene la punta con la ricotta, e quest'ultimo respinse di nuovo l'offerta con un gestaccio che per poco non fece cadere il cibo in terra.
-Ricca', io ti voglio bene, ma se ti azzardi a far cadere in acqua un'opera d'arte come una brioche straripante di ricotta scoprirai un lato di me che vorrai non aver mai conosciuto!-
Il romano dileguò quel commento che, per quanto minaccioso era stato pronunciato con il solito tono placido e imperturbabile che definiva così bene Francesco, con un ulteriore gestaccio:
-Sai chi mi ricordi?- esclamò piccato. -Gus Fring!-
-Quello di Breaking Bad?-
-Sempre calmo, composto, riservato: inquietante da morire!-
-Grazie!- appena un paio di secondi di silenzio – Riccardo credette davvero di essersela cavata così, con una stupida ed esagerata battuta – e Francesco parlò di nuovo, questa volta con un tono premuroso: -Ti senti bene?-
Di fronte alla prima persona che finalmente gli mostrava interesse e preoccupazione, la sua solita scrollata di spalle si trasformò in una secca negazione.
Prese un respiro profondo e, finalmente, smise di illudersi: -Non verranno neanche oggi. Né domani. Non verranno proprio.- non gli servì specificare a chi si riferisse.
Quelle parole, impregnate della stanchezza di una notte insonne e dell'amarezza di un'orrenda delusione, fecero abbassare lo guardo a Francesco, improvvisamente incerto su come comportarsi: non disse nulla, ma cambiò posizione, sedendosi in terra e incrociando le gambe, relegando la scomoda precarietà della situazione in secondo piano.
-Quando abbiamo traslocato a Milano per l'università pensavo che una delle cose positive sarebbe stata proprio la lontananza: tornando dalle lezioni, non avrei sentito sempre e solo commenti apatici o sprezzanti.- studiò la pruriginosa patina di sale che era rimasta incollata alla sua mano: -Invece ho sempre la sensazione che entrambi siano sempre qui, a ricordarmi che avrebbero voluto che avessi preso una strada diversa e che li ho delusi. E allo stesso tempo...-
Sbuffò e si passò una mano fra i capelli castani, trovandoli annodati, secchi e sfibrati per via del vento, quasi avessero voluto rappresentare il suo stato d'animo.
Non si era preparato un discorso e non era bravo con le parole come Francesco, che sembrava non fare la minima fatica a metterle una dietro l'altra conferendo anche alla frase più semplice molteplici significati. Riccardo si faceva prendere dalle emozioni e lasciava che fossero queste a parlare al posto suo e non sempre era sicuro che riuscissero a descrivere davvero i suoi pensieri.
-Io non riesco a respirare.- disse infine guardando dritto davanti a sé, fissando un punto indefinito del mare che gli si stagliava davanti nella sua plumbea e indomita potenza. Ed era esattamente così che si sentiva: avvolto dal gelo e sempre più vicino all'abisso. -Da un lato non mi sento in colpa a non raccontargli mai niente di quello che faccio e di quello che provo, perché tanto non gli importa... e dall'altro passo la notte guardando il cellulare sperando in uno schifoso messaggio da parte loro. Non mi piacciono le smancerie: non mi interessa di ricevere baci, regali o abbracci, ma...-
Francesco riconobbe la prima mezza bugia di tutta quella confessione.
Che Riccardo non fosse un ragazzo sdolcinato era vero, ma la lacrima che intaccò le sue guance smentì immediatamente quell'affermazione: se, nell'ultimo anno, al posto di sguardi freddi come quella mattina d'inverno e silenzi rancorosi, fosse stato almeno qualche volta destinatario di una carezza, la situazione sarebbe stata ben diversa e non si sarebbe ritrovato, in quel momento, con un leggero strato di brina a formarsi lungo il solco umido tracciato da quell'unica lacrima.
-Vorrei solo che gliene importasse almeno un pochino di come sto, di cosa faccio... non tanto: quanto basta per un messaggio.- si asciugò il viso, imbarazzato. -Sono solo parole, dopotutto, e io sto qui ad elemosinarle come un mendicante***.-
L'aspirante dottore non fece in tempo a formulare nemmeno un pensiero perché Riccardo continuò a parlare, trascinato da quell'ondata di onestà.
-Nell'ultimo mese ho perso molte lezioni, in università.- dichiarò, ma si rimangiò subito le parole: gli era insopportabile non dire tutto, ma proprio tutto, ad una persona che sembrava in grado di capire****. All'unica persona che lo avrebbe capito. Lo aveva fatto per troppo tempo e, ora, non ne poteva più. -A dire il vero non è nemmeno così: ho saltato tutte le lezioni dei corsi che avevo deciso di seguire. Pensavo che, magari, tornando a Roma...-
Questa volta, il siciliano fu fulmineo ad intervenire: -Non risolveresti niente, al contrario.-
La tempestività di quella risposta rincuorò Riccardo immediatamente.
-E poi: se te ne andassi, chi glielo direbbe?-
-A chi?-
-A Mattia: non chiedermi perché, ma è davvero affezionato a te – altrimenti non ti avrebbe scritto alle tre di notte – e sappi che se decidessi di spezzargli il cuore io non vorrò averci niente a che fare.-
Finalmente un sorriso riscaldò il suo viso, arrossato dal vento e dal pianto mal trattenuto. Come sempre, con una sola frase – forse nata come battuta, ma poi evolutasi in una semplice e onesta affermazione – Francesco sapeva sottintendere un romanzo intero: la storia di qualcuno disposto ad opporsi anche solo al pensiero di una decisione dettata dai motivi sbagliati; la storia di chi, senza dire una parola, gli era stato accanto, donandogli il suo tempo, anche quando Riccardo non se ne era reso conto; la storia di almeno due persone a cui interessava averlo nella loro vita per com'era, e non per come gli altri avrebbero voluto che fosse.
Si asciugò il naso con la manica della giacca e una risata impacciata ma infinitamente grata proruppe dalle sue labbra.
Anche Francesco sorrise, dandogli una leggera spallata e facendolo ondeggiare.
Non parlarono più.
Consapevole di aver rasserenato l'animo di quello che era più simile ad un fratello che ad un amico, si limitò a porgergli, ancora una volta, il piattino con la brioche: Riccardo la accettò dandole subito un morso e sporcandosi di ricotta fin sul mento.
Il silenzio dei suoi genitori lo atterriva, lo consumava, riducendolo in polvere e cenere.
Quello di Francesco era diverso: era un silenzio condiviso, partecipe, che teneva compagnia e confortava; un silenzio che, in quel frangente, sembrava quasi un vero e proprio regalo di Natale.
Riccardo lo abbracciò con un lungo sospiro liberatorio e diede un altro morso alla brioche, il cui sapore gli sembrò edulcorare persino il paesaggio che aveva di fronte, improvvisamente più pittoresco di quanto non gli fosse apparso fino a poco prima.
Si sentì finalmente bene e in pace con sé stesso. Era come se certe sostanze, proprio come avrebbe detto un futuro chimico, si sprigionassero nel suo cuore solo quando era in compagnia di una determinata persona e non di un'altra*****, e quella persona era Francesco: nessun altro sarebbe stato capace di fare quello che il suo migliore amico aveva appena fatto per lui con poche e semplici parole.
Sorridendo di nuovo, pensò che non aveva mai incontrato nessuno con cui si sentisse tanto bene tacendo******.

 

 
 
 
 
Angolino autrice:
Buongiorno a tutti! ^^
Eccomi qui con questa storia che partecipa non ad uno ma ben a DUE contest contemporaneamente!
Si tratta dei contest:
Happy Birthday to you, indetto da MaryLondon per il quale avevo due elementi da inserire obbligatoriamente: l'inverno e il mare. E che mi hanno dato del filo da torcere perché non sapevo davvero come inserirli per dargli importanza. Spero di aver fatto un lavoro almeno accettabile 'xD
e
Back to School, indetto da GiuniaPalma per il quale, invece, mi sono costruita un pacchetto un po' più elaborato. In questo caso dovevo creare una storia in cui:
  • uno dei personaggi spiegasse/confessasse qualcosa ad un altro personaggio
  • dovessero essere presenti almeno tre citazioni di uno stesso autore a mia scelta, in questo caso David Grossman *^*, e che segnalo adesso qui in nota:
*da L'uomo che corre
**da Qualcuno con cui correre
***da Che tu sia per me il coltello
****da Che tu sia per me il coltello
*****da Col corpo capisco
******da Qualcuno con cui correre
  • il genere preponderante fosse l'angst
  • e ci fosse un personaggio soltanto nominato almeno tre volte da altri personaggi (senza mai comparire fisicamente nella storia). In questo caso i personaggi nominati e mai fisicamente presenti sono Mattia (appena accennato... avrò modo di elaborare meglio il suo personaggio in futuro :-P) e i genitori di Riccardo.
Riccardo e Francesco sono due personaggi originali che mi appartengono, ai quali sono particolarmente affezionata e che sono già comparsi una volta in una mia altra storia (Venti secondi).
Ogni storia che abbia/avrà questi personaggi potrà essere letta indipendentemente dalle altre, ma ogni nuova “avventura” sarà ricca di dettagli in più che andranno a definire e delineare meglio i loro caratteri e le loro personalità.
In questo caso ho deciso di approfondire il rapporto fra Riccardo e i suoi genitori che, precedentemente, avevo solamente accennato di sfuggita.
È la seconda volta in tutta la mia vita che provo a scrivere una storia di questo tipo, dove il genere predominante sia l'angst, e anche nel mio primo tentativo mi sono soffermata ad analizzare un pessimo rapporto padre-figlio. In questa storia ho voluto calcare la mano su una situazione un pochino diversa, che non prevede violenza fisica ma un sentimento di rancore e indifferenza, quell'indifferenza che così facilmente può essere usata come strumento di manipolazione (in questo caso da parte dei genitori nei confronti del figlio).
Spero di essere riuscita a trasmettere, almeno un pochino..., queste emozioni o, quanto meno, di aver posto l'attenzione su una situazione familiare un po' particolare e che mi è capitato di conoscere (non in prima persona).
Infine, prima di salutarsi, Kim e Soul: siete state così tenere e così entusiaste quando avete letto la mia prima storia con questi due ragazzi protagonisti che voglio dedicarvi questo secondo lavoro, anche se è decisamente più triste (sperando che vi piaccia '^^).
Grazie mille a chiunque sia arrivato a leggere fino a qui ^^
Un bacione!
E in bocca al lupo a tutti i partecipanti dei contest! :)
Carmaux
 
P.S. Nel caso non lo conosceste, Gus Fringe è uno dei personaggi meglio riusciti della serie televisiva “Breaking Bad” (nella quale il protagonista è proprio un professore di chimica)
  
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