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Autore: Kim WinterNight    01/11/2019    9 recensioni
Everett, spinto da sentimenti inspiegabili nei confronti di Rachel, la segue come è abituato a fare da quando le ha messo gli occhi addosso.
Ma non sa che stavolta sarà diverso.
DAL TESTO:
Non aveva mai trovato il coraggio per rivolgerle la parola, lui non rivolgeva mai la parola a nessuno.
L’unica cosa che riusciva a fare era tampinarla e guardarla da lontano.
[UNDICESIMA CLASSIFICATA al contest “Il mio Babbo Natale segreto” indetto da Claire roxy sul forum di EFP - Scritta per AngelCruelty.]
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Bloody Souls'
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§ BLOODY WINGS §








Nascosto nella penombra del bosco, la osservava.
Era una creatura abbacinante, era difficile tenere lo sguardo fisso su di lei per troppo tempo, ma allo stesso tempo per Everett risultava impossibile non tracciare con gli occhi il profilo di quel corpo perfetto e luminoso.
Rachel era ferma, in piedi al centro della radura, gli occhi socchiusi e lo sguardo concentrato su qualcosa che il ragazzo non riusciva a focalizzare. Probabilmente non sapeva che lui si trovasse nei paraggi, Everett preferiva sempre mantenersi nell’ombra.
Non aveva mai trovato il coraggio per rivolgerle la parola, lui non rivolgeva mai la parola a nessuno.
L’unica cosa che riusciva a fare era tampinarla e guardarla da lontano.
In genere si era sempre mantenuto nei limiti del campus universitario, ma stavolta aveva deciso di spingersi oltre, di rischiare.
Non si era aspettato di infilarsi nel bosco e di camminare in mezzo agli alberi per minuti interminabili, facendo attenzione a non fare troppo rumore. Non voleva che lei lo scoprisse.
Everett non sapeva che cosa stesse facendo Rachel al centro di quella radura, con gli occhi spiritati e i palmi delle mani rivolti verso il cielo terso del primo pomeriggio. Ma ormai era lì, si era fatto avanti ed era intenzionato a scoprire le intenzioni della ragazza che tanto gli piaceva.
L’autunno era cominciato da alcune settimane e l’aria era pungente, Everett dovette trattenersi per non starnutire rumorosamente come suo solito. Sbatté le palpebre e continuò a tenere d’occhio Rachel.
Lei era ancora immobile, soltanto le sue labbra sottili avevano cominciato a muoversi piano, sussurrando parole che lui non era in grado di leggere da quella distanza.
Se si fosse trovato più vicino a lei, sarebbe stato perfettamente in grado di leggere il labiale. Era abituato a farlo.
Spostò lo sguardo sul suo fisico sinuoso, fasciato in abiti semplici e per niente aderenti. Rachel era così: non voleva mai attirare l’attenzione né farsi guardare, ma era talmente luminosa e ipnotica che per Everett risultava impossibile non notarla. Se ne era perdutamente innamorato fin dal primo giorno in cui aveva messo piede nel campus e i suoi occhi avevano incrociato per un istante le iridi smeraldine della giovane.
E poi l’aveva sentita cantare al concerto di apertura dell’anno accademico, con una voce da sirena che lo aveva incantato. Con quella voce che sapeva utilizzare così bene, che era dolce e aggressiva, cristallina e profonda.
Una voce che lui non possedeva.
Everett sobbalzò quando la ragazza abbassò di scatto le mani e afferrò fulminea il bordo del maglione verde oliva che indossava, sollevandolo senza alcuna esitazione.
Gli occhi del giovane si sgranarono nel rendersi conto che Rachel si trovava di fronte a lui con indosso un paio di jeans, delle sneakers e un semplice reggiseno nero. La sua pelle era talmente chiara e pallida da risultare evanescente, accarezzata dalle ciocche corvine e ricce che la brezza sospingeva disordinatamente.
Everett aveva paura che presto sarebbe svenuto, ma ciò che accadde poco dopo lo lasciò ancora più sgomento.
Rachel sollevò nuovamente i palmi verso il cielo, poi una smorfia di dolore distorse il suo viso delicato e dolce, facendola contorcere e piegare in avanti.
Il ragazzo avrebbe voluto gridare, ma lui non aveva mai gridato in vita sua. E avrebbe voluto saltare fuori dal suo nascondiglio, raggiungerla e assicurarsi che stesse bene. Non sopportava di vederla soffrire in quel modo, gli faceva male il cuore al solo pensiero che Rachel provasse tanto dolore.
Poi accadde tutto in una frazione di secondo: Everett si mise in piedi e fece alcuni passi avanti, ma subito si bloccò nel notare che qualcosa di surreale stava cambiando nel corpo di Rachel. Due ali bianche screziate di rosso si fecero largo dalle sue scapole, producendo un suono lacerante che ferì le orecchie del ragazzo e lo fece pietrificare in preda al terrore.
Allo stesso tempo, Everett era completamente rapito e affascinato da quello spettacolo che non poteva essere vero.
Le ali di Rachel si sollevarono maestose, lei le scosse per sgranchirle e sulle sue labbra si dipinse un sorriso, mentre un’espressione di sollievo si faceva strada sul suo viso imperlato di sudore. Doveva aver compiuto uno sforzo immane, era evidente.
Everett era sotto shock e non sapeva cosa fare. Forse sarebbe dovuto scappare via e dimenticare per sempre ciò che aveva visto, le mani gli tremavano e gli occhi gli bruciavano per la luce intensa che il corpo e le ali della giovane emanavano.
Fece per voltarsi, doveva assolutamente andarsene, aveva sbagliato a seguire Rachel fin lì.
«Everett.»
La voce cristallina di lei raggiunse i suoi timpani e li carezzò con dolcezza, facendolo sussultare sorpreso.
La guardò con cautela e notò che gli occhi color smeraldo di lei erano fissi su di lui, consapevoli della sua presenza nonostante fosse nascosto ancora nella penombra.
«Vieni» lo invitò con tono calmo.
Il ragazzo, attirato da una forza invisibile, cominciò ad avanzare con passo incerto nella sua direzione, senza riuscire a scostare lo sguardo da lei.
Si fermò a un paio di metri da Rachel e accennò alle sue ali con un lieve movimento del capo, il cuore che gli esplodeva prorompente nella cassa toracica.
«Mi hai scoperto.» Rachel sorrise appena, poi sollevò la mano sinistra e la portò a carezzare distrattamente l’ala destra. «Adesso dovrò ucciderti.»
Everett si portò una mano all’altezza del petto e la fissò allibito. In quel momento avrebbe voluto parlare, riuscire a parlare, per chiederle spiegazioni.
Se solo avesse dato retta alla logopedista, quando da bambino lo aveva spronato a non avere paura dei suoni inarticolati che fuoriuscivano dalle sue labbra. Se solo si fosse sforzato per tentare di esprimersi.
Invece Everett si era sempre vergognato della sua incapacità nel parlare come tutti gli altri, provocata da una sindrome rara a cui nessun medico era ancora riuscito a trovare un nome, una diagnosi e, soprattutto, una cura.
Così aveva preferito tacere, evitando che quei suoni orribili lasciassero la sua gola e si riversassero nelle orecchie di chi lo circondava. Aveva perfino dimenticato quale fosse la sua voce quando era bambino, e attualmente non aveva idea di quale timbro avesse assunto.
Erano almeno sedici anni che non apriva bocca.
In quel momento avrebbe voluto farlo, ma non ricordava più come muovere le labbra e come articolare le parole.
«Non hai niente da dire? Non hai paura?» gli chiese Rachel curiosa.
Everett scosse il capo e continuò a guardarla, poi fece qualche altro passo avanti e allungò la mano sinistra, sfiorandole appena la guancia. La pelle di lei era bollente, morbida e liscia come aveva sempre immaginato, e allo stesso tempo era mille volte meglio.
Se doveva morire, tanto valeva approfittarne per realizzare il suo sogno. Non aveva mai avuto il coraggio di avvicinarsi così tanto a lei, si sentiva ammaliato e intimidito allo stesso tempo.
Rachel sollevò il viso e lo scrutò attentamente. Everett era certo che lei non potesse trovare niente di speciale nel suo viso rotondetto, nei suoi occhi neri e anonimi, nella sua carnagione olivastra e nelle sue sopracciglia spesse.
Lei sorrise ancora e lasciò che lui le accarezzasse il viso.
«Perché non dici qualcosa?» domandò ancora Rachel.
Everett scosse appena il capo e fece scivolare le dita tra i ricci di lei, cauto, delicato, timoroso ma sicuro di sé. Voleva godersi i suoi ultimi istanti e voleva scoprire cosa significasse toccare Rachel e averla tra le braccia.
«Non parli proprio? Non ci avevo mai fatto caso. Non ho mai fatto caso a te» ammise lei. «Ti ho sottovalutato.»
Sulle labbra carnose di Everett si dipinse un sorriso spontaneo, intriso di amarezza. Lui era sempre stato invisibile per lei, ma in quel momento era divenuto talmente importante e pericoloso da volerlo uccidere.
«È che sono stata così stupida, Everett. Come ho fatto a non notarti prima?» Rachel sollevò una mano e sfiorò appena il suo viso, facendolo rabbrividire. «Devo ucciderti e non vorrei, sei un bel ragazzo e mi piacerebbe conoscerti. Ma adesso sai qualcosa che gli esseri umani non possono sapere, e io non posso fare altro. Non ho scelta.»
Lui annuì, ma non aveva paura. Il suo cuore batteva all’impazzata perché era accanto a Rachel, sarebbe sicuramente morto felice.
La prese per i fianchi e la attirò a sé, chinandosi a baciarla sulle labbra. Non sapeva neanche come si faceva, non aveva mai baciato nessuno, ma sentiva che era la cosa giusta.
Rachel non si ritrasse e ricambiò l’abbraccio, guidando quel bacio goffo e impacciato, insinuando la lingua all’interno della bocca di Everett e tenendolo premuto contro il suo corpo.
Il giovane si lasciò trasportare dalle emozioni, dal calore intenso che quel contatto gli provocava, dal desiderio febbrile che quell’angelo insanguinato scatenava in lui.
Affondò le dita tra i ricci di lei, tra le piume delle sue ali e le lasciò scivolare lungo i suoi fianchi generosi e morbidi. Non riusciva quasi a fermarsi, era completamente fuori controllo.
Rachel interruppe bruscamente il bacio ed entrambi si ritrovarono a respirare affannosamente.
Lei piegò la testa di lato e cercò lo sguardo di Everett. «Avrei voluto avere il tempo per conoscerti. E non credere che io non abbia paura.»
Il giovane sorrise rassicuramente e scosse il capo.
«Tu non hai paura? Sei un ragazzo davvero coraggioso. Io ne ho tanta, non ho mai ucciso una creatura splendida e innocente come te.»
Rachel posò la mano destra sul petto di Everett e continuò a guardarlo negli occhi, penetrandolo con le iridi smeraldine che si erano sciolte e scaldate come un placido lago bruciato dal sole cocente.
«Perché anche gli angeli a volte hanno paura della morte» sussurrò ancora la ragazza.
Poi si sporse nuovamente a baciare dolcemente Everett sulle labbra, mentre assaporava i suoi ultimi respiri.
Gli accarezzava i capelli lunghi e lisci con la mano sinistra, mentre con la destra esercitava una leggera pressione sul suo torace e risucchiava ogni sua forza, ogni sua cellula, ogni suo battito.
Lasciò crollare a terra il corpo esanime di Everett e si premette le mani sul viso. Avrebbe voluto strapparsi gli occhi e le labbra per cancellare il sapore di quel ragazzo e l’immagine del suo viso sorridente e dei suoi occhi scuri come la notte.
Pianse lacrime amare e colme di risentimento verso se stessa e, mentre spiccava il volo, le sue ali oscurarono per un attimo la piccola radura.
Rachel era una macchia rosso fuoco che si confondeva nel cielo terso.
Ormai del candore abbacinante delle sue ali era rimasto ben poco.
La ragazza che Everett aveva amato era morta con lui.








§ § §

Ciao e tutti e benvenuti nella mia prima storia originale a tema angeli e demoni!
Reduce da una long sovrannaturale su questo tema, nella categoria dei System Of A Down, ho voluto provare a scrivere ancora su degli OC un po’ particolari che mi sono venuti in mente.
Tutto questo nasce per il contest “Il mio Babbo Natale segreto”, ed è il mio regalo per AngelCruelty, anche se lei non lo ha saputo fino allo scarto dei ragali, eheheheh!
Spero veramente di aver azzeccato i suoi gusti e di aver creato un dono gradito e all'altezza! ;)
La frase che Rachel pronuncia, quella in corsivo, è tratta dal testo del brano “Torna a casa” dei Måneskin, che nella versione originale è “Perché anche gli angeli a volte han paura della morte”. Ho preferito modificarla un po’ per adattarla meglio al modo di parlare di Rachel!
Non mi resta che ringraziare chiunque voglia leggere e recensire questo racconto, ho bisogno del vostro parere e di consigli costruttivi, se ne avete da darmene ^^
Spero che Everett vi sia piaciuto, anche se è morto ç_ç però volevo spiegarvi da cosa è nato: un giorno ero in un bar con un’amica e un ragazzo con la Sindrome di Down è passato accanto a me. Cercava di parlare e comunicare con la sua accompagnatrice, ma gli veniva davvero difficile. Allora ho subito pensato che sia terribile non riuscire a esprimersi come si desidera, e allora mi è venuta l’ispirazione per creare un personaggio che rinunciasse per sempre a parlare pur di non far sentire i suoni inarticolati e difficili da controllare che emetteva.
Ovviamente è tutto molto drammatico e mi dispiace molto che Everett non abbia avuto il tempo per riscattarsi e imparare ad accettarsi e a esprimersi come poteva, ma la vita gli è stata avversa e si è ritrovato nel posto sbagliato al momento sbagliato ç_ç
Bene, la smetto, vi lascio e attendo i vostri pareri!
Alla prossima avventura ♥
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