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Autore: Shadow writer    22/10/2019    2 recensioni
Ci sono persone che non vivono solo per se stesse, crogiolandosi nell'inutile egoismo dell'esistenza. Persone che ridono se qualcosa li diverte, persone che piangono se qualcosa li rattrista, persone volte al solo sviluppo di se stesse al di là degli altri. No, Cam non era una di queste persone. Cam era al mondo per il mondo e per i suoi abitanti, con lo scopo spirituale dell'essere uomini, per il suo concepimento e sviluppo. Ci sono astri che nascondo una volta ogni mille anni, creature fulgenti di luce incatturarabile, meteore sfuggenti alla vista se non per quel millesimo di secolo in cui si rivelano a noi per sconvolgerci e per legarci irrimediabilmente alla loro esistenza, con le catene, catene di parole.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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CAMELIA


C'è un vento sottile oggi, di quelli che s'insinuano sotto gli abiti leggeri, attraverso i bottoni delle giacche, tra le pieghe di una gonna o su per le maniche dei maglioni.
Vedo la città dall'alto. Nessuno potrebbe pensare che un vecchio edificio abbandonato, su un promontorio mal tenuto, possa dominare una visuale così potente. Se allargo le braccia, posso toccare con l'indice sinistro il magazzino a nord e tengo sul mignolo destro le scuole elementari a sud.
Spesso la gente non riesce a cogliere tutti gli aspetti delle cose che ritiene "brutte", ma si fida ciecamente di quelle belle. Non concepiscono la colpa nella bellezza.
Faccio scorrere le dita sulla carta increspata, intrisa di inchiostro che tengo tra le mani.
«Parole, parole, parole. Cosa te ne fai delle parole? Lo sai che sono solo suoni nell'aria e segni sulla carta? Non hanno potere, non hanno forza, non hanno consistenza. Non puoi servirti di una forza invisibile per cambiare il tuo mondo».
Mi hanno sempre detto che parlo troppo. Non è colpa mia, ma delle parole. Quando cominciano a guizzare fuori dalle labbra, non riesco più a trattenerle e, come pesci lucenti, scivolano irrefrenabili nell'aria.
Il mondo può tremare per lo spostamento di un atomo e le parole lo sono, nient'altro che suoni convenzionali dietro a cui si nascondono i pensieri e gli ideali che possono cambiare il mondo e che lo hanno cambiato, fino ad oggi. Non intendo i suoni automaticamente emessi, ma la musica finemente ricercata per riprodurre, con una precisione quasi maniacale, nonostante la sostanziale impossibilità, quei pensieri di forma vaga che compaiono nella nostra mente. 
Eravamo fradici di pioggia, come l'erba intorno a noi. I filamenti color smeraldo, davanti ai miei occhi, si chinavano contro la nera terra, grondanti. Volsi il capo a lui. Anche il suo volto era intarsiato di gocce luccicanti al chiarore dei lampi, che di tanto in tanto schiarivano la notte come fruste argentate.
«Dobbiamo rientrare» disse, guardandomi. Il suo solo sguardo era sufficiente per scuotermi e farmi dimenticare tutto il resto.
Gli sorrisi: «Hai paura della tempesta, dio della guerra?»
«Ti ammalerai, Cam» rispose sollevandosi dal terreno.
Rivolsi il capo al cielo e risi, all'acqua delle stelle.
Sono in piedi sul cornicione di una porta che si affaccia sull'abisso. Un equilibrio precario tra la certezza solida e la caduta imprecisata nel vuoto sconosciuto. 
L'equilibrio è la coesistenza di ciò che nega il proprio opposto.
Se faccio un passo muoio, semplice. Non è una cosa difficile dopotutto. Un gesto, un istante, una fatalità, azzera l'esistenza. Azzera il dolore, l'inquietudine, il travaglio, la malinconia, ma anche la gioia, l'amore, l'affetto.
Cancellerei l'angoscia che mi prende ogni volta che sono sola, ma anche quella sensazione di appagante gioia che provo ogni volta che guardo un tramonto.
Mi piace la vita, quel suo continuo tessersi e disfarsi indipendentemente da ciò che già esiste, ma necessario per ciò che verrà.
È l'alba. Il sole sta sorgendo alle mie spalle, ma davanti al mio sguardo c'è ancora un angolo di mondo che dorme, nel suo scuro manto, e attende di essere spogliato dal chiarore del giorno. Alcune nuvole scure si ammassano in quella direzione, dove ancora è buio, accalcandosi le une sopra le altre. Mi piace la tempesta, perché il mondo è sempre tempesta. La calma piatta è solo un'apparente illusione entro la quale si scatenano turbamenti minori, invisibili all'occhio umano, ma che pur esistono.
La quiete mente, la tempesta non tradisce, è solo se stessa ed altro non potrà essere, se dentro di sé contiene già il tutto.
«Tu sei il mare, io sono il vento. Io soffio, tu ti agiti e travolgi il mondo con la tua forza».
«Stai dicendo che la mia forza deriva dalla tua» commentò il ragazzo, guardandomi negli occhi. Non sapevo come replicare. Quando lui mi fissava in quel modo, ogni suono moriva nell'anticamera della gola e si spegneva ancor prima di nascere.
«Mi piace Cam, mi piace».
Mi attirò a sé e posò le sue labbra sulle mie.
«Non andartene mai» sussurrò ancora e il suo respiro di caffè scivolò sul mio volto.
«Non sarò io a farlo» replicai e lessi l'incertezza interrogativa nei suoi occhi.
Sono sempre stata certa di essere una persona fedele. La fedeltà è un modo di essere profondamente legata all'animo della persona. Come tutta la nostra personalità, si costruisce anch'essa nei primi anni di vita. La fedeltà è fatta da croci sul cuore mantenute, labbra serrate per trattenere segreti sussurrati con un filo di voce dai bambini, bigliettini gelosamente custoditi nel palmo di una mano, sguardi allusivi sotto palpebre socchiuse.
Ognuno ha un pezzo di qualcosa in questo mondo. A me è toccata la fedeltà e il suo nome.
Camelia, il fiore della fedeltà, petali e calice si distaccano insolitamente insieme dalla pianta dopo che il fiore è appassito, invece di scivolare a terra uno dopo l'altro.
Il nome definisce e sottolinea, differenziando l'essere di una persona rispetto alle altre.
Negare il proprio nome è negare se stessi.
«Ares, calmati».
«Stai dicendo al dio della guerra di stare buono».
«Il dio della guerra deve morire».
«È immortale».
«Tu non lo sei».
Ares mi guardò fisso negli occhi: «Lasciamelo fare, Cam».
Lo voleva davvero, lo si leggeva nella luce delle sue iridi, la stesse luce che illuminava lo sguardo dei suoi compagni mentre si caricavano di risoluzione.
«Cambierà qualcosa? Le tue ossa rotte, i tuoi lividi, serviranno per attuare ciò per cui combatti? Non basterebbero delle parole, degli accordi, dei dialoghi per risolvere pacificamente ciò che vuoi prendere con la forza?»
Mi strinse le mani: «Buio è mancanza di luce, luce è mancanza di buio, bene è a mancanza di male, male è mancanza di bene. L'equilibrio è la coesistenza di ciò che nega il proprio opposto. Io e te, Cam, siamo un equilibrio».
Mi sporgo dal nudo balcone dello scheletro edificio in cui mi trovo. Davanti a me c'è il nero del mondo ancora addormentato, ma alle mie spalle c'è il trionfo dei colori vivi del nuovo giorno. Un contrasto così forte e discordante non può far altro che produrre un equilibrio perfetto. 
Guardo ancora una volta il foglio increspato di lettere che tengo tra le mani e, quando un nuovo alito di vento si gonfia intorno a me, allento la presa, fino a che l'aria porta via la carta. Quelle parole avrebbero potuto piacergli, ma a lui le parole non piacevano in generale. Preferiva prendersi ciò che voleva con la sua sola forza. Io credevo che fossero le parole a far tremare l'altro, a lui bastava uno sguardo.
«Perché provi a cambiare il mondo?» domandai.
«Perché non mi piace» rispose lui.
«E quando lo avrai cambiato, cosa farai?»
«Ammettendo di riuscirci, sarei felice e mi godrei il mondo nuovo».
«Ma quel mondo sarà migliore per te e non per altri. Tu non avrai più nulla da fare, ma gli altri il cui ideale diverso dal tuo non è ancora reale, tenteranno di realizzarlo smantellando ciò che tu hai creato».
L'uomo fa la guerra per cercare la pace, come se questa fosse nascosta nella grande devastazione che la prima porta, un'ultima speranza a cui aggrapparsi con tutte le forze di reduci.
La guerra non è fedele, perché promette la pace, ma non la cerca. La guerra reca disperazione e sciagure, la guerra tradisce l'uomo e il fine stesso per cui è stata intrapresa. 
Guerra e fedeltà non sono concetti che possono convivere armonicamente tra loro.
«Me ne vado».
Le sue parole giunsero dalle mie spalle e mi colpirono come una meschina e vile pugnalata nella schiena.
«Davvero?» chiesi, non perché non lo sapessi, ma perché speravo con tutta me stessa che lui avrebbe capito il dolore che mi stava facendo provare e che, pentito, avrebbe deciso di fare un passo indietro.
«Sì, non cambierò idea».
Il mio sguardo rimase fisso sulla valle che si apriva dolcemente più in basso. Il cielo sereno della notte si specchiava nel lucido lago calmo. Tutto taceva in una cupa immobilità che non poteva far altro che farmi stare peggio. Io amavo le tempeste.
«Lo sai che non verrò con te, vero?» domandai, ferma.
«Sì. Ti sto lasciando qui, Cam» rispose la sua voce calda.
Mi voltai di scatto: «No Ares, tu mi stai lasciando. Fine della frase. Nessun "qui", nessun luogo in cui giace la speranza di ritrovarci domani, tra una settimana o tra una vita! Hai reso inesistente l'angolo di mondo in cui saremmo mai potuti essere e non hai neanche il coraggio di ammettere la verità nelle tue parole!»
«Smettila!» sbottò lui e io ammutolii. «Non lo vedi qual è il tuo problema? Analizzi ogni parola, la muti, la stravolgi e ne fai ciò che vuoi! Sto parlando di noi, Cam».
Persi completamente le forze, gli occhi mi si appannarono di lacrime.
«Hai cambiato argomento» mormorai sconsolata, «Perché ho fatto breccia nel centro del problema, vero?»
Ares mi rivolse uno di quegli sguardi che ti tolgono il fiato e le parole e scuotono ogni tua cellula.
Presi un respiro profondo: «Tu mi stai lasciando qui, come in ogni altro luogo della terra».
Calò il silenzio tra noi e su quell'angolo in cui parlavamo.
«Lo sapevo» ripresi, «che mi avresti lasciata prima o poi, e che non sarei stata io a farlo, te l'avevo detto. Io sono quella fedele, tu sei il dio irrequieto della guerra. Vorrei solo che avessi il coraggio di ammetterlo»
È terrificante. Quando qualcuno ti sta lasciando e l'unica cosa che desideri è correre tra le sue braccia.
«Chi sono io per fermarti?» chiesi senza forze. Ares mi guardò ancora. Sarebbe stato più facile per lui se io mi fossi messa a strepitare e gridargli contro, lo leggevo nei suoi occhi cupi. Lui era abituato a fare la guerra.
«Vattene» continuai pacata, «se vuoi. Se un giorno tornerai sulla vecchia strada, mi ritroverai».
Lui si voltò e non riuscii più a vedere il suo viso, poi ritornò verso la sia auto.
Avrei voluto che mi guardasse ancora una volta, così che potessi imprimere ogni dettaglio del suo volto nella memoria, in attesa del suo ritorno. Sapevo che prima o poi l'avrei rivisto e con questa convinzione attenuavo il dolore che mi attanagliava in quel momento.
Lancio uno sguardo alla vista che si estende sotto i miei piedi. 
Il potere e la morbosità sono termini che vanno a braccetto. Da quassù ho tutto il potere del mondo, seppur invisibile, seppur impalpabile, io possiedo questo potere, che è però legato alla morbosità con cui scruto il paesaggio, sperando che ogni auto sia la sua, che ogni figura appartenga a lui, che ogni passo sia per tornare da me. Puoi essere anche il più alto tra gli esseri umani, ma continuerai comunque a guardare in giù, più in basso, perché ti mancherà sempre qualcosa. E l'umanità ti porterà a chiederti quanto valga veramente la pena essere così in alto se il tuo sguardo sarà sempre rivolto verso il basso. È una tua scelta. Ma dovrai sempre rinunciare a qualcosa.
Amare. Non ho mai capito il significato di questa parola perché pensavo non fosse necessario. Il suono è troppo comune, troppo banale, troppo utilizzato, per indicare veramente quella cosa che noi indichiamo in non altro modo che "amore".
Dovrebbe essere una parola speciale, che puoi decidere di regalare, senza pretendere risarcimenti, una parola così preziosa, che non si può neanche dire ad alta voce, ma solo sussurrarla, se necessario, perché il suo potere è tanto grande da poterci spazzare via tutti. 
Ma le persone hanno rinchiuso l'amore e l'hanno relegato nelle catene mortali in cui prima o poi ogni cosa cade. 
Forse amare non è altro che volere qualcosa in più. Un altro incontro, un altro sguardo, un altro bacio, oggi, domani e poi ancora. Amare è disteso nel tempo e ci scivola sopra perfettamente a proprio agio. Chiedi al tempo di concederti ancora un po' di ciò che ami, per poterne godere qualche istante in più. Chiedigli un altro domani, giorno e notte, chiedigli di poter gustare un respiro, chiedigli l'alba che verrà e quella dopo ancora, poi ogni crepuscolo. Chiedi al tempo la sua luce e la sua forza, per esserci ancora e fare che ci sia ciò che vuoi. Chiedigli un qui e ora all'infinito, perché speri che non finirà. Mai.
   
 
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