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Autore: LadyPalma    25/10/2019    9 recensioni
Prima classificata al contest "Giardino - tra Foglie e Vita" indetto da Inchiosto_nel_Sangue e elli2998 sul forum di EFP
Cinque fondamentali momenti della vita di Caterina d'Aragona, la sfortunata prima moglie di Enrico VIII, dalla sua infanzia fino alla sua morte.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789), Periodo Tudor/Inghilterra
- Questa storia fa parte della serie 'Ritratti di regine'
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Principio e fine della principessa del melograno


 
 
1493

Il palazzo dell’Alhambra, ufficialmente diventato residenza reale dei sovrani spagnoli dopo la caduta di Granada, era ancora inevitabilmente permeato dell’atmosfera islamica. Lo testimoniavano le decorazioni delle stanze, le coltivazioni dei giardini e, soprattutto, la viva presenza dei servitori che erano stati in gran parte reclutati sul posto. L’Infanta Caterina nei suoi otto anni di vita aveva già ricevuto un’educazione fortemente cattolica, ma nemmeno il suo maestro, il vescovo italiano Alessandro Geraldini, avrebbe potuto rimproverarla per l’ammirazione che provava di fronte ai capolavori artistici di quella cultura così diversa. Spesso si intrufolava nell’immensa Sala degli Ambasciatori e si stendeva sul pavimento di ceramica vetrata per concedersi qualche minuto di contemplazione del tetto. La sapiente sovrapposizione delle pietre e i giochi di colore rendevano splendidamente l’immagine delle stelle: nell’intenzione dell’artista quel soffitto doveva essere una rappresentazione dell’Universo, al cui centro campeggiava lo scranno di Dio. Caterina si perdeva nella meraviglia e mai come in quei momenti si sentiva così vicina alla spiritualità e alla religione. Poco importava se quel Dio l’artista l’aveva chiamato Allah; la sua mente giovane riusciva ad andare oltre certe sottigliezze.
La sua parte preferita di tutto il palazzo non era però una stanza e il motivo della predilezione non era di natura estetica. Ogni pomeriggio si riuniva con i suoi fratelli nei giardini e tutti insieme giocavano, a dispetto della differenza d’età che li divideva. Dì lì a poco Giovanni sarebbe morto, Giovanna sarebbe impazzita d’amore per l’erede di Borgogna, Maria sarebbe partita per il Portogallo, e lei avrebbe conosciuto il suo destino nella fredda e triste Inghilterra. Ma in quei pomeriggi di sole l’infelice futuro era lontano e loro erano solo quattro giovani che si rincorrevano e ridevano. Il gioco più frequente era nascondino e, naturalmente, era l’ultimogenita a insistere dato che vinceva sempre. Mentre Giovanni si metteva a cercare le altre sorelle che optavano per nascondigli arditi, la piccola Caterina sceglieva sempre una delle enormi statue in pietra e poi correva a perdifiato fino alla tana.
Con un gesto e una parola, liberava sempre tutti.
E ancora non sapeva che, anni dopo, nessuno da quello stesso palazzo avrebbe mosso un dito per liberare lei.
 


Febbraio 1518

Il ricordo più felice della vita di Caterina aveva una tinta azzurra, come la pesante coperta che avvolgeva la sua neonata Maria di appena tre giorni di vita[1]. I diciassette anni che aveva trascorso in Inghilterra le avevano recato dispiaceri ed erano stati costellati da lutti. Aveva perso il suo primo marito Arturo, finendo per sposare il più affascinante ma anche più arrogante Enrico, e soprattutto aveva seppellito il figlio che avrebbe dovuto ereditare il trono. Ma adesso, durante la celebrazione del battesimo della sua nuova creatura, aveva la sensazione che ogni sofferenza stesse raggiungendo la conclusione. Il re, accantonando per un attimo il desiderio di un erede maschio, era raggiante per il fatto di essere diventato padre e si dimostrava con lei più affettuoso di quanto fosse mai stato. In quel momento, era certa di amarlo e riusciva anche a convincersi che lui amasse lei.
“Non preoccupatevi, mio amore, i figli maschi arriveranno” le aveva detto Enrico, cercando di rincuorarla.
Ma la regina non aveva bisogno di rassicurazioni. Era madre finalmente ed era felice. L’azzurro di quella coperta era più intenso di quello del cielo artefatto nell’Alhambra.
 


1526

Quel momento di sincera devozione di Enrico fu ben più fugace di quanto lei avesse osato sperare. Bessie Blount e Mary Carey erano solo due delle innumerevoli amanti che il re pubblicamente ostentava e che, a differenza della sua legittima consorte, gli avevano dato dei figli maschi. Caterina diventava di anno in anno più vecchia e sola, ma era certa della posizione sua e della figlia, che era pronta a difendere con tutta la forza che aveva nel suo piccolo corpo. Enrico non avrebbe mai permesso ad un bastardo di diventare erede del regno, né aveva mai considerato quelle donne come qualcosa di semplici giocattoli con cui gli piaceva trastullarsi. Così Caterina era triste ma tranquilla. Fu una conversazione malcelata tra alcune delle sue dame che per la prima volta la fece davvero preoccupare in merito alla vita amorosa di suo marito.
“Come avete detto, Lady Jane? Non temete di parlarne, sono bene a conoscenza delle amanti del nostro grazioso re” disse, con un tono completamente privo di qualsiasi emozione.
Lady Jane parve imbarazzata ma non indugiò troppo prima di rispondere. “Vostra Maestà, posso assicurarla che non si tratta di un’amante del re. Sua Maestà ha solo reso un innocente omaggio a Lady Anna Bolena durante il ballo di ieri sera: un giglio bianco”.
La buona fede della giovane era chiara, non si era resa conto della grave agitazione in cui involontariamente aveva appena gettato la sua regina. Perché Enrico era sempre stato un uomo passionale, da inviti nelle sue stanze, amoreggiamenti in pubblico ed eloquenti rose rosse. Mai prima di allora aveva regalato ad una donna un giglio, simbolo di purezza e innocenza. Finché la lussuria del re fosse stata soddisfatta, non ci sarebbe stato nulla da temere. Ma ora una donna osava giocare con lui al gatto al topo e tutto dipendeva da quanto questa Lady Anna sarebbe stata brava a mantenere vivo l’interesse.
Caterina si ritrovò a sospirare pesantemente, incapace di capire fino in fondo l’inquietudine che l’attanagliava. Non avrebbe dovuto aspettare troppo però per dare un significato a quella sensazione.
E allora avrebbe ricordato che a piegarla non era stato il dolore di una vita, ma un singolo fiore bianco.
 


Estate 1529

Erano passati ben quattro anni da quando Enrico aveva incontrato gli occhi di fuoco della giovane Bolena e l’interesse non si era mai spento, anzi il rifiuto continuo di lei lo aveva solo aumentato. “Vostra amante, mai. Vostra moglie, se vorrete”[2] aveva detto apertamente la bella Anna e, invece di rinunciare alla sua nuova conquista, il re aveva deciso di trovare il modo di fare a meno di Caterina. Si era interpellato il Papa, si era chiesta l’opinione di università, vescovi e cardinali; l’argomento era semplice: l’annullamento del matrimonio tra Enrico VIII d’Inghilterra e Caterina d’Aragona. Tutto ciò che finora aveva protetto la regina spagnola da un verdetto definitivo di Sua Santità era il suo legame di parentela con l’imperatore, ma quello stesso imperatore non aveva fatto niente  per aiutarla. E intanto era in corso un processo farsa che avrebbe dato a prescindere ragione al re. Aveva perso ormai, lei lo sapeva. Del resto non si trovava a White Hall con tutta la corte, ma a Bridwell con una servitù piuttosto esigua.
“Vostra Maestà, il Cardinale Wolsey è qui per vedervi” annunciò una delle sue dame.
Caterina indugiò per un attimo, godendosi il rispettoso titolo che le era dovuto ma che nessuno ultimamente aveva il coraggio di formulare ad alta voce. Poi curvò le labbra in un sorriso amaro e volse la testa verso Lady Jane, seduta al suo fianco con un libro in grembo. Il consigliere di Enrico era lì per tentare nuovamente di convincerla a rinunciare alla sua corona e ad accordarsi per il divorzio, ma lei non avrebbe ceduto. Sapeva che il re era pronto a separarsi anche dalla Santa Chiesa pur di separarsi da lei, ma la previsione di questa fatale conseguenza non poteva bastarle come giustificazione per la resa.
“Continua a leggere, Lady Jane”.
“Ma Vostra Maestà, il cardinale…” tentò la ragazza, non nascondendo la sua perplessità.
Caterina strinse leggermente gli occhi, fissandola. “Sono la regina, Lady Jane. Il cardinale aspetterà” replicò in tono calmo, ma autorevole.
“Sì, allora… La pianta di lillà ha larghe foglie e fiori piccoli e profumati, di colore bianco, viola o lilla…”
Caterina si rilassò contro la sua sedia a dondolo e chiuse gli occhi.
Se si concentrava abbastanza, poteva quasi dimenticare che il cardinale era fuori dalla stanza.
E perfino riuscire a percepire il profumo di quella pianta che cresceva solo in Oriente.
 


Gennaio 1536

Caterina aveva lottato fino alla fine, ma aveva perso comunque. Stesa sul letto del freddo castello di Kimbolton, stava morendo, e non come regina. La regina adesso era Anna Bolena che aveva preso la sua corona insieme al motto “la più felice”. Tutti i suoi amici erano morti, il suo Paese d’adozione era caduto in una profonda eresia, e tutto ciò che le restava era un rosario in una mano e il suo ciondolo con il melograno di Spagna in un’altra.
Ormai era troppo tardi per perdersi nei ricordi lontani delle statue in pietra dell’Alhambra, o nelle immaginazioni fantasiose del profumo del lillà.
Si trovava equamente distante dall’azzurro della felicità e dal giglio bianco che aveva segnato il principio della sua fine.
Sarai una grande regina un giorno, le aveva detto sua madre donandole quel ciondolo.
Ma come una novella Persefone aveva mangiato troppi chicchi di quel frutto infernale, ed era rimasta intrappolata per sempre in quella terra fredda e inospitale che era diventata il suo Inferno.

 
 




[1] Il colore azzurro era insieme al verde il colore attribuito a Maria Tudor.
[2] La frase è riportata in una lettera del Cardinale Pole.
NDA: Tutte le informazioni storiche relative a luoghi e date e successione degli eventi è ricavata da alcune biografie, tra cui principalmente "Anna Bolena" di Eucardio Momigliano e "Maria la Sanguinaria" di Carolly Erickson. Le scene narrate e l'introduzione degli elementi del pacchetto sono invece mia invenzione.
L'obiettivo del contest era quello di inserire nel testo cinque elementi (il colore azzurro, il profumo di lillà, la statua in pietra, il melograno e il giglio): ho cercato di ricostruire la vita di questa sfortunata regina proprio a partire da questi input. Una nota in particolare per il titolo: il melograno è il simbolo della casata di appartenenza di Caterina ed era il suo simbolo ufficiale come regina d'Inghilterra; inoltre, il ciondolo con il melograno, secondo Carolly Erickson, esisteva davvero. Un'altra nota è per l'uso del lillà: la pianta viene coltivata in Europa dal Seicento, dunque per poterlo inserire nella narrazione senza violare la credibilità storica, ho deciso di usare l'espediente di una lettura di un resoconto orientale (letture diffuse al tempo).
Spero che questo piccolo omaggio a Caterina d'Aragona vi sia piaciuto, un commento è sempre gradito.

 
   
 
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