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Autore: Old Fashioned    15/11/2019    19 recensioni
Un agente immobiliare sogna di cambiare vita, di vivere la "vita vera", ossia quella dei ricchi. Per concludere un affare, un eccentrico cliente lo invita al casinò e il nostro assapora per una sera la vita che ha sempre sognato. Il gioco d'azzardo, altra cosa di cui in quell'occasione ha un assaggio, gli sembra il modo più semplice per guadagnare più soldi e quindi fare finalmente il famoso salto di qualità che da tanto tempo sogna.
Peccato che il gioco d'azzardo possa trasformarsi in una malattia incontrollabile e distruttiva...
(per scrivere questa storia mi sono addirittura infilato in un aggiornamento per operatori Ser.T. sul gioco d'azzardo patologico, quindi ciò che scrivo è assolutamente realistico).
La storia è stata ispirata dal contest indetto da Soul Shine "Sitting in my room, with a needle in my hand". Ringrazio moltissimo Soul per l'idea.
Genere: Angst, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Stimatissimi lettori,
questa è una storia su una grave forma di dipendenza, ovvero di Disturbo Patologico da Gioco d’Azzardo, DGA in termini tecnici.
Avrei voluto far partecipare la storia al contest di Soul Dolmayan, ma tra tempo scarso, necessità di studio (per scrivere questa storia) e ispirazione sempre ubriaca non ce l’ho fatta. La posto qui, sperando che possa interessarvi e ringrazio Soul per avermi fornito questo bellissimo spunto di scrittura.
Un paio di notizie folkloristiche: per scrivere questa storia ho interpellato operatori del settore, ho letto tonnellate di dispense e sono riuscito anche a infilarmi in un corso di aggiornamento per operatori del Ser.T.
Grazie a tutti coloro che vorranno passare per di qui e buona lettura!^^







LA VITA VERA





Capitolo 1

Alessandro Rizzelli, agente immobiliare della Diamond House, si guardò intorno per controllare che non ci fosse il titolare in giro, quindi aprì il browser e digitò la parola ‘Mercedes’ sul motore di ricerca. Comparvero decine di indirizzi: il sito ufficiale, una sfilza di concessionari, qualche forum dedicato.
L’uomo andò alla sezione immagini e selezionò la foto di un roadster color argento che sfrecciava su uno sfondo di grattacieli illuminati. La ingrandì fino a che essa non occupò tutto lo schermo.
A quel punto, lo sguardo sempre incollato alla macchina, si adagiò sullo schienale della poltrona girevole in pelle, allungò le gambe davanti a sé e mise le braccia dietro la nuca. “Da seghe,” mormorò con aria sognante.
Dalla porta provenne una voce: “Hai detto qualcosa, Ale?”
Guarda che bestia,” disse Rizzelli per tutta risposta.
La voce prese un tono vagamente allarmato. “C’è una bestia?”
Ma no, idiota. Mercedes-AMG GT Roadster, cinquecento cavalli, quattromila di cilindrata, da zero a cento in meno di quattro secondi: è questa la bestia.”
L’altro lo raggiunse, si piegò verso il monitor e osservò la potente vettura. “Vuoi cambiare macchina?” s'informò.
Rizzelli emise un sospiro. “Eh, magari. Chi me li dà i soldi per questa?”
Perché, quanto costa?”
Come l’appartamento che hai venduto ai Borghi.”
Il collega emise un fischio di meraviglia.
Senza contare che è un due posti secco. Dove le metto le figlie?”
Non hai detto che l’anno prossimo vanno a studiare all’estero? Aspetti che partano e poi la compri per te e tua moglie.”
E bravo,” replicò sarcastico Rizzelli. “E poi come gliela pago l’Università in America a quelle due?” Scosse la testa con fare sconsolato. “Lascia perdere, è un gatto che si morde la coda.” Mimò il gesto di contare i soldi e soggiunse: “Senza questi, niente macchina. “
Tua moglie?” azzardò l’altro.
Il primo alzò le spalle. “A parte che Laura con quel suo negozietto tanto prende e tanto spende, le serve giusto per pagarsi gli sfizi, e poi non le piacciono le sportive, dice che non ci sta niente, quindi figurati se le interessa comprarla.” Si voltò di nuovo verso il monitor, che però era entrato in risparmio energetico e mostrava solo il logo della Diamond House che scorreva. “Dovrei prenderla come seconda macchina, ma chi ce li ha tutti quei soldi?”
Non ne avete già due?”
Intendevo seconda macchina mia.”
Quanto paga di bollo quell’affare?”
Eh, siamo sempre lì,” replicò amareggiato Rizzelli. “Soldi. Servono più soldi.”
Mia nonna diceva che i soldi sono l’acqua del mare: più ne bevi e più hai sete.”
Per tutta risposta, Rizzelli canticchiò: “Mare mare mare, voglio annegare...”
Lo squillo del telefono interruppe l'esibizione canora. L'uomo volse lo sguardo all'apparecchio, alzò le sopracciglia e disse: “Cazzo, è quello della SoverData!” Istintivamente si raddrizzò sulla sedia e si sistemò il nodo della cravatta, quindi sollevò la cornetta e in tono professionale disse: “Diamond House, buongiorno. Sono il dottor Rizzelli.”

Rizzelli abbassò pensoso la cornetta. Si passò una mano fra i capelli, di nuovo si sistemò il nodo della cravatta, quindi aprì il browser e digitò la parola 'casinò'. Gli apparve una sfilza di siti sui casinò on line, perlopiù infarciti di termini come 'Super Bonus' o '200 spin gratis', poi qualcosa su Casino Royale e Las Vegas. Gli unici dati che in ogni sito ricorrevano erano cifre in denaro: milletrecento euro vinti, mille euro di bonus, duecento euro gratis...
Alzò la testa e si voltò verso la porta. “Robbi!” chiamò.
Si udì un tramestio, poi il collega si affacciò. “Che c'è?”
Roberto, sei mai stato in un casinò?”
L'altro corrugò la fronte. “Eh?”
Non un casino,” precisò Rizzelli con un sorrisetto. “Intendo proprio un casinò. Roulette, black Jack... quella roba lì, insomma.”
L'altro scosse la testa. “Perché?” chiese poi.
Il tizio della SoverData vuole che ci vada con lui. Per discutere l'affare, ha detto.”
Al casinò?”
Rizzelli alzò le spalle. “Per il rustico di Montorsi, l'affare l'ho discusso dentro e fuori da un pollaio, mentre il proprietario dava il becchime alle galline.”
E quando sei tornato in sede hai sparso merda di pollo dappertutto.”
Ho anche sparso un bel po' di soldi nel conto della Diamond House, se è per questo,” ribatté Rizzelli piccato. Tacque per qualche istante, scorrendo di nuovo con lo sguardo l'elenco di casinò on line che il motore di ricerca proponeva, poi quasi parlando fra sé e sé disse: “Ma si vince, poi?”
Alle sue spalle, Roberto disse: “Dubito che i casinò siano associazioni filantropiche.”
Rizzelli si voltò a fissarlo. “In che senso?”
In che senso?” ripeté l'altro, imitando la celebre battuta di Verdone. “Nel senso che se esistono è per guadagnarci, non per regalare soldi in giro, non ti pare?”
Ma qualcuno vincerà, no?”
Fidati, Ale: quel qualcuno non sei tu.”
L'altro assunse di nuovo l'espressione piccata. “E perché non dovrei essere io?”
Lo sai quante sono le probabilità di fare una grossa vincita al casinò? Le stesse che ho io di andare a letto con Miss Mondo.”
Così poche?”
Vaffanculo, Ale.”

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Sulla via di casa, al volante di una berlina che mai come quel giorno gli pareva un tristo esempio di 'vorrei ma non posso', Alessandro Rizzelli rifletteva sui casinò. Nonostante le parole del collega, l'unico mantra che continuava a risuonargli in mente era: soldi, molti soldi, soldi facili. Bastava mettere un po' di fiche nella casella giusta, ed ecco che le avrebbe viste crescere magicamente, come la mitica pianta di fagioli della favola.
Montagne di fiche, e quindi montagne di soldi.
Fece scorrere lo sguardo sulla finta radica del cruscotto, sulla plastica cromata delle finiture, che qua e là stava cominciando a perdere il lucido, e sulla valigetta 24 ore che si trovava sul sedile del passeggero, piena essenzialmente di soldi altrui, che lui poteva solo vedersi passare sotto il naso.
Mare mare mare, voglio annegare...” canticchiò di nuovo.
Azionò il telecomando, sul cancello di una villetta a schiera cominciò a lampeggiare una luce gialla. Rizzelli fissò l'edificio come il più critico dei suoi colleghi avrebbe potuto guardare un tugurio d'anteguerra spacciato per 'suggestivo appartamento in stile con atmosfera d'antan'.
Bella merda,” borbottò. Ripensò alla proprietà per cui era in trattative con la SoverData: una villa del settecento di più di mille metri quadri, con tre ettari di parco all'inglese, piscina e spa. I pavimenti erano tutti di marmo, su molti dei soffitti c'erano affreschi. Il più merdoso dei mobili di quel posto costava da solo come tutti quelli che c'erano in casa sua.
Sospirò. Aveva intrapreso la professione di agente immobiliare con l'idea che dopo aver smerciato un po' di quelle lussuose dimore sarebbe stato in grado di comprarne una per sé. Per un po' era andata anche bene: i soldi arrivavano ed erano molti, tant'è che aveva potuto acquistare se non proprio una villa, almeno una villetta a schiera di duecentocinquanta metri quadrati, di testa, con finiture di pregio, garage, cantina e un bel giardino. Ognuna delle sue figlie aveva una camera tutta per sé, in taverna c'era l'home theatre, sua moglie aveva allestito in mansarda un laboratorio di roba da donne, tipo découpage e pasta di sale, dove si trovava con le sue amiche. C'erano la lavanderia, la dispensa e anche il barbecue per l'estate.
Mentre il basculante del garage si alzava, rivelando la monovolume di Laura già parcheggiata, egli ricominciò a canticchiare la canzone di Battiato.

In cucina la tavola era apparecchiata, nell'aria c'era odore di sugo alla pizzaiola. Rizzelli ripensò al ristorante stellato dove aveva pranzato con un cliente il giorno prima. Si accertò che sua moglie fosse girata di spalle, quindi arricciò il naso con espressione schifata. “Ciao, amore,” salutò poi in tono da marito delle pubblicità. “Com'è andata in negozio?”
Laura si girò asciugandosi le mani sul grembiule. Scosse la testa per gettare i capelli all'indietro e rispose: “Ah, come al solito. Entrano, guardano e poi dicono che ci penseranno.” Crollò poi il capo con fare critico e soggiunse: “Ma non si possono certo pagare il lusso e l’eleganza come la roba dei cinesi, non ti pare? Se sanno di non avere i soldi, è inutile che entrino.” Raccolse dal piano del mobile il mucchiettino scintillante dei gioielli, che regolarmente si toglieva per fare le faccende, e prese a indossarli con gesti disinvolti. “E a te com'è andata, tesoro?”
Tutto bene,” rispose l'uomo, quindi si guardò intorno e chiese: “Chiara e Serena dove sono?”
Sono andate a mangiare la pizza con le altre ragazze della danza.”
Laura frattanto aveva finito di infilarsi i numerosi anelli e si stava agganciando al polso un braccialetto fatto con quei brillantini di cui non gli era mai riuscito di pronunciare il nome, ma che sembravano far impazzire sia lei che le ragazze.
Starò via per qualche giorno,” le annunciò.
La donna sollevò lo sguardo dal monile e lo fissò nel suo. “Dove vai?” gli chiese.
È per lavoro. Ho un grosso affare in ballo e non posso scontentare il cliente. Anzi, non è che domani mi porteresti in lavanderia il completo che avevo al matrimonio di Anna e Fabio?”
L’altra sollevò le sopracciglia meravigliata. “Dov’è che devi andare, dal Presidente della Repubblica?”
Rizzelli fece un sorrisetto. “Molto meglio: andiamo a Portorose.”
Sarebbe?”
Al casinò.”
Oh, al casinò,” ripeté estasiata la moglie.
Niente male, eh?”
Vorrei venirci anch’io, dev’essere stupendo. Ci saranno un sacco di donne con vestiti da sera bellissimi.”
Di nuovo Rizzelli sorrise. “Se l’affare va in porto, ti prometto che ci torniamo insieme.”
Gli occhi di Laura si illuminarono. “Allora mi devo comprare un abito lungo! E naturalmente anche le scarpe e la borsa.” Si guardò le mani. “Mi servirà anche qualcosa di più elegante...”
Piano, piano,” la fermò l’uomo, che di richieste del genere se ne sentiva rivolgere a ogni occasione che si discostasse appena dalla quotidianità, “prima devo concludere l’affare.”
Quanto frutterà?” chiese Laura.
Rizzelli colse la sua espressione attenta e pensò che le mancavano solo gli occhi fatti a dollaro. “È una grande proprietà,” disse, stando ben attento a mantenersi sul generico. “Sicuramente la Diamond House ne ricaverà un bel gruzzolo.”
E quanto sarà la nostra… la tua parte?”
Ancora non lo so,” tagliò corto Rizzelli, “dipende da quello che riuscirò a spuntare da quelli della SoverData.”
Fa’ una giocata alla roulette per noi due,” gli suggerì allora Laura, abbassando il tono della voce a un mormorio complice.
Non so se ne avrò l’occasione,” si difese l’uomo, ma l’altra, imperterrita, proseguì: “Gioca il giorno del nostro matrimonio, sul rosso.” La voce si abbassò ulteriormente, gli occhi ebbero un brillio malizioso. “Il colore della passione.”
Laura...”
Le ragazze torneranno fra qualche ora, abbiamo tutta la casa per noi...”

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Alessandro Rizzelli uscì dalla Limousine del titolare della SoverData e si trovò di fronte al casinò di Portorose. Una volta saputo che ci sarebbe andato, l’aveva studiato ben bene in internet, ma ugualmente guardandolo provò una sorta di strana esaltazione. Era ormai buio, ma l’edificio era illuminato praticamente a giorno. A lato della porta di entrata si trovava un usciere in livrea, che apriva l’anta al passaggio degli ospiti. Nella hall, in stile moderno, coperta di moquette a colori vivaci e con lampadari enormi che pendevano dal soffitto, vide sfilare due ragazze. Una era bionda, magra, col seno piccolo e sodo come piaceva a lui. Portava una minigonna argentata, dalla quale uscivano gambe lunghissime e snelle. Ancheggiava lieve sui tacchi alti.
L’altra era mora, più bassa ma più formosa, ed era fasciata in un abito nero lungo fino ai piedi, che ondeggiava tutto quando lei camminava, mettendo in risalto le sue curve.
Fece mente locale e realizzò che donne così belle ne aveva viste sui giornali e sui cartelloni pubblicitari, ma mai dal vero. Si chiese se fossero delle top model.
Un rombo attirò la sua attenzione. Si girò e vide sfrecciare sul viale un bolide rosso. Ebbe un tuffo al cuore: Mercedes-AMG GT.
Alla vettura si accodò una Porsche Turbo nera ed entrambe guizzarono via come squali, mentre le luci si riflettevano sulle carrozzerie a specchio e il rumore dei potenti motori faceva tremare l’aria.
Immaginò se stesso a bordo della Mercedes, magari con la bionda accanto.
Fantastico,” disse fra sé e sé.
Le piace?” chiese una voce al suo fianco.
Rizzelli quasi trasalì. “Mi scusi, dottor Clerici,” disse in fretta, obbligandosi a distogliere l’attenzione dalle macchine sportive e a riportarla sul titolare della SoverData. “Certo che mi piace, è tutto molto bello.”
Non era mai stato in un posto del genere?”
L’agente immobiliare tentennò. Cosa sarebbe stato opportuno rispondere? La verità, ovvero che non ci aveva mai messo piede, oppure una menzogna che in qualche modo lo facesse apparire vagamente simile a un uomo di mondo?
Il lavoro ha sempre assorbito tutte le mie energie,” si decise a dire, “quando torno a casa sono così stanco che mi rilasso un po’ con la mia famiglia e vado subito a letto.”
Clerici, un uomo alto e imponente, con un completo di sartoria e l’aria genericamente danarosa, sorrise con fare indulgente, gli batté una mano sulla spalla e disse: “Non sia sempre così ligio, carissimo. Un uomo si deve anche divertire ogni tanto, non le pare?”
Rizzelli non fece nemmeno troppa fatica a mostrarsi accondiscendente. “Certo, dottor Clerici,” confermò.
Allora venga, entriamo. La SoverData le offre cinquecento euro di fiche. Cosa preferisce, roulette, black Jack, chemin de fer, baccarat, poker?”
Ecco, veramente...”
Ah già, dimenticavo: non è mai stato al casinò. Ma non si preoccupi: le spiegherò tutto io. Le farò da cicerone.” Si mosse risoluto verso l’entrata, Rizzelli notò che l’usciere gli stava già tenendo aperta la porta.
Buona sera, dottor Clerici,” disse l’uomo al loro passaggio, rivolgendo a entrambi un deferente inchino del busto.
Caro Stjepan, come va? Tutto bene a casa?”
Sì, grazie, dottore.”
Clerici trasse dal taschino una banconota che nel guizzare dei neon colorati parve a Rizzelli da cinquanta euro. La piegò in due e la tese all’usciere, che nuovamente si inchinò.
Andiamo,” disse poi disinvolto, “i tavoli da gioco ci aspettano.”

Entrare nella sala principale fu per Rizzelli come essere catapultato in un altro mondo. Un mondo più bello, per la precisione, un mondo pieno di lusso e ricchezza. Il soffitto era piuttosto basso, nero, punteggiato qua e là di luci come una specie di cielo stellato. Per terra c’era una moquette a disegni tipo damasco gialli e rossi, lungo le pareti baluginavano i monitor delle slot e delle VLT. Nella parte centrale dell’enorme locale vi erano tavoli verdi intorno ai quali si assiepavano uomini e donne elegantemente vestiti.
Sul discreto cicaleccio che aleggiava ovunque riconobbe, più che altro per averlo sentito in qualche film, il ticchettio della pallina di una roulette, e si trovò a trattenere il respiro con aspettativa.
Rivide, o gli parve di rivedere, le due ragazze di prima.
Notò poi una giovane donna di colore altissima e snella, con un abitino azzurro pallido e bracciali d’oro che risaltavano sulla pelle scura. Si muoveva lenta e sinuosa.
Quella è la nostra Naomi Campbell,” disse alle sue spalle Clerici. Poi, a voce più alta: “Ciao, Opeyemi.”
Senza fermarsi, la ragazza gli rivolse un languido cenno di saluto. “Ciao, ‘Tonio,” rispose, la voce appesantita dall’accento straniero. Sorrise facendo baluginare i denti bianchissimi.
Ciao, cara, ciao,” disse Clerici agitando a sua volta la mano, poi si voltò verso Rizzelli. “Una puttana,” spiegò disinvolto. “È piuttosto costosa, ma li vale tutti.”
L’agente immobiliare tossicchiò imbarazzato. “Immagino,” borbottò, più che mai certo di star facendo la figura del borghesuccio provinciale.
Apparentemente insensibile al suo disagio, Clerici lo sospinse in avanti. “Ma venga, venga, carissimo. La notte è ancora giovane, non è così che si dice?”
Immagino di sì.”
L’uomo fece una risata. “Lei immagina troppo, mio caro. È ora di dare una nota di concretezza alla serata: andiamo a prendere le fiche.”

Rizzelli soppesò le proprie fiche: dieci pile da cinque che sembravano quelle di zio Paperone. Era buffo pensare che quei cinquanta dischetti di plastica fossero il corrispettivo di cinquecento euro. Visti così avevano l’aria inoffensiva, sembravano quasi i giochi dei bambini.
Eppure, gli sussurrò una vocina, proprio quegli innocenti balocchi – posseduti in quantità sufficiente – gli avrebbero dato la possibilità di comprarsi quello che voleva: la Mercedes, ad esempio, e magari anche la bionda da mettere sul sedile del passeggero.
Raccolse una delle dieci pile, se la sparse nel palmo della mano. Il clicchettio dei dischetti di plastica gli parve un suono inebriante, magico. Era il suono della libertà, perché chi è ricco fa quel che vuole e non deve rendere conto a nessuno.
Volse lo sguardo verso Clerici, che stava prendendo in consegna una quantità considerevolmente maggiore di fiche. Osservò che le sue erano più grandi e anche di colore diverso. Notando che le guardava, l’uomo gli disse: “Queste sono da cento euro. Mi sarebbe dispiaciuto fargliene avere solo cinque, per cui ho ordinato per lei quelle da dieci euro.” Gli rivolse un sorriso che aveva una vaga nota di complicità, quindi gli chiese: “Danno una bella sensazione, vero?”
Indubbiamente,” ammise Rizzelli.
Clerici a quel punto in tono dotto recitò: “Per quanto sia ridicolo che io mi aspetti tanto dalla roulette, mi sembra ancora più ridicola l’opinione corrente, da tutti accettata, che è assurdo e stupido aspettarsi qualcosa dal gioco. Perché il gioco dovrebbe essere peggiore di qualsiasi altro mezzo per fare quattrini come, per esempio, il commercio? Vero è che su cento, uno solo vince, ma a me che importa?” Fece una pausa. “Sa chi lo disse?”
Veramente no.”
Ma Dostoevskij, mio caro. Non ha mai sentito parlare di Dostoevskij? Delitto e castigo, I fratelli Karamazov, ma soprattutto Il giocatore. L’ha mai letto, lei, Il giocatore?”
Veramente no, dottor Clerici,” rispose Rizzelli, augurandosi che il suo potenziale acquirente non fosse un fanatico della letteratura che concludeva gli affari a seconda della cultura della controparte.
Beh, non fa niente,” replicò con suo sollievo l’altro, sospingendolo in avanti con una pacca sulla spalla. “Siamo qui per divertirci, non per fare un’interrogazione, dico bene? Ce le ha le sue fiche?”
Sì, certo.”
Molto bene, carissimo, allora andiamo. Roulette, giusto?”

Il croupier gettò la pallina all’interno della roulette in movimento. La piccola sfera si incuneò immediatamente nel binario e lì prese a scorrere velocissima.
Rizzelli trattenne il fiato. Tentò anche, per quanto poteva, di seguirne i movimenti, ma essi erano così rapidi che quasi subito ne ricavò una specie di vaga nausea.
La roulette cominciò a rallentare, la pallina abbandonò il binario, scese, rimbalzò su una losanga e cadde nell’anello dei numeri.
L’uomo puntò le mani sul panno verde come per alzarsi. Tese tutti i muscoli della schiena.
La pallina fece qualche altro rimbalzo, saltò da una casella all’altra e infine esaurì la sua energia in una di esse.
Sette rosso!” annunciò il croupier.
Ci furono mormorii di disappunto, qualche esclamazione, una contenuta manifestazione di gioia da parte di qualcuno che aveva puntato sulla prima dozzina.
Rizzelli si rilassò sulla sedia, rendendosi conto che per tutta la corsa della pallina aveva trattenuto il fiato.
La voce di Clerici lo distrasse: “Beh, che ne dice? È bello, vero?”
Bellissimo,” esalò l’agente immobiliare, realizzando subito dopo che nemmeno quando aveva fatto l’amore per la prima volta aveva provato un’emozione del genere. Gettò un’occhiata al croupier che raccoglieva le puntate di chi non aveva vinto, quindi anche la sua, e gli parve che fosse una cosa di poca importanza, un prezzo tutto sommato equo, per l’esperienza che aveva appena vissuto.
Inspirò un paio di volte socchiudendo gli occhi, quindi rivolse lo sguardo al panno verde e cominciò a disporre fiche nelle varie caselle. Eccitazione e aspettativa crescevano di attimo in attimo, l’adrenalina gli dava la sensazione che una corrente elettrica gli percorresse le membra. Si rese conto che le dita gli formicolavano.
Pensò fugacemente alla richiesta di Laura, ma non gli riuscì di ricordare la data del loro matrimonio. Puntò sui numeri che gli piacevano di più.
Rien ne va plus!” annunciò il croupier, “Les jeux sont faits.” Azionò la roulette e vi fece cadere la pallina, che subito si inserì nel binario e prese a girare così veloce da risultare alla vista solo come una sbiadita pennellata bianca.
Una scelta vintage,” apprezzò Clerici.
Rizzelli si voltò a fissarlo. “Domando scusa, dottore?”
Quelle frasi ormai si sentono solo nei film. È come dire 'passo e chiudo' nelle comunicazioni radio.”
L'agente immobiliare non rispose. Comunicare via radio significava avere a che fare con navi o aerei: di sicuro quel Clerici aveva uno yacht, o magari anche più d'uno. Fissò di nuovo lo sguardo sulla pallina: se fosse caduta nella casella giusta, le sue fiche sarebbero raddoppiate o triplicate – non aveva ancora capito come funzionassero le vincite – senza alcuna fatica da parte sua, se non sopportare un po' di adrenalina, che poi alla fine era anche piacevole.
Dieci nero,” annunciò il croupier.
Rizzelli sentì il cuore saltare un battito: aveva giocato il suo giorno di nascita, con il colore che gli sarebbe piaciuto per la Mercedes, ed era uscito!
In un generale mormorio di sorpresa, il croupier spinse verso di lui una montagna di fiche.
Clerici annuì compiaciuto e commentò: “Che fortunello!”
Sono tutte mie?” chiese Rizzelli stupefatto.
Ma certo. Lei ha fatto en plein: vince trentacinque volte la somma puntata.”
L'altro rimase per un po' a fissare come ipnotizzato quel mucchio di dischetti colorati. Ne aveva messi tre sulla casella, il suo numero fortunato, quindi in pratica ne aveva ricevuti indietro altri centocinque. Il che significava che in un quarto d'ora di svago aveva raddoppiato il capitale in suo possesso. Ah, se avessi puntato di più, non poté fare a meno di pensare. Ed elencò mentalmente tutto quello che avrebbe potuto permettersi con quei soldi inaspettati.
La voce di Clerici lo distrasse dalle sue meditazioni: “Beh, che fa, vuole smettere?”
Rizzelli accarezzò il mucchio di fiche che aveva vinto e d'impulso rispose: “No di certo.”
Così mi piace!” apprezzò il titolare della SoverData. “Lei è uno che ama il rischio, è uno che ha fegato.” Si interruppe brevemente, poi in tono critico soggiunse: “Di solito, la gente che porto qui se ne scappa appena è riuscita a raggranellare un gruzzoletto.”
Non capisco perché,” mormorò Rizzelli, mentre in una specie di trance faceva scorrere lo sguardo sul tavolo. Si chiese se ci fosse qualcosa come un fluido, o qualche misteriosa capacità divinatoria alla quale si potesse fare ricorso per indovinare le puntate. Il dieci nero era stato un caso, oppure nell'operare quella scelta aveva inconsapevolmente messo in atto capacità che avrebbe potuto riconoscere e affinare per future vincite?
Si concentrò, gli parve che qualcosa lo attirasse verso il sedici rosso. Spostò un bel mucchietto di gettoni colorati su quella casella.
Les jeux sont fait,” annunciò neutro il croupier, facendolo quasi trasalire.
La pallina scese nella roulette, fece due rimbalzi, subito si inserì nel binario. Rizzelli deglutì, strinse i denti mentre il cuore gli martellava nel petto. Se avesse vinto, si sarebbe beccato settecento fiche, quindi settemila euro, quindi quella famosa vacanza alle Seychelles che voleva fare da tanto, oppure quel televisore da sessantacinque pollici...
Ventidue nero,” proclamò il croupier.
Rizzelli trasalì e quasi ebbe la sensazione di essere stato in qualche modo fregato, anche se non sapeva bene come e da chi. Cosa era andato storto? Perché il fluido stavolta non aveva funzionato?
Masticò un'imprecazione, poi di nuovo abbassò gli occhi sul proprio capitale: in fin dei conti aveva perso solo venti fiche, aveva tutte le possibilità di rifarsi.

Eh, la roulette è così,” osservò Clerici con fare filosofico, mentre si dirigevano all'uscita. “Si vince tanto, ma si perde anche tanto. È riuscito a conservare qualcosa?”
Due fiche,” rispose Rizzelli. Dal palmo della mano i dischetti sembravano fissarlo come occhi. Egli pensò che avevano un'espressione impertinente, come di un monello che ha appena fatto uno scherzo ben riuscito, ma anche carica di promesse. “Chi non risica non rosica,” udì se stesso dire.
Così mi piace,” apprezzò Clerici. “Un uomo che sia un uomo deve saper rischiare. Quanto ha detto che chiede la Diamond House per quella proprietà?”
Rizzelli snocciolò l'importo. L'altro annuì con l'aria di chi considera il prezzo tutto sommato equo.
Sempre parlando fra loro si diressero al banco delle fiche e l'agente immobiliare si trovò con una banconota da venti euro in mano. A quel punto, il fluido ricominciò a farsi sentire.
Indicò una VLT. “Come funzionano quelle, dottor Clerici?”
L'uomo glielo spiegò.
Egli si avvicinò al terminale, fece scivolare nell'apposita fessura i venti euro, quindi spinse un tasto su cui era scritto 'Play'. Immagini di ispirazione egizia presero a combinarsi in vario modo sullo schermo, ma non successe molto altro.
Premette di nuovo il tasto, le figure scorsero dall'alto verso il basso imitando i rulli di una slot machine.
Ancora niente. Qualche musichetta, i soliti disegni di occhi di Ra e scarabei sacri.
Play.
Niente.
Play.
Niente.
Ultima giocata,” lo avvisò Clerici, che in piedi dietro di lui stava seguendo la partita.
Rizzelli premette il tasto, le figure scorsero e si combinarono, si creò un disegno diverso da tutti i precedenti. La macchina si illuminò più intensamente, cominciò a emettere suoni e jingle, sullo schermo comparve una cifra che cominciò a crescere.
Ma guarda un po'!” esclamò Clerici.
Rizzelli si girò verso di lui. “Che succede?”
Ha vinto, carissimo.” Si sporse verso il monitor. “La Fortuna le ha ridato quello che le aveva preso con la roulette.”
I numeri avevano smesso di aumentare e la cifra stava lampeggiando al centro del display: novecentocinquanta euro.
Che fa, prosegue?”
Lo sguardo fisso sulla somma, l'agente immobiliare scosse la testa.
Clerici premette un altro pulsante, la macchina emise un talloncino stampato. “Con questo va alla cassa,” spiegò l'uomo.

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Grandi notizie!” lo accolse Roberto al suo rientro in sede, “La SoverData compra!”
Davvero?”
Ha telefonato uno poco fa: si pigliano Villa Arzilla e tutto il parco, al prezzo che chiedevamo. Il titolare non ci voleva credere. Complimenti, Ale!”
Rizzelli rimase in silenzio, più che altro perché stava calcolando la commissione che gli sarebbe spettata alla vendita del prestigioso immobile: era un bel gruzzolo.
Bello, sì, ma di certo nulla che fosse in grado di cambiare la sua vita. E poi ci avrebbe immediatamente messo su le grinfie Laura, e allora rinnova di qua, sistema di là, compra su e compra giù... come al solito si sarebbe dovuto accontentare delle briciole.
Sorrise fra sé e sé: quando era rientrato da Portorose era stato ben attento a non fare parola dei novecentocinquanta euro. Sulle prime perché gli era venuta l'idea di far una sorpresa a sua moglie, qualcosa tipo un week end romantico in qualche località di sogno, e poi semplicemente perché quei soldi erano suoi. Li aveva vinti lui, erano un regalo che la Fortuna aveva voluto elargirgli.
A lui, non a chiunque avesse voglia di attingervi.
Era stato anche bello ottenerli: ricordava ancora il brivido, l'aspettativa, il cuore che andava a mille...
Si era sentito vivo, potente.
Tirò fuori il telefonino – non era bene che certe cronologie rimanessero salvate nel server della ditta – e cercò le sale giochi in zona.




   
 
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