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Autore: Shiki Ryougi    31/10/2019    1 recensioni
Ciò che avevo sempre fatto nella vita era stato cadere.
Non fermandomi mai, avevo smesso di godere del tempo a mia disposizione.
Poi tutto si arrestò e non potetti più tornare indietro.
Quei canti udii in lontananza, quel sorriso vidi nel buio.
Quel dolore mi squarciò l’anima.
Fu solo oscurità alla fine.
In fondo a quel pozzo, nessuno venne a cercarmi.
Genere: Dark, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Racconto breve, quasi una forma di esercizio stilistico, nato per un contest a cui alla fine non ho partecipato.
Spero che possa essere di vostro gradimento.
Ha evidenti ispirazioni ai racconti di Lovecraft.
 
 
 
Nelle profondità

Ciò che avevo sempre fatto nella vita era stato cadere.
Non fermandomi mai, avevo smesso di godere del tempo a mia disposizione.
Poi tutto si arrestò e non potetti più tornare indietro.
Quei canti udii in lontananza, quel sorriso vidi nel buio.
Quel dolore mi squarciò l’anima.
Fu solo oscurità alla fine.
In fondo a quel pozzo, nessuno venne a cercarmi.

 
«Io non ho paura», sussurravo a me stesso mentre tremavo dal freddo, nel buio delle viscere della terra.
Il tatto e l’udito s’erano affinati a causa del terrore che volevo negarmi. Sentivo il vento ululare, infilandosi in quel buco nel terreno in cui ero caduto.
Un vecchio pozzo abbandonato si sarebbe trasformato nella mia tomba.
Il dolore che fino a poco fa aveva attanagliato ogni parte del mio corpo ora era stato intorpidito dal freddo. L’acqua mi arrivava fino alla vita e dava la sensazione di piccole lame che pian piano mi si infilzavano nel costato.
Era ironico pensare che per una vita intera avevo avuto un’istintiva paura dei pozzi; buchi neri che portano fin dentro agli inferi.
Tentai più volte di arrampicarmi sulle viscide pareti fatte di terra e pietra ma ciò che ottenni furono solo delle unghie spezzate, amarezza e molto dolore. Ormai non c’era più spazio nemmeno per la disperazione. Restava il vuoto a stringermi il petto.
A quel punto mi immersi totalmente nell’acqua, attendendo la morte in un vano tentativo di porre fine a quel tormento.
Ma aprii gli occhi e fu in quel momento che notai una fievole luce nell’oscurità; lontana e sfuocata ma abbastanza forte da accendere in me la voglia di scoprire di più; sotto l’acqua, nascosto dal buio, in un angolo, vi era un passaggio che avrebbe condotto chissà dove.
Dandomi una spinta con i piedi sulla parete del pozzo, mi inoltrai in quel tunnel.
Ero un buon nuotatore, capace di trattenere il fiato per molti minuti, quindi non mi preoccupai. Alla peggio sarei tornato indietro.
Nuotai per una quantità di tempo che parve infinito, ma la luce si fece sempre più vicina, fino a portarmi a riemergere.
Mi ci vollero alcuni istanti prima che gli occhi si abituassero alla luminosità soffusa di quel luogo. Il lasso di tempo di cecità mi parve lunghissimo ma alla fine riuscii a vedere chiaramente dove mi trovavo.
Si trattava di una catacomba antica, dove le pareti di pietra si alzavano per un paio di metri dal pavimento di marmo. Vecchie e impolverate ossa erano poggiate con cura nelle cucce scavate nel muro e ovunque erano accese delle torce per illuminare il cammino, che si perdeva a vista d’occhio nelle profondità della terra.
Non era un posto abbandonato, dunque e di certo avrebbe condotto a un’uscita; emersi totalmente dall’acqua che aveva invaso quell’ala dell’enorme tomba e cominciai a camminare lungo il corridoio.
Pian piano i dolori alle gambe e alle braccia tornarono a farsi sentire, poi mi accorsi di sanguinare dal cuoio capelluto; ero ridotto davvero male, nonostante avessi le forze per camminare e resistere al freddo che, fuori dall’acqua, con addosso i vestiti bagnati, era ancora più pungente.


All’improvviso, dopo diversi minuti di cammino e silenzio, udii delle voci in lontananza. Una cantilena si elevava lungo le pareti del tunnel che man mano, era sceso sempre di più in profondità.
Non vi erano più tombe, ma solo torce e colonne imponenti; cominciai a temere che trovare l’uscita non sarebbe stato così facile. Quel posto era un immenso labirinto: andando avanti notai molte altre strade e scalinate che portavano soltanto verso il basso. Io quindi mi limitai a proseguire in cerca di qualcosa che avrebbe potuto condurmi fuori, ma più avanzavo e minori erano le mie speranze.
Decisi di seguire quelle voci. Di certo sarebbero stati in grado di indicarmi un’uscita, oltre a ottenere qualche concreto aiuto di primo soccorso.
Forse ero finito sotto a un monastero o qualcosa del genere.
Rincuorato da quella idea, affrettai il passo, ignorando il dolore; avevo la possibilità di sopravvivere, sarei fuggito da quella terrificante esperienza.
Man mano che mi avvicinavo alla fonte del canto più le parole mi diventano chiare e mi resi conto di non conoscere la lingua che utilizzavano. La cosa mi rese inquieto e sospettoso, perché quelle parole risuonavano nella mia testa quasi come lamenti e pianti, piuttosto che preghiere e inni ai defunti.
Non avrei mai creduto che potessi cadere in un incubo peggiore; al suono di quei canti ogni pelo sulla mia pelle si rizzò e quasi smisi di respirare. Era una lingua abominevole le cui note mi perforavano le orecchie fino a farle quasi sanguinare.
Una paura primordiale, ancora più profonda e incessante si impossessò di me.
Non raggiunsi mai il luogo in cui quei devoti a qualche abominio cantavano le sue lodi. Mi misi a correre a perdifiato, inoltrando bivi a caso che sembravano intrecciarsi come in un complicato puzzle tridimensionale.
“Deve esserci un’uscita, deve esserci per forza”, mi dissi, sapendo però che se avessi voluto davvero fuggire da quel luogo sarei dovuto passare dove quegli adepti stavano compiendo i loro inni al male, quello vero, a ciò che non oseresti nemmeno sognare la notte.
Corsi senza prestare attenzione a dove andavo; ero in un loop di terrore. A ogni bivio prendevo una strada a caso ma ovunque andassi scendevo sempre di più verso il basso, nelle viscere della terra, dove qualcosa di orribile stava prendendo forma.
Avevo i polmoni in fiamme e ogni giuntura del corpo mi provocava immensi dolori, ma una forza inumana animava il mio cuore, che batteva all’impazzata; la paura era tale da annebbiarmi la mente e i sensi.
Quindi non mi resi conto, in un momento in cui correvo guardandomi indietro, di andare a sbattere la testa contro una porzione di soffitto più basso.
Caddi a terra mentre la mente mi esplodeva in un turbinio di colori.
 
Quando rinvenni, quasi non soffocai a causa dell’acqua mi stava entrando nella bocca semiaperta. Mi rizzai in piedi all’improvviso, capendo nel giro di alcuni secondi che ciò che era successo era stato solo un incubo dettato dal dolore e gli stenti.
Quante ore erano passate da quando ero caduto nel pozzo?
Impossibile dirlo.
Ma di certo era trascorso molto tempo.
Sicuro che sarei morto, cominciai a piangere senza remore. Era davvero una situazione pietosa ma nessuno era lì a guardarmi, se non forse Dio che doveva però avermi dimenticato per infliggermi una punizione del genere.
Iniziai a pregare sperando in un miracolo ma ciò che ottenni furono dei sussurri dalle pareti. Le parole erano incomprensibili ma subito mi insospettii, quindi mi immersi nell’acqua in cerca di quel tunnel che avevo sognato.
Cercai ininterrottamente per una manciata di minuti fino a quando qualcosa non mi afferrò la mano destra. Io dal terrore mi lasciai sfuggire tutta l’aria che avevo nei polmoni e iniziai a bere.
Soffocando, trattenuto sul fondo del pozzo, sentii quei canti malefici e vidi di nuovo la luce soffusa che però questa volta illuminava un abominio indefinibile, in cerca del suo prossimo sacrificio. La fessura che aveva per bocca era inarcata in un trionfale sorriso.
   
 
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