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Autore: ChiiCat92    14/11/2019    0 recensioni
"L’inopportuna solidità della materia rendeva tutto stolido e incomprensibile. Il bicchiere di vetro, ad esempio, quello del servizio da sei che avevano comprato insieme da IKEA sentendosi ebbri di felicità durante il loro primo anno insieme. Per quanto si potesse accanire su quel bicchiere, mandarlo in frantumi sul pavimento, ridurlo in minuscoli frammenti e poi in polvere brillante avrebbe comunque mantenuto la sua essenza: le molecole che gravitavano in ogni atomo erano la sua più grande qualità, lo rendevano inamovibile."
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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11/11/2019

 

Bicchiere Rotto


Se non fosse stato per il ticchettio dell’orologio la stanza sarebbe stata immersa nel silenzio. L’aria era così densa da risultare difficile da respirare, ed era gelida al punto da bloccare i polmoni e seccare la gola. 

Damien fissava Kevin, seduto di fronte a lui al tavolo, le mani con le dita intrecciate così saldamente l’una all’altra da sembrare radici nodose di un albero. Era lì, a pochi centimetri di distanza, poteva sentire il suo calore, il suo odore, poteva toccarlo, eppure era lontano chilometri, inseguendo la coda di una cometa, la testa persa tra le stelle. 

Reprimeva il desiderio di agitare le gambe sotto il tavolo, Damien poteva vederlo chiaramente. Negli anni aveva sviluppato l’attenta ossessione di osservarlo, imprimersi negli occhi e nell’anima i suoi atteggiamenti, i comportamenti, le piccole fluttuazioni del suo corpo. Lo amava, e non ne aveva mai abbastanza.

Era stata quella la sua rovina. 

I cambiamenti, quando avvengono, non sono mai repentini, non coinvolgono mai tutto il corpo, tutte le abitudini, tutti i pensieri. Sono leggeri, striscianti, uno sgocciolare lento.

Damien aveva pensato che c’entrasse il lavoro, lo stress, l’insoddisfazione, aveva spuntato ogni voce, ogni giustificazione da una lista redatta da altri prima di lui. 

Sarà il tempo, sarà la stanchezza, sarà l’influenza, sarà la vita. 

Sarò io. 

Quando ne era diventato consapevole si era dato la colpa. Non gli aveva dato quello di cui aveva bisogno, non era stato attento, non era stato presente, cose per cui è facile rimediare, o almeno così pensava.

L’inopportuna solidità della materia rendeva tutto stolido e incomprensibile. Il bicchiere di vetro, ad esempio, quello del servizio da sei che avevano comprato insieme da IKEA sentendosi ebbri di felicità durante il loro primo anno insieme. Per quanto si potesse accanire su quel bicchiere, mandarlo in frantumi sul pavimento, ridurlo in minuscoli frammenti e poi in polvere brillante avrebbe comunque mantenuto la sua essenza: le molecole che gravitavano in ogni atomo erano la sua più grande qualità, lo rendevano inamovibile. 

L’anima, invece, non era fatta allo stesso modo. Variabile, flessibile, non era solida, non era liquida, non era gassosa, non aveva nessuna proprietà che le impedisse di cambiare, sciogliersi, raggrumarsi. Tradire. Non era fatta di materia, ma di irrazionalità pura.

« Quante volte? » si ritrovò a chiedere Damien. Non voleva davvero saperlo, ma ne aveva abbastanza di quel silenzio, cominciava a riempirgli di cotone le orecchie. 

« Dam, ti prego… »

« Quante. Volte. » 

Kevin si fece piccolo sotto il rintocco di quelle parole. Adesso si faceva degli scrupoli, adesso. 

« Va avanti da tre mesi. »

Incredibile il dolore che gli provocò sentire quella confessione. Tre mesi. Damien si sentì trapassare come da un’onda di calore, il volto andò in fiamme, le gambe si fecero deboli, se non fosse stato seduto sarebbe caduto, orribilmente svuotato di ogni energia. 

Tre mesi. 

Tutti i tentativi di ritrovare un contatto con lui, tutte le parole di conforto depositate a fare polvere in un angolo della sua mente, troppo impegnato a pensare ad un altro. Un astro oscuro che aveva eclissato il suo sole. 

Damien respirava, ne aveva coscienza, ma l’aria non impregnava i bronchi, l’ossigeno non rifluiva nelle vene. Aveva la testa leggera, i pensieri ingarbugliati.

“Perché?” avrebbe voluto chiedergli, “Perché mi hai tradito?”, ma un secondo dopo aver formulato la domanda la lingua si rifiutò di porla. Non voleva davvero saperlo. Non voleva sentire le sue giustificazioni vacue, non voleva sentirsi dire che non era colpa sua.

Perché era colpa sua. Se solo fosse stato abbastanza Kevin non avrebbe cercato rifugio altrove.

“Forse.” rifletté, in apnea. “Me lo merito.” 

Lasciò scivolare lo sguardo sui bicchieri, immobili come trasparenti monoliti sul tavolo. Gli sembravano così fuori luogo, come se quella fosse una conversazione di piacere tra bibite e tartine. La condensa sul vetro li rendeva opachi, gocce fredde rotolavano sulla superficie. Gli sarebbe piaciuto essere così, liscio a tal punto da farsi scivolare tutto addosso.

Il tradimento, Kevin, la sua vita. 

Invece era in frantumi.

« Vorrei che...che te ne andassi. » sputò fuori lui, la testa incassata tra le spalle. Damien non poté fare a meno di chiedersi se era stato l’Altro a convincerlo a dire quelle parole, o se veniva tutto da lui. Cosa l’avrebbe fatto soffrire meno? 

Sentì un crack disturbare l’altrimenti integra sanità mentale.

« Dopo sei anni mi chiedi di andare via. » gli riuscì di dire. C’era una risata ad accentuare ogni sillaba, incastrata tra denti e gola. 

« Questa è casa mia. »

A Damien parve di vedere la sagoma dell’Altro dietro quella di Kevin, una mano unta appoggiata sulla sua spalla.

Crack, crack, crack.

Gli sembrava di non potersi muovere senza rompere qualcosa, improvvisamente tutto il suo corpo si era fatto fragile. 

« Non ho un altro posto dove andare. » e questo Kevin lo sapeva bene, non era una supplica, anche se suonava come tale. 

« Posso darti qualche giorno, finché non trovi un’altra sistemazione. » 

« Non vuoi neanche provare ad aggiustare le cose? » 

« Non c’è niente da aggiustare. »

Lo capì, Damien, la cui anima stava subendo la violenza ultima della perdita di fiducia, riusciva a capire Kevin, il suo aguzzino.

Di nuovo il suo pensiero si fissò sui bicchieri di vetro. Se adesso ne avesse rotto uno avrebbe potuto ripararlo, ma il segno della rottura sarebbe rimasto ad alterarne per sempre la funzione. Non sarebbe più riuscito a contenere il liquido.

Gli tornò alla mente con assurda prepotenza la tazza della sua boy band preferita di quando aveva sedici anni. Un regalo di natale di suo fratello che lui aveva adorato, la usava per il latte a colazione, per il tè al pomeriggio, se non c’erano bicchieri puliti la usava per l’acqua. Poi, all’improvviso, la tazza aveva cominciato a perdere da una sottilissima linea di frattura provocata da chissà quale urto, o forse dall’usura. Non aveva avuto il coraggio di buttarla, l’amava troppo. Così l’aveva trasformata in un portapenne e l’aveva messa sulla sua scrivania, dove poteva sempre guardarla, accarezzarla, e poi dimenticarla. 

Sollevò a stento gli occhi su Kevin. Il loro rapporto sarebbe diventato come quella tazza se adesso cercava di ripararlo: inutile a contenere le emozioni, un’ottima decorazione per lo sfondo dell’esistenza.

Perché, nonostante tutto il dolore e le frattura che gli solcavano il petto, Damien non riusciva a versare lacrime? Perché aveva la sensazione che fosse giusto

Lui non aveva mai smesso di amarlo, neanche adesso, di fronte alla confessione, allo sfratto, alla solitudine. 

O sì? 

Le sue labbra sottili non gli piacevano più tanto, il profumo che aveva cominciato ad indossare rendeva acido il suo sudore, la scelta dei vestiti spesso era raffazzonata e di cattivo gusto.

Ma quelle erano solo apparenze, superficialità che niente avevano a che fare con l’amore, quello vero. 

Realizzò con sorpresa che aveva cominciato a guardarlo con occhi diversi quando lui aveva cominciato a comportarsi in modo diverso. Da quando aveva cominciato a tradirlo. Si stava preparando a quel momento senza neanche saperlo. 

« D’accordo. » disse, i palmi aperti sul tavolo.

Quegli stupidi bicchieri. Erano stati così felici quando li avevano comprati, continuavano a ridere e volteggiare tra scaffali, armadi, cuscini, un convulso e complicato rito d’accoppiamento. 

Perché erano sul tavolo, adesso? L’Altro era entrato lì dentro, aveva bevuto in quei bicchieri, aveva corrotto la materia con il suo tocco, insozzato l’aria? 

Di colpo gli sembrò di vederlo ovunque. Per tre mesi nascosto dietro una tenda, dentro l’armadio, in soffitta magari. 

Aveva toccato tutto, le impronte erano nere, Kevin ne era ricoperto persino sul viso.

Si alzò, colto dalla nausea. Spazzò via i bicchieri dal tavolo, cadendo non produssero il solito suono di vetri infranti, ma un suono organico di risucchio come fossero fatti di carne e sangue.

Kevin lanciò un urlo di sorpresa, schizzando in piedi a sua volta. Disse qualcosa che alle orecchie di Damien sembrò una preghiera, ma lui doveva distruggere quei bicchieri, doveva farlo. 

Aprì il mobile sopra il lavandino, li tirò fuori ad uno ad uno, scaraventandoli sul pavimento. Gli sembrarono un’infinità di più di quelli che in realtà erano, ad ognuno era legato il sottile filo della loro storia. Sei bicchieri per sei anni della loro relazione. 

Caddero tutti e tutti si ruppero, e anche se Kevin tentò di fermarlo afferrandogli le braccia Damien riuscì comunque a distruggerli tutti. Così come Kevin aveva distrutto lui. 

Rise quando si ritrovò tra le braccia di Kevin. C’era stato un tempo in cui quel gesto protettivo gli avrebbe fatto schizzare il cuore in gola, adesso il solo contatto lo ustionava, allergico alle bugie che gli aveva raccontato.

« Sei impazzito! Guarda cos’hai fatto! »

“Strano.” pensò Damien, serafico, “Stavo pensando di te la stessa cosa.” 

Si scrollò Kevin di dosso. Camminò sui cocci in frantumi della loro relazione fino alla stanza da letto.

Le impronte nere dell’Altro erano dappertutto, cercò di aggirarle camminando vicino alle pareti.

Sarebbe tornato a prendere le cose più importanti e più ingombranti quando (e se) fosse tornato in pieno controllo, intanto riempì il trolley di vestiti a casaccio, scarpe, intimo, tutto gli sembrava ugualmente importante e privo di senso.

Sotto le scarpe il vetro scricchiolava ancora, era conficcato nelle suole o erano le sue orecchie? 

Non poteva rimanere un minuto di più in quella casa, non adesso che vedeva le orme dell’Altro su tutti i tappeti. Non sarebbero andate via neanche a strofinarle con la candeggina. 

A differenza dei bicchieri lui aveva un privilegio, quello che hanno solo le creature che sfuggono dalle leggi della fisica e della materia: anche se si era rotto, poteva ricostruirsi. 

Non sarebbe più stato in grado di amare Kevin come la tazza non era stata più in grado di contenere i liquidi, ma avrebbe amato ancora. Non lui, non adesso, ma un giorno.  

A livello molecolare non sarebbe più stato lo stesso, i suoi atomi avrebbero trovato un nuovo modo di incastrarsi gli uni agli altri, sarebbe diventato nuovo, fresco. Diverso.

Guardò un’ultima volta Kevin prima di lasciare l’appartamento, rimasto in piedi tra i frammenti luccicanti dei bicchieri rotti.

Lo ricordò allo stesso modo, in un’altra vita, in un altro tempo. Lo trovò patetico. 

Damien uscì, e non si guardò indietro.



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The Corner 

Scusate, sono in ritardo sul ritardo, ma questa storia mi ha dato non poche gatte da pelare. Non so perché ma non riuscivo a metterla a fuoco, anche se volevo fortemente scriverla. Questo è quello che è venuto fuori dal mio scervellarmi. Non sono molto brava a scrivere di cose che non conosco, sono più brava con l'amore che con il tradmento ma...siamo qui.

Chii
   
 
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