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Autore: Dregova Tencligno    05/11/2019    1 recensioni
Un dilemma all'apparenza senza risposta. Come agire e rimanere uomo?
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’enigma di Víðarr 
 
 
 
 Guardava fisso l’estraneo che lo ricambiava dall’altra parte dello specchio, nel mondo in cui la sinistra era destra, la destra sinistra, e in cui, sperava, il mondo fosse migliore rispetto alla parte in cui viveva lui. Ma era una misera presa in giro, come solo in quel momento di solitudine poteva fare, perché fuori dalla porta del bagno i mostri, e quel mostro in particolare, non attendevano che un momento di debolezza per fargli il culo, rompergli la testa contro le mattonelle e prendersi gioco del cadavere che sarebbe imputridito lì, senza che qualcuno osasse alzare una falange per raschiare via con una spatola la macchia unticcia che di lui sarebbe rimasto.
Il mondo faceva schifo. Un concetto che aveva chiaro da quasi diciotto anni, da quando, secondo la morale che gli aveva inculcato la sua famiglia, aveva preso a discriminare cosa fosse buono e cosa e no, individuando la zona d’ombra in cui la maggior parte degli esseri umani, compreso lui stesso, viveva. Una zona abbastanza tranquilla, fino a quando, almeno, i popoli provenienti dagli estremi non decidevano di intorbidire le acque con discorsi magnanimi e frecciate disgustose.
Il mondo faceva schifo e valeva la pena vederlo bruciare, e il mondo al di là dello specchio non faceva eccezioni. Era solo una copia capovolta che gli mostrava un paesaggio in cui già viveva e già conosceva come le tasche dei suoi pantaloni, e per questo non voleva metterci piede. Un mondo schifoso era sempre meglio di due mondi schifosi in cui vivere.
Si guardava allo specchio e l’unica cosa che vedeva era il castano scuro degli occhi, mitigato, come colore, dalle luci delle lampadine gialle e ronzanti appese alla cornice dello specchio, e come frutti della conoscenza mettevano ben in risalto l’espressione tagliente che dedicava a sé stesso, quando, invece, avrebbe voluto lanciare alla creatura che abitava nel suo stesso mondo, e molto più vicino di quanto desiderasse. Solo che non poteva mica compiere un omicidio, per quanto facesse schifo la sua vita, non aveva senso peggiorarla. Anche se, nei momenti di piena sincerità con sé stesso, talmente rari da potersi contare sulle dita in suo possesso, e forse nemmeno così rari visto che per la volta successiva avrebbe avuto necessità di una mano in più, e già era alla ricerca del fortunato prestatore, si chiedeva se l’omicidio fosse poi così macabro come atto da prendere in considerazione. Nella parte del mondo in cui viveva non esisteva la pena di morte, e rimanere relegato a vita in una stanza in un carcere di massima sicurezza vita natural durante non era poi una cattiva idea. Non avrebbe visto nessuno, nemmeno al momento della morte. Cieco, per natura.
Che pensiero soave.
Ma non avrebbe mai commesso quell’atto contro natura. Poteva essere tante cose, ma non un assassino o un pervertito. L’unica perversione che aveva era la voglia di leggere fino alla morte e di buttare i suoi pensieri su un pezzo di carta o su uno schermo brillante. Erano atti intimi che gli permettevano di essere sincero e libero, momenti in cui poteva rilassarsi senza le voci cacofoniche del mondo che lo circondava.
 
Era nudo nel bagno, gocce d’acqua gli scendevano lungo il corpo, incastrandosi tra i peli che, bagnati, sembravano scure schegge di luce, provenienti da chissà quale universo parallelo. Nudo era indifeso, o, almeno, avrebbe dovuto sentirsi tale, ma in quel momento di solitudine, nonostante la nudità offerta a sé stesso attraverso lo specchio e agli occhi dell’altro sé nello specchio, si sentiva potente. Non c’entrava nulla il senso di potenza data dai caratteri maschili che possedeva, come qualcuno potrebbe pensare, malpensante, ma proprio dalla solitudine in cui era immerso in cui poteva accettare il suo fisico, lontano dall’essere attraente nei canoni che il mondo dettava, e trovarsi discreto.
Narcisista? Lo era per sopravvivere.
Vittima? Lo era suo malgrado.
In qualche modo doveva proteggersi e curare le ferite che il mondo gli infieriva con passione. Quindi, nei momenti di solitudine, in cui la sincerità faceva da padrone, si soffermava a proclamare dolci parole rivolte al sé dell’altro mondo, malcapitato come lui sulla faccia di mondi schifosi. Costruendo armature che l’avrebbero aiutato a sostenere altri attacchi.
Forte anche da solo.
 
Ma questa volta non era l’accettazione, o la più poetica resilienza, ad averlo portato a ricercare il silenzio, a fuggire dal mondo schifoso che lo aspettava dietro una porta di legno che un calcio ben assestato, e anche no, avrebbe scardinato.
 
Era la rabbia.
 
Era il rancore.
 
Nella sua vita era stato tante cose, non era pulito e lo sapeva, lo diceva liberamente. Ma essere accusato di pensieri che non erano suoi lo mandava su tutte le furie, alterandogli la vista e solleticandogli il coraggio di prendere la testa del mostro e di schiacciarla tra due sassi.
Se non fosse che la merda schizza, lo farebbe. E tanti saluti al non essere un assassino. Ma avrebbe conservato ancora l’integrità che le calunnie minavano.
 
Mostro, mostro. Credeva veramente di essere migliore? Sconfinatamente immerso nella sua ipocrisia?
 
Mostro, mostro. Credeva veramente che le parole non avessero un peso? Aveva parlato, in maniera poco saggia, a uno scrittore, e per giunta puntando al suo orgoglio.
 
Che errore.
 
Gli uomini che erano lui e il riflesso si conoscevano abbastanza bene da sapere quali villane insinuazioni il mostro aveva vomitato, e la consapevolezza di non rispecchiare quelle infamanti perle di feci non era però sufficiente a placare la rabbia.
Il suo ego esigeva vendetta.
 
Volontà egoistica? Narciso aveva messo in lui il suo bel fiore?
Non gli importava ora, e mai sarebbe stato importante per lui sentire le ragioni che la sua stessa mente aveva da propinargli.
 
Il mostro aveva fatto il suo passo avanti, forse credendo di essere più scaltro, intelligente. Ma peccando ampiamente di ingordigia.
Quel mostro, con cui, per sfortuna, viveva l’aveva tormentato spesso. Troppe volte. E per solo per volontà di pace l’uomo non aveva fatto o detto nulla.
Voleva la pace.
Rendere il mondo schifoso un luogo migliore.
Ma anche quando il mostro ce la metteva tutta per dargli il voltastomaco?
No.
Questa volta no.
Il mostro doveva pagare.
Ma non con l’omicidio, convenne infine. Aveva troppo a cuore il proprio orgoglio di sana persona della zona grigia per prendere realmente in considerazione quell’atto scellerato. Non era da lui e non lo sarebbe stato.
Era una cosa tipica del mostro. E nonostante lui non avesse la coscienza pulita, e nessuno ce l’ha, di una cosa era certo: non era un mostro.
Tante volte avrebbe potuto esserlo, e mai aveva abbandonato la via tortuosa che gli permetteva di vivere in un mondo dove santi e mostri credevano di poter fare la legge.
Non si sarebbe di certo macchiato col sangue acido della rivoltante creatura con cui si trovava a spartire l’ossigeno, di giorno in giorno diventava sempre più insopportabile l’idea di continuare a vivere in questo modo, e mai avrebbe mischiato il fetore del fiato del mostro con l’acre sentore del suo sangue, risultante indelebile dalla sua pelle.
 
Che sciagura sarebbe stata.
 
Allora quale vendetta sarebbe stata congeniale al suo animo? Parole troppo pesanti erano state indebitamente lanciate contro di lui per poter chiudere entrambi gli occhi.
Lo scontro frontale non era pensabile. Il mostro era ben difeso da occhi di cerbiatto e falsa innocenza. Poveri chi vedevano il mostro sotto gentili sembianze, ignorando che avrebbero visto denti aguzzi e serpenti velenosi e pungiglioni di scorpioni appena avesse aperto la bocca.
Come infliggere colpi ed esserne soddisfatti? Perché questa vendetta non lo avrebbe lasciato a stomaco vuoto, poteva già pregustarne il caldo e setoso sapore avanzargli in bocca e colargli nella gola. Nemmeno fosse un eccitato amante.
 
Non poteva far scoppiare la guerra.
 
Nemmeno mantenere la pace.
 
Il tormento doveva essere ricambiato ma non come mostro, altrimenti non ci sarebbe stata alcuna differenza tra lui e la creatura malsana.
 
Continuava a guardarsi allo specchio, cercando la risposta nello sguardo dell’altro sé e trovandovi solo rabbia e rancore, crescenti in un andirivieni di ipotesi di oblio, gettandovi dentro tutto il veleno, e di iniezioni letali, da dedicare allo sfortunato mostro che troppo in là si era spinto con le sue malefatte.
 
Vendetta! Vendetta! Chiamava a gran voce il suo spirito!
 
Vendetta! Vendetta! Incitava l’altro sé.
 
Se non nell’atto violento, come?
 
 
   
 
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