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Autore: Koa__    18/11/2019    14 recensioni
Raccolta di brevi storie incentrate sulle figure di Aziraphale e Crowley, l'angelo e il demone, rimasti sulla terra dopo la scampata apocalisse.
-Hold my hand
-Picnic a Dulwich Park
-Our Side
-When a Nightingale Sang
-Bentlety
-Goodbye, angel!
"La storia Goodbye, angel! è candidata agli Oscar della Penna 2022 indetti sul forum Ferisce più la penna"
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Hold my hand
 
 

 
 
 
 
 
E sul finire dell’inverno, quando il mese di marzo era esploso in un timido tumulto di fiori delicati e un lieve tepore primaverile già stuzzicava l’aria di brio, avvenne la seconda apocalisse. Quella che, secondo il demone Crowley (che di apocalissi se ne intendeva abbastanza) avrebbe dovuto essere definitiva. Quella vera, insomma. Quella che avrebbe visto inferno e paradiso schierati contro l’intera umanità. Il che corrispondeva esattamente a quanto il suddetto demone aveva previsto, non che avesse avuto qualche dubbio sul fatto di non aver ragione. Al contrario se n’era detto sufficientemente sicuro, d’altronde, seimila anni accanto ad Aziraphale gli avevano dimostrato che, ragione, Crowley l’aveva piuttosto spesso. Inferno e paradiso ci avrebbero riprovato, così aveva detto ad Aziraphale il primo giorno del nuovo mondo quando, seduto a una panchina del parco, accettava il suo invito a uscire a cena. Avrebbero tentato di nuovo e ci sarebbero riusciti. Il che era esattamente quanto accaduto. Aveva avuto ragione anche nel ritenere che i suoi colleghi demoni avrebbero fatto di tutto pur di tenere lontano il nuovo anticristo da lui e dall’angelo, di modo che non lo influenzassero positivamente, o negativamente (questo, in effetti, dipendeva dai punti di vista). Insomma che non riuscissero a convincerlo a farla finita con la guerra. E così era successo, ogni previsione si era rivelata corretta. Crowley e Aziraphale ovviamente si erano preparati a dovere, non erano rimasti a crogiolarsi nelle loro quotidiane attività londinesi. Al contrario l’avevano aspettata e alla fine questa era arrivata. Implacabilmente esatta, proprio come lo erano state ai tempi le previsioni di Agnes Nutter. E quindi eccoli là, dunque, di nuovo a fronteggiare l’apocalisse.

 
Secondo il demone Crowley, per citare un’espressione tipicamente umana, lui e Aziraphale si erano fottuti con le loro stesse angeliche (e demoniache) mani. Per esempio, se non si fossero messi in testa di tradire le rispettive parti non sarebbero finiti in un simile casino, aveva strepitato un giorno battendo i piedi a terra quasi quel gesto avesse il potere di rimarcare il concetto. L’aveva avuto, ma aveva anche rotto un bicchiere e il tutto sotto l’angelico sguardo di disapprovazione di Aziraphale, che la pazienza invece lui non la perdeva mai. Senz’altro ormai era tardi per tornare indietro e poi lo avevano desiderato, questa era la verità. Avevano coscientemente salvato il mondo da una sciocca quanto inutile guerra e non un giorno se ne erano pentiti. Di certo neanche il demone Crowley, sebbene piuttosto spesso fosse preda di scenate esageratamente melodrammatiche. Scenate alle quali un serafico Aziraphale rispondeva con un silenzio quasi ironico, sorseggiando la propria cioccolata con una spruzzata di peperoncino, per dargli un retrogusto un po’ piccante, roteando al contempo gli occhi. Perché l’angelo, le scenate, non le aveva mai amate e non le trovava nemmeno sensate o necessarie a risolvere una situazione. Ormai però aveva capito che Crowley, il cui temperamento demoniaco fuoriusciva piuttosto spesso in situazioni del genere, ne aveva invece un disperato bisogno. Era come se grazie a strepiti e urla riuscisse a trovare tutta la concentrazione necessaria. Quasi un paio di imprecazioni avessero seriamente la capacità di liberarlo da ogni timore. Timore che c’era, per quanto tentasse di nasconderlo esisteva ed era cresciuto anno dopo anno, man a mano che quel terribile giorno si avvicinava. Sì, perché come si è detto, questa volta la lotta non prevedeva il bene contro il male, non una battaglia affinché uno dei due prevalesse e dominasse poi sul mondo intero. Ma una contro l’umanità. Dieci milioni di angeli e dieci milioni di demoni agguerriti contro lui e Aziraphale, ognuno di essi desideroso di uccidere per prima cosa i due traditori. Che fosse una follia ormai l’angelo Aziraphale e il demone Crowley ne erano assolutamente sicuri, quello di cui non erano del tutto certi era il risultato. O meglio, a questo proposito avevano pareri pericolosamente discordanti. Di certo i loro avversari erano tutti della stessa opinione: uccidere i traditori e poi sterminare l’umanità per potersi, alla fine, distruggere a vicenda. Il demone Crowley, sulla buona riuscita di quella battaglia, non ci avrebbe scommesso neppure un penny. Al contrario dell’angelo Aziraphale, dallo spirito ben più positivo e che anche in quel momento se ne uscì con la sua solita carica di incondizionato e stupido amore. Amore che emanava e che provocava al demone moti di fastidio.


«Vinceremo!» disse l’angelo a un certo momento, riportando il demone Crowley alla realtà. In effetti lo andava ripetendo da giorni, come se fosse una sorta di auto convincimento. Di sicuro, si ritrovò a pensare intanto che gli lanciava un’occhiata carica di tragico compatimento, era tardi per tornare indietro. Il nemico s’intravvedeva all’orizzonte, là sulla piana di Megiddo, verso la quale angeli e demoni marciavano spediti. Sì, proprio la pianura di Megiddo, perché ai piani alti erano poco dotati d’immaginazione e avevano ripetuto pressoché le identiche azioni della volta precente. L’unico punto in loro favore era stato quello di proteggere l’anticristo senza perderlo di vista. Il che poi era quanto aveva permesso loro di arrivare sin lì.
«Apprezzo il tuo ottimismo, angelo, ma ci sono venti milioni dei nostri ex colleghi che marciano contro di noi armati fino ai denti e noi siamo soltanto in due.»
«Noi abbiamo gli umani» replicò Aziraphale, con fare deciso. Soltanto allora si concesse di guardarlo, rendendosi conto che mai in tutta la sua millenaria esistenza l’aveva visto tanto agguerrito né così sicuro di stare dalla parte giusta. Anzi, Crowley ricordava d’aver faticato non poco anche soltanto per fargli ammettere che erano molto più che nemici. Sino all’ultimo e anche dopo la fallita apocalisse, Aziraphale aveva continuato a considerare il paradiso come il luogo in cui tornare. Un luogo che non lo avrebbe ospitato mai più e i cui abitanti lo volevano morto. Era quasi assurdo vederlo in quella maniera, tanto deciso insomma. Dopo secoli di tentennamenti. Dopo averci messo seimila anni per dichiararsi suo amico, Aziraphale pareva esser cambiato d’improvviso. Non mostrava più quell’aria tenera e impacciata che, oh da buon demone lo sapeva, sarebbe tornata in superficie al primo accenno di un complimento, ma un angelo pronto a difendere ciò che amava. La terra, il vino, la sua libreria, le crepes… Crowley non poté fare a meno di chiedersi se quello sguardo fosse un po’ anche per lui. Era loro che Aziraphale stava tanto orgogliosamente difendendo? Crowley davvero non lo sapeva. Di chiederlo neanche a pensarci, ci rifletteva da secoli e mai si era fatto avanti per domandarglielo e ormai non aveva più molto tempo per decidersi a farlo. La marcia verso la battaglia proseguiva spedita. A minuti sarebbero stati su di loro.
«E gli umani hanno inventato il cavatappi, Crowley» aggiunse, poco dopo, trascinandolo lontano dai suoi ragionamenti. «Hanno inventato le auto ibride, il cannocchiale e i tergicristalli. Lo hai detto tu stesso: “Chi mai può aver inventato i tergicristalli, sarà stato senz’altro qualcuno di geniale”» disse, imitando la sua voce così come i movimenti delle mani, anche se in un piccolo accenno.
«E loro cos’hanno fatto? Nulla di nulla. Non fanno altro che giudicare e schioccare le dita per fare miracoli, facile in questo modo. E noi lo sappiamo meglio di chiunque, visto che eravamo come loro. Eppure gli umani, senza alcun potere, hanno costruito così tante cose... Gli angeli li sottovalutano, così come sottovalutano noi. Beh, io dico che è ora di leccargli il culo.»
«Spaccargli il culo, dolcezza, spaccargli il culo» replicò Crowley, intanto che roteava gli occhi al cielo e imprecava in direzione di quel Dio che, sicuramente, se la stava ridendo bellamente di tutti quanti loro. Lei e il suo ineffabile stupido piano… gli sarebbe piaciuto sapere quale fosse in effetti e dove li avrebbe condotti tutto questo.
«Non lo imparerai mai, vero?» aggiunse, con aria sconsolata.
«È come ho detto: spacchiamo questi culi celesti. Tu sei con me?» gli chiese, voltandosi verso di lui e guadandolo dritto negli occhi.
 

In effetti, a pensarci, quella era la prima volta che lo faceva. Da quando tutto era iniziato mai si erano concessi un istante soltanto per riflettere sulle conseguenze di quanto stavano per fare, conseguenze emotive più che concrete. Di quelle si erano preoccupati abbastanza. Si erano parlati, avevano ideato il loro piano d’azione e fatto tutto quanto il necessario, ma non si erano mai fermarti a guardarsi. Non negli occhi. Non in quel modo comunque. Non essendo completamente sinceri. Lo furono in quel momento, tutti e due. Quando ormai di tempo non ce n’era più, ridicolo per due esseri immortali che avevano avuto l’eternità per parlarsi a cuore aperto e che sceglievano invece l’attimo già passato di chi il tempo l’ha finito.
«Sempre» annuì, ben deciso. Sarebbe stato sempre con lui, lo era da millenni in effetti. La morte non avrebbe cambiato nulla. Loro non sarebbero morti, no davvero. Per quanto poco convinto fosse stato sino a quel momento, in quei frangenti non poté invece che dichiararsi sicuro dei loro mezzi. Se lo sentiva, anzi lo vedeva distintamente davanti ai suoi occhi.
«Crowley?» mormorò l’angelo in tono di domanda. Era come se volesse dirgli dell’altro, ma indugiasse. Oh, santo cielo! Imprecò, erano davvero pessimi in questo, possibile che dovevano essere così stupidi?
«Io… noi dobbiamo vincere» lo sentì dire, intanto che annuiva vistosamente. «E non perché voglio salvarmi la vita, ma perché non voglio perdere tutto questo. E non mi riferisco alle meraviglie del mondo o a quelle della razza umana, non parlo del sushi, per intenderci, ma di me e di te. Crowley» aggiunse, ora con maggior enfasi. «Senza di te io sarei come uno di loro: sarei ignaro della bellezza, del divertimento e del piacere. Sarei uno stupido angelo pronto a prendere ordini da un idiota come Gabriel, ma da quando ti ho conosciuto… è vero, è vero, è vero e odio ammetterlo, ma per quanto io sia per la bontà e per le azioni caritatevoli, per quanto odi l’idea di uccidere qualcuno, delle volte mi piace anche essere bastardo. Mi piace tentarti e il pensiero che tu possa cedermi e ci ho messo più di seimila anni per accettarlo. E so anche che ora stai ridendo di me e delle sciocchezze che sto dicendo, ma il fatto è che combatterò fino alla morte per difenderti. Non m’importa di morire, se è per salvarti la vita. Questo devi saperlo.»
 

Il demone Crowley capì allora cosa volesse dire sorridere, e farlo perché si è felici di qualcosa che non sia una cattiveria. Ma sorridere e farlo a cuore aperto, era un qualcosa di odiosamente bello. Qualcosa che dava fastidio alla sua natura demoniaca, ma che solleticava la parte più angelica. Quella che c’era, che Aziraphale aveva depositato dentro di lui e che non se ne sarebbe mai più andata. Era felice, Aziraphale era lì con lui e non avrebbe desiderato altro. Aziraphale che ammetteva d’essere un bastardo era una gioia ancor più grande.
«Angelo, tu non sei mai stato come loro. Non sei corretto e tanto meno non sei uno pronto a prendere ordini senza esprimere la tua opinione, e non è per merito mio che sei così. Quando ci siamo parlati la prima volta, tu avevi già lasciato incustodito l’albero di mele nel giardino terrestre e hai regalato la tua spada infuocata agli uomini. La verità è che sei un piccolo stronzo che ama fare di testa propria, e io ti adoro per questo. E adoro anche quell’aria da bacchettone con cui te ne vai in giro. Nah, a questo punto sai che c’è? Che mi arrendo. In effetti, a te mi sono arreso secoli fa. E se ti stai chiedendo per chi o per cosa combatterò oggi, allora sì, combatterò per te.» Il suo discorso l’aveva gridato, perché Crowley non sussurrava mai a meno che non ci fosse l’esigenza di farlo, legata al salvarsi la vita ovviamene. No, sussurrare nella piana di Megiddo con l’apocalisse a un passo sarebbe stato da sciocchi e lui non l’aveva fatto. Aveva urlato e aveva gioito nel vederlo arrossire. Nel sentirlo più vicino di quanto non lo fosse mai stato. Cosa fossero lui e Aziraphale davvero non riusciva a spiegarselo, ci sarebbe stato tempo in futuro. Forse e se sarebbero sopravvissuti. Ora era tempo di combattere. Era il loro momento. La guerra era iniziata. Adesso. Il demone Crowley non riusciva soltanto a vederla davanti ai propri occhi, poteva anche sentirla dentro di sé. Sentiva le ali spiegarsi e le forze rinascere, domate da una volontà d’acciaio. Con loro, miliardi di esseri umani spaventati sì, ma pronti a dar battaglia. Potevano vincere, anzi dovevano vincere. Gli umani sarebbero serviti a qualcosa contro milioni di esseri immortali? Una parte di Crowley ancora lo dubitava, tuttavia e nonostante sentisse di essere drasticamente solo, si rese conto di non esserlo davvero. Aziraphale sarebbe rimasto al suo fianco. E nessuno li avrebbe separati, mai e per nessuna ragione al mondo. Loro con le dita intrecciate e le anime fuse a formarne una sola. Non fu chiaro mai a nessuno dove finisse il demone e cominciasse l’angelo o chi dei due fosse che cosa. Nessun angelo, né celeste né caduto, riuscì mai separarli.
 
 

«Qualsiasi cosa succeda non lasciare la mia mano.»
«E tu non azzardarti a mollare la mia, dannato angelo.»

 

 
 
 
 
 
Fine
 



 
 
Note: Ringrazio le ragazze del gruppo “Good Omens – Fan Group” per i consigli e i pareri che mi hanno dato in merito a questa storia, in particolare a MissAdler per avermi fatto notare i refusi.
Grazie a tutti coloro che hanno letto sin qui.
Koa
   
 
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