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Autore: blackjessamine    20/11/2019    8 recensioni
"Oppure Corvonero, il vecchio e il saggio, se siete svegli e pronti di mente, ragione e sapienza qui trovan linguaggio, che si confà a simile gente".
Ragione e sapienza, sì, ma questo alla saggia Priscilla non basta: per entrare nello stormo dei Corvonero, serve anche la creatività necessaria per attraversare la vita a passo di danza.
Due personalità opposte, vite diverse, sguardi puntati agli antipodi : nemmeno il ritmo è lo stesso.
Eppure, si danza.
[Questa storia partecipa al contest "Chi ben comincia è a metà del prologo", indetto da BessieB sul forum di EFP]
Genere: Commedia, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Filius Vitious, Nuovo personaggio, Roger Davies
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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- Questa storia fa parte della serie 'Pas de Deux '
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Atto terzo.
Sipario
 



Quando Alhena varcò la soglia di quella che ormai aveva cominciato a considerare la sua aula per affrontare l’ultima lezione prima del Ballo del Ceppo, venne accolta da sussurri preoccupati e tenui, neanche si stesse avvicinando al capezzale di un moribondo.
I suoi studenti – tutti tranne Luna, che la settimana precedente aveva mandato a dire che i Nargilli, all’avvicinarsi delle festività, si facevano particolarmente inquieti, dunque certamente Alhena avrebbe compreso le sue motivazioni nel lasciare le lezioni di ballo – erano raccolti in un semicerchio di bisbigli attorno a Roger Davies. Quest’ultimo faceva vagare il suo sguardo perso da un viso all’altro, disperato, in cerca di un appiglio qualsiasi.
Questo non andava per niente bene.
Roger non si era mai ripreso del tutto, non dopo essere stato invitato al ballo dalla signorina Delacour: fingeva che tutto andasse bene, ma era distratto, perdeva spesso il tempo e aveva smesso di lamentarsi di quanto poco spazio ci fosse per l’interpretazione in una serie di un-due-tre codificati. Le sue battute si erano fatte meno brillanti, come se lui stesse ripetendo soltanto un copione che aveva portato in scena molte volte senza però crederci per davvero. E ad Alhena si stringeva il cuore, perché quel ragazzo era diventato l’ombra di sé stesso, e questo a diciassette anni non andava bene.
“Che succede, qui?”
Ci fu un lungo silenzio, interrotto solo dal disperato mugugno di Roger:
“Fleur, ecco che succede!”
I ragazzi si lanciarono una lunga occhiata complice, e alla fine fu Benedict Spinney, con voce baritonale, a riecheggiare, tetro:
“Be’, sì, non è stato un bello spettacolo, parola mia che una volta ho cercato di far la corte a Marion Fox durante l’ora di divinazione dicendole che io e lei siamo come una tazza di tè, io l’acqua, lei le foglie...”
“Oh, è stato davvero orribile!” proruppe infine Cho, coprendosi la bocca con una manina tremolante.
“Una brutta storia davvero... insomma, poi proprio Davies... cioè, se queste cose capitano anche a lui, significa che per noi non ci sono più speranze!”, confermò il piccolo Conrad Judge, tormentandosi un foruncolo nell’incavo della tempia destra.
Roger allora, con l’aria di chi non ha più alcuna speranza, si allontanò dai suoi compagni di Casa, posando la fronte contro il vetro freddo della finestra in fondo all’aula.
Alhena gli si avvicinò, sospirando piano, esasperata: quando lei e Vitious avevano discusso dei suoi compiti, non si era fatto cenno alla possibilità di doversi improvvisare coach motivazionale di un ragazzetto alle prese con la sua prima delusione amorosa. E non era suo compito, infatti. Ma Vitious aveva lasciato intendere che quell’incarico avrebbe potuto essere qualcosa di più... per Alhena, e per i ragazzi. Certo, lui pensava a qualcosa di più importante, come mostrare che anche una persona nata in una famiglia Purosangue e conservatrice poteva prendere in mano la propria vita e cambiarne le regole, ma i ragazzi con cui si era trovata a lavorare non erano quelli che avrebbero avuto bisogno di sentirsi dire quelle cose. I ragazzi con cui lavorava erano incerti e preoccupati da un’occasione mondana che avrebbe potuto coprirli di imbarazzo, e Alhena, che di certo non si riteneva all’altezza del compito, doveva comunque cercare di fare quel che poteva.
“Ascolta, Roger, soffrire è normale, non voglio dire che non sia così, però davvero, tra qualche anno ti accorgerai che essere scaricati non è poi...”
“Io non sono stato scaricato!”, ribatté indignato Roger, riguadagnando una briciola del suo carattere abituale.
“Io non sono affatto stato scaricato”, ripeté, scuotendo la testa, quasi fosse deluso che Alhena potesse anche solo aver pensato a qualcosa del genere.
“Ok, allora mi sfugge qualcosa, ma forse è meglio continuare la lezione...”
Alhena era riuscita a mettere le mani sul programma del Ballo, e sapeva con quale aria si sarebbero aperte le danze: aveva intenzione di lavorare un po’ di più con Cho, e di lasciarle qualche appunto da mostrare al suo cavaliere, così da poter gestire al meglio la situazione.
“Ha solo fatto una figura di merda davanti alla sua bella, e credo sia la prima volta che gli capita, quindi è fuori di testa... benvenuto nel club, Davies!”
Le parole di Spinney sembrarono colpire Roger nel vivo, perché quest’ultimo si voltò a fissare Alhena con quello sguardo febbrile che tanto la spaventava:
“Tu non puoi capire, lei... lei non è come le altre. Se ti si avvicina all’improvviso, e non sei preparato, tu non puoi... sì, insomma, non puoi ragionare, se il tuo sangue è tutto sotto la cintura”.
Alhena dovette soffocare la sua indignazione con un colpo di tosse, ma, fortunatamente, gli assensi decisi degli altri ragazzi distrassero per un attimo Davies.
“Prima, a pranzo, mi si è avvicinata in silenzio, e io non me ne ero accorto, e quando mi ha chiamato, non so come sia possibile, ma mi sono ritrovato col succo di zucca nel naso!”
L’indignazione di Roger e la sua incredulità erano quasi tenere. Checché ne dicesse, ad Alhena pareva che il ragazzo si fosse preso una cotta con i fiocchi. E, nonostante tutta la sua millantata esperienza di conquistatore seriale, sembrava anche decisamente poco avvezzo alla situazione.
“E quel che è peggio... ho cercato di parlarle in francese! Io! Io le ho parlato in francese!”
Alhena scoppiò a ridere.
“Oh, ma vedrai che non le importa, se hai fatto qualche errore! Anzi, trovo che tu abbia fatto un gesto molto carino, sai?”
Roger però la guardava scuotendo la testa, esasperato.
“Ma che m’importa degli errori! Io non parlo il francese. Io, se voglio conquistare una ragazza, uso lo spagnolo. Sempre! È una questione di principio, di sangue, di identità... è quello che sono! E invece con lei... con lei mi sono sentito come se quello che sono non fosse abbastanza. Come se dovessi cambiare la mia natura, per poter piacere a lei, e... non va bene, no?”
Alhena chinò la testa di lato, aggrottando la fronte. Forse, dietro quel bel faccino e quegli sguardi languidi, c’era davvero un cervello degno di Priscilla.
“No, non va bene cambiare per piacere agli altri, nemmeno per piacere a una ragazza speciale, ma Roger... hai solo scelto di salutarla nella sua lingua, non hai...”
“Non l’ho scelto”, ribatté lui piccato, incrociando le braccia al petto.
“Non l’ho affatto scelto, ed è questo il punto! Lei è troppo bella, e non mi lascia possibilità di scelta, e forse dovrei darmi malato, perché non so più chi sono!”
Alhena cominciava a sentire le tempie pulsare. Lei era una ballerina, non una psicologa.
Lei le cose le risolveva ballando... e forse avrebbe potuto risolvere pure queste, ballando.
Mentre un piano le si delineava in testa, si affrettò a posare un disco sul piatto del grammofono, intimando ai ragazzi di mettersi in fila.

“Cho? Roger? Potete restare un secondo, per favore?”
Alhena aveva rassicurato tutti i suoi ragazzi dicendo loro che al Ballo sarebbero stati perfetti. In realtà, il suo occhio ipercritico li trovava goffi, imprecisi, poco fluidi e rigidi come manici di scope, ma rispetto al branco scoordinato che si era trovata davanti il primo giorno, i miglioramenti erano stati innegabili. E poi, era solo un ballo scolastico: un paio di giri di valzer e sarebbe stato il turno delle Sorelle Stravagarie, e al diavolo passi scivolati e schiena diritta.
Diede ai due giovani accompagnatori le ultime indicazioni sul ballo d’apertura, dove Roger si prestò con un po’ meno entusiasmo del solito a impersonare la parte del Campione di Hogwarts, e poi lasciò andare Cho, con una rassicurazione un po’ più sincera: la ragazza era graziosa, e danzava discretamente. Se questo Cedric Diggory non fosse stato un gorilla zoppo, avrebbero fatto entrambi una dignitosissima figura.
“Ramón, dobbiamo risolverlo, questo problema. Tu al Ballo ci devi andare, e ti devi divertire. E devi essere te stesso, quindi ora vedi di riprenderti, perché vorrei che tu mi insegnassi a ballare il tango”.
Roger la guardò, per un attimo stranito.
“Ma non sei tu l’esperta, qui?”
Alhena alzò gli occhi al cielo, armeggiando con il giradischi.
“L’hai mai visto un balletto classico? Io ho studiato con il metodo russo: rigore, disciplina, studio anche del minimo dettaglio... sei tu quello che parlava di calore, di improvvisazione, di interpretazione e di passione, no?”
Roger annuì piano, mentre le note suonate da una chitarra iniziavano a riempire l'aria della stanza.
Forse era una follia, ma Alhena sospettava che Roger avesse bisogno di chiarirsi le idee, e ricordarsi chi fosse, lontano da questa Fleur Delacour.
Alhena allargò le braccia, invitando con un cenno il ragazzo a stringerla a sé e a cominciare a danzare.
I loro primi passi furono impacciati: la loro differenza di altezza era troppa perché il loro movimento fossero sufficientemente fluidi e armoniosi, e Roger era ancora confuso e distratto. Alhena, abituata ad essere perfettamente padrona della situazione, faticava a lasciarsi portare, cercando di manipolare i loro passi pur di essere lei quella al comando.
Poi la musica si fece più intensa, e la mano di Roger, che fino a quel momento era rimasta leggera, appena posata sulla schiena di Alhena, cominciò a premere davvero. Come se volesse arrivarle sotto la pelle, come se volesse spogliarla di ogni difesa.
Confìa en mì, señorita”.
Un bisbiglio roco, fin troppo vicino all’orecchio di Alhena.
Un bisbiglio che, al salire d’intensità della musica, sommerse Alhena, facendole per un attimo dimenticare il castello, gli studenti, il fatto che lei una studentessa non lo fosse più...
Decise di fidarsi.
Di assecondare i movimenti lenti di quel corpo che premeva contro il suo, declinando su percorsi ignoti il lento scivolare dei loro passi vicini, troppo vicini. Di farsi guidare in quell’intrecciarsi di gambe e sfiorarsi di anche, e incastri che avevano il sapore di terre bruciate dal sole, e di labbra salate di sudore e di mani che scivolavano avide ad avvolgere un fianco e poi più giù...
Di colpo, la consapevolezza ritornò.
E con quella, la certezza di aver fatto una grossa, enorme cazzata.
Non c’erano più voci, nella testa di Alhena: né quella sottile e subdola, né quella roboante della sua etica.
C'era soltanto la necessità di tracciare un confine, netto e invalicabile, e soffocare ogni rimostranza.
Cercando di regolarizzare il respiro e di non mettersi a urlare, Alhena riprese il controllo della situazione, sciogliendosi delicatamente dall’abbraccio di Roger – ma quant’erano lunghe, quelle braccia, neanche avesse appena danzato con la piovra gigante! – e, senza guardarlo negli occhi, senza guardare quello stupido anellino d’argento sulle sue labbra, esclamò:
“Ecco, sì, direi... questo, intendevo. Fallo vedere alla tua regina di Francia, e andrà tutto bene”.
Ma era una bugia bella e buona, e lo sapevano entrambi. Non era assolutamente questo che Alhena aveva in mente quando aveva chiesto a Roger di ballare il tango con lei. Lei sperava solo di fargli ritrovare un po’ di fiducia in sé stesso, di riportare a galla le battute sagaci e sfrontate, di ricordargli come potesse essere facile sentirsi padrone della situazione... e invece, non aveva guidato proprio niente. Anzi, aveva perso ogni controllo possibile, e si era ritrovata a tremolare come una fanciulla inconsapevole tra le braccia di un ragazzino... Un ragazzino maggiorenne, cantilenò una vocina suadente nella sua testa. Un ragazzino che andava ancora a scuola, Priscilla saggissima, altro che maggiorenne! Un ragazzino che aveva messo per la prima volta piede a Hogwarts quando lei era già maggiorenne!
Merlino, avrebbero dovuto rinchiuderla.
Avrebbero dovuto rinchiuderla e buttare via la chiave, razza di sciocca e debole allocca che era!
Roger, in tutto questo, non aveva mai smesso di fissarla con uno sguardo che, Merlino ci salvi, non avrebbe mai dovuto comparire sul viso di uno studente.
“Tu non sei affatto una principessa di ghiaccio, vero?”
Di nuovo quel timbro roco, caldissimo.
Ma Alhena era tornata pienamente in sé: spegnendo con un gesto brusco il giradischi, gettò un’occhiata severa a Roger.
“L’ultima volta che qualcuno mi ha chiamato così, poi ha finito per darmi della zoccola, e credo che da allora il suo zigomo non si sia ancora sgonfiato”.
Roger aggrottò la fronte, confuso e sì, anche ferito.
“Ma che cosa... non intendevo mica dire quello, io! Ma per chi mi hai preso?”
Alhena sospirò, chiudendo gli occhi e pregando tutti gli antichi druidi di darle la forza di fuggire da quel castello senza fare altri danni.
“Scusami, Roger, è... sono molto stanca. E tu devi tornare in Sala Comune prima che ti mettano in punizione”.
Il giovane, con un’espressione imbronciata in viso, andò a raccogliere la sua borsa con i libri in fondo all’aula.
E poi tornò vicino ad Alhena, con un improvviso sorriso sfacciato e impertinente.
“Di’ la verità, ti è piaciuto, eh?”
Impertinente e sfacciato, ma con quel suo modo di fare leggero, divertito. Cercando di non arrossire come una quindicenne, Alhena balbettò:
“Ma che cosa?”
“Ballare il tango con un esperto!”
La voglia di rifilargli un coppino era tanta, ma Alhena si trattenne.
“Sei molto bravo, in effetti”.
Roger si illuminò tutto, visibilmente soddisfatto, e poi, come se fosse la cosa più naturale del mondo, le cinse la vita con un braccio.
“Dobbiamo rifarlo, allora”.
“No che non dobbiamo, Roger, e lo sai benissimo”.
Alhena si districò dal suo abbraccio, cercando di infondere alle sue parole tutta la serietà del caso. Erano già stati fin troppo espliciti, e lei non aveva la minima voglia di affrontare una discussione penosa e imbarazzante. Sapeva che Roger aveva compreso, e sperò con tutte le sue forze che non complicasse ancora di più la situazione.
Roger sbuffò, alzando gli occhi al cielo e raddrizzandosi con gesto pigro la cravatta allentata.
“E va bene, va bene, capisco le tue sciocche remore morali e le rispetto. Però”, e di nuovo sul viso gli si allargò quel ghigno sfrontato “quando mi chiami Ramón anche tu hai un non indifferente effetto sull’accumulo del mio sangue sotto il livello della cintura”.
Questa volta, la mano di Alhena proprio non poté resistere, e si abbatté con uno schiocco soddisfacente sulla nuca esposta di Roger.

 
*

Che cosa l’avesse spinta ad accettare di presenziare al Ballo del Ceppo, Alhena non l’avrebbe saputo dire.
Forse perché era Natale, e a Natale era sempre più difficile tenere a bada la solitudine.
O forse era perché Hogwarts, dopo che lei aveva trovato il coraggio di tornare, le scavava nel petto una voragine dal sapore di nostalgia così grande che, qualche volta, Alhena temeva di precipitarvi dentro.
E poi, anche perché la curiosità di vedere il risultato dei suoi sforzi da insegnante le bruciava dentro come un fuoco.
Non aveva presenziato al banchetto, ma si era semplicemente confusa tra la folla di studenti dopo cena, appena in tempo per vedere i Campioni delle tre scuole aprire le danze.
Cho Chang le riempì il cuore d’orgoglio e soddisfazione: la ragazza, raggiante fra le braccia di un giovane belloccio e, fortunatamente, molto lontano dal gorilla zoppo che Alhena aveva temuto, aveva danzato con grazia. Lo stesso non si poteva dire dell’energumeno di Durmstrang, un tale giocatore di Quidditch che dava l’impressione di essere sul punto di inciampare e travolgere la sua dama un passo sì e l’altro pure. Harry Potter, il famoso Harry Potter, così giovane e sperduto accanto ai compagni più grandi, le procurò un dolore quasi fisico: sembrava non avere la più pallida idea di cosa stesse facendo, martoriava quel valzer con lo stesso sadismo con cui suo padre affilava le lame delle sue mannaie, e a poco servivano gli sgraziati sforzi della sua accompagnatrice, che nel tentativo di salvare la situazione se lo trascinava attorno come un sacco di patate troppo pesante per essere sollevato.
Roger, invece, sembrava un fantoccio di sé stesso: si muoveva come ipnotizzato, completamente ignaro di tutto ciò che lo circondava, e sembrava che ai suoi occhi esistesse solo la sua dama. E, in effetti, guardando nella loro direzione era praticamente impossibile dedicare più un’occhiata disinteressata a Roger: Fleur Delacour era una girandola di grazia e bellezza indescrivibile, una superba statua di porcellana luminosa e inavvicinabile. Alta, diritta, sembrava risplendere di una beltà ottundente. C’era poco da stupirsi che il povero Roger avesse perso completamente ogni capacità di ragionare, in sua presenza.

Durante la festa, Alhena si era tenuta in disparte. Aveva guardato gli studenti divertirsi, ballare, bere Burrobirra e scatenarsi in pista, in barba a ogni regola. Aveva sapientemente distratto lo sguardo fremente di Minerva McGrannitt, permettendo a un ignaro Roger di essere trascinato nel parco dalla sua splendida dama, e aveva sorriso vedendo Cedric Diggory posare un bacio impacciato sulle labbra di Cho Chang. Aveva chiacchierato con i suoi vecchi professori – era anche stata trascinata dal Professor Vitious in un’esilarante giga nella quale, a dispetto di ogni apparenza, l’ometto diede prova di padroneggiare splendidamente l’arte della danza – ma per la maggior parte del tempo se n’era stata in disparte, cullandosi in quella malinconica sensazione di sentirsi a casa e di non avercela, una casa, allo stesso tempo.
La Sala Grande era come la ricordava, eppure non lo era, per via di tutte quelle decorazioni e di quegli studenti agghindati a festa con abiti scintillanti e vistosi. E Alhena faceva parte della festa, ed era al tempo stesso un’estranea.
Avrebbe dovuto tornare a casa: salutare Vitious, salutare la McGrannitt, evitare di incrociare di nuovo il cammino di Piton – non erano mai stati in rapporti cordiali – e tornarsene alla desolazione del suo appartamento deserto. Le sue coinquiline erano tutte tornate in famiglia per le feste, e lei poteva ascoltare musica triste, brindare allo specchio con un buon bicchiere di vino rosso e addormentarsi con la televisione accesa, giusto per illudersi che in casa non ci fossero soltanto lei e i suoi tristi pensieri.
Avrebbe dovuto andarsene, ma continuava ad aggirarsi per la Sala Grande che andava via via svuotandosi, lasciando spazio solamente a pochi fra gli studenti più grandi.
Rimase, invece: rimase fino a quando anche gli ultimi ritardatari furono cacciati a letto, e si ritrovò ad aiutare professori ed elfi domestici a ripulire almeno il grosso della sala.
Rimase, quasi temesse il momento in cui tutto sarebbe finito: niente più balli da preparare, niente lezioni, e Hogwars si sarebbe chiusa per sempre alle sue spalle.

Nessuno prestava ormai attenzione a lei: i professori si erano ritirati a godersi il meritato riposo, di studenti non c’era più traccia, e gli elfi l’avevano ossequiosamente cacciata lontano dal cumulo di spazzatura da pulire. Alhena si diresse nel piccolo stanzino dietro il tavolo riservato agli insegnanti, dove aveva lasciato il suo mantello – nero, semplice, ridicolmente in contrasto con l’abito formale che indossava – e si gettò nel freddo pungente della notte che ormai iniziava ad albeggiare. La porzione di parco a ridosso del castello era stata decorata con cespugli di rose fra i quali brillavano le tenui luci di fate semiaddormentate e sentieri di ghiaia bianca.
Era tutto così artefatto da non sembrare nemmeno Hogwarts, ma era un’atmosfera piacevole, calda, quasi fiabesca.
Alhena si lasciò cadere su una panchina smaltata di bianco, cercando di immaginare come sarebbero andate le cose se avessero organizzato un ballo del genere quando lei era studentessa. Sicuramente la sua amica Stacey avrebbe finito per farsi accompagnare al ballo da qualcuno di belloccio e vuoto come una zucca a Halloween, per poi smollarlo in compagnia di Alhena a metà festa, per imboscarsi da qualche parte con qualcuno di più interessante. E Alhena si sarebbe annoiata a morte, e avrebbe provocato il povero malcapitato fino a farlo infuriare, e...
Un rumore sommesso, alle sue spalle, la fece sussultare. Si voltò, bacchetta alla mano, e vide una figura scarmigliata emergere da un cespuglio.
“Roger?”
Roger Davies, in maniche di camicia e capelli pieni di foglie, fissava Alhena con sguardo confuso. Era un po’ pallido, e sembrava esausto.
“Tutto a posto?”
Roger impiegò diverso tempo a mettere a fuoco Alhena, poi si aprì in un ampio sorriso e si lasciò cadere sulla panchina accanto a lei, abbandonandole con gesto scomposto il capo su una spalla.
“Oh, sono così felice di vedere un volto amico!” sospirò quello, la voce roca e flebile come quella di un malato.
“Sei sicuro di star bene?”
Roger annuì, poi scosse il capo, e infine mormorò:
“Sai, credo di essere guarito”.
Alhena, che non l’aveva mai visto più sbattuto, si permise di dubitarne e lui, con uno sbadiglio, precisò:
“Da Fleur. Lei è... è come una malattia. E io mi sono vaccinizzato, è così che dicono i babbani, no? Me ne sono preso un po’, sono stato male, ma ora sono immune...”
Alhena, che per tutta la sera lo aveva visto seguire come un docile e muto cagnolino quella bellezza francese, avrebbe voluto di nuovo dissentire, ma ebbe pietà dello stato confusionale del ragazzo al suo fianco.
“Comunque, ci siamo divertiti in quel cespuglio, e poi io sono guarito, abbiamo chiacchierato, e siamo diventati amici... ma solo amici. Siamo d’accordo: la nostra resterà una storia da una botta e via”.
“Roger!” lo redarguì Alhena, senza sentirsi davvero scandalizzata.
“E poi io credo di essermi addormentato, perché Alhena, io te lo giuro sulle sottili caviglie di Priscilla: non ho mai conosciuto una donna che mi sapesse prosciugare così...”
Questa volta, il rimbrotto di Alhena fu un po’ più sincero.
“Mi fa male tutto, Alhena...” si lagnò lui, con lo steso tono lamentoso di un bambino stanco.
E Alhena si rese conto che faceva un freddo d’inferno, e Roger aveva dormito in maniche di camicia sotto un cespuglio umido. Era già tanto che non fosse morto assiderato, quello sprovveduto! Alhena si affrettò a togliersi il mantello e a gettarlo sulle spalle del giovane, sussurrando:
“Non faresti meglio a metterti a letto?”
“Perché non mi ci metti tu?”
La mano di Alhena scattò, rifilandogli uno schiaffetto bonario – ma nemmeno troppo. E sentì che la pelle del giovane bruciava, e tanto, anche.
“Roger, vai a dormire, seriamente. Scotti”.
Il ragazzo, borbottando tra sé, raddrizzò la schiena, ebbe un capogiro, e quasi cadde dall’altra parte. E Alhena, sospirando rassegnata, lo trascinò in piedi quasi di peso, facendosi poi passare un braccio del giovane attorno alle spalle, preparandosi alla sua più difficile ascesa alla Torre di Corvonero.

E fu faticosa davvero, quella scalata: Alhena poteva anche essere una ballerina professionista e nascondere, sotto l’aspetto esile, una muscolatura più salda di quanto uno sguardo disattento potesse immaginare, ma Roger Davies, snello ed elegante quanto voleva, pesava comunque troppo per lei. Tra uno sbuffo, una spinta e un trascinamento, raggiunsero infine il batacchio a forma di aquila di bronzo: Alhena era ormai madida di sudore, e Roger, in preda alla febbre, delirava. Come avrebbero risolto un indovinello, proprio non lo sapeva.
Il becco dell’aquila si dischiuse, e la voce melodiosa che Alhena ben ricordava domandò:
“Cosa si risponde a un augurio di buon Natale?”
Esterrefatta, Alhena fissò a lungo il piumaggio lucido dell'aquila. Ma che razza di domanda era, quella? Prima che potesse iniziare a riflettere su eventuali giri di parole o trabocchetti nascosti nell'indovinello, Roger sfuggì alla sua presa, barcollò e scoccò un sonoro bacio sulla punta del becco lucido dell'animale di bronzo.
“Grazie, chica”, biascicò il ragazzo e, con enorme stupore di Alhena, sul legno liscio della porta comparve una maniglia.
“Prego, niño”, tubò l’aquila alle loro spalle e Alhena riconobbe con sgomento che la sua voce solitamente rapace suonava particolarmente civettuola.
Il cuore di Alhena quasi perse un battito, quando mise di nuovo piede nella sua vecchia Sala Comune: non era cambiato niente. C’era ancora la soffice e alta moquette azzurra, e la volta a botte trapuntata di piccole stelle luminose... c’era il camino, grande e allegro, e i sottili tavolini di cristallo disseminati con cura attorno alla statua di Priscilla Corvonero. C’era persino il suo divano preferito, quello un po’ discosto dalla confusione, di velluto blu un po’ sbiadito che, chissà, nell’angolo destro conservava ancora la traccia di bruciatura di quella volta che era così arrabbiata con Piton da aver dato fuoco per errore al tema che aveva appena finito di scrivere...
"Allora, vieni su a scaldarmi le lenzuola, señorita?
La voce di Roger, ancora un po’ impastata, riportò Alhena alla realtà. Trattenendosi a stento dalla voglia di rifilargli l’ennesimo coppino, la giovane lo trascinò fino al divano più vicino al camino, e lo fece distendere.
“Non ci penso neanche, signor furbetto. Ti ho portato al sicuro, e qui ti lascio: se vuoi che qualcuno ti rimbocchi le coperte, il massimo che posso fare è consegnarti a Madama Chips”.
Roger la fissò con uno sguardo da cane bastonato, poi, rassegnato, si abbracciò al petto le ginocchia.
E una luce maliziosa, in mezzo al fuoco vacuo della febbre, gli illuminò di nuovo gli occhi.
“Non ci pensi, però vorresti, vero?”
“Roger!”
Le dita di Roger, cinque pezzi di ghiaccio, si strinsero attorno al polso di Alhena.
“Non prendermi in giro, e non prenderti in giro. Guarda che c’ero pure io, quando abbiamo ballato, lo so che, se non fossimo stati in una scuola, avresti voluto”.
Alhena era indignata, ma la sua risposta piccata le morì sulle labbra: Roger aveva parlato con un tono semplice, aperto, come se quella fosse la cosa più naturale del mondo. Non c’era accusa, né tentazione, niente: la sua era una constatazione divertita, nulla di più.
E Alhena, che a quel tango non voleva ripensare, si limitò a sospirare.
“Sei tremendo. Ora però dormi, ché con un cadavere non ci voglio fare proprio niente”.
“Ma io ho freddo!”, protestò Roger, mettendo su un broncio ridicolo da bambino in preda ai capricci. Esasperata, ma fin troppo consapevole dei brividi di febbre che effettivamente percorrevano il corpo di Roger, Alhena agitò la bacchetta per aria, evocando una coperta che gli gettò addosso.
“Dormi, Ramón, e domani fatti dare davvero qualcosa per la febbre da Madama Chips...”
Gli occhi di Roger si spalancarono, lucidi di febbre, ma illuminati dalla sua briosa sfacciataggine.
“Come faccio a dormire se tu mi chiami così? Te l’ho detto che effetto mi fa!”
“Ma tu non eri stato prosciugato dalla tua Regina di Francia?” protestò Alhena, senza riuscire a nascondere il divertimento.
“Sono giovane”, asserì lui, sicuro, “mi riprendo in fretta. Sicura di non voler controllare?”
“Sicura, Ramón, sicura”.
“Meno male che a Natale siamo tutti più buoni”, mugugnò lui, sciogliendosi i capelli e poi tirandosi la coperta fino al mento.
Preda all’ispirazione del momento, Alhena si chinò su di lui, e sussurrò:
“Allora facciamo così: tu prometti di fare il bravo e di non infrangere troppi cuori, e, quando ti diplomerai, per festeggiare mi porterai a ballare”.
Roger le rivolse un sorriso soddisfatto, leccandosi e labbra e mormorando:
Me lo prometes?
“Parola di Corvonero”, lo rassicurò lei, con una strizzatina d’occhio.
Del resto, pensò Alhena, il tango restava per lei un territorio ancora quasi sconosciuto.
E un ballerino, per dirsi davvero completo, deve studiare anche discipline diverse.
Lo faceva soltanto per la sua carriera.



 

Note:
Non dovrei, ma ve lo dico: il mio primo fidanzatino, ai tempi delle scuole medie, mi si è avvicinato durante l’intervallo (sembra una vita fa) con una lattina di tè in mano, e mi ha conquistata con un romanticissimo “noi siamo come il tè al limone: io sono l’acqua, tu il limone” (che fossi acida già da ragazzetta? Probabile). Sapevo che questa cosa mi sarebbe tornata utile, prima o poi.
Comunque, non volevo farvi aspettare troppo per un capitolo già pronto, e dunque eccomi qui.
Io devo ancora ringraziare infinitamente AdhoMu, perché senza la sua generosità questa storia, che a me ha fatto tanto bene, non sarebbe mai nata. Nel caso qualcuno si fosse perso le scorse note, ci tengo a ribadire di nuovo che la caratterizzazione di Roger Davies a cui ho cercato di rendere giustizia è tutta farina dello splendido sacco di A.: grazie, davvero grazie. 
E ringrazio tutti voi che mi avete tenuto compagnia in questa breve e folle avventura danzante.
Chissà mai che gli artisti decidano di concedere un bis (del resto, c’è pur sempre una promessa in sospeso, no?).
Vi abbraccio!
   
 
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