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Autore: Ghostclimber    21/11/2019    3 recensioni
Mercy vuole pensare al suo bagno caldo con la schiuma, al libro di Stephen King che forse l'aspetta sul comodino insieme ad un bicchiere d'acqua e una confezione di calmanti, al profumo della crema che forse si applicherà sul viso prima di andare a dormire.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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I'm longing for a meaning of it all,
the feeling that I'll be alright,
just let me sleep tonight,
for a while.

-Ola Salo, Go On Go On

 

(Vorrei trovare un significato a tutto ciò,
la sensazione che starò bene,
lasciatemi solo dormire stanotte,
per un po'.)

 

 

 

 

 

Mercy si toglie i vestiti, uno ad uno.

Prima il golfino, giallo limone con un piccolo cuoricino di plastica applicato al bordo inferiore, sul fianco sinistro; le maniche sono appena slabbrate, lo ha indossato per un paio di giorni e il movimento delle mani ne ha allentato le coste dei polsini.

Poi la camicetta, nera, non attillata ma abbastanza sagomata da poter essere indossata sotto ad un altro indumento senza farla sembrare goffa e impacciata.

Poi i jeans, semplici pantaloni di denim slavato, non ad arte, ma per l'utilizzo: Mercy ama quei jeans, ci si sente a casa, e sentirsi a casa è una sensazione che spesso le manca.

Poi i calzini, prima il destro e poi il sinistro. Sono spaiati, uno è a blu a losanghe rosse e l'altro grigio a losanghe nere. Si diverte a spaiarli apposta, un vecchio giochino che risale ai tempi in cui viveva a pane e Harry Potter: il suo tributo per Dobby, il coraggioso elfo domestico che ha dato la vita per salvare gli amici.

Si porta le mani dietro la schiena per slacciare il reggiseno, e sospira alla consueta sensazione di sollievo: è un indumento vecchio e un po' liso, ma il peso dei seni pieni si fa sempre sentire a fine giornata, ai lati del costato, tanto che sulla sua pelle ci sono due segni rossi ormai indelebili, e l'abitudine è tale che si accorge di aver provato dolore alla costante frizione solo quando se lo toglie la sera, prima di lavarsi e mettere il pigiama. Lo guarda, un'imitazione in tessuto della sua vita: scialbo, grigio, con solo un piccolo bordino di pizzo ormai sbiadito e quasi invisibile intorno al bordo, rigide le coppe e rigidi i ferretti, insanguinato sui fianchi, slabbrato dalla tensione sulle bretelline elastiche.

Una goccia cade e si infrange nella superficie calma dell'acqua che riempie la vasca, calda e piena di schiuma vaporosa, e Mercy fa spallucce mentre si sfila gli slip, un modello semplice, di cotone blu, con l'elastico in vita, progettato per non infilarsi in posti scomodi e non per sedurre.

Si ravvia i capelli con dita sudate, dalle unghie corte e senza smalto, con le nocche escoriate dal freddo: capita raramente che si prenda tanta cura di sé da ricordarsi di mettere un paio di guanti quando esce di casa al mattino per andare al lavoro.

Ma non vuole pensare al lavoro, adesso. Quello è un luogo inospitale, incomprensibile, in cui Mercy si sente spaesata. Mercy non è stupida, impara rapidamente, è dotata e si applica, caso raro, ma se c'è una cosa che proprio non le riesce di comprendere è la mancanza di empatia. Ed è da questo che è circondata ogni giorno, due ore al giorno sulle strade che percorre sulla sua utilitaria che avrebbe bisogno di una controllata ai freni e nove ore al giorno, otto più la pausa pranzo, al lavoro, dove spesso deve controllare l'istinto incontrollabile di ritrarsi, accoccolarsi su se stessa, nascondersi di fronte alla stupida cattiveria di persone bieche e meschine.

Dicevamo, Mercy non vuole pensare al lavoro, Mercy vuole pensare al suo bagno caldo con la schiuma, al libro di Stephen King che forse l'aspetta sul comodino insieme ad un bicchiere d'acqua e una confezione di calmanti, al profumo della crema che forse si applicherà sul viso prima di andare a dormire.

 

Mercy allunga una gamba oltre il bordo di ceramica bianca della vasca da bagno, e un'altra gocciolina cade dal rubinetto. La sua gamba è pallida, più sottile di com'era stata in passato, i peli sottili e chiari, quasi invisibili, sulle cosce, solo piccoli puntini rossastri sui polpacci dove ha passato l'epilatore; ha tralasciato le cosce perché, come abbiamo detto, lì i peli nemmeno si vedono. Ha dato giusto una ripassata all'interno coscia, niente più.

Immerge la punta del piede nell'acqua, poi la pianta, il tallone, la caviglia. È avvolta dalla carezza bollente e setosa dell'acqua fin quasi al ginocchio, ora: le sue gambe sono sottili ma corte.

È più veloce a immergere l'altro piede, e in un lampo è seduta nell'acqua, i seni che ne sfiorano appena la superficie e acquisiscono un po' del tono superbo che avevano durante l'adolescenza, e che hanno perso un po' per l'età, sebbene Marcy sia ancora una donna molto giovane, sia per un intenso processo di dimagrimento.

Immerge anche le braccia, e giunge le mani come se fosse in preghiera tra le cosce: riesce anche così a unire le ginocchia, e per un attimo ne è rallegrata: ha sempre avuto problemi di peso, e il grasso sembrava essersi proprio essersi affezionato alle sue cosce. Ma ora non ce n'è più così tanto, anche lui dev'essersi accorto che il corpo di Mercy, ottenebrato dall'incomprensione e dalla sofferenza che non riesce ad esprimere, non è più un luogo ospitale.

L'acqua è bollente, il vapore sembra annebbiare gli occhi di Mercy, ma il fastidio non durerà a lungo. È un sollievo.

Mercy ripensa ad un video visto di recente. Vi figurava il cantante di un noto gruppo rock, intento a ridere e scherzare con un gruppo di amici. Il cantante si era suicidato la notte stessa, dopo essere tornato a casa. Chi aveva pubblicato il video su un noto social network sosteneva che la depressione fosse irriconoscibile, perché l'uomo pareva divertirsi come un matto mentre i fatti avevano dimostrato che dentro di sé non covava più un briciolo di speranza.

Mercy era rimasta agghiacciata.

Avrebbe voluto urlare, guardando quel video, e per un attimo aveva visto le proprie dita digitare un commento disperato: “Ma non lo vedete?! Che razza di problema avete per non vederlo?! Siete diventati tutti ciechi?!”.

Si era fermata, però.

Pensando agli amici che le dicevano quanto stesse bene dopo che aveva perso quegli ultimi chili, e che si complimentavano con lei che si era finalmente ripresa un po' dalla depressione in cui sembrava essere caduta, Mercy tira fuori una mano dall'acqua e prese la lametta.

Non devi pensarci troppo, Mercy, si dice mentre cala l'angolo acuminato della lametta nell'incavo del gomito.

Ti capiterà sempre di avere un collega antipatico, Mercy, si dice mentre solca l'interno dell'avambraccio, tagliando la pelle in due ali che si discostavano l'una dall'altra, rivelando l'interno rosso e putrido del suo corpo.

Devi imparare a farti scivolare addosso le cose, Mercy, si dice mentre solleva la lama dopo aver raggiunto il polso.

Se la prendi sempre così non ne esci, Mercy, si dice mentre opera un altro taglio trasversale lungo i braccialetti della fortuna.

L'anulare ricade all'indietro insieme al mignolo: evidentemente aveva reciso un tendine importante, ma il fastidio dell'acqua bollente la distrae dal dolore che avrebbe dovuto provare. E soprattutto, la distrae la prospettiva che di lì a poco non ne avrebbe sentito più.

Cerca di cambiar mano alla lametta, ma le sfugge, cadendo nell'acqua schiumosa; lascia dietro di sé una scia rossastra che si stempera nella trasparenza lattescente. È scivolosa, e la sua mano sinistra è inservibile per metà. Per di più, il sangue che sempre più copioso le gocciola dal lungo taglio si stava portando via una buona fetta delle sue energie.

Ripensa a quel cantante, all'orrore nei suoi occhi mentre compiva un evidente sforzo per uniformarsi all'ambiente circostante, e se lo sente vicino: la stessa fatica le ammorbava i muscoli alla sera, dopo una giornata passata a fingere che tutto andasse bene al lavoro (oh ma avevamo detto che non ci voleva pensare), dopo serate in cui gli orologi sembravano essersi fermati, trascorse a recitare il suo solito ruolo di sorridente, sarcastica macchietta. Tutto per non far preoccupare nessuno, e per evitare che chiunque se ne uscisse con i soliti cliché preconfezionati e surgelati, che le stringevano lo stomaco come una pizza prodotta in serie tirata fuori dalla plastica e ficcata in forno.

Vorrebbe urlare, Mercy, vorrebbe urlare che questo è il punto a cui l'hanno trascinata, che loro che si professano amici non hanno saputo guardarla negli occhi, troppo distratti dal sorriso.

Un sorriso falso, che provava e riprovava in bagno alla mattina, nello specchietto retrovisore della macchina, nei riflessi delle vetrine e negli specchi della palestra.

Un sorriso in cui aveva sperato.

Aveva sperato di poter indossare quel sorriso come i suoi jeans, abbastanza a lungo da sentircisi a casa, ma era invece diventato come il suo reggiseno: un orpello di costrizione, tanto usurato da solcare sempre le stesse abrasioni, tanto da non far male fin quando non se lo poteva finalmente togliere di dosso.

Ripensa a quel cantante, Mercy, e desidera di essere stata con lui quella sera. Avrebbe riconosciuto il sorriso, era identico a quello che vedeva in ogni specchio, e soprattutto avrebbe riconosciuto i mille anni luce di oscurità che si celavano dietro ai suoi occhi. Perché dietro agli occhi di Mercy ce n'erano altri mille, e come i buchi neri si sarebbero attirati a vicenda.

L'avrebbe tenuto per mano, Mercy, come avrebbe tanto voluto che qualcuno facesse per lei.

L'avrebbe solo tenuto per mano, senza parlare, senza guardarlo, senza giudicare.

Oh, come avrebbe voluto che qualcuno lo facesse per lei.

Star seduti nel niente, a galleggiare sull'erba e guardare le nuvole, senza nemmeno stare a cercarci forme strane, solo guardando.

Pensando a nulla, magari, o pensando un po' a tutto.

Come avrebbe voluto farsi tenere per mano.

 

Mercy apre gli occhi.

È scivolata all'indietro, e ora la sua schiena aderisce al bordo curvo della vasca da bagno, i capelli corti tagliati male da un parrucchiere disattento che sfiorano appena la superficie dell'acqua, ormai fredda.

Si era addormentata, e aveva sognato di essere da sola nel buio.

E ora si è svegliata, e ha scoperto di essere da sola nel buio.

Sul bordo della vasca, a poca distanza dalle sue dita, giace una lametta da rasoio, ancora impacchettata nella carta spessa di sicurezza.

Ancora una volta era stata troppo codarda.

Mercy si alza, esce dalla vasca da bagno e lascia defluire l'acqua. Si asciuga accuratamente, si applica un velo di crema sul viso, si spazzola i capelli come meglio può senza ottenere il minimo risultato e indossa gli slip. Rosa, oggi, una botta di vita.

Indossa il pigiama e un golfino che un tempo aveva una forma, si infila sotto alla trapunta e inforca gli occhiali. Beve un sorso d'acqua, posa il bicchiere e prende l'ultimo libro di Stephen King. È poco oltre la metà, il punto in cui è arrivata è marcato da un segnalibro giallo e nero a punto croce.

Sospira, Mercy.

Come vorrebbe che qualcuno la tenesse per mano.

 

 

 

 

I tried so hard,
and got so far,
in the end,
it doesn't even matter.

-Linkin Park, In The End

 

(Ci ho provato intensamente,
e sono arrivato lontano,
alla fine,
non è neanche così importante.)

 

 

But everything is fine,
yes, everything is fine.

-Robert Jones, Everything Is Fine

 

(Ma va tutto bene,
sì, va tutto bene.)

 

 

 

 

 

 

Un pensiero a Chester Bennington. Sono sicura che anche chi, come me, i Linkin Park li ascolta solo una volta ogni tanto, ha visto quel video. Cercatelo, se volete. E guardatelo negli occhi. Guardate tutti negli occhi, soprattutto chi ride molto.

Un pensiero a chi sente sulla propria pelle quello che sente Mercy.

Se vi sentite così scrivetemi. Non importa se non ci conosciamo.

Ci terremo per mano.

   
 
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