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Autore: CervodiFuoco    21/11/2019    3 recensioni
Da tanto tempo Santa Klaus aveva perso i suoi poteri magici, così come tutti i suoi aiutanti elfi... come mai? C'entrano, di sicuro, le Macchine. Ma c'è dell'altro... deve esserci.
Varca la soglia di questo fiabesco racconto breve e scopri insieme a Litrillo, uno degli ultimi Elfi entrati in casa di Klaus, come mai ora lui e la sua famiglia hanno riacquisito i poteri magici insiti nella loro natura.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LE MACCHINE E LA MAGIA





I grossi ingranaggi ruotavano e cigolavano, propagando un'eco sinistra nella vecchia sala dei macchinari.

Klaus fissava il Generatore di Cotone carezzandosi i folti baffoni bianchi, assorto. Attraverso un vetro trasparente egli poteva osservare il processo che avveniva all'interno del Generatore: una pompa sputacchiava dall'alto, ritmicamente, un bitorzolo gommoso color rosa confetto che ricadeva su un nastro trasportatore; veniva accompagnato poco più avanti, dove una pressa dava al mucchietto colorato una forma ben precisa, una diversa dall'altra, tra sbuffi di vapore e fischi acuti.

«Siete proprio sicuro, signore?» mormorò una vocetta.

«Si» rispose Klaus, abbassando lo sguardo gentile alla sua sinistra. Di fianco a lui stava una figura alta ed esile come quella di un bimbo, vestita di verde bosco e con un cappello a punta sulla cima della testa. «Non c'è altro modo».

L'Elfo attese, rimirando anche lui il Generatore di Cotone che sferragliava e cigolava a più non posso. «Capisco» disse poi. «Forse è giusto così.» Aveva una voce sottile e delicata: faceva venire in mente una farfalla di cristallo. «Allora la spegniamo?» domandò.

Klaus annuì lentamente ed emise un sospiro. «Siamo costretti. Consuma troppa energia, e noi abbiamo bisogno di ammodernarci.» Così si spostò davanti ad una sorta di pannello pieno di bottoni colorati. Ne spinse uno grande e rosso, e il macchinario si arrestò immediatamente, emettendo un lunghissimo fischio che andò scomparendo nella propria eco.

Adesso la sala dei macchinari era gradevolmente silenziosa. I due si avviarono insieme e la percorsero. Era vasta e con un soffitto altissimo, limitata da muri di cemento grigio. C'erano qui e là tante macchine molto simili al Generatore di Cotone, tutte spente. Klaus e l'Elfo le esaminarono brevemente, giusto un'occhiata mentre gli passavano davanti. I loro passi risuonavano secchi e veloci; l'Elfo, per star dietro all'omone, doveva camminare rapidamente.

Infiocchettatore di Coccarde.

Produttore di Batterie.

Inscatolatore.

Inventore di Toni Musicali.

Ammorbiditore di Pupazzi.

Raggiunsero infine una porta quadrata aperta su una delle pareti. Klaus girò sui tacchi, portò le mani dietro la schiena ed emise un altro sospiro, dando un ultimo sguardo ai macchinari.

«Questa sala non mi è mai piaciuta» decretò, asciutto.

L'Elfo si arrestò a sua volta, anche se in ritardo, e rimase in silenzio a guardare Klaus alle sue spalle. Alto e imponente, avrebbe sovrastato qualunque essere umano. In quel momento indossava una delle sue tuniche preferite, di un blu cobalto con le cuciture e la cintura di raso dorati. Anche le pantofole erano dorate. Portava sciolti i capelli e la barba bianchi.

Assorto su di lui, l'Elfo strinse le labbra quando Klaus si girò e uscì dalla sala con le folte sopracciglia aggrottate, spense le luci e chiuse la porta di spesso metallo. Clangk.

Si incamminarono lungo un corridoio caldo e accogliente. Il legno scricchiolava amichevole sotto i loro passi.

«Signore...» esordì l'Elfo. Si schiarì la vocina. «Come mai... avete costruito la Sala delle Macchine, se non vi è mai piaciuta?»

Klaus parve ponderare un momento, e poi disse: «Avevo perso i miei poteri, Litrillo. Se non avessi fatto così, non avrei potuto produrre i giocattoli. Non avremmo potuto» si corresse, mutando il tono della voce.

Erano arrivati dinnanzi a un'altra porta, stavolta fatta di legno intarsiato e con una bella ghirlanda verde infiocchettata. La varcarono. Entrarono in una sala da pranzo: c'era un tavolo coperto da una tovaglia bianca, già apparecchiato che avrebbe potuto ospitare almeno una trentina di persone. Tutt'intorno c'erano sedie foderate contro le pareti, statue intagliate in tronchi grezzi raffiguranti animali e volti di creature fatate, credenze e altra mobilia, e poi tanti quadri colorati incorniciati di metallo prezioso. Un sontuoso lampadario di cristallo illuminava pendendo dal soffitto.

Klaus andò ad accomodarsi ad un posto qualunque. Litrillo lo seguì.

«Perché avevate perso i poteri?» domandò l'Elfo mentre si infagottava l'angolo di un fazzoletto candido nel colletto della camicia.

Klaus fece un profondo e calmo respiro, sorridendo, e gli occhi azzurri gli brillarono. «Perché le persone non credevano più in me» spiegò scandendo pianissimo le parole. Diede una carezza sulla nuca a Litrillo, poi prese un campanellino posato vicino al suo piatto e lo fece suonare. Da questo scoppiettarono delle scintille di luce, che volteggiarono in alto in volute eteree e scomparvero in una buffa esplosione come bolle di sapone.

In men che non si dica, una moltitudine di creature si rovesciarono nella sala da pranzo entrando da una serie di porticine laterali che erano mimetizzate nel motivo della carta da parati. Vestivano tutte pressappoco uguale a Litrillo: chi con una giacchetta, chi a piedi scalzi, chi coi calzoni corti anziché lunghi e così via. C'erano maschi e femmine, ma nessuno era più alto di un metro e qualcosa ed erano smilzi e aggraziati; ma soprattutto erano sorridenti, o comunque dall'aria vispa, spensierata e furbetta. Andarono subito a sedersi facendo un chiasso terribile. Klaus rise piano sotto i baffi ed il suo pancione oscillò su e giù.

«E perché le persone non credevano più in voi?!» aveva continuato a chiedere preoccupato Litrillo, nel mezzo di quel caos, tirando la manica a Klaus che sedeva alla sua destra.

Klaus attese che tutti gli Efi si accomodassero; alzò le mani e le batté, attirando l'attenzione su di sé e quindi facendo calare il silenzio.

«Benvenuti, amici miei! E' l'ora di mangiare. Ora, non perdiamo altro tempo! Ma prima... c'è una cosa che voglio fare, e vorrei che mi aiutaste. E' qui con noi Litrillo!» Guardò di lato e in basso, indicando così dove si trovava l'Elfo in questione. Litrillo intanto si fece piccolo piccolo, per quanto ciò fosse ulteriormente possibile. «Come sapete, è con noi da poco tempo e quindi non conosce gli avvenimenti più recenti» proseguì Klaus. «A chi piacerebbe raccontarglieli?»

Gli Elfi seduti a tavola scoppiarono nuovamente a strillare, ridacchiare e sbracciarsi.

«Calma, calma!» esclamò Klaus ridendo. «Allora, sarò io a scegliere uno di voi, d'accordo? Vediamo... chi potrebbe andar bene... mmh, Serenella!»

Il dito indice di Klaus era diretto verso un'Elfa particolarmente minuta, dalle guanciotte rossissime e grandi occhi blu. Portava i capelli castani separati in due trecce ai lati della testa. Al sentirsi chiamare, si rizzò sulla sedia e arrossì ulteriormente; forse era una dei pochi a non aver fatto baccano entrando nella stanza.

Gli occhi di tutti i presenti caddero su di lei. Serenella prese a mordersi il labbro inferiore e si accucciò per scomparire sotto il tavolo, ma non ci sarebbe mai riuscita del tutto.

«Avanti!» la incoraggiò Klaus con entusiasmo. Gli altri se ne stavano in assoluto silenzio, in rispetto delle volontà di Klaus. «Non aver paura, e dì ciò che ritieni giusto dire.»

«Si» disse infine Serenella, trovando il coraggio di drizzare la schiena e schiudere le labbra. Si guardò intorno, sbatté veloce le palpebre e prese un bel respiro, cercando il posto di Litrillo con gli occhi. «Mi chiamo Serenella e sono una tua sorella, qui alla casa di Klaus» esordì con voce tenera e cantilenante, ma piuttosto risoluta. «Noi siamo gli Elfi costruttori di giocattoli, e lo aiutiamo nel suo lavoro. Ci ha accolti nella sua casa perché noi eravamo senza e da quel giorno noi...»

«Serenella» la interruppe dolcemente Klaus con un cenno della mano, «queste cose Litrillo credo le sappia già. Potresti, per favore, spiegargli cos'è successo prima... poco prima che lui arrivasse da noi?»

L'Elfa guardò dapprima smarrita, poi supplichevole l'omone barbuto. Infine respirò rumorosamente e si decise. Deglutì. «Nel mondo c'erano tante persone che non credevano più in Klaus» disse con un fil di voce. «Perciò ha perso i suoi poteri magici. E anche noi Elfi. Allora abbiamo dovuto costruire delle macchine che facessero il nostro lavoro, perché senza magia non possiamo fare i giocattoli e tutte le altre cose.» Fece una pausa, chiudendo gli occhi. Intorno a lei sembrava calato un silenzio triste: gli altri la ascoltavano seri.

Litrillo, immobile, se ne stava cogli occhi color nocciola spalancati sulla tavola.

«Ma ora le cose stanno tornando alla normalità» concluse Klaus al posto di Serenella, la quale non dava cenni di voler continuare.

Eppure Litrillo non era soddisfatto. Egli inarcò le sopracciglia, guardò Klaus e disse, quasi spazientito: «Ma perché non credevano più in voi?»

Klaus attese qualche istante prima di rispondere, alzando il mento barbuto e rimirando il vuoto piatto di porcellana bianca davanti a lui.

«Perché si è smesso di credere nella Magia, Litrillo.»

Un'ombra serpeggiò sui faccini degli Elfi; molti di loro non avevano il coraggio di alzarlo dalla tavola.

«E perché?» domando innocente Litrillo, spezzando l'incantesimo di mutismo che gravava come un grosso peso sui presenti.

Poggiando i gomiti sul tavolo, Klaus unì le mani avanti al viso. Litrillo pendeva dalle sue labbra.

«Perché le persone hanno dimenticato che la Magia è dentro di loro. Hanno cominciato a cercarla solo fuori di loro.» Il tono di voce di Klaus era insolitamente grave; ma il suo sguardo era dolce come sempre. «Sono stati tratti in inganno dalle Macchine, che creano la Magia fuori di loro. Possono fare tante cose, oh si! Hanno inventato Macchine molto belle e raffinate, ormai, con cui possono evitare di fare molte cose che in passato invece erano costretti a fare.» Abbassò gli occhi su Litrillo. «Ma non sempre ciò è un bene. Non se ciò priva le persone della Magia. Se le priva del suo ricordo.»

«Allora cosa succede?» intervenne lesto Litrillo, rivelando solo ora che gli mancava un dente sull'arcata superiore: un chiaro segno della vita selvatica praticata prima che Klaus lo accogliesse in casa sua.

«Succede» rispose pacato Klaus, sciogliendo le mani e allungando la sinistra per sfilare il cappello dal capo di Litrillo, «che si dimentica la Magia. Si diventa lenti, pigri, silenziosi all'inizio; tristi, musoni, solitari dopo.» Assestò una pacca sulla testa di Litrillo per scompigliargli affettuosamente i capelli.

«E poi?»

«E poi, se si continua a non ricordare la Magia, succedono altre cose, sempre meno belle.»

A bocca aperta e con la testa spettinata, Litrillo squadrava Klaus che lo sovrastava al proprio fianco.

«Capito?» domandò Klaus.

Litrillo annuì, ma i suoi lineamenti dicevano tutt'altro. «Quindi noi siamo magici e gli Umani no?» ribatté immediatamente.

Klaus strabuzzò gli occhi. «Perché mi chiedi una cosa simile?»

«Perché... perché noi abbiamo perso i poteri quando gli Umani hanno smesso di credere nella Magia. E noi siamo magici.» Litrillo andò in cerca della complicità degli altri Elfi accomodati alla tavola, ma la trovò soltanto in parte; perlopiù trovò perplessità e attesa. «Non è giusto» disse, un poco imbronciato. «Se loro non credono in noi, noi perdiamo i poteri... »

«Caro Litrillo» disse Klaus annuendo, «E' vero, noi siamo esseri magici. Ma, vedi, devi sapere che non c'è nulla a questo mondo a non essere magico. Ogni animale, ogni fiocco di neve... dal più piccolo fiore alla possente montagna... tu lo sai bene. Tutte le cose del Mondo sono legate insieme dalla Magia. E se tante creature sanno di essere magiche, allora la Magia nel Mondo diventa più potente. Però... può anche accadere il contrario, purtroppo.» Fece una breve pausa. «Anche gli Umani, pensa un po', sono esseri magici. Si, si!» Squadrò divertito il piccolo nuovo Elfo seduto vicino a lui nell'assumere un'aria a dir poco incredula. «E son capaci di cose meravigliose! Miracoli, si. Sai, un tempo anch'io ero Umano. E in un certo senso lo sono ancora, mio caro... ma ho così a cuore la felicità degli altri, che la Magia stessa mi ha incaricato di un importante compito.»

«Portare i regali ai bambini!!» intervenne felice un Elfo tra quelli seduti, decisamente uno dei più scalmanati, che alzò le braccia in segno di gioia.

«Esatto, esatto! E non solo, grandi e piccini! Grandi e piccini...» Klaus soppesò le proprie parole e sospirò, dando un altro sguardo amorevole a Litrillo. Quello se ne stava ancora lì impalato a fissarlo, immerso in chissà quali riflessioni piene di stupore. «Prima di cominciare a mangiare... c'è qualcos'altro che vuoi chiedere, Litrillo?» lo invitò.

Litrillo chiuse di scatto la bocca e assunse un'aria pensosa, mentre intorno a lui gli altri Elfi iniziavano a creare un basso brusio di sottofondo, segno che la conversazione era durata fin troppo.

«Come hanno fatto le persone a ricordare la Magia?» disse Litrillo a bassa voce, quasi stesse confidando un segreto. «A ricordare che sono magiche?»

«Bé, è facile» ribatté Klaus facendo spallucce e mostrando un radioso sorriso da sotto la barba. «Prima o poi ci si stufa di tutto... anche delle Macchine. Ma non ci si può stufare della Magia... per questo gli Umani se ne stanno ricordando.» Anche lui prese il tovagliolo a fianco del piatto, lo aprì e se lo mise al collo, sebbene fosse mezzo coperto dalla folta barba bianca. «In verità non ci si può scordare completamente della Magia che è dentro di noi, perché noi siamo la Magia!» Sghignazzò e si sporse sul tavolo. «E' l'ora del Pranzo!» E batté forte le mani.

Gli Elfi seduti scrosciarono in un applauso. Allora da una porta entrarono una sfilza di eleganti uomini e donne, alti e belli, vestiti con tuniche e camicie e pantaloni brillanti e ricamati; i loro capelli erano lunghi e acconciati in modi incantevoli. Reggevano vassoi d'oro e argento coperti da una campana. Circondarono il tavolo e vi deposero sopra i vassoi. Alzarono i coperchi e rivelarono i cibi meravigliosi al di sotto: ce n'era per tutti i gusti, ed ogni pietanza abbondava e fumava ed emanava profumi deliziosi che riempirono le narici dei presenti in men che non si dica.

«Buon appetito, amici!» esclamò gaio Klaus, scambiando sguardi grati agli uomini e le donne che erano entrati ed ora uscivano dalla stanza con un profondo inchino e un bel sorriso.

Anche Litrillo si dedicò al Pranzo, ma le ultime parole di Klaus rimbombavano ancora nella sua mente mentre gli veniva versato del succo d'arancia nel bicchiere. ''In verità non ci si può scordare completamente della Magia che è dentro di noi, perché noi siamo la Magia!''. Di sicuro intendeva sia gli Elfi sia gli Umani... no?

Si, doveva essere per forza così.

   
 
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