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Autore: Hoel    07/11/2019    7 recensioni
I da Romano si nutrivano di sangue; perché biasimarla se lei voleva nutrirsi d’amore?
Un (non)dialogo tra Federico II di Svevia l'Imperatore Scomunicato e Cunizza da Romano la Santa Scandalosa.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
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Questo raccontino-riflessione m’è venuto in mente durante gli interminabili cambi in metropolitana, una piccola “pausa” creativa dall’altra storia, giusto per distrarsi e scrivere qualcosa di più leggero.

Vi auguro buona lettura,

H.

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Come le altre sue amanti la credeva facile preda, ancor più se le dicerie su di lei corrispondevano al vero. D’altronde, chi egli aveva voluto, aveva ottenuto e poi rinchiuso in una gabbia dorata come gli usignoli dalla bella voce, troppo dilettevoli da lasciar fuggir via.

Conscio, certo, di giocarsi l’alleanza col suo genero Ezzelino, tuttavia vinto dalla curiosità indomabile di conoscer colei che tra i trovatori s’appellava la gran meretrice, colpevole d’aver con trobar di troppo traviato dall’amor cortese l’incauto Sordello, scottato dalla fiamma dell’amor profano e ora oggetto di scherno nella corte provenzale di Raimondo Berengario, nipote della sua Costanza.

(ottima scusa dunque la visita alla moglie Isabella e alla figlia Selvaggia a Noventa Padovana)

Chi era dunque costei che per amor più che per dovere verso i fratelli si lasciava rapire dal politicamente ingombrante marito? Che sempre per voler dei fratelli dal suo Sordello crudelmente separata, in gran fretta trovava conforto e l’altra metà del suo cuore nel giudice e procuratore di Treviso, il bell’Enrico da Bonio, sposato e con prole, vivendoci quindici anni assieme con gran scandalo e più moglie gli fu ella di donna Cecilia, novella Arianna abbandonata dagli adulteri alla corte d’Alberico da Romano, signore della Marca?

Mai si scrisse di donna che per libera scelta s’accompagnò pubblicamente all’amante tra gran sollazzi e grandi spese, incurante di ogni morale e legge se non quella di Amore; donna questa di carne e ossa e sangue, che d’amor vero visse, non s’accontentò di leggerlo.

Vedova, ahimé, l’aveva poi lasciata Bonio il cuor suo, spirato tra le sue braccia una triste domenica d’assedio fratricida. “Vivi”, le aveva ordinato, la bocca vermiglia sua di sangue onorata da quella altrettanto vermiglia  di lei. “Vivi e sii contenta.”

E lei visse, vedova per necessità scaltra, abbandonando Treviso e il fratello Alberico per seconde nozze e ambascerie di pace e riconciliazione con Ezzelino il Terribile. Un marito in più, uno di meno - tanto di lei nessun era mai effettivo padrone.

O te che incoronarono come Figlia di Venere, pensava tra moglie e figliola l’Imperatore, davvero a nessuno ti neghi se te lo si chiede con cortesia? Quanti cuori hai mietuto tra l’Adige e il Tagliamento, tra il Brenta e il Po e in quella Marca come te gioiosa e amorosa?

Entrò nella sala finalmente madonna Cunizza da Romano, alle torce rilucente di raro splendore, perla dagli occhi di onice, incedeva a passo di danza a braccetto col marito Naimerio da Breganze al quale poco badava, più intenta a prestar orecchio alle dolci musiche dei menestrelli e alle promesse conniventi della notte.

Neanche la presenza dell’Imperatore pareva scuoterla, non lo rimirava golosa similmente alle altre dame e fanciulle: egli per lei non esisteva. Ovvero, si trovava lì e poteva non trovarsi lì, nessuna differenza le avrebbe recato.

Infastidito? Intrigato? l’Imperatore le si avvicinò cauto, senza destar troppi sospetti con la scusa di favellare con il genero. A chi pensi, amica mia, al Sordello e ai suoi versi o al Bonio e ai suoi baci? Le offrì lusinghiero  del vino e Cunizza l’accettò cordiale, bevve e con la punta della lingua si nettò le labbra tumide. Appoggiando la coppa sorrise all’Imperatore, il capo reclinato vezzosamente e il suo “grazie” una carezza ai sensi come la seta orientale e Federico l’uomo si sentì perduto.

Ma oltre Cunizza non gli concesse: terminato quel breve e complice idillio, ella già si girava dalla parte opposta, annoiata o stanca o forse distratta; confuso e umiliato, Federico seguì il torpido vagare del suo sguardo (mai contemplato su volto di donna!) per appurare, con suo sommo smacco, chi fosse il destinatario degli intimi ardori di madonna, ossia il giovane scudiero di un cavaliere che quel pomeriggio l’aveva accompagnato a caccia.

Uno scudiero vincitore! E lui, Imperatore e tante altre cose, respinto dopo appena un solo sguardo!

Federico non comprendeva, basito, eppure Cunizza quel giovinetto se lo divorava coi suoi occhi di onice, lo baciava e se lo coccolava al seno, le gote porporine e le labbra dischiuse, fremente e palpitante d’amore.

“Il vostro primo suocero”, diss’ella infine, senza perder di vista la preda e i falchi Federico li conosceva bene, “a quindici anni venne sfidato ad un partimen da Giraut de Bornelh, in cui gli venne chiesto se un sovrano può amare onestamente e ricevere amore disinteressato, poiché a lui  nessuna donna può rifiutare i propri favori.  Il Re Alfonso d’Aragona rispose invece di sì, che tal amor puro può e deve esistere  se la natura dimora cortese e sincera nell’animo amante e amato.”

Altro non v’era da aggiungere.

Se l’Imperatore le avesse domandato con garbo e senza insistere di giacere con lui, madonna Cunizza da Romano quella notte l’avrebbe anche accontentato e forse addirittura per qualche istante amato. Però egli non tramutò quel pensiero in azione e non volle chiederle alcunché, non per timore di un rifiuto bensì per orgoglio ferito: anima arguta, l’Imperatore aveva compreso come lui e lo scudiero stessero di pari merito nel cuore immenso e magnanimo di Cunizza ed era quel raffronto (o assenza di esso) a confonderlo e infastidirlo, non avvezzo alla donna che sceglie e rifiuta liberamente.  

Si alzò l’Imperatore, ritornando per il momento dalla sua più docile moglie. Altrove avrebbe cercato soddisfazione.

Sì alzò Cunizza e dimentica del marito si diresse flessuosa verso le sue stanze, ben accorta che il tragitto la conducesse presso il suo scudiero. Gli scoccò una sola occhiata ed egli divenne suo grato prigioniero, ricambiando con estatica devozione. Quella notte, di sicuro avrebbe servito coscienziosamente quella sua cavaliera di ben altra possanza e valore.

Ecco la natura di Venere ciprigna, Venere capricciosa, Venere generosa che ama tanto, ama tutti con gioia disinteressata per il gusto di amare, purché fosse con animo puro e sincero. Come poteva dunque lei, Cunizza sua degna figlia, essere da meno?

I da Romano si nutrivano di sangue; perché biasimarla se lei voleva nutrirsi d’amore?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Questo è un racconto di pura speculazione e fantasia, chissà se mai Cunizza da Romano e Federico II di Svevia ebbero mai modo d’incontrarsi; forse durante le visite che l’Imperatore faceva all’alleato Ezzelino III da Romano o in occasione delle nozze di questi con la figlia naturale Selvaggia (sempre se partecipò alle nozze) o alle visite a Noventa Padovana alla terza moglie Isabella d’Inghilterra. Chissà.

Cunizza  da Romano era la sorella dei signori di Treviso Ezzelino III da Romano e Alberico da Romano e da essi venne usata spesso e volentieri come pedina nella scacchiera politica: celebre infatti fu il rapimento col beneplacito dei fratelli da parte di Sordello da Goito per darla sui corni al marito Rizzardo da San Bonifacio signore di Verona da cui ebbe un figlio, Leoisio; poi di Sordello ella s’invaghì realmente e i fratelli, non accettando la relazione, lo cacciarono via e Sordello si beccò pure gli sfottò dei trovatori suoi colleghi. Nel 1227 Cunizza incontrò l’amore della sua vita, il giudice e procuratore di Comune Enrico da Bonio, con cui convisse fin quasi al 1239-1242 circa, anno in cui Ezzelino cinse d’assedio Treviso, non contento della politica filo-guelfa del fratello Alberico, suocero per di più di Rinaldo d’Este che si era rifiutato di cedere come ostaggio a Federico assieme alla figlia Adelaide. In questo assedio, purtroppo, morì Enrico da Bonio e Cunizza pensò bene di riavvicinarsi ad Ezzelino (forse anche per vegliare da lontano sul figlio Leoisio che stranamente suo zio risparmiò) e suo fratello le trovò un secondo marito, Naimerio da Breganze. Nel 1259-60 la Lega Guelfa capitanata da Azzo VII d’Este sconfisse prima Ezzelino e Alberico, ritornato ghibellino, venne trucidato assieme alla sua famiglia a Treviso per ordine del podestà Marco Badoer. Cunizza soltanto si salvò, riparando a Firenze, ospite di Cavalcante de’ Cavalcanti , dove si diede alle opere pie.

Da alcuni additata come sgualdrina, da altri come magnanima e generosa nel suo amore, sicuramente Cunizza era un’anima amante che visse la sua vita come meglio poté e senza rimpianti, conobbe il vero amore anche se poco casto, sublimò le sue passioni terrene per quelle spirituali e per questo, contrariamente alla “sognatrice”, vittimista e passiva Francesca da Rimini, Dante assegnò a questa santa scandalosa il  Paradiso, collocandola nel cielo di Venere.



  
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