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Autore: Menade Danzante    03/11/2019    3 recensioni
[Established Relationship | Post-Apoca-nope | Post-"Una settimana e un giorno" | Può essere letta anche senza conoscere le altre storie della serie: i pochi rimandi presenti compaiono in nota]
"La prima volta che li aveva indossati era stato a Roma. Non ricordava più cosa l'avesse spinto a nascondersi, se la vergogna di aver pianto di fronte alla morte di quell'innocente predicatore che gli aveva cambiato la vita o l'idea che quegli occhi fossero perfetti per Crawly e profondamente inadatti a Crowley. Il motivo, comunque, aveva perso importanza in pochi anni: il demone non li aveva più tolti, ma solo cambiati a seconda delle mode e degli stili. Non aveva più permesso a nessuno di vederlo senza schermi, di guardarlo negli occhi e leggerci dentro il desiderio di arrotolare il tempo per obbligare Dio a salvare suo Figlio o almeno i bambini dal Diluvio. Non l'aveva permesso nemmeno ad Aziraphale.
Crowley sbuffò, rigirandosi pigramente gli occhiali tra le mani: certo che aveva impedito all'angelo di guardarlo negli occhi! Che cosa avrebbe fatto il Principato se avesse scorto millenni addietro tutta l'abnegazione, tutta l'adorazione che Crowley, suo malgrado, si era ritrovato a provare per lui?"
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'How to cope with Apoca-nope and be happy'
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shades

Shades









Crowley aveva un impegno, quella mattina, un impegno a cui aveva cominciato a pensare qualche settimana prima, ma qualcosa continuava a trattenerlo in libreria più del dovuto. O meglio, qualcuno, e non era Aziraphale, ma una ragazzina di appena dieci anni a cui l'angelo aveva avuto la brillante idea di rivelare il suo nome. Il demone l'aveva vista trattenere la risata spontanea che le era salita alle labbra solo in virtù dell'occhiata lanciata alla madre, impegnata a curiosare tra una serie di polverosi volumi posti in una pila disperatamente pendente verso il suolo. La bambina, però, pur non potendo dimostrarsi maleducata, aveva trovato un modo diverso di giocare con il nome dell'angelo senza destare il minimo sospetto di derisione: sostenendo, infatti, con inoppugnabile logica che Aziraphale fosse troppo lungo, aveva cominciato a tirar fuori diminutivi di ogni sorta, distruggendo quel nome in tutta la sua estensione. Crowley si era accomodato su una sedia da ormai venti minuti per osservare la scena pressoché indisturbato, protetto dagli occhiali e sicuro che nemmeno Aziraphale fosse consapevole di essere sbirciato così da vicino. Certo, era difficile reprimere il ghigno quando le labbra dell'angelo si stiravano in una linea sottile, esasperata per l'insopportabile sfida della ragazzina, ma il demone si stava veramente impegnando a fare del suo meglio per non ridere, soprattutto quando il biondo faceva finta di non sentire gli insistenti richiami della piccola1.

Crowley ricordava ancora bene la logica con cui Aziraphale si era scagliato, una volta, contro la moda di abbreviare le parole in rete, su quei mezzi telefonici a cui mai nella vita il Principato si sarebbe avvicinato. «Che fretta hanno tutti quanti?» gli aveva detto l'angelo alla fine, diplomatico. «Che cosa devono fare di così urgente da non poter scrivere le parole per intero? Sul serio, mio caro, sono mortali e tutto quanto, lo capisco, ma non è un secondo risparmiato su quelle piazze virtuali che li salva dal loro destino». Crowley aveva riso, vinto dal ragionamento e dalla sprezzante schiettezza con cui era stato esposto. Lì, in libreria, capiva quanto il discorso si estendesse a tutti i campi della comunicazione, scritta o verbale che fosse, e soprattutto a tutte le parole.

Solo dopo un altro abbondante quarto d'ora il demone decise di essersi divertito abbastanza: l'angelo mostrava una maschera di imperturbabilità notevole, ma la perizia con cui voltava le pagine delle Opere Complete di Poe tradiva in realtà tutto il suo desiderio di utilizzare una di quelle storie come spunto per strangolare la piccina dopo l'ennesima storpiatura del suo nome.

«Aziraphale» scandì allora, lasciando scivolare fino all'angelo quella parola con melodiosa fluidità. Per il suo migliore amico, se ne rese subito conto, fu un balsamo: il Principato rilassò le spalle e alzò lo sguardo per cercarlo, un sorriso grato e luminoso a rendere più brillante la sua espressione.

Crowley avvertì la consueta fitta con cui ormai conviveva e non si stupì di percepirla più intensa quando Aziraphale ribatté un emozionato: «Sì, caro?»

Il demone capì di non essersi preparato un'adeguata domanda da proporre quando anche la ragazzina lo fissò con insolente irriverenza: era stata interrotta nella sua personalissima missione di erodere la pazienza del libraio solo per un'invocazione fine a sé stessa? Crowley sporse il labbro inferiore e scosse appena la testa: non c'era oggettivamente altro da aggiungere, Aziraphale diceva già tutto di per sé, non servivano superflui abbellimenti.

Il silenzio che seguì fu sufficiente perché la bambina sbuffasse e si incamminasse verso la madre, offesa per essere stata completamente dimenticata da entrambi.

«Grazie» fornì il biondo, dolce.

Il demone annuì, deglutendo a vuoto. «Molto maturo da parte tua» commentò per recuperare punti malvagità.

Ma Aziraphale sfoderò il suo miglior sorriso. «Oh, ma mio caro, credevo che fossi deliziato da questo gioco». Crowley alzò le sopracciglia. «L'avrei fatta smettere molto prima se solo avessi capito quanto ti stessi annoiando lì seduto a osservare»

Il demone boccheggiò in cerca di qualcosa di più pungente da dire, ma non trovò nulla che potesse eguagliare il colpo basso appena incassato.

«Bastardo esibizionista» disse soltanto, con l'unico effetto di far sorridere l'altro ancora più intensamente.

«Arrivederci, Mr. Fell» salutò la madre della ragazzina, interrompendo lo sguardo tra i due. Aziraphale sorrise affabile anche alla bimba, che in tutta risposta fece loro una linguaccia impertinente prima di chiudersi la porta alle spalle.

«Come sono bizzarri i giovani di oggi» commentò l'angelo con stucchevole casualità.

«Mm» fece Crowley. «I giovani sono sempre bizzarri, angelo». Prese un bel respiro prima di sentenziare: «E noi due siamo sempre più vecchi per capirli»

Il biondo si concentrò un momento prima di annuire con solennità. «Nella maniera più assoluta, mio caro»

Il demone, di fronte all'alterigia di Aziraphale, non poté fare altro che ghignare.



Si congedò dall'angelo un paio d'ore dopo, quando finalmente Aziraphale aveva deciso di smetterla di sfruttarlo per risistemare parte del piano di sopra, inaccessibile ai clienti ma ugualmente stracolmo di libri. Crowely non si era impegnato per capire il senso delle nuove disposizioni che gli venivano indicate dalla tromba della scala a chiocciola: aveva semplicemente eseguito, distribuendo tenui manate sulle copertine per scacciare via la polvere. La sua unica distrazione era stato il ricordo vivido del teatrino a cui aveva assistito e che di tanto in tanto lo aveva fatto ridere bonariamente. L'angelo era stato testardo, non c'era alcun dubbio in proposito, ma, mettendosi nei suoi panni, Crowley riteneva che si sarebbe comportato allo stesso modo, con lo stesso cipiglio arrogante e infantile, pur di far prevalere il suo nome intero.

Aziraphale.

Anche quando salì in macchina, lo fece con il nome dell'angelo nella mente e un ghigno stampato sulle labbra.

Crowley lo capiva. Lo capiva benissimo: solo una persona che aveva cambiato nome pur di sentirsi più appagata poteva comprendere davvero quanto anche una sola parola fosse così importante per definire la propria identità. Si era impegnato tanto per essere Crowley e di certo non avrebbe permesso ad una spocchiosa ragazzina di dieci anni di portargli via quel traguardo.

Il demone aveva sempre ritenuto buffo che a dargli la spinta definitiva per cambiare sé stesso fosse stato Gesù. Era successo qualcosa nel deserto, qualcosa che il vecchio Crawly non era riuscito a controllare e che lo aveva segnato. Quel figlio di un carpentiere che aveva rifiutato i regni degli uomini gli aveva dato un'alternativa e la forza di compiere una scelta che fin dalla Creazione aveva continuato a rimandare2.

A Crowley, le mani strette intorno al volante, pareva ancora di ricordare quanto si fosse sentito felice in quei tre anni: si era sentito libero, libero dal serpente, dall'Inferno, dal Giudizio di Dio. Era stato solo Crowley per tre spumeggianti anni, senza fardelli, senza colpe, senza catene. Se non fosse stato per la morte del Cristo, probabilmente non si sarebbe mai risvegliato da quel sogno bellissimo.

Il demone, ormai sufficientemente distante dalla libreria perché non ci fosse alcun pericolo di essere notato dall'angelo, spense il motore della Bentley sul ciglio della strada. Aprì il portaoggetti della macchina e tirò fuori tutti gli occhiali da sole che vi si erano accumulati nel corso dell'ultimo decennio, gettandoli sul sedile del passeggero. Non li contò, ma gli bastò uno sguardo per essere consapevole di una cosa: erano troppi. Si sfilò anche quelli che teneva piantati sul naso e incontrò il suo stesso sguardo nello specchietto retrovisore: non fece smorfie di disgusto, né batté le palpebre per scacciare via quella visione. Si osservò per un po', pensieroso, scrutando il giallo vivo e le fessure verticali che aveva come pupille. Strinse appena l'asta degli occhiali che aveva tra le mani prima di tornare a guardarli.

La prima volta che li aveva indossati era stato a Roma3. Non ricordava più cosa l'avesse spinto a nascondersi, se la vergogna di aver pianto di fronte alla morte di quell'innocente predicatore che gli aveva cambiato la vita o l'idea che quegli occhi fossero perfetti per Crawly e profondamente inadatti a Crowley. Il motivo, comunque, aveva perso importanza in pochi anni: il demone non li aveva più tolti, ma solo cambiati a seconda delle mode e degli stili. Non aveva più permesso a nessuno di vederlo senza schermi, di guardarlo negli occhi e leggerci dentro il desiderio di arrotolare il tempo per obbligare Dio a salvare suo Figlio o almeno i bambini dal Diluvio. Non l'aveva permesso nemmeno ad Aziraphale.

Crowley sbuffò, rigirandosi pigramente gli occhiali tra le mani: certo che aveva impedito all'angelo di guardarlo negli occhi! Che cosa avrebbe fatto il Principato se avesse scorto millenni addietro tutta l'abnegazione, tutta l'adorazione che Crowley, suo malgrado, si era ritrovato a provare per lui?

Il demone aveva creduto di aver avuto la risposta corretta per tutta la sua permanenza sulla Terra: Aziraphale l'avrebbe rifiutato e allontanato perché loro erano un angelo e un demone, incompatibili per definizione, e Crowley non aveva voluto che accadesse: aveva sempre saputo che, se Aziraphale l'avesse scacciato via, avrebbe perso tutto, tutto, niente avrebbe avuto più senso per lui, nemmeno la vita.

Ma il demone sorrise involontariamente: qualcosa era cambiato durante l'Apocalisse-mai-avvenuta, loro erano cambiati e l'angelo l'aveva spiazzato. Era passato dalla loro parte, aveva scelto lui, preferendolo al Paradiso.

Questo lo aveva fatto riflettere parecchio un paio di giorni dopo che il mondo non era finito. Aziraphale aveva rinunciato ai suoi pregiudizi, alla paura, all'orgoglio, aveva sfidato Satana e Dio, Gabriel e Beelzebub e tutto questo per lui, per loro. Il calore che il coraggio del suo migliore amico aveva scaturito in Crowley l'aveva terrorizzato e appagato al tempo stesso. Non sapeva se Aziraphale si fosse reso conto di quanta gioia gli avesse regalato e di quanto lo avesse spaventato, ma non importava: il demone aveva sentito di doverlo ripagare, in qualche modo, della fiducia che aveva dimostrato nei suoi confronti, di affidarglisi a sua volta.

Aveva passato una giornata intera4 a pensare a un modo per dimostrare ad Aziraphale quanto la sua scelta fosse stata apprezzata, ed era tornato dal suo angelo con la tacita promessa di usare sempre meno quegli occhiali che lo avevano vestito per duemila anni più di qualsiasi indumento che gli umani fossero stati in grado di fabbricare. Si era sentito vulnerabile, esposto, nudo, ma Aziraphale era stato buono con lui, non aveva fatto pressioni, non aveva insistito: gli era scivolato dentro casa con la stessa naturalezza con cui, poco a poco, Crowley aveva rinunciato a quello scudo di plastica nera, fino a disfarsene quasi completamente da quando l'angelo l'aveva baciato a St. James's Park5.

Il demone rilasciò un sospiro rilassato e si azzardò ad incontrare di nuovo il suo sguardo nello specchietto. Doveva ammettere che ancora un po' si odiava per quelle scintille di tenerezza che riusciva a vedere nelle sue iridi animalesche, ma ad Aziraphale piacevano. Non che glielo avesse mai detto apertamente, ma Crowley lo capiva dal modo in cui ricambiava il suo sguardo quando non indossava gli occhiali. Il demone sospettava che l'angelo lo ricercasse più spesso di quanto avesse mai fatto da quando l'aveva conosciuto per recuperare tutte le volte in cui non aveva potuto guardarlo propriamente negli occhi.

Crowley non sapeva come, ma in qualche modo la percezione di Aziraphale aveva cambiato anche la sua, gli aveva dato il coraggio di fronteggiarsi a viso aperto, di scoprirsi, di accettarsi. Crowley era certo di non aver completato il suo percorso fino in fondo, sentiva le zone oscure di sé, quelle che ricacciava indietro nella memoria, gravargli ancora addosso, ma un'altra certezza si era insinuata in lui, più forte e più allettante di qualsiasi richiamo della paura: non era solo, non lo sarebbe stato mai più perché con lui c'era Aziraphale. Aveva passato millenni a convincersi di non meritare lui, di non meritare l'amore, ma l'angelo aveva fatto vacillare quella convinzione, fin quasi a spezzarla del tutto.

Mano a mano che questa consapevolezza aveva preso corpo in lui, Crowley si era deciso a fare per l'angelo qualcosa di molto più eclatante di una nuova abitudine, qualcosa di simbolico, una promessa concreta con cui affidarsi completamente ad Aziraphale: voleva permettere all'angelo di prendere le sue debolezze e trasformarle in qualcosa di nuovo.

Si lasciò sfuggire un lieve ghigno prima di decidersi a muoversi: schioccò le dita e gli occhiali sul sedile del passeggero sparirono alla vista, diligentemente sezionati perché le loro parti raggiungessero i contenitori dedicati alla loro raccolta. Smontò dalla Bentley con trepidante agilità, ancheggiando verso la prima ottica che incontrò sul suo cammino. Avrebbe potuto fare da solo con un miracolino demoniaco, ma ad Aziraphale piacevano gli umani operosi e Crowley non aveva alcuna intenzione di farsi rinfacciare quel particolare.

«Buongiorno» si annunciò ad alta voce, avanzando verso il bancone per poggiarvi sopra gli occhiali da sole che aveva conservato in mano. «È possibile sostituire le lenti e farli diventare occhiali da lettura?»



Aziraphale gli aveva telefonato dalla libreria qualche ora dopo per dirgli che sarebbe tornato a casa da solo perché aveva delle commissioni da svolgere. Crowley sapeva bene cosa significasse quella frase: quella mattina in macchina aveva adocchiato una nuova pasticceria sulla via e il rosso sospettava che sarebbe entrato per dare una sbirciatina e capire se valesse la pena trascinarci anche lui. Questo aveva permesso al demone di posizionare il pacchettino bianco con coccarda blu sulla poltrona dell'angelo e di dedicarsi ad un'attività in grado di farlo rilassare un po'. Aveva infatti cominciato ad avvertire il peso della scelta che aveva fatto e il suo cervello gli aveva gentilmente proposto l'idea che Aziraphale avrebbe potuto non comprendere il regalo. Aveva scacciato subito quella possibilità, conscio di star facendo un torto al suo angelo, ma questo non aveva del tutto mitigato la sua preoccupazione e di certo continuare a lanciare sguardi ossessivi all'orologio da polso non lo aveva poi aiutato granché.

Alla fine aveva optato per un piano d'azione alquanto banale: un bagno rilassante. Agli umani piaceva tanto, lo sapeva. Era quasi proverbiale l'idea di doversi lavare con acqua calda per ore al solo fine di distendere i nervi. Crowley non ne aveva mai visto davvero i benefici, ma se non altro gli piaceva l'acqua bollente.

Doveva ammettere che, una volta sprofondato nella vasca, il piacevole massaggio dell'acqua lo aveva persuaso di aver fatto la scelta più giusta per impiegare l'attesa. Il profumo dei sali l'aveva distratto, gli aveva impedito di lambiccarsi nella previsione della futura conversazione con Aziraphale - perché sapeva che l'angelo avrebbe voluto comunicare, in un modo o nell'altro, ma mentre giocava pigramente con l'acqua Crowley aveva deciso di poter rimandare il problema a dopo e di potersi addirittura concedere un pisolino.

Fu l'apertura improvvisa della porta del bagno a riportarlo bruscamente alla realtà.

Crowley gettò un rapido sguardo alla vasca e fu lieto di trovarne la superficie completamente ricoperta di schiuma. Quello era un effetto collaterale della sua lunghissima permanenza sulla Terra: pur non avendo alcun organo da nascondere6, Crowley aveva sviluppato un senso del pudore tutto umano che in quel momento, preso alla sprovvista, lo fece arrossire. Fu grato di aver riscaldato l'ambiente e di poter attribuire a quello l'imbarazzo.

«Non c'è più privacy in questa casa» disse con un tono falsamente risentito, rannicchiandosi a gambe incrociate. «Non si bussa più, eh? Che maledu-»

Non finì la parola perché Aziraphale si era rapidamente inginocchiato al bordo della vasca. Crowley notò che aveva gli occhi lucidi.

«Più vicino» pregò l'angelo, invitandolo con la mano a staccarsi dal centro e a raggiungerlo. Il demone obbedì senza prevedere quello che sarebbe accaduto. Aziraphale, infatti, sorrise e gli prese il volto tra le mani a coppa in un gesto che a Crowley parve quasi blasfemo. Si sentì sacro e perfetto per quel tocco così gentile e allo stesso tempo appassionato, ma non ebbe modo di spaventarsene: vide l'angelo annullare la distanza tra loro, ma quando le labbra dell'altro cercarono le sue palpebre al posto della bocca, Crowley capì quello che era successo: il Principato aveva trovato il pacchetto e soprattutto aveva compreso. Avvertì l'acqua strabordare mentre estraeva velocemente un braccio per aggrapparsi alla spalla di Aziraphale per bilanciarsi e per confermare a sé stesso che fosse tutto vero, tutto reale.

L'angelo gli baciò prima un occhio e poi l'altro facendolo tremare, ma Crowley non si ritrasse. Lo lasciò fare trattenendo la voglia di ridere e piangere contemporaneamente e pensando che, se il suo involucro umano avesse avuto un cuore, probabilmente gli sarebbe esploso nella gabbia toracica per la morbidezza con cui il suo volto veniva sfiorato. Il demone inspirò a fondo, percepì l'odore dell'angelo mescolarsi a quello dei sali da bagno e si sentì al sicuro, felice.

Quando l'angelo si staccò, gli rimase molto vicino, gli occhi commossi e un sorriso appassionato sulle labbra.

Crowley non riuscì a parlare. Scrutò il volto dell'altro quasi con frenesia, cercando di decifrarne tutte le emozioni. La sua mente, però, scelse proprio quell'istante per soffermarsi su un particolare del tutto irrilevante: la bocca di Aziraphale, quella stessa bocca che aveva osato baciare le sue iridi da serpente tentatore, la prova ultima della sua natura demoniaca, era imperlata di goccioline d'acqua. Crowley ne fu incoerentemente infastidito: le labbra dell'angelo non meritavano di essere disturbate da imperfezioni, dovevano essere pure.

Aggrottò la fronte prima di staccare le dita dalla spalla dell'altro e passare il pollice sul labbro inferiore di Aziraphale per ripulirlo da quelle macchie trasparenti. Dopo averlo fatto si accorse di aver scioccamente peggiorato la situazione: la sua mano bagnata aveva lasciato ulteriori gocce sulla bocca dell'angelo.

Fu Aziraphale il primo a ridere della confusione di Crowley. Il demone ammise a sé stesso di essere un idiota, e l'idea lo fece ridacchiare a sua volta, conscio che probabilmente l'altro lo stesse stesse definendo adorabile nella sua testa.

«Scusa» fornì.

L'angelo lo ignorò. «Sono orgoglioso di te» disse, invece, la voce rotta dall'emozione. «Così orgoglioso, mio caro. Così felice. Sono qui con te, sempre»

Crowley fu grato che il Principato non avesse atteso alcuna risposta per accarezzargli la guancia con movimenti leggeri: il demone non credeva di essere nelle condizioni per poter articolare suoni di senso compiuto, non dopo quelle dichiarazioni. Senza rendersene conto, si abbandonò contro la mano di Aziraphale, cercandolo come per istinto; si lasciò cullare dall'altro e gli permise di sfiorargli le palpebre ogni volta che l'avesse desiderato, perfino di mormorargli parole di stima e affetto senza protestare, senza rifiutarle. Sarebbe tornato tutto alla normalità già l'indomani, quando Crowley avrebbe reclamato a gran voce il suo demoniaco ascendente nella coppia, ma in quel momento non desiderava altro che essere vezzeggiato dall'unica entità che l'avesse mai trattato alla pari, che avesse mai deciso di accoglierlo, di accettarlo, di amarlo: Aziraphale sapeva che con quegli occhiali il demone gli aveva affidato tutta la sua fragilità e aveva stabilito che l'avrebbe sopportata e affrontata insieme a lui con coraggio e dedizione.

Insieme.

Crowley sarebbe rimasto in quella posizione per tutta l'eternità, a contemplare il suo mondo fatto di Aziraphale, ma quando il suo corpo si ritrovò a rabbrividire non per effetto della voce e del tocco dell'angelo fu costretto ad accorgersi di un fatto più che evidente: l'acqua nella vasca era diventata fredda e il suo involucro aveva reagito come quello di un qualsiasi essere umano, spezzando goffamente l'incantesimo che li aveva legati.

«Oh Santo Cielo» esclamò l'angelo, gettando per la prima volta da quando era entrato uno sguardo alla superficie dell'acqua. «Starai congelando, mio caro ragazzo»

Crowley scrollò le spalle con il solo risultato di procurarsi una nuova scarica di brividi. «È tutto a posto, angelo»

Aziraphale sorrise e si sporse per baciarlo un'ultima volta sugli occhi. «No che non lo è. Ti aspetto in sala, d'accordo?»

Il demone sbuffò, ma annuì, accontentandosi di seguire l'angelo con lo sguardo mentre usciva dal bagno. Si prese solo qualche attimo per recuperare la lucidità di alzarsi dalla vasca senza scivolare e morire discorporato. Non impiegò troppo tempo ad asciugarsi e a rivestirsi per raggiungere Aziraphale e, quando lo vide seduto in poltrona ad attenderlo per leggere alle piante, Crowley non poté fare altro che sorridere: indossava i suoi nuovi insoliti occhiali da lettura.

«Ti sono piaciuti, allora» commentò, avvicinandosi per capire come incastrarsi stavolta tra il corpo dell'angelo e i soffici cuscini della poltrona. Fu piuttosto soddisfatto del risultato quando riuscì ad allacciarsi ad Aziraphale senza perforargli la schiena con il ginocchio, avvertendolo rilassato contro di sé.

«Mi hai sorpreso, Crowley» rivelò l'angelo conclusa l'operazione di assestamento.

«Ed è una cosa... buona?»

Aziraphale ridacchiò. «Magnifica»

Il demone si lasciò andare ad un ghigno compiaciuto prima di picchiettare l'indice sull'asta degli occhiali. Avrebbe voluto fargli un complimento, dirgli che gli stavano bene e che con quella forma gli davano l'aria del più incallito dei bibliofili, ma non disse nulla di tutto ciò: Aziraphale ne era già sufficientemente consapevole. «Grazie, angelo» soffiò, invece, sicuro che i suoi occhi tradissero una tacita, fondamentale verità: se Crowley aveva trovato la forza di cominciare ad abbattere il muro che lo aveva sempre separato dagli altri e da sé stesso era merito di Aziraphale. Il minimo che potesse fare nei suoi confronti era mostrargli riconoscenza.

«Non c'è di che, caro»

L'angelo si abbandonò contro la sua spalla per qualche minuto prima di decidersi ad avviare la lettura e Crowley in qualche modo seppe che, se non fosse stato per il desiderio provare i suoi nuovi occhiali, probabilmente Aziraphale avrebbe continuato a guardarlo negli occhi per tutto il resto della giornata e oltre.

Suo malgrado, sorrise.










Note:

[1]: Headcanon che fa riferimento a un post di Tumblr che io ho visto su Instagram. Da pc ho problemi ad aprire il link (che, però, funziona da cellulare...), perciò lascio il collegamento allo screen per accreditare comunque la fonte: qui
[2]: Nel libro, quando Crawly incontra Aziraphale sul muro di cinta dell'Eden, pensa di voler cambiare nome perché non lo rappresenta. Nella serie cambia nome nel 33 d.C., dunque devono passare più di quattromila anni prima di avere Crowley.
[3]: Nerone, secondo Plinio il Vecchio, utilizzava degli smeraldi per assistere alle lotte di gladiatori. La scena ambientata nel 41 d.C. nella serie precede di poco (13 anni) il governo di Nerone, non ho trovato informazioni precedenti che giustificassero la montatura che indossa Crowley, quindi mi sono limitata ad assumere, in accordo con quanto mostrato nella serie, che esistessero meccanismi del genere anche prima. Per parlare di veri e propri occhiali da sole dobbiamo aspettare il Cinquecento, ma comunque già dalla preistoria esistevano degli oggetti utilizzati per schermare il sole.
[4]: Riferimento al capitolo “Martedì-Mercoledì” di “Una settimana e un giorno” in cui Crowley aveva detto di aver dormito quel martedì. Falso, ovviamente! Solo Aziraphale ci ha creduto.
[5]: Riferimento al capitolo finale di “Una settimana e un giorno”.
[6]: Come viene simpaticamente specificato nel libro, gli angeli (caduti o meno) sono asessuati.

   
 
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