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Autore: Menade Danzante    26/10/2019    3 recensioni
"L'angelo aggrottò la fronte e strinse le labbra prima di parlare di nuovo. «Non è un umano qualunque, lo sappiamo. E se... le sue parole fossero davvero qualcosa di più?» [...]
Infatti, l'ammasso di vocali e consonanti che il bambino sembrava preferire era uno spettrale Guuu.
Qualsiasi stimolo era sufficiente a provocargli quell'inflessione gutturale che Crowley raramente riusciva a identificare in qualcosa di concreto. Guuu era il suo dito quando glielo faceva afferrare, il telefono di casa Dowling che squillava, il giardiniere che gli mostrava un fiore con voce leziosa e i suoi stessi bisogni corporei. Fortunatamente per quelli c'era il pianto rivelatore che aiutava Crowley a barcamenarsi tra le esigenze di un cucciolo d'uomo e la necessità di portare a compimento un piano anti-Armageddon. Per tutto il resto, capitava che i due si scambiassero occhiate divertite e del tutto confuse su cosa diamine avesse potuto dire il bimbo."
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Warlock Dowling
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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prima parola

Il potere di Adamo







Crowley ripose il suo quaderno di appunti nella tasca interna della giacca e si rilassò contro la sua poltrona preferita nella libreria di Aziraphale.

«Mrs. Dowling è impaziente di sentirlo parlare» rivelò con la fronte corrucciata.

«Davvero?» chiese l'angelo, preparando due bicchieri di vino e porgendone uno al demone. «Be', è comprensibile» ponderò poi. «Ha cominciato a fare versi, immagino che sia questione di poco tempo, ormai»

Crowley annuì. «Sì, ma è soprattutto una questione naturale» considerò. «Non capisco cosa ci sia di così entusiasmante nella sua prima parola, a essere sincero»

Aziraphale si strinse nelle spalle. «Gli esseri umani sono animali simbolici» spiegò con estrema semplicità. «Si aspettano che quelle sue prime sillabe siano un segno sul carattere del bambino, sulle sue inclinazioni, su quale genitore amerà di più nella vita... Cose così»

Crowley sporse il labbro inferiore in avanti, ammirato. «Ha senso» concesse. L'angelo sfoderò un sorriso compiaciuto che fece ghignare il demone.

Bevvero il loro vino fino a quando lo stesso Aziraphale interruppe il silenzio rilassato con un'espressione che lasciava ben pochi dubbi.

«Sai, credo che però tu abbia fatto bene a portare alla luce la questione» disse, concitato.

«Mm?»

L'angelo aggrottò la fronte e strinse le labbra prima di parlare di nuovo. «Non è un umano qualunque, lo sappiamo. E se... le sue parole fossero davvero qualcosa di più?»

Crowley poggiò il bicchiere sul tavolo e si raddrizzò sulla sedia, confuso. «Non ti seguo, angelo»

Aziraphale annuì e riprese, paziente. «È l'Anticristo, Crowley. Se fosse solo umano non avremmo alcun dubbio: la sua prima parola sarebbe soltanto una ripetizione di sillabe e niente di più. Ma Warlock non è solo umano e noi della sua parte demoniaca non sappiamo nulla». Fece una piccola pausa per organizzare la conclusione del discorso. «In pratica, non sappiamo se la sua prima parola avrà un significato vero e proprio oppure no»

Il demone si prese qualche attimo di silenzio per riflettere. «Come un incantesimo?» osò.

«Più o meno, sì»

Crowley si concentrò di più per tirar fuori una casistica calzante. «Suggerisci dunque che potrebbe dire tata e prendere possesso del mio corpo?»

Aziraphale strabuzzò gli occhi. «Santo Cielo, spero di no!» esclamò, allibito. «Quale parte del mio discorso ti ha fatto pensare questo?»

Crowley scosse una mano, evasivo. «Esempio sbagliato, d'accordo. Diciamo che hai paura che la sua prima parola possa avere un potere sostanziale sulla realtà, che possa modificarla in qualche modo. Corretto?»

L'angelo prese un bel respiro prima di annuire. «Questo è già più in linea con quello che volevo dire»

Il demone non vedeva la differenza tra l'esempio del suo corpo e quella che per lui era semplicemente la descrizione teorica di quel fenomeno. Tuttavia decise di non ribattere ulteriormente: aveva capito il problema.

«Non ne siamo sicuri, però» tentò di essere ottimista. L'occhiata severa che ricevette fu sufficiente a impedirgli di riproporre la stessa strategia una seconda volta.

«Non siamo sicuri che non sia così, Crowley»

Oh, fantastico. L'onere della prova pendeva sul suo capo, ma il demone non aveva la più pallida idea di come funzionasse la testa di un Anticristo: Giù non avevano pensato di dargli più di tante spiegazioni sull'argomento.

Si appoggiò contro lo schienale con aria teatralmente sconfitta.

«Immagino che tu abbia un'idea, no?» disse arrendevole.

«Niente di diverso dal piano» commentò asciutto Aziraphale. «Ci impegniamo affinché rimanga nella neutralità»

Il proposito era ottimo, Crowley non poteva negarlo. Rimaneva un punto scoperto, però. «E come vorresti realizzare questo obiettivo? Io gli faccio dire Satana e tu Dio?» disse sarcastico, non risparmiandosi una smorfia nel chiamare in causa l'Altissima.

Aziraphale si illuminò di colpo. «Non ci avevo ancora pensato, ma questa mi pare una buona idea»

Il demone spalancò la bocca e provò a dire qualcosa due volte. Solo al terzo tentativo finalmente articolò dei suoni: «Sei pazzo! Non c'è partita così! Satana è un nome complicato, non riuscirà mai a dirlo! Io perdo a priori, angelo!»

Il biondo esibì un'espressione innocente, ma Crowley l'avrebbe davvero incenerito sul posto.

«Non essere disfattista, caro1»

«Disfattista?» gli fece eco il demone. «No, io sono realista! Come farà a dire Satana? Non sarà mai una delle sue prime parole!»

Aziraphale fece spallucce. «Non angustiarti prima del tempo. Ma se preferisci tirarti indietro...»

Cos'era, quella? Una provocazione? Crowley ebbe la netta impressione che se non si fosse trovato nelle condizioni di rischiare la reputazione e il piano, probabilmente sarebbe stato incredibilmente fiero dell'angelo.

«Non ho detto quesssto» sibilò di rimando. Alzò le mani in segno di pace. «E va bene. Credi di avere un vantaggio, non è così?». Non c'era bisogno di crederlo: quello era del tutto oggettivo. «Ti dimostrerò che ti sbagli, allora». Doveva solo lavorare sui metodi.

Aziraphale annuì e mosse le labbra in un muto “Oh” di comprensione.

«Scommettiamo?»

L'angelo lo guardò scandalizzato. «Io non scommetto, Crowley. Sono un angelo»

«Peccato» fornì il demone. «Pensavo che, nel caso in cui la prima parola di Warlock si dovesse rivelare Dio, be', potrei offrirti una cena al Ritz». Aziraphale lo guardò con granitica e affettata apatia. «Ma se la metti così, non posso che rispettare le tue scelte»

Piegò la testa di lato, in attesa, godendosi il momento in cui il biondo strofinò le dita della destra tra loro, come se saggiare la consistenza dell'aria potesse aiutarlo a decidere se quella proposta valesse la pena di essere accettata.

«Suppongo di poter fare un'eccezione» concesse alla fine l'angelo e Crowley schiuse le labbra in un ghigno.

«Che vinca il migliore»


-


Crowley si era reso conto appena il giorno dopo di essere stato un emerito stupido per almeno due motivi: per prima cosa, si era fatto abbindolare da quel bastardo del suo migliore amico, dalla gioia di avergli estorto una scommessa così poco angelica senza nemmeno riuscire ad ottenere un premio in caso di una sua vittoria. Una mancanza che aveva giudicato pressoché imperdonabile e irrimediabile già la sera stessa, di ritorno nel suo appartamento, e che denotava quanto scarse fossero le sue aspettative riguardo alla riuscita della sua parte del piano. In secondo luogo, infatti, Satana era una parola lunga, priva di sillabe ripetute: certo, Warlock era l'Anticristo e in quanto tale forse non si sarebbe lasciato intimorire da quella sfida articolatoria, ma Crowley non aveva davvero alcun indizio in proposito e chiedere Di Sotto non avrebbe portato ad alcuna significativa risposta. Era già difficile spiegare alla feccia infernale quanto fosse importante l'educazione nella vita degli esseri umani, figurarsi discutere riguardo alle prime parole dei bambini.

Ovviamente, senza alcuno stupore da parte di Crowley, Aziraphale non aveva neanche per sbaglio accennato alle difficoltà di realizzazione di un piano come quello: aveva parlato di neutralità, ma il demone era certissimo che il suo amico non vedesse l'ora di far trionfare per la prima volta davvero rilevante il Bene sul Male. Questo voleva dire che Crowley si sarebbe dovuto impegnare il doppio per riportare il tutto in parità, ma non vedeva proprio altra via di fuga: sentiva di essersi votato al fallimento.

Si erano accordati perché la tata passasse giornalmente delle ore in giardino con il piccolo in modo tale che per Aziraphale fosse facile avvicinarglisi senza destare sospetti di alcun tipo. In quei momenti la tata non aveva alcuna voce in capitolo: il suo unico compito era quello di vegliare sul giovane Warlock e di stare alla larga dai tentativi dell'angelo di inculcargli in testa la parola Dio. Questo, che Aziraphale ne fosse consapevole o meno, le permetteva di studiare da vicino i progressi nel Bene, privilegio che l'angelo non aveva. Crowley aveva inaspettatamente ripreso a sperare: Warlock, che proprio non ne voleva sapere di pronunciare una maledetta sibilante davanti alla tata, di certo non si rivelava un campione con le dentali, con grande stizza di Aziraphale.

Infatti, l'ammasso di vocali e consonanti che il bambino sembrava preferire era uno spettrale Guuu.

Qualsiasi stimolo era sufficiente a provocargli quell'inflessione gutturale che Crowley raramente riusciva a identificare in qualcosa di concreto. Guuu era il suo dito quando glielo faceva afferrare, il telefono di casa Dowling che squillava, il giardiniere che gli mostrava un fiore con voce leziosa e i suoi stessi bisogni corporei. Fortunatamente per quelli c'era il pianto rivelatore che aiutava Crowley a barcamenarsi tra le esigenze di un cucciolo d'uomo e la necessità di portare a compimento un piano anti-Armageddon. Per tutto il resto, capitava che i due si scambiassero occhiate divertite e del tutto confuse su cosa diamine avesse potuto dire il bimbo.

«È davvero troppo piccolo perché possiamo indirizzarlo al Bene o al Male, Aziraphale» aveva discretamente sussurrato un giorno all'angelo mentre faceva dondolare il passeggino per cullare un inaspettato pisolino di Warlock. Stanotte non farà chiudere occhio a Harriet, aveva aggiunto trionfante tra sé e sé: quello era sicuramente un male.

«Forse non hai tutti i torti, cara» aveva concordato l'altro, sfinito dall'ennesimo tentativo di far almeno variare una vocale in quel trittico di u. Crowley si era concesso un sorriso nel constatare quanto l'evidenza dei fatti avesse fatto desistere persino Aziraphale dalla gara.


-


«Chissà che vuol dire guuu» chiese Crowley tempo dopo davanti a un bicchiere di brandy in un pub.

Aziraphale sbuffò una risata. «Tutto e niente, caro. Warlock comunica a modo suo tutto quello che vuole»

Il demone annuì. «Comodo così, non trovi?»

«In che senso?»

Crowley si strinse nelle spalle. «Al giovane Warlock basta un verso per creare il proprio mondo» spiegò. «Cioè, non creare creare» si corresse: non era mai accaduto niente di strano intorno a loro, alla famiglia o al bambino quando questi si esprimeva a quel modo. «Indicare, ecco. Non ha bisogno di tanti nomi o concetti. Gli basta quel rumore e dice tutto quello che deve dire». Si appoggiò alla sedia. «Comodo»

Aziraphale assottigliò le palpebre, poi annuì. «Autoreferenziale»

Il demone allargò le braccia esasperato. «Così la fai sembrare una cosa negativa, angelo»

Il biondo sorrise. «Oh no, figurati» si scusò, sincero. «Pensavo solo ad Adamo»

«Ah!» ribatté Crowley, intravedendo il senso di quel flusso di coscienza. «Il primo che ha smesso di dire guuu per dare i nomi alle cose»

Aziraphale provò a guardarlo con rimprovero, ma non fu in grado di mascherare la lieve risata che gli illuminò gli occhi. «A me piacciono i nomi, Crowley» dichiarò, risoluto. «Sono efficaci, aiutano la vita in comunità e rendono il mondo un po' meno-»

«Ineffabile» lo interruppe il demone, un angolo della bocca appena sollevato in un sorriso sghembo.

L'angelo arrossì lievemente. «Stavo per dire oscuro, ma credo di potermi adeguare»

Crowley poté quasi prevedere la domanda che Aziraphale gli rivolse un paio di attimi dopo.

«Non ricordavo che fossi un appassionato di ineffabilità» disse infatti l'angelo, il viso così innocente e provocatorio allo stesso tempo che il demone dovette sforzarsi di trattenere il sorriso ammirato per mantenere un'espressione piccata.

«Non lo sono, infatti» precisò, accavallando le gambe. «Non ho mai detto che quello che fa Warlock sia auspicabile per tutti o per me. È solo oggettivamente comodo per lui». Sventolò una mano in direzione dell'angelo. «Sei tu che hai voluto richiamare Adamo». Aziraphale mugugnò un assenso prima di nascondere il sorriso dietro il bicchiere. «E poi non vale per quello che dicevi tu»

L'angelo sembrò ora particolarmente interessato. «Adamo?»

Crowley annuì. «Lui non ha modificato la realtà: l'ha solo catalogata». Fece una pausa. «Ha visto un leone e ha detto: “Uh, guarda: un leone!”. “Uh, il bastone ha spostato la pallina!” e whoop, ecco il principio di causalità2. Ha descritto quello che vedeva, punto». L'angelo era preso dal ragionamento, anche vagamente sorpreso, tanto che Crowley considerò brevemente di chiuderla lì. Solo un ultimo impeto di furbizia lo portò a non glissare: «Sarebbe stato un potere troppo grande per Lei da spartire, no?». Aziraphale sgranò gli occhi. «Immaginala, angelo; immagina quest'umanità che conosciamo da seimila anni capace di eguagliarla, di arrivare a Lei e di spodestarla con i suoi stessi poteri»

Il biondo inspirò dal naso, visibilmente contrariato. «Crowley» avvertì.

«Che c'è? Vuoi negare che si sia assicurata in previsione di una rivolta da parte della sua creatura preferita?» ribatté il demone, risentito per il modo in cui il suo nome era stato usato dall'angelo. Aziraphale lo guardò con intensità e il demone ebbe l'impressione che i suoi occhi avessero assunto una sfumatura più torbida, tempestosa, ma forse erano solo le luci del pub. In ogni caso, non gli piacque: forse aveva esagerato.

«Warlock non è Adamo» proseguì Crowley, cercando di tornare su un terreno meno scivoloso di quello, il tono più conciliante. «In teoria l'Anticristo può rendere reale ciò che dice, o addirittura ciò che pensa, ma noi non sappiamo quando questa cosa si attiverà»

Aziraphale deglutì e si rilassò appena. «Su questo hai ragione» mormorò, tornando in silenzio subito dopo.

«E comunque ha cominciato a dire anche ga» riprese Crowley, ansioso di riempire quel vuoto spiacevole.

L'angelo roteò gli occhi al cielo, ma dalla velocità con cui rispose il demone capì di aver sollevato anche l'altro da una gravosa incombenza. «Ovviamente quando ero assente io» disse Aziraphale, offeso.

Crowley non trattenne un ghigno. «Non è colpa mia. Ha fatto tutto da solo»

«Tu vedi progressi con il tuo proposito, invece?» s'informò il biondo.

Il demone non valutò nemmeno la possibilità di mentire: d'altronde lo aveva scritto anche nei suoi appunti. Prese il suo quaderno, lo voltò verso Aziraphale e tamburellò sulle pagine dedicate agli ultimi mesi trascorsi. «Nessuna parola» lesse ad alta voce indicando sommariamente la riga conclusiva di ogni giornata.

L'angelo annuì. «Idem» fornì per amor di completezza: Crowley già lo sapeva. «Pensavo di avere davvero un margine di vantaggio su di te in questo...»

«Lo so» fece Crowley, senza deriderlo. Ormai la questione riguardava più il piano che il loro puntiglio di orgoglio: il demone, abbandonato il cipiglio strettamente competitivo della gara, aveva fatto un piccolo calcolo e si era ritrovato a constatare di aver suggerito le parole peggiori per convincere l'Anticristo a parlare.

«Ormai abbiamo iniziato» ragionò ad alta voce. «Dobbiamo finire. Anche perché, ammesso che abbia già potere sulla realtà, non vorrei vedere evocato il suo amorevole paparino senza l'intervento dei tuoi capi, se proprio devo essere sincero»

Aziraphale prese un grosso respiro, affranto quanto e forse più di lui. «Spero davvero che non si arrivi a tanto, caro»

«Brindo a questo, angelo» rimarcò Crowley, sollevando il bicchiere che tintinnò contro quello dell'amico poco dopo.


-


Nonostante nessuno dei due avesse notato alcun miglioramento significativo, tata e giardiniere avevano continuato a vedersi tutti i pomeriggi per deviare la mente del giovane Warlock. Più il piccolo cresceva, più tenerlo fermo era diventata un'impresa: ormai Crowley era sufficientemente preparata da passeggiare in giardino con una coperta infilata nella borsa da stendere sul prato in modo che il bambino non si sporcasse gattonando.

Anche quel giorno la tata aveva dovuto slacciare le cinture del passeggino per assecondare lo slancio di Warlock. Nell'attesa del giardiniere, la tata si era goduta la vista del piccolo che rimbalzava sul proprio sedere nel vano tentativo di mettersi in piedi. Quello era ancora fuori questione, ma a Crowley piaceva osservarlo nella temeraria scalata verso la posizione eretta. Non vedeva l'ora di farlo correre: già immaginava che gli avrebbe consigliato di farlo ovunque per diffondere il malumore tra i domestici e per scatenare l'ira dei genitori. E non poteva non pensare che avrebbe probabilmente litigato con Aziraphale su quel comportamento sconsiderato. Poteva già quasi sentirlo nelle sue orecchie a ricordarle quanto potesse essere pericoloso per il piccolo, e la prospettiva la allettava parecchio. Ah, l'angelo sarebbe stato furioso, lo sapeva: avrebbe brandito il suo buonsenso con molta più convinzione di quanta ne avesse mai riversata nello sguainare la spada fiammeggiante millenni addietro: Crowley non aspettava altro che vederlo più fiero e giusto che mai a combatterla nella dura lotta per il cuore - e la salute - di Warlock.

Il pensiero la cullò con piacere fino al consueto arrivo di Aziraphale, il quale si appropriò subito dell'infante per adempiere al suo compito. La tata si ritrasse nel suo quadrato di coperta, come al solito, e si limitò a guardare.

Dopo due ore Aziraphale aveva ripetuto così tante volte e senza alcuna coerenza la parola Dio che all'ennesima eco Crowley non riuscì più a contenersi e scoppiò a ridere.

«Qualcosa di divertente, cara?» la fulminò con lo sguardo l'angelo.

La tata scosse il capo. Provò con tutta sé stessa a non dire niente, ma non fu in grado di mantenere un contegno. «Certo che Lei deve proprio avere a cuore questa tua missione»

Aziraphale, che era tornato a rivolgere l'attenzione al piccolo Warlock, si girò ancora verso di lei, confuso. Lanciò un preoccupatissimo sguardo in aria prima di sussurrare: «Come, prego?»

La rossa sperò che quella sua pausa sembrasse qualcosa di strategico per enfatizzare il punto del discorso e non come l'effettivo tentativo di non ridere. «Angelo, non ti ha ancora punito per tutte le volte che l'hai nominata invano. Se lo chiedi a me, stai rischiando parecchio. Per niente, tra l'altro». Crowley indicò Warlock con il palmo aperto. «Guardalo: ti sembra un bambino pronto a dire quello che vuoi?». Il ragazzino era intento a battere i palmi tra loro o sulla coperta, emettendo versi insensati e alte grida.

L'angelo le scoccò un'occhiata risentita: «Vuoi solo ostacolarmi»

«Non ho più successo di te, tranquillo» assicurò. «Voglio dire che non ha senso forzarlo così»

Le parve che Aziraphale stesse per darle ragione. «Ma il piano-»

«Che palle, angelo»

«Non davanti al bambino, Crowley!»

La tata inarcò un sopracciglio e ghignò, ma non ribatté su quello. «Non succede niente se per un giorno giochi con lui e la pianti con questa storia della prima parola»

Aziraphale la guardò stralunato. «Giocare con lui?». Il tono fu così sorpreso che Crowley temette di essersene uscita con una frase completamente diversa.

«Sì» fornì. «Divertiti. Lui non chiede altro, oggi. È stato tremendo tutto il giorno»

Era vero: l'aveva sfiancata con i suoi gridolini e i suoi pupazzi. Aveva in qualche modo capito che tirare un giocattolo lontano non lo faceva sparire e che l'avrebbe riavuto nel giro di pochi attimi, il tempo che Crowley lo recuperasse per piazzarglielo in mano. Questo l'aveva divertito tantissimo: ad ogni lancio Warlock aveva riso fino a scivolare di lato sui cuscini sparsi sul pavimento. Adesso non sembrava che la situazione fosse cambiata e Crowley sperava che qualcun altro si prendesse la briga di occuparsi di quel fagottino esagitato e vispo.

Aziraphale annuì ben poco entusiasta e con una faccia così terrorizzata che la tata non nascose il sorriso. «Che ti prende?» domandò tirando fuori dalla borsa il pupazzo di pezza di un orsacchiotto e una pallina di gomma.

L'angelo accettò l'orso con aria mortifera. «Nulla». Alla vista dell'orso, Warlock si animò: protese le mani verso il pupazzo e esclamò qualcosa nel suo linguaggio segreto. Crowley vide il panico sul volto dell'altro e sorrise più intensamente.

«Daglielo, angelo» lo guidò, annuendo per incoraggiarlo, scarsamente consapevole di aver addolcito il tono. «Forza»

Aziraphale eseguì e Crowley si scoprì teneramente divertita di fronte all'incapacità dell'amico di giocare con un bambino: faceva miracoli, accettava di salvare il mondo con lei e poi non era in grado di assecondare un ragazzino di nemmeno un anno? Era quasi poetico.

Warlock si ficcò subito in bocca un orecchio dell'orso, per poi prenderlo per la zampa superiore e sbatterlo sulla coperta, il tutto ridendo a crepapelle.

Crowley spiò, non vista, il volto di Aziraphale e poté scorgervi il principio di un sorriso. Gli toccò il gomito con l'indice per porgergli la palla. «Se la lancia, è tua responsabilità andarla a riprendere, sia chiaro»

Il biondo sbuffò, ma acconsentì, ignaro del fatto che avrebbe passato almeno un'ora a sperare che Warlock si stancasse di tirare quella sfera oltre la coperta, costringendolo ogni volta a fare esercizio fisico per star dietro al bambino. Crowley fu comunque felice di constatare che il sorriso non l'aveva più abbandonato.

«Non è stato così difficile, eh?» domandò retorica dopo quell'intensa sessione di gioco.

L'angelo le sorrise, forse inconsapevolmente. «Non è il mio campo» precisò. «Però è piuttosto piacevole, sì»

La rossa annuì e fece per dire qualcosa, ma si interruppe quando la pallina di Warlock le colpì la spalla.

«Basta così» esclamò Aziraphale, fermo e deciso, le sopracciglia alzate a mo' di avvertimento e la palla stretta tra le mani. La tata fece saettare lo sguardo dall'amico al bambino, sorpresa. Il ragazzino sembrò altrettanto stupefatto per un momento, ma poi cominciò di nuovo a ridacchiare.

«Questo è colpa della tua influenza» la rimbeccò il biondo. «Non è per niente pentito»

Crowley ghignò, ma cambiò immediatamente espressione quando sentì Warlock riaprire bocca.

«Ba-ba»

Si voltarono entrambi in tempo per sentire di nuovo lo stesso suono.

«Bababa»

Aziraphale gonfiò il petto, di colpo orgoglioso. «Questo, invece, è merito mio. Sarai d'accordo, immagino»

Crowley rilasciò un sospiro affranto: si chiese per un attimo cosa sarebbe successo se non avesse spinto l'angelo a giocare con il piccolo, ma decise che non ne valesse la pena.

«Non ti avvicina ugualmente al tuo obiettivo primario» fece notare stizzita. Stranamente quello non riuscì a togliere dalla faccia di Aziraphale l'espressione tronfia.

«È il cambiamento che conta, mia cara»

Crowley sibilò in risposta e non aggiunse altro, limitandosi ad incassare il colpo con finta dignità.


-


«Sa-ta-na»

Warlock le restituì un'occhiata che ebbe il potere di farla sentire un'idiota. Crowley gli porse un dito, che il bambino non si fece sfuggire: lo afferrò subito, curioso, pronto a riscoprirlo dopo quei cinque minuti in cui non l'aveva tenuto stretto tra le manine. La tata non poté fare a meno di sorridere con tenerezza e di prenderlo tra le braccia. Si sedette in poltrona, sistemando meglio il piccolo contro il proprio corpo in modo da poterlo guardare negli occhi mentre parlava.

«Riproviamo, d'accordo?» disse, disperata, eseguendo un veloce e furtivo movimento con la mancina per far apparire un sonaglio. «Sa-ta-na»

Warlock ci pensò su un attimo, ipnotizzato dalle campanelle del giocattolo, poi emise il suo nuovo versetto di battaglia: «Gaga»

«Non ti stai neanche impegnando» lo rimproverò, ma il bambino non parve essersene accorto: continuò a sorriderle con gioia e incoerenza. «Non è difficile, davvero» mentì.

Crowley sentiva di dover pareggiare i conti con l'angelo: che diamine, lui era riuscito a fargli dire una nuova combinazione di lettere e lei non era in grado di fare altrettanto? Già immaginava gli strabilianti progressi dell'altro mentre lei rimaneva indietro senza la possibilità di recuperare terreno.

«OK» assentì, definitiva. «Ultima volta, d'accordo?» Warlock sbatté le palpebre e Crowley lo prese per un sì. «A me basta anche solo Sa» provò, condiscendente. Forse convincerlo a dire una sillaba alla volta era la soluzione: magari Warlock si sarebbe sentito meno sotto pressione. Era lo stress a non farlo parlare, se ne convinse subito.

«Sa» ripeté, fiduciosa.

La tata osservò il visino del piccolo, attenta alle sue minime variazioni. Quando finalmente vide il cambiamento di espressione di Warlock, si sentì quasi mancare. Il bambino gonfiò le guance e strabuzzò gli occhi, come in preda a qualche sforzo.

«Bravo, bravissimo!» esclamò Crowley, incoraggiante. «Sa»

Warlock agitò le braccia e la tata seppe di essere vicina al suo personalissimo traguardo. Pensò di dover telefonare all'angelo in libreria, ma il suo cellulare non era nei paraggi, era in borsa: le bastava un gesto per far sentire in diretta quel sa ad Aziraphale.

«M... Ma-ma»

Crowley rimase con le dita unite in uno schiocco mai compiuto. La rossa schiuse le labbra, sorpresa.

«Come, scusa?» fece, sperando, in fondo, che Warlock potesse capirla.

«Ma-ma» ripeté il bimbo, battendo le mani. «Mam-ma»

La tata deglutì un paio di volte prima di accasciarsi con malagrazia contro i cuscini della poltrona, le iridi serpentine fisse sull'infante e la testa completamente vuota. Si accorse solo dopo qualche attimo di aver stretto Warlock più vicino.

Si costrinse a ragionare. Quella non era stata propriamente una parola, solo la stessa sillaba ripetuta due volte: che mamma fosse una parola di senso compiuto era solo un caso, lo sapeva. Questo, tuttavia, non cambiava i fatti: per un attimo, nel sentire quella parola, aveva trattenuto il respiro che non le serviva e aveva avvertito una fitta allo stomaco che poteva attribuire solo ad una forte emozione. Il problema era capire quale: felicità? Terrore? Sorpresa? Disprezzo? Tutte quante insieme? Crowley non ne aveva idea.

Guardò il bambino con curiosità. Non era stata una parola, ma, come le aveva detto Aziraphale, per gli umani era difficile separare i due momenti e Crowley aveva cominciato a capirlo senza troppa difficoltà già da molti giorni: sentì quasi di essersi appropriata indebitamente di un momento riservato a chi davvero faceva da madre al piccolo Warlock. Per un attimo pensò altezzosamente di essere un'eletta, come se il bambino avesse scelto di onorare lei di quel titolo e non Harriet.

Ma il momento durò poco: lo sprezzo scacciò via la vanità e Crowley distolse lo sguardo per non riversare sul piccolo tutta la sua delusione. Il pensiero corse a sua Madre, al ripudio delittuoso, al perdono che non le aveva concesso, alla condanna che le aveva inflitto, inesorabile e senza appello. Faceva ancora male quel suo dolore di creatura rinnegata, faceva male esserne consapevole, faceva male sentirlo vivo dentro di sé mentre le guidava le sensazioni, gli istinti e la mente, promettendo suadente di portarla nell'abisso di sé stessa.

Che Madre era una che faceva questo ai suoi figli? Che esempio era quella Madre? Che madre sarebbe stata lei, che non conosceva l'amore?

Per un attimo, uno solo, l'immagine di Aziraphale le si presentò alla mente, ma bastò che Warlock le si agitasse in grembo per farla svanire così come era venuta. Il bambino esibì di nuovo un sorriso largo e beato, sforzandosi contemporaneamente di raggiungere il sonaglio nella mano della tata, dimenticata sulle ginocchia del piccolo. Crowley ricordò vagamente l'avvertenza di non sottoporre il gioco a bambini di età inferiore ai tre anni e lo allontanò subito dalla portata di Warlock.

«No» disse semplicemente, incassando l'occhiata risentita che il bambino le regalò. Prima che potesse scoppiare a piangere, tuttavia, la tata fece dondolare una gamba, movimento che distrasse abilmente il piccolino, facendogli ritornare il sorriso. Crowley lo osservò per un po' prima di fermarsi ad assumere un'espressione estremamente seria.

«Non sono tua madre» mormorò, pacata. Warlock parve interessatissimo, come se avesse colto la gravità di quello che aveva sentito. «Non guardarmi in questo modo» lo rimbeccò e il bambino disse un solo ba. «Credimi: è meglio così»


-


Quella sera fu complicato recarsi da Aziraphale per discutere la questione, ma Crowley fu sufficientemente bravo da rimettersi in sesto per non mostrare niente al di là del necessario. Raccontò di quelle sillabe ripetute versandosi due dita di whisky ed eludendo qualsiasi tenerezza dell'angelo con la banale notazione di quanto ma-ma fosse lontano sia da Satana che da Dio.

«Ci stiamo impegnando per niente, Aziraphale» concluse con esasperazione.

L'angelo, tuttavia, lo sorprese. «Hai ragione» disse, ma con un sorriso che onestamente Crowley non avrebbe accompagnato ad un fallimento.

«Ti 'spiace elaborare?»

In tutta risposta, Aziraphale gli piazzò davanti una pila di libri, lasciandolo particolarmente dubbioso: non li avrebbe mai letti tutti, no davvero. Ma capì subito di non averne bisogno.

«Ho cominciato a leggere dei manuali sul linguaggio infantile» principiò infatti l'angelo, continuando a parlare di una serie di dettagli sull'apparato fonatorio che Crowley decise deliberatamente di non conservare nella memoria.

«Arriva al punto» sbraitò dopo un quarto d'ora ininterrotto di anatomia e psicologia.

«Il punto» fece Aziraphale irritato per essere stato interrotto mentre sciorinava la sua conoscenza, «è che il comportamento di Warlock sembra del tutto normale. Umano»

Crowley schiuse la bocca, ma non disse niente se non dopo qualche secondo. «Intendi dire che...» cominciò, ma con un inequivocabile cenno per invitare Aziraphale a chiudere la frase.

«Che il giovane Warlock sta seguendo uno sviluppo umano, senza alcuna componente straordinaria. È come se non fosse l'Anticristo per adesso, ma solo un essere umano come tutti gli altri. Altrimenti avrebbe già usato il potere delle parole, non credi? Sarebbe stato estremamente vantaggioso per lui procurarsi qualsiasi cosa con una sola parola o con un solo verso, eppure non l'ha fatto»

Crowley cominciò a comprendere. «Pensi che non sia ancora in grado di modificare la realtà e che questo accadrà più avanti, giusto?»

Aziraphale annuì, compiaciuto, e al demone parve di conoscere quello sguardo: era quello che gli riservava quando doveva metterlo all'angolo in qualche modo.

«Per adesso probabilmente è ancora un Adamo»

Crowley aggrottò la fronte, incerto, ma subito gli tornò alla mente la loro conversazione al pub. «Descrive il mondo» esplicitò, senza riuscire a nascondere il sorriso di fronte alla furbizia di Aziraphale: era ora certo che si fosse preparato quel riferimento molto prima di quella sera e che avesse atteso il momento giusto per rinfacciargli la deduzione che aveva fatto.

«Dunque... possiamo stare tranquilli» concluse con un certo ottimismo.

«Per ora, penso di sì». L'angelo sembrava davvero soddisfatto di sé.

Passarono qualche minuto in completo silenzio, metabolizzando quella nuova allettante ipotesi. Fu Aziraphale a parlare per primo.

«Mrs. Dowling sarà stata felicissima, immagino» osservò con un sorriso. «Be', Warlock non ha tecnicamente detto mamma, ha solo ripetuto la stessa sillaba, però deve essere stata comunque un'emozione per lei»

Crowley non pensò prima di rispondere: «Non ne ho idea, angelo»

Aziraphale parve confuso, ma all'improvviso capì. «L'ha detto a te!» esclamò.

Il demone sbuffò irritato, accavallando le gambe. «Hai appena finito di dire che è solo una sillaba ripetuta e adesso ti sorprendi? Andiamo!»

«Oh, Crowley»

Il rosso sussultò, allarmato dalla sfumatura dolce che il suo nome aveva assunto nel tono di Aziraphale. Era più bella quella parola quando l'angelo la pronunciava così, notò suo malgrado. «Chiudi la bocca» intimò senza rendersi conto di aver involontariamente confermato l'impressione che aveva fatto sull'amico. Il biondo, comunque, nascose in fretta il sorriso oltre l'orlo del suo bicchiere, ma da come continuava a guardarlo Crowley sapeva che non si sarebbe lasciato sfuggire l'occasione per infierire.

«È comunque molto tenero che l'abbia detto per la prima volta in tua presenza, caro»

Crowley roteò gli occhi al cielo. «Oh no no no no, angelo» cantilenò, il dito puntato contro Aziraphale a mo' di avvertimento. «Non dirlo nemmeno per scherzo»

Il biondo inclinò la testa di lato, poi sorrise. «Come vuoi» concesse, rifornendo i bicchieri di whisky e concedendogli una tregua, seppur breve, da quell'argomento. Non riuscì, infatti, a rimanere zitto per troppo tempo, ma almeno evitò di mettere Crowley nella condizione di andarsene preda dell'imbarazzo e della furia: capitava che Aziraphale si rivolgesse a lui come a una brava persona, ma sentirlo così entusiasta per il risvolto di quella situazione era terribilmente sconveniente.

Il demone gli fu, dunque, molto grato quando lo sentì parlare di cibo.

«Ti confesso che un po' mi dispiace per il Ritz»

Crowley lo osservò da dietro le lenti, divertito. «Possiamo andare comunque» propose con tono leggero, guadagnandosi un'occhiata particolare dall'angelo.

«Non ho vinto, vecchio mio» fece notare, rassegnato.

Crowley si strinse nelle spalle. «Nemmeno io. Questo non ti ha mai fermato dal cenare nei ristoranti alla moda, angelo»

Aziraphale sigillò le labbra in una linea sottile. «Trovo che la situazione sia diversa: doveva essere una ricompensa»

Il demone si stupì di vederlo ancora opporre resistenza. Si concentrò un momento prima di riprendere, sporgendosi sul tavolo con fare cospiratorio.

«Sai una cosa? Sono abbastanza sicuro che al Ritz si sia appena liberato un tavolo per due»

Aziraphale cambiò subito atteggiamento, ma ebbe almeno la decenza di fingersi sorpreso. «Oh, davvero? Be', se questo è il caso...»

Crowley ridacchiò per poi battere una mano sul bracciolo della poltrona. «Andiamo, angelo»

Il biondo annuì un ringraziamento nella sua direzione prima di precederlo con decisione fuori dalla libreria. Crowley lo seguì subito dopo con un sospiro, ripromettendosi che prima o poi sarebbe riuscito a dire di no al suo migliore amico.

Magari tra qualche millennio.








Note:

[1]“Don't be defeatist, dear, it's very middle class” (cit. Lady Violet Grantham – Downton Abbey)
[2]: Riferimento all'esempio dell'Adamo di Hume che è volto a dimostrare che l'esperienza e l'abitudine sono gli unici fattori della causalità.

Ho cercato di adattare il più possibile la situazione all'italiano senza creare incongruenze con l'ingelse. Volendo arrivare a “mamma” come prima parola (che non è propriamente tale, come dicono anche i personaggi, ma solo un effetto della lallazione), non ho fatto pronunciare le dentali a Warlock, perché altrimenti sarebbe uscito qualcosa come “da-da”, che per noi è solo un movimento artistico, ma in inglese è letteralmente il nostro “pa-pa”: Crowley a Aziraphale avrebbero dovuto prendere questa come prima parola perché siamo pur sempre a Londra. Per lo stesso motivo non ho mai accennato ad un “go” da parte di Warlock, perché sarebbe bastato aggiungere una dentale per fare Dio, cosa che avrebbe creato un notevole problema.

   
 
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