Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Asia Dreamcatcher    17/11/2019    2 recensioni
[Storia partecipante alla challenge "Pagine di una storia infinita" indetta da molang sul forum di Efp]
Ogni capitolo un personaggio diverso, ogni personaggio racconta una storia: la sua, mai facile, mai semplice ma sempre in lotta contro il Destino o la propria natura.
Venite a conoscere quegli sbandati de "I Figli della Notte", creature tanto potenti quanto precarie, fatte di sangue, carne e lacrime.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
1#Dominique

1. Il Peccato dell'Evocatrice


«Nergal eroe eccelso,
vorresti tu aprire una fessura negli Inferi,
affinché lo spirito di Endiku possa uscire dagli Inferi
ed egli possa informare suo fratello Gilgamesh
sull'ordinamento degli Inferi?

Nergal l'eroe eccelso, ubbidì,
e non appena egli ebbe aperto una fessura negli Inferi,
lo spirito di Endiku, come una folata di vento, uscì fuori dagli Inferi.»
~ Tavola XII, Epopea di Gilgameš


Dominique fissava gli zampilli d'acqua della fontana con l'unico occhio sano che le era rimasto. Il parco, nonostante l'approssimarsi della sera, era deserto, la causa era da imputare alle plumbee nuvole che incombevano sulla città, gonfie, pesanti e scure come le piume di una cornacchia grigia, promettevano una potente tempesta di lì a breve.

L'occhio destro, dall'iride scura quanto l'ebano, iniziò ad osservare la spazio circostante, catturando il dolce ciondolare dei rami, il fremere delle fragili foglie bronzo rossastre e qualsiasi movimento fuori posto. L'occhio sinistro si spostava simultaneamente con il gemello, malgrado fosse completamente inutile: l'iride di un bianco lattiginoso mostrava senza vergogna la sua cecità. Nonostante fossero passati sette anni da quel terribile giorno, c'erano volte in cui l'occhio sinistro quasi le prudeva per la sensazione di fastidiosa precarietà che le causava. Le dita le tremavano e l'insicurezza la ghermiva paralizzandola e la distanza fra lei e il resto del mondo si faceva fosca ed incerta.

Un sospiro pesante abbandonò le sue labbra grandi e carnose, tinte di un acceso rosso, poco pareva importarle che in quel modo evidenziasse la sottile cicatrice che le segnava il labbro superiore, anch'essa a perenne memoria del peccato da lei commesso.

Sette anni addietro, il giorno del suo diciottesimo compleanno, Dominique de Azara sfidò, con tutta l'impudenza della giovane età, il più sacro tabù imposto al suo potere.

Ricordava benissimo quel giorno quasi l'avesse vissuto l'attimo precedente, quella era stata anche la prima volta che aveva effettuato la catabasi, senza però la volontà di farla, trascinata negli Inferi per espiare con la vita.

La ragazza si passò una mano attorno al collo per scaldarselo, nel farlo le lunghe e numerose collane tintinnarono delicatamente nell'aria gravida di umidità.


Aveva diciotto anni, scapestrata e testarda, con l'immensa voglia di esaudire il suo più grande desiderio: conoscere sua madre.

Letha de Azara era morta, dandola alla luce in quello stesso giorno di diciotto anni prima. Nello stesso momento in cui sua madre chiudeva gli occhi per non riaprirli mai più, Dominique apriva i suoi, acquosi e innocenti, mentre sul suo piccolo e paffuto dorso sinistro della mano, compariva un disegno oscuro così disgustosamente in contrasto con la candida pelle. Il simbolo del suo potere, del suo essere. La morte della madre l'aveva consacrata necromante.

L'uroboro, il serpente che si mangia la coda, simbolo del ciclo di vita e morte, era il segno distintivo di alchimisti e necromanti, il cui potere era in grado di richiamare gli spiriti dall'aldilà e perfino evocare demoni e legarli a sé.

Dominique quel giorno si sentiva pronta, percepiva il fluire della sua forza vitale e spirituale, quelle due forze che unite le permettevano di fare qualcosa di sibillino, oscuro ma prodigioso.

Si incise il palmo della mano sinistra, gocce di sangue, linfa di vita e sacrificio, caddero sulla piccola statua in argilla raffigurante una creatura angelica, realizzata dalla stessa Dominique come tributo da donare allo spirito. Alcune parole, enunciate in una lingua inascoltabile all'orecchio umano, scivolarono lente e profonde fra le sue labbra, non c'era incertezza, il nome della madre lo pronunciò a voce alta con sollievo e venerazione.

«Letha de Azara»

Lo spirito comparve, etereo quasi iridescente ma estremamente limpido; Letha de Azara era ad un passo dalla figlia, più meravigliosa che nelle fotografie.

Fu il tempo di un respiro; sua madre ebbe appena il tempo di un barlume di consapevolezza e lei nemmeno quello per pronunciare quella parola - che mai in tutta la sua vita avrebbe usato - “Mamma”. Qualcosa di oscuro e mostruoso attraversò Letha, le cui labbra si aprirono in un'espressione a metà fra la sorpresa e l'avvertimento. Un braccio che non possedeva nulla di umano e terreno afferrò il volto di Dominique, troppo incredula per reagire e la trascinò a fondo ad una velocità folle, risucchiata in un vortice invisibile ma ineluttabile.

Si ritrovò in ginocchio, febbricitante mentre conati di vomito le scuotevano le viscere e il corpo. Boccheggiò, facendo fatica a respirare, poiché l'aria, si rese conto, era rarefatta e pesante irrorata di un odore talmente dolce da risultare nauseante.

Una voce cavernosa e ruggente come quella di un leone, le raggiunse le orecchie perforandogliele, un sacro terrore si impadronì di lei; quella lingua era la lingua degli inferi, la stessa che usava lei per aprire una fessura nella Soglia.

Alzò lo sguardo e la paura più viscerale la paralizzò. Un uomo che uomo non era, la fissava con occhi di brace ardente, terribili ma bellissimi, il corpo di un essere umano ma braccia e gambe di un drago con artigli affilati come lame, pericolosi e bramosi di lei, sulla schiena ali forti ed enormi dalla membrana opalescente, proiettavano un'ombra su quasi tutta la terra che li circondava.

Dominique tremò nuovamente davanti a quel demone, l'oscurità che emanava la schiacciava a terra, su quella sabbia dal colore indefinito che però le penetrava nelle narici bruciandole le vie respiratorie, le feriva la pelle, strappandole le vesti ricoprendo l'incarnato di pagliuzze luccicanti.

Con uno sforzo disumano si guardò attorno e non riconobbe quel luogo, ma sapeva perfettamente dov'era: negli Inferi e nella parte più oscura di essi. Aveva appena fatto una catabasi, ma in un modo che non si sarebbe mai aspettata.

A quel punto, la paura si attenuò leggermente e un pensiero luminoso ma angosciante le sovvenne;

«Dov'è mia madre?» chiese nella lingua inascoltabile per orecchio umano. La voce le tremava e non riusciva ad alzare lo sguardo su quegli occhi feroci e ultraterreni, limitandosi a posarlo sul petto bronzeo.

Il demone assottigliò lo sguardo mentre le sue ali di drago si tesero alla loro massima ampiezza per incuterle nuovo timore, di certo non si aspettava che quell'umana dall'aspetto così fragile potesse anche solo porgli una simile domanda.

«Tu osi chiedere qualcosa a me? Tu sai perché sei qui, insulsa umana?» la sua voce era terribile e le fece battere i denti per il terrore.

«Tu hai peccato! Nessun necromante può evocare spiriti a cui è legato da un vincolo di sangue o da un sentimento profondo. È proibito» il suo tono ora era severo come una condanna e duro come una pietra millenaria.

Dominique fu schiacciata ancora una volta a terra da quel potere intenso, quasi l'aria stessa ne fosse impregnata.

«La tua condanna è di vagare negli Inferi per il resto della tua miserabile vita, provando i morsi della fame con le labbra arse per la sete senza mai poterle soddisfare» sentenziò. Fra i suoi artigli si rigirò la piccola ma graziosa statuetta raffigurante l'angelo. Nel vederla Dominique si agitò, l'aveva creata pensando a sua madre, ammirandone la figura attraverso le fotografie, l'aveva scolpita per lei ed era l'unico legame che era riuscita a creare. Il demone la frantumò con una pressione minima e qualcosa nel petto della necromante si spezzò brutalmente. Urlò di rabbia, di dolore, con una forza disperata si sollevò e come una Furia, senza nemmeno pensare a cosa stesse facendo, alla sua vita, alle conseguenze si gettò contro il demone col solo desiderio violento di procurargli dolore ad animarla.

Per un misero, imperfetto istante il demone rimase seriamente e per la prima volta colpito, ma l'attimo successivo l'aveva atterrata con la sola potenza di uno sguardo.

Dominique si contorse a terra, urlando, scalciando e battendo i pugni, cercando di ribellarsi a quella potenza, come fosse una fiera selvatica, e il demone nel vedere la scintilla della vita sgorgare così impunemente da quella giovane umana, il suo rifiuto per l'autorità, i suoi sentimenti così genuinamente, quasi selvaggiamente espressi, scoppiò in una risata che alle sue orecchie giunse come una melodia antica quasi nostalgica.

Il demone la bloccò a terra sovrastandola col proprio corpo, accostò le labbra peccaminose al suo orecchio, il suo sussurrò fu qualcosa di talmente sommesso e angelico che le fece salire le lacrime agli occhi d'un colpo.

«Ho cambiato idea, giovane En-dor*. Ma sappi che pagherai per il tuo peccato, nessuno lascia gli Inferi senza aver perso qualcosa. Ricordalo Dominique de Azara, ricorda sempre qual è il tuo peccato».

Il palmo mostruoso del demone si posò lieve e delicato, come un battito d'ali di farfalla, sul suo occhio sinistro. All'inizio non avvertì nulla, l'espressione di incredula stupidità, poi un dolore lancinante ed impietoso la colpì violentemente al volto.

Urlando disperata si ritrovò sul il duro parquet della sua stanza, tenendosi il viso che le pareva andasse a fuoco. Il resto fu confuso, si ricordava vagamente di suo padre e suo fratello che accorrevano da lei. Lei che urlava, urlava chiamando sua madre, maledicendo quel demone, Astaroth, la voce le sarebbe andata via per giorni, svenne. Al suo risveglio l'occhio sinistro era completamente cieco.


Dominique tornò presente a se stessa, distaccandosi con stizza da quei vividi ricordi.

Guardò l'ora, il suo cliente sarebbe giunto tra pochi minuti, un rombo fece vibrare l'aria ormai satura ma Dominique continuò a non curarsene, con un gesto secco si scostò i lunghi capelli tinti di platino e si alzò in piedi, il corpo teso a causa di quello che aveva appena rivissuto nella sua mente. Astaroth le aveva sì tolto parte della vista ma non l'aveva privata di qualcosa di infinitamente di più importante: il ricordo di sua madre. Se anche solo per una manciata di istanti madre e figlia si erano incontrate e riconosciute. L'avrebbe rifatto, senza esitare e avrebbe sputato in faccia al principe degli Inferi, perché il sacrificio di un occhio per lo sguardo di sua madre finalmente posato su di lei, valeva più di tutto.

La pioggia finalmente fece la sua entrata in scena, con uno scroscio cadde su ogni cosa, mutandone i contorni, tutto era così caliginoso e grigio ma Dominique non aveva tempo per badarci, il suo cliente era arrivato. Era una donna elegante con l'ombrello che le copriva appena il volto; lei invece non aveva niente per ripararsi, ma certe cose non le aveva mai ritenute necessarie, o forse era solamente troppo pigra per portarsi dietro qualcosa di più di se stessa con anelli e collane.

«Vuole favorire?» la donna educatamente sporse l'ombrello per coprire anche lei.

«Oh beh grazie, senta è lei la mia cliente?» il suo tono era alto, lo era sempre stato. La sua voce era chiara e decisa come se dovesse ogni volta sovrastare qualsiasi altro rumore, o semplicemente cancellare il silenzio, chi aveva fatto della morte la propria sorella sapeva bene cosa significava quella solitudine meditativa che volente o nolente ti accompagnava per tutta la vita.

«Precisamente» replicò composta;

«Chi ha bisogno che evochi?» chiese lei spiccia, a volte questo suo modo di porsi feriva molti suoi clienti. La morte non era mai un tema facile da affrontare, lei lo sapeva meglio di chiunque altro e proprio per questo a volte la trattava in modo quasi dissacrante, pur di non restare ferita a sua volta.

«Oh non voglio assumerla per questo. C'è qualcosa di ben più urgente e oscuro e spero che lei sia la persona giusta per trattare una questione così delicata».

Ah, quello non se lo aspettava.

«Cosa esattam-?»

«Lei cosa sa di uno dei principi degli Inferi, Astaroth?»

Merda.


I'll survive.

Somehow I always do”

___________________________________________________________________

*Strega di En-dor: necromante che per volontà di re Saul evoca lo spirito del profeta Samuele. Bibbia, primo libro di Samuele.


   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Asia Dreamcatcher