Libri > Good Omens
Ricorda la storia  |      
Autore: Menade Danzante    12/10/2019    4 recensioni
Europa, 1350.
"Aziraphale era stanco perché erano anni che girovagava per l'Europa e vedeva lo stesso scenario, che assisteva allo stesso sfacelo e che compiva gli stessi gesti. Aiutava dove poteva, consolava quando capitava e cercava in tutti i modi di limitare le infezioni ripulendo i villaggi, ma la diffusione della malattia era capillare, non c'era modo di arginarla. Ormai aveva capito di dover aspettare che tutto finisse da sé, che la pandemia svanisse da sola e che Pestilenza smettesse di cavalcare sul suolo di quella porzione di Terra, ma era sempre più difficile resistere."
Genere: Angst, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
quinto

Il quinto Cavaliere






Europa, 1350.


Aziraphale era stanco. Non gli era mai capitato prima, non in maniera così prepotente, perché pur avendo in dotazione un involucro umano, la sua natura eterea non ne condivideva pienamente i bisogni. Per questo quando si rese conto di essere particolarmente sfiancato e privo di energie si stupì. Quelli erano gli effetti collaterali della sua millenaria permanenza sulla Terra, lo sapeva: l'abitudine di mescolarsi agli umani, evidentemente, aveva fatto sì che il suo corpo reagisse come un qualunque altro ammasso di membra umane, con tutti i pro e i contro.

Aziraphale era stanco perché erano anni che girovagava per l'Europa e vedeva lo stesso scenario, che assisteva allo stesso sfacelo e che compiva gli stessi gesti. Aiutava dove poteva, consolava quando capitava e cercava in tutti i modi di limitare le infezioni ripulendo i villaggi, ma la diffusione della malattia era capillare, non c'era modo di arginarla. Ormai aveva capito di dover aspettare che tutto finisse da sé, che la pandemia svanisse da sola e che Pestilenza smettesse di cavalcare sul suolo di quella porzione di Terra, ma era sempre più difficile resistere.

All'inizio aveva pensato che la cosa peggiore fossero i lamenti e gli odori, ma con il passare degli anni quello che Aziraphale aveva cominciato a non sopportare più era il silenzio che seguiva l'arrivo di Morte. Quando nessuno piangeva più, quando la gente semplicemente si sedeva e aspettava l'inevitabile, quello era il momento in cui l'angelo sperava di svegliarsi da un incubo durato troppo a lungo: nonostante fossero anni che non dormiva, l'illusione di poter scacciare via tutto quel disastro era una consolazione sufficiente per farlo andare avanti, per farlo saltare su un carro qualunque e seguire la strada fino al prossimo villaggio, fino alla prossima città dove avrebbe ritrovato esattamente la stessa situazione appena lasciata, insieme a quel terribile senso di schiacciante impotenza: i miracoli non bastavano e la gente continuava a morirgli sotto gli occhi senza che lui potesse fare niente per evitarlo. Non era riuscito nemmeno a fermare quei pazzi che si fustigavano la schiena per ingraziarsi Dio, ché non serviva a niente se non a peggiorare la situazione. Aveva provato a salvare qualche ebreo e qualche povera donna matta, ma nemmeno in quello era stato bravo: aveva rischiato il pestaggio insieme a loro e la follia non sembrava placarsi, esattamente come niente riusciva ad arrestare Pestilenza che diffondeva la malattia in qualunque anfratto riuscisse a liberare i suoi topi infetti1.

Aziraphale era stanco e voleva solo che tutto quello finisse in fretta.


-


Non aveva idea di dove fosse finito, sapeva solo di essersi spinto a nord, ma ormai l'angelo non prestava neanche più attenzione ai dialetti che si susseguivano sul suo cammino: che fosse a Genova, a Londra o a Parigi non cambiava granché, le condizioni della popolazione erano pressoché le stesse. La sua unica preoccupazione, ormai, era cercare anche solo un sorriso in mezzo a quel vuoto di orrore e malinconia.

Camminava e si guardava intorno con aria assente, come se non fosse stato effettivamente lì. Questo lo aiutava a non pensare, a non soffermarsi sui particolari e a spegnere l'incessante lavorio del cervello che lo attanagliava costantemente, costringendolo a riflettere laddove avrebbe preferito chiudere gli occhi e riaprirli dopo il decorso della pandemia.

Ma qualcosa catturò la sua immaginazione prima ancora che potesse davvero mettere in pratica quel proposito tutto sommato allettante: un tenue riflesso rosso. Automaticamente la sua testa si mosse alla ricerca della fonte di quella macchia di colore e con una sorta di sorpresa Aziraphale si ritrovò a fissare un'umile casa con la porta lasciata aperta.

Sono tutti morti, pensò senza riuscire a reprimersi. Non c'è nessuno lì.

Ma capì che non era esattamente vero: sul pavimento di quello spiraglio di stanza che riusciva a scorgere c'era una figura curva, seduta malamente e con qualcosa tra le braccia, uno sporco fagotto. Fu quando mise meglio a fuoco la capigliatura rossa che Aziraphale si sentì mancare il fiato: Crowley.

Sentì gli occhi pungere lievemente, del tutto impreparati alla vista di quella creatura. Non aveva pensato di voler incontrare il demone per molto tempo, troppo preso dal suo dolore perché ci fosse spazio per altro nella sua mente, ma solo adesso si rese conto di quanto potesse essere gradita la sua compagnia in un momento come quello.

Chiuse gli occhi per un attimo e li riaprì per sincerarsi che quella non fosse un'illusione. Non riuscì a sorridere quando la sagoma di Crowley non sparì ai sensi, ma di sicuro si sentì sollevato.

L'angelo si avvicinò all'ingresso e fece per chiamarlo, ma quando si rese conto di quello che veramente si presentava ai suoi occhi si bloccò: quello che da lontano gli era sembrato un misero fagotto lurido era una bambina e ora Aziraphale poteva vederne i capelli non più intrappolati dalla cuffia, biondi sotto lo strato di sporcizia che li aveva avvolti. Si ritrovò a visualizzare nella mente il volto di altri bambini che aveva visto morire e dedusse con orrore che di sicuro anche il viso di quella creaturina aveva perso tutti i tratti della delicata rotondità dell'infanzia, così come le sue forme immature, ormai avviluppate solo intorno alle ossa.

Crowley la teneva in braccio con dolcezza, come se avesse avuto paura di spezzarla in due se avesse provato a stringerla in un freddo abbraccio. La cullava piano contro il torace che si alzava e abbassava con troppa frequenza perché il demone stesse solo respirando. Improvvisamente Aziraphale si sentì a disagio: non poteva vedere il viso di Crowley, ma era quasi certo che stesse piangendo. Gli parve di star violando una scena a suo modo sacra, alla quale probabilmente il demone non l'avrebbe mai ammesso. Valutò rapidamente la possibilità di andarsene in silenzio, di far finta di niente, ma lasciare il rosso in quello stato non rientrava nelle sue priorità: doveva rendere nota la propria presenza.

«Crowley» mormorò, atono e mortificato. Il demone si irrigidì immediatamente, ma non si voltò né provò a cacciarlo via. Ad Aziraphale sembrò un segno positivo, sufficiente per fargli fare un passo avanti: la luce sparì dalla stanza mentre l'angelo entrava e lanciava un'occhiata intorno a sé. L'odore di morte aleggiava in tutto il villaggio ed erano anni, ormai, che il biondo si era abituato a sentirlo, eppure si ritrovò ad arricciare il naso di fronte a una silente evidenza: c'erano troppi cadaveri in uno spazio troppo concentrato, solo che non riusciva ancora a vederli.

Non chiese niente: si limitò a spostarsi dall'entrata per far filtrare un po' di sole almeno per i vivi. Si rifiutò di indugiare con gli occhi sul corpo della bambina perché di bubboni ne aveva visti già tanti – troppi – e violare la piccola sarebbe stato solo un immeritato atto di morbosa curiosità. Tenne lo sguardo basso, in attesa: avrebbe aspettato tutto il tempo necessario pur di non lasciare il demone da solo circondato da corpi morti.

Rimase in quella posizione fino a quando percepì Crowley muoversi per far aderire meglio la schiena contro il muro. Solo allora si permise di guardare davanti a sé: gli occhiali coprivano le iridi serpentine del demone, ma le sue guance sporche erano solcate da lunghe striature chiare e scintillanti. Crowley guardava il viso della bambina e mormorava parole che il biondo non riusciva a sentire: avrebbero potuto essere bestemmie quanto ninnananne e filastrocche.

Aziraphale non provò a nascondere a sé stesso un tremito di preoccupazione riguardo allo stato dell'altro. Doveva sondare il terreno e capire quanto Crowley stesse male.

«Da quanto tempo sei qui?» chiese dunque, cercando di addolcire il tono il più possibile.

La risposta non arrivò subito e Aziraphale temette di non esser stato udito. Era sul punto di ripetere il quesito quando finalmente Crowley diede segno di essere pienamente cosciente della sua presenza nella stanza.

«Da ieri». La voce era rotta, priva di colore: questo fece trasalire l'angelo. «I suoi genitori sono morti ieri» continuò. Quello spiegava l'intensità dell'odore. «Lei questa notte, è stata infettata più tardi»

Aziraphale deglutì a vuoto, ma trovò comunque la forza di rilevare la lucidità mentale dell'altro.

«Aveva solo quattro anni». Crowley alzò lo sguardo sul biondo per la prima volta: nonostante le lenti, Aziraphale si sentì trafitto e dimenticò improvvisamente di respirare. «Angelo: quattro anni». Fece una pausa per poi riprendere, lugubre: «Perché?»

Aziraphale si costrinse a tenere gli occhi alti, ma dalla sua bocca non uscì niente per un lungo momento. Si era fatto quella stessa domanda tante volte da quando Pestilenza aveva deciso di lavorare prima a Est per spostarsi poi a Ovest, ma non aveva trovato nemmeno l'ombra di una risposta che potesse soddisfarlo. Conosceva Crowley a sufficienza per capire dove volesse andare a parare, ma non era pronto ad affrontare l'ennesima discussione con il demone riguardo all'ineffabilità delle ragioni di Dio, ma soprattutto non era pronto a difendere il Piano in sé e per sé. Aveva visto orrori così grandi e aveva incontrato Morte così tante volte in pochissimi anni sul suo cammino che persino per un Principato era impossibile trovare giustificazioni di alcun tipo per quello che stava accadendo. C'era qualcosa di folle nel modo in cui l'Europa continuava a morire e qualsiasi tentativo da parte sua di ignorare quella pazzia lo avrebbe portato solo ad odiarsi nel profondo.

Si sforzò di non versare nemmeno una lacrima prima di recuperare la voce.

«Io... Io non lo so»

Crowley sussultò visibilmente e schiuse la bocca in un moto di pura incredulità, ma non disse niente e l'angelo gliene fu molto grato. Poco dopo il demone annuì, per poi riabbassare la testa sulla ragazzina e lanciare un'occhiata ad un angolo in ombra della stanza. Aziraphale lo vide prendere le misure per alzarsi goffamente nel tentativo di non deturpare la piccola: il demone era debole, stanco, con un peso tra le braccia che gli impediva di muoversi come avrebbe voluto.

«Posso aiutarti?» chiese l'angelo, titubante. Si stupì quando Crowley gli fece cenno di avvicinarsi: era raro che il demone si lasciasse soccorrere in maniera così disinteressata, ma Aziraphale non si fece ripetere il permesso due volte. Si chinò per prendere la bambina e offrì una mano a Crowley.

«Va' a sederti, caro» mormorò. «A lei penso io, che ne dici?»

La remissività con cui Crowley acconsentì a quella proposta disarmò del tutto Aziraphale. Non riconosceva in lui il demone di sempre, il nemico con cui aveva stretto un vantaggioso Accordo appena trecento anni prima, l'amico che lo turbava con le sue domande sfacciate e irriverenti. Il vero dramma, però, era l'assenza di una cura: l'angelo non aveva idea di come farlo tornare come sempre, di come risanare tutte quelle ferite a meno di non far sparire la malattia stessa, ma quello era fuori dalla sua portata.

Aziraphale accompagnò la bambina nell'angolo buio della casa, dove non fu sorpreso di trovare i corpi senza vita dei suoi genitori. Scostò il lenzuolo che li ricopriva per posizionare la piccola insieme a loro. Depositò una carezza sulla fronte di tutti e tre, mormorando parole gentili per le loro anime. Si chiese vagamente se non dovesse mettere fuori i cadaveri per rendere più facili le operazioni di rimozione, ma non ebbe il cuore di fare tanto.

Si asciugò gli occhi con le dita prima di tornare da Crowley, seduto all'unico tavolo della casa, la destra a sorreggergli la fronte. La visione fece male ad Aziraphale: gli si avvicinò e gli poggiò la mano sulla spalla, stringendo appena la presa quando sentì il corpo dell'altro reagire con un tremore.

«Mi dispiace tanto» riuscì a dire, un nodo alla gola che gli impediva di modulare la voce più in alto di un sussurro.

Il demone annuì, ma non disse altro.

«Usciamo da qui, Crowley» propose l'angelo, più conscio che mai di voler abbandonare quell'ambiente: gli sembrava di star profanando una tomba più che una casa. «Morte arriverà da un momento all'altro»

Crowley sospirò e annuì nuovamente, issandosi in piedi con estrema fatica. «Morte non è mai andato via, angelo» sentenziò. «È sempre qui da qualche parte»

Aziraphale chinò il capo, ma non replicò: aveva ragione. Lasciò che Crowley lo precedesse per tenerlo sotto controllo. Non gli era mai sembrato così fragile, né così disilluso. Si ritrovò a pensare che se l'avesse visto arrabbiato sarebbe stato più semplice da sopportare: il demone lo era sempre quando si trattava di morti così terribili e ingiustificabili, ma lì di fronte a lui c'era il riflesso della sua stessa stanchezza, del suo dolore e del suo desiderio di veder tutto quello cessare in fretta.

Era troppo impegnato a fissare la schiena di Crowley in cerca di segni di cedimento che quando questi si fermò davanti a una taverna terribilmente degradata, chiedendogli implicitamente di entrare con lui, la mente di Aziraphale registrò l'assurdità di quella situazione con qualche attimo di ritardo: i morti pullulavano ovunque e Crowley voleva bere? Quello era irrispettoso e ingiusto, insensibile... Ma l'angelo si rese ben presto conto di volerlo a sua volta: non ricordava nemmeno l'ultima volta che aveva mangiato o che aveva deciso di tenere per sé l'acqua invece di donarla a qualche mendicante destinato a morire. Gli mancava la sensazione di piacere che il cibo gli dava e l'opportunità di soddisfare quel desiderio in compagnia era allettante, ma la sua mente annoverò in fretta un vantaggio ancora più promettente: ubriacarsi fino a perdere i sensi era un ottimo metodo per smettere di pensare, Aziraphale ne era certo. Così come era sicuro che, subito dopo la sbornia, l'avrebbe assalito il senso di colpa per non aver aiutato il prossimo in quelle ore, ma si disse che avrebbe potuto affrontare quel problema più tardi: adesso sentiva il bisogno di far tacere tutti i fantasmi che vedeva ogni volta che chiudeva gli occhi e che gli chiedevano la salvezza.

Prese un bel respiro prima di fare un cenno di assenso. Seguì il demone a un tavolo lurido e ordinò una caraffa di vino di pessima qualità.

«Dovrà pur finire prima o poi» rilevò Crowley di punto in bianco mentre versava l'alcol in boccali disuguali. «Questa moria, dico»

Aziraphale fece schioccare la lingua sul palato. «Mi sembra logico». Non poteva durare per sempre, su questo l'angelo non aveva dubbi, altrimenti sarebbe scomparsa l'umanità intera.

«Non è ironico che noi non possiamo morire di peste, angelo?» continuò Crowley, pensieroso. Aziraphale non ne vedeva le iridi, ma sapeva che se il demone si fosse tolto gli occhiali le avrebbe trovate a scrutare il vuoto con aria assente. «Tutti intorno a noi muoiono e noi rimaniamo sempre uguali, praticamente immortali. È ironico, non trovi?»

Il Principato si mosse sulla sedia a disagio e ragionò rapido prima di ribattere. «No. È terribile, mio caro». Sarebbe stato tutto più semplice se anche lui fosse stato soggetto all'epidemia, se la sua essenza non fosse stata immune per natura a qualsiasi cosa avesse macchinato Pestilenza in quegli anni. Così era condannato ad essere spettatore di qualcosa che non poteva cambiare in alcun modo e questo faceva male.

Il demone sospirò prima di fare sì con la testa, i boccoli ad incorniciargli il viso. «Forse hai ragione» convenne con mestizia. Sollevò il bicchiere e lo tese verso Aziraphale. «Alla vita»

L'angelo catturò una lacrima con il pollice prima che potesse sfuggirgli dalle ciglia, poi imitò Crowley, un sorriso triste a increspargli le labbra. «Alla vita»














Nota:

[1]: Il quadro generale che ho voluto dare della peste del Trecento in Europa non pretende di essere esaustivo. Ho dato qualche piccolo spunto esclusivamente per caratterizzare Aziraphale e il suo stato d'animo in quel periodo. I pazzi che si fustigano in strada sono i flagellanti, un movimento nato nel secolo precedente ma che ebbe la sua più grande diffusione proprio negli anni della peste nera; ebrei e streghe erano i capri espiatori preferiti dei cattolici, erano considerati i responsabili dell'ira di Dio, fondamentalmente. Aziraphale, però, è intelligente e sa che non è colpa loro.

Ci viene detto che per Crowley una delle cose belle del tempo che scorre è che lo allontana ogni giorno di più dal Quattordicesimo secolo: a mio avviso la peste è sicuramente uno dei motivi di un giudizio così duro da parte sua.

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Good Omens / Vai alla pagina dell'autore: Menade Danzante