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Autore: saitou catcher    03/11/2019    6 recensioni
"Erwin non pensa che sia amore."
[Erwin/Levi; Erwin! centric; qualche missing moment e una vagonata di angst; storia di Catcher]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Erwin non pensa che sia amore.
È già stato innamorato, e sa cosa si prova: il cuore che prende il volo nello spazio tra i polmoni, il respiro che si fa corto come dopo una lunga corsa, la mente che di notte si ferma ed insegue sogni dorati che alla luce del giorno torneranno di nuovo impossibili. Sa com'è essere innamorati, e non ha nulla a che vedere con tutto questo.
Nulla a che vedere con la durezza con cui le dita di Levi gli cingono il polso quando una spedizione è terminata ed entrambi si ritrovano vivi a dispetto di tutto, l'uno di fronte all'altro nel buio di una stanza; nulla a che vedere con labbra che gli si schiantano contro, divorandogli il viso, la mascella, la bocca, cercando il pulsare della giugulare, rincorrendo un calore che non somigli a quello della morte e del sangue. Levi non parla in quei momenti, ed Erwin non gli chiede di farlo; quando hai la testa piena di urla, il silenzio può essere un dono gradito.
Erwin non pensa che sia amore, ma è qualcosa: e, si dice a volte, sempre qualcosa di più di quanto gli spetterebbe.

La prima volta è stata strana e confusa e rabbiosa, come in genere è Levi, come l'inizio della loro storia: la prima volta è stata Levi che si gettava sulla bocca di Erwin come se sperasse di soffocargli il respiro in gola, Erwin che stringeva Levi abbastanza forte da spezzarlo, sapendo che non lo avrebbe fatto. La prima volta è stata quella in cui si sono resi conto che il terreno aveva ceduto sotto i loro piedi, e l'unico modo per ritardare la caduta era restare aggrappati l'uno all'altro, la volta in cui a Erwin è parso di vedere le ali di Levi fremere nell'oscurità e si è domandato come sarebbe stato riuscire a volare così in alto, senza catene fatte di cadaveri ad incatenarti al suolo.
(La prima volta è quella che avrebbero potuto dimenticare, se non ce ne fosse stata una seconda e una terza e una centesima- la volta in cui Erwin ha teso la mano e Levi l'ha afferrata ed entrambi hanno smesso di chiedersi se ci fosse qualcosa di giusto in tutto questo.)

Dal momento in cui si sono incontrati, Levi è stato un enigma. Erwin l'aveva visto librarsi al di sopra del terreno, nella bocca mefitica del Sottosuolo, grazia e leggerezza e ossa affilate come lame, più forte di chiunque altro avesse mai affrontato, e aveva deciso di volerlo, come da tempo si era rassegnato a volere una vita di sangue e domande a caccia di una verità che forse esiste solo nella sua testa. Le cose che potrei fare, se lo avessi al mio fianco, aveva pensato. Gli obiettivi che potrei raggiungere, se avessi quella forza.
L'aveva ottenuto, ma non nel modo che aveva immaginato: l'aveva tirato dalla sua parte con menzogne fatte d'aria, con una lama premuta contro la gola, con i cadaveri di due ragazzini che su quella forza avevano fatto affidamento prima di lui. Erwin ripensa a quel giorno, talvolta, e si chiede: sarebbe finita in un altro modo, se Isabel e Farlan non fossero morti? Avrebbero mai forgiato il primo anello di quella catena che li trattiene entrambi, lui e Levi, se non fosse stato per il sangue di quei due bambini?
(È una domanda stupida, lo sa. Tutto ciò che ha avuto nella sua vita è sempre passato per la morte di qualcun altro. Perché Levi dovrebbe fare eccezione?)

Potrebbero morire entrambi da un momento all'altro; questa è l'unica, amara certezza che ha costellato ogni loro incontro da quella prima volta, e forse è per questo che Erwin non l'ha fermato, quando Levi gli si è aggrappato come se temesse di vederlo sparire da un momento all'altro, quando il mondo intero è sparito, per lo spazio di qualche secondo, nel profumo del sapone e nella dolcezza inaspettata di una bocca abituata a vomitare insulti e rimproveri. Ed Erwin ricorda di aver pensato (prima della prima volta, quando fra loro non c'era stato ancora nient'altro che sguardi sospesi e ordini seguiti da assensi silenziosi): Non posso prendergli anche questo. Ho già avuto la sua forza, la sua lealtà, tutto quel che resta della sua esistenza. Non posso avere anche questo. Non ho niente da dargli in cambio.
Ma è un uomo egoista, lo è sempre stato- così prende quel che Levi gli offre, ogni volta come se fosse la prima, perché potrebbero morire da un momento all'altro, e ha bisogno di qualcuno che resti, qualcuno che sappia, qualcuno che lo conosca; qualcuno che lo guardi senza vedere fantasmi che gemono sotto ai suoi piedi e fiumi di sangue che si rapprendono tra le piume delle sue ali.

Non ha mai saputo cosa Levi vedesse in lui. Qualsiasi cosa fosse, doveva essere grande abbastanza, forte abbastanza, da pesare più di tutto il resto- più dei piani senza scopo apparente, più dei cadaveri che si accumulano in una montagna più alta di tre cerchie di mura, più dei sussurri che li tallonano entrambi e s'incollano alle loro schiene, ringhiando demoni, mostri, folli, assassini.
"Se c'è qualcuno che può sconfiggere i Giganti, quello sei tu" gli ha detto una volta Levi, ed Erwin si è sentito trafiggere da una staffilata gelida che era a metà tra rabbia e vergogna, perché cosa ha mai fatto per meritarsi una lealtà così totale, così completa?
Respinge in fondo alla gola le parole che gli bruciano sulla punta della lingua; rinchiude in un angolo oscuro della sua mente tutto che quello che dovrebbe dire e non dirà mai. E, oh, sono così tante le cose che potrebbe dire.
"Non credo di essere così insostituibile" è quello che dice, come se la cosa non gli importasse, come se ogni parte di lui non si stesse contorcendo al pensiero di tutto ciò che Levi gli ha dato, tutto ciò che Erwin ha preso senza averne il diritto.
"Lo sei" replica Levi, col tono piatto di chi sta facendo una constatazione. Erwin ingurgita sangue e bile dietro una maschera di marmo, e pensa: Non sperare che possa salvarvi. Non penso di poter salvare neanche me stesso.
Non sono neanche la metà dell'uomo che tu credi.


Certe volte, certi istanti, quando lo sguardo negli occhi di Levi diventa troppo da sopportare, desidera dirgli la verità. Prenderlo per le spalle, guardarlo in viso, lasciar cadere ogni barriera e rivelargli che non è per l'umanità che combatte, che non è la vittoria o la pace il sogno che sostiene i suoi passi, che da quando è entrato nel Corpo di Ricerca ha mentito e mentito e mentito: così bene che Levi ci ha creduto, così bene che a volte ci ha creduto pure lui.
(Levi non capirebbe. Anche se Erwin decidesse mai di spiegarglielo, Levi non capirebbe- e come potrebbe, quando talvolta nemmeno Erwin riesce a capirsi? A capire come si possa vivere la propria vita aggrappati ad una visione, ad un sogno, all'unico abbraccio che ti abbia mai fatto sentire amato e protetto; a capire come si possa rinunciare a tutto per una strada di sangue e scelte dannate; e se neanche lui è in grado di capirsi, o perdonarsi, come può pretendere che lo faccia Levi?)

Erwin ha visto Levi andare in pezzi più volte di quante ne riesca a contare. L'ha osservato inghiottire i nomi di Isabel e Farlan tra le lacrime ogni notte, incidersi nella memoria i gemiti e i frammenti di ogni soldato morto fuori dalle mura, trascorrere ore silenziose cercando di correre più veloce dei fantasmi della sua squadra- senza mai riuscirci.
Niente di tutto questo è bastato a distruggerlo. Ogni volta che Erwin ha temuto di vederlo arrivare al punto di rottura, in qualche modo Levi si è rialzato; il mondo gli ha strappato di dosso la carne a morsi, ma non è riuscito a fermargli il cuore. Anno dopo anno, morto dopo morto, Levi è rimasto aggrappato alla propria umanità con le unghie e con i denti- è un genere di coraggio che Erwin ha perduto anni fa, se mai l'ha avuto, e sa che non ha fatto niente per meritarsi che un cuore simile gli venisse posto tra le mani.

E' in piedi di fronte alla finestra della sua stanza, le mani intrecciate dietro la schiena, il mondo un'unica lastra di buio oltre il vetro. Sente, senza bisogno di girarsi, la presenza di Levi seduto sul letto, il suono quasi inudibile del suo respiro. Se questa fosse una notte come tante altre, la mente di Erwin sarebbe un succedersi senza riposo di piani, congetture, supposizioni- ma questa notte tutto quello che vede sono i resti spezzati degli uomini massacrati a Castel Utgard, e quando finalmente apre bocca per parlare, quello che si sente dire è "Credo che Mike sia morto."
L'istante stesso in cui le parole hanno lasciato le sue labbra, vorrebbe poterle riprenderle, negarle, ricacciarle indietro. Credo che Mike sia morto. Mike, che è stato la cosa più simile ad un fratello che Erwin abbia mai avuto, uno dei pochi ad averlo conosciuto quando ancora non c'era nessuna morte ad impietrirgli lo sguardo, che adesso lo guarda da sotto i suoi piedi, in cima a una torre di corpi devastati, ed Erwin vorrebbe solo poter distogliere lo sguardo e dire Non sono stato io.
Alle sue spalle, Levi si sposta leggermente, forse per dire qualcosa, ma Erwin non gli dà modo di farlo. Ci sono momenti in cui la capacità di Levi di allegerire il peso delle sue colpe è l'unica cosa a tenerlo in piedi. Stanotte, sarebbe solo sale su una ferita aperta.
"Se fosse ancora vivo, sarebbe già tornato" non sa perché sta parlando, sa solo che non riesce a fermarsi.  "Se fosse ancora vivo..."
Ma non lo è. Mike è morto, come Nanaba, come i suoi uomini, come suo padre, come chiunque gli abbia mai voluto bene e si sia fidato di lui- e se neanche questo riesce a fermarlo, che cosa lo farà?
Non si accorge che Levi gli si è avvicinato, finché non lo sente poggiargli la fronte tra le scapole. Una parte di Erwin vorrebbe allontanarsi, ma la mano di Levi si serra appena sul suo braccio e lo ferma lì dov'è. Non parla, ma non c'è bisogno che lo faccia; tutte le parole che potrebbe dire sono nel silenzio che li circonda.
Almeno tu, pensa Erwin. Almeno tu cerca di morire dopo di me.

Per Levi, è tutto così semplice. Se me lo chiedi, io lo farò. Se sei tu a dirlo, mi fiderò. È l'unica cosa di lui che Erwin non capirà mai, l'unico enigma che non sarà mai in grado di risolvere, ma forse la verità è che a questa domanda non vuole una risposta: in una parte buia e nascosta della sua mente, una in cui non va mai a guardare, Erwin ricorda come fosse fidarsi, credere, appoggiarsi a qualcuno in grado di tenere in equilibrio l'universo. Ha passato la vita a tentare di scrostarsi di dosso il sangue di suo padre, la persona che ha amato più di tutti, che ha tradito più di tutti, e ha giurato a sé stesso che non avrebbe più avuto bisogno di nessuno fino a quel punto, mai più.
(Ma di Levi ha bisogno; una necessità che non ha nulla a che vedere col desiderio, che a volte gli si gela tra il cuore e i polmoni fino a soffocarlo, che lo fa sentire debole e vulnerabile ed egoista, così egoista. Ha bisogno di Levi e dell'uomo in cui lui crede, ha bisogno della fede che vede divampargli negli occhi come argento liquido, quella fede che non merita e che si rifiuta di annegare nei laghi di sangue versato. Ha bisogno di Levi, e ha smesso da tempo di cercare una via per tornare indietro.)

L'ultima volta è strana e confusa e rabbiosa come è stata la prima; c'è lo spazio vuoto al posto del braccio destro di Erwin a rammentare ad entrambi che sono fatti di carne e sangue, che un morso è sufficiente ad ucciderli, che non c'è garanzia che riescano ad uscirne vivi. C'è lo sguardo di Levi che non si stacca un attimo dal suo viso come se stesse tentando di memorizzarlo, le sue mani che si muovono sul corpo di Erwin con una dolcezza disperata che non gli è usuale, una scintilla soffocata che chiude la gola di Erwin in un nodo bruciante. Ci sono le parole che si sono scambiati prima nell'ufficio, la richiesta di Levi e il rifiuto di Erwin, quel che si erge tra loro come un muro invalicabile. Dopo, rimangono in silenzio come tutte le altre volte, il battito dei loro cuori un bisbiglio gonfio di parole non dette nel buio attorno a loro.
Alla fine, è Levi a rompere il silenzio per primo, la mano stretta attorno al polso di Erwin come se stesse cercando di assorbire il pulsare del cuore nascosto nelle vene. "Hai paura?" domanda, e sanno entrambi cos'è che vorrebbe veramente chiedere, così come sanno che quella richiesta non troverà mai la via delle parole.
Nel buio, Erwin scuote appena la testa. "No" risponde calmo. Diventerà una menzogna soltanto più tardi, quando cavalcherà incontro alla morte con un fumogeno in mano e i resti dei suoi sogni infranti alle spalle. "In un modo o nell'altro, domani finirà tutto."
Le labbra di Levi si stringono, nei suoi occhi passa un lampo che non fa in tempo a celare, le sue dita s'imprimono nella pelle di Erwin con un'urgenza disperata che urla più di qualsiasi sfuriata o implorazione- e il dolore che s'irradia nel petto di Erwin, a quella vista, è più cocente di quello che ha provato sotto i pugni della Gendarmeria Centrale, più delle sue ossa sbriciolate dai denti di un Gigante. Non per la prima volta, desidera aver spezzato la catena che li lega prima che diventasse tanto stretta da renderli un'unica cosa. Sfila il polso dalla stretta di Levi per passargli leggermente le dita tra i capelli. "Mi dispiace" dice, ed è tutto quello che potrà mai offrire. Mi dispiace di averti trascinato fin qui con me, mi dispiace che tu debba rischiare di soffrire ancora dopo aver perduto così tanto, mi dispiace non essere abbastanza altruista da lasciarti andare, mi dispiace non essere mai stato l'uomo che tu vedi. "Mi dispiace, Levi."
Levi non gli chiede cosa intende.

(Vede Levi, prima che il sasso lo colpisca; prima che tutto sprofondi nel dolore e nel buio, nell'orrore della terra intrisa di sangue, lo vede dirigersi verso il Gigante Bestia, aggraziato ed implacabile come quel giorno nel Sottosuolo, e se avesse mai imparato ad avere fede in qualcosa, adesso pregherebbe per lui.)

(Vivrai. È il suo ultimo desiderio, la sua ultima richiesta, la sua ultima visione; l'ultimo frammento di un sogno mai nato. Almeno tu vivrai, e farai la cosa giusta. Lo farai per me.)


Follettini e follettine, ben arrivati fin qui!
Generalmente parlando, la simmetria e la precisione non fanno parte della mia vita, ma ho questa strana paturnia per cui, se scrivo di una coppia da un POV, poi ne devo scrivere pure dall'altro, e dato che vi siete già sorbiti le paturnie di Levi, adesso vi beccate quelle di Erwin;) cosa per cui non mi sento affatto in colpa, perché lui è Commander Handsome e le fanfiction su di lui non saranno mai abbastanza.
Lasciando da parte alle ciance, questa cosa è venuta di una lunghezza spropositata rispetto al piano originale, perché non ho il dono della sintesi e perché Erwin ha talmente tanti strati che non mi sento a posto con me stessa a sviscerarlo in poche righe. Ho cercato di esprimere la mia visione della Eruri dal punto di vista del Biondocrinito Comandante, e ho cercato di tenermi il più IC possibile, il che significa che ho evitato come la peste scene o pensieri troppo roseggianti, visto che la Erwin/Levi è una ship da cui il romanticismo zuccheroso andrebbe bandito senza indugi. Aldilà di tutto, che li si voglia vedere in coppia oppure no, credo non sia esagerato affermare che Erwin ha bisogno di Levi almeno quanto Levi ne ha di lui, forse in certi momenti persino di più- perché Levi vede l'uomo che Erwin vorrebbe essere, perché Levi è l'unico a cui Erwin sente di potersi mostrare persino nei suoi lati più riluttanti e meschini. Non è un caso che, a Shiganshina, nel suo momento più basso, sia a Levi che Erwin si affida per trovare il coraggio di fare la scelta giusta. La struttura della storia probabilmente può risultare un po' discontinua, ma si è trattato di una scelta voluta per rendere l'idea dei "frammenti" a cui si allude nel titolo (precisazione di cui non fregava niente a nessuno, ma intanto lo sapeteXD).
E niente, spero di avervi regalato qualche minuto di relax, e che vi vada di lasciare una parola o due di commento, anche solo per dirmi che dovrei piantare tutto e dedicarmi in todo alla coltivazione di prodotti ortofrutticoli.
Sayonara!
Catcher

 
  
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