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Autore: Old Fashioned    22/11/2019    17 recensioni
Un agente immobiliare sogna di cambiare vita, di vivere la "vita vera", ossia quella dei ricchi. Per concludere un affare, un eccentrico cliente lo invita al casinò e il nostro assapora per una sera la vita che ha sempre sognato. Il gioco d'azzardo, altra cosa di cui in quell'occasione ha un assaggio, gli sembra il modo più semplice per guadagnare più soldi e quindi fare finalmente il famoso salto di qualità che da tanto tempo sogna.
Peccato che il gioco d'azzardo possa trasformarsi in una malattia incontrollabile e distruttiva...
(per scrivere questa storia mi sono addirittura infilato in un aggiornamento per operatori Ser.T. sul gioco d'azzardo patologico, quindi ciò che scrivo è assolutamente realistico).
La storia è stata ispirata dal contest indetto da Soul Shine "Sitting in my room, with a needle in my hand". Ringrazio moltissimo Soul per l'idea.
Genere: Angst, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Salve a tutti,
seconda parte del mappazzone. Come sempre grazie a tutti coloro che mi hanno seguito fin qui, grazie a chi mi ha messo in qualche lista e un grazie speciale a chi mi ha lasciato anche un parere^^








Capitolo 2

Rizzelli fece scivolare una banconota da venti euro – l'ultima – nella VLT.
All'inizio era stato più che altro un esperimento: entro in una sala da gioco e vedo com'è fatta. Ci era sempre passato davanti, dedicando non più di un'occhiata distratta a quei luoghi dalle vetrine oscurate, in cui la gente si infilava come se entrasse in un night club dalla fama equivoca.
La prima volta ci era rimasto poco più di dieci minuti, aveva maldestramente perso una ventina di euro e poi era uscito, ma l'esperienza gli aveva lasciato dentro una strana sensazione di vuoto, di occasione mancata. L'idea che forse la macchina stava per pagare e lui aveva mancato per un soffio la possibilità di essere il beneficiario di una grossa somma.
La volta dopo era rimasto di più: la perseveranza aveva dato i suoi frutti e la macchina gli aveva elargito trecento euro.
Poi aveva continuato a frequentare il posto. Pian piano stava cominciando a conoscere le macchine. Chiaramente chi le gestiva aveva tutto l'interesse a dire che il loro funzionamento era completamente standardizzato, ma chiunque avesse anche una minima esperienza di gioco sapeva bene che le cose in realtà non stavano così. C'erano mille piccoli segni che potevano essere interpretati per sapere se la macchina avrebbe pagato o no: il suono che la moneta faceva cadendo nel serbatoio, la velocità di risposta ai comandi, il tempo trascorso dall'ultimo pagamento e così via.
Quelli erano segreti, che ogni giocatore elaborava con l'esperienza e perlopiù teneva gelosamente per sé.
Anche lui stava cominciando a mettere insieme il suo personale bagaglio di conoscenze in merito.

Giocò fino a che il credito non fu esaurito, poi meccanicamente aprì il portafoglio, solo per trovarlo vuoto.
Si guardò intorno e scrutò quasi con invidia gli altri avventori della sala, che avevano ancora soldi da giocare.
Perché lo sapeva, lo sentiva: ci mancava tanto così e avrebbe vinto. Bastava guardare il display, del resto: tutte le VLT erano in rete e sullo schermo, in alto, c'era una cifra che indicava il montepremi raggiunto. Bastava poco, pochissimo, e avrebbe fatto il colpo grosso. Di nuovo guardò il portafoglio, ma non c'era dentro altro che qualche vecchio scontrino. Nelle tasche aveva solo pochi spiccioli.
Estrasse il bancomat, ma non si mosse: nella sala c'erano solo pochi avventori, ma se l'avessero visto correre via avrebbero capito che la macchina stava per pagare, e di certo avrebbero approfittato della sua assenza per rubargli il posto e la vincita.
Abbandonò con finta noncuranza lo sgabello, salutò il gestore e uscì. Solo quando fu certo che nessuno potesse vederlo scattò di corsa, si infilò nella prima banca che incontrò e si precipitò sul bancomat come un affamato su una tavola imbandita.
Estrasse la tessera con mani tremanti, la infilò nell'apposita fessura e digitò il codice. L'apparecchio gli chiese l'autorizzazione a inoltrare la richiesta alla sua banca, gli fece presente che ci sarebbe stata una commissione.
Rizzelli accettò con una mezza imprecazione, infastidito dai secondi preziosi che stava perdendo.
Alla fine comparve la richiesta di inserire la cifra. Cinquecento euro, digitò lui d'impulso, poi ci ripensò, cancellò e scrisse settecentocinquanta.
Diede l'invio, rimase ad attendere spostando il peso da un piede all'altro mentre l'apparecchio contava i soldi.
Si ficcò in tasca tessera e banconote, si fiondò fuori dalla banca e corse alla sala giochi. Da una fessura scrutò all'interno: la sua VLT era ancora vuota. O era già vuota? Sentì il cuore saltargli un battito: e se mentre era via qualcuno ci si era seduto, aveva giocato e la macchina aveva pagato?
Scrutò di nuovo la sala: non sembrava vi regnasse una particolare eccitazione. Gli avventori erano anzi meno di prima, data l'ora tarda, e ormai anche gli ultimi irriducibili stavano andando a casa.
Controllò l'orario e sollevò le sopracciglia, tuttavia entrò, sedette sullo sgabello e introdusse i primi cinquanta euro nella macchina.
Mi rifaccio della perdita, disse fra sé e sé. Due giocate e vado.

Si chiude,” disse una voce, facendolo trasalire.
Si girò di scatto e si trovò faccia a faccia con il gestore della sala. A parte loro non c'era più nessuno, tutte le altre macchine erano spente.
Un'ultima giocata,” implorò. La VLT stava per pagare, se lo sentiva. Sarebbe bastato pochissimo e poi...
Stiamo chiudendo,” lo gelò il gestore.
Cinque minuti,” pregò Rizzelli, “due minuti!”
Mi dispiace, gli orari sono affissi alla porta, e poi non voglio noie col Comune.”
Domattina a che ora aprite?”
Otto e mezza.”
Bene, senta, io domattina sono qui appena aprite, e voglio quella VLT per me, d’accordo?”
L'altro non parve particolarmente colpito. “Va bene. Ora vada, però.”
Rizzelli si ritrovò in strada. Guardò l'orologio: erano le ventitré. Tirò fuori dalla tasca il cellulare e trovò sette chiamate di sua moglie. “Merda,” imprecò fra sé e sé. Non se n'era nemmeno accorto: eppure non aveva la suoneria silenziata e teoricamente ogni chiamata avrebbe dovuto essere accompagnata da una decisa vibrazione.
Chiamò Laura: “Pronto, amore?”
Alessandro! Sono ore che ti cerco, stavo per telefonare ai Carabinieri. Dove sei?”
Sto arrivando a casa.”
Ma dove sei?”
Amore, ero in ufficio. Ero talmente preso dal lavoro che non ho fatto caso all'orario.”
Ti ho chiamato un sacco di volte!”
Sì, scusami, tesoro. Avevo tolto la suoneria per lavorare con maggiore concentrazione.”
Ma ho chiamato anche in ufficio, mi ha riposto la segreteria telefonica.”
Rizzelli emise un sospiro. “Lo so, amore, scusami. È che sono dietro a un grosso affare, non posso trascurare il cliente.”
Allora eri fuori con qualcuno?”
Tesoro, ti ho detto che sto seguendo dei clienti. Lo sai come sono i clienti, soprattutto i nostri. Se li scontenti rischi di perdere l'affare, e scontentare certa gente è un attimo.”
La donna rimase in silenzio per un po', quindi in tono di rimprovero disse: “Potevi almeno mandarmi un messaggio.”
Ti prometto che la prossima volta lo farò,” le assicurò Rizzelli.
Vieni a casa?”
Dieci minuti e sono lì, amore.”
L'uomo riattaccò e saltò in macchina. Fermo a un semaforo, frugò nella tasca dove aveva ficcato soldi e bancomat: ne trasse la tessera di plastica e cinquanta euro. “E gli altri?” disse ad alta voce.
Qualcuno gli si era avvicinato mentre giocava? Magari aveva approfittato della sua distrazione? Se non aveva sentito il telefono, di certo non poteva essersi accorto di qualcuno che gli metteva le mani in tasca.
Il suono iroso di un clacson lo riportò bruscamente alla realtà. Ingranò la prima e ripartì, sempre pensando a che fine potevano aver fatto i settecentocinquanta euro che aveva prelevato solo poco prima.
Proprio sotto casa giunse all'unica conclusione logica: se li era giocati senza rendersene conto.
La cosa in realtà non lo turbò più di tanto. Aveva visto dei video su Youtube: c'era gente che col gioco guadagnava venti o trentamila euro al mese. Giocare era un investimento, bastava solo imparare la tecnica giusta. Prima o poi avrebbe fatto il colpo grosso e si sarebbe sistemato per la vita. Guardandosi indietro a quel punto cosa avrebbe detto dei settecento euro scomparsi? Probabilmente ne avrebbe riso con indulgenza, al volante della sua Mercedes-AMG GT, con la bionda al fianco.

Cenò di fretta, sempre pensando alla VLT che stava aspettando gli ultimi euro per fare jackpot e pagarlo. Andò in taverna con l’intento di guardare un po’ di TV, ma quando fu lì adocchiò il suo computer.
Accederlo ed entrare in una lista di casinò online fu tutt’uno.
Ne scelse uno che gli sembrava più interessante degli altri. Innanzitutto nella schermata della homepage c’era una bella ragazza bionda, che gli ricordava quella di Portorose, e poi passava per essere un sito sicuro.
Inserì i suoi dati, codice fiscale, nome e cognome, carta di credito e tutto. Quando ebbe finito, gli si aprì davanti una sfilza di possibilità di gioco.
Sorrise fra sé e sé: un luogo comodo, tranquillo, dove avrebbe potuto giocare in ciabatte, con la birra accanto, senza la preoccupazione di fare tardi o di insospettire Laura. Certo non c’era l’ebbrezza della VLT in sala giochi e meno che mai quella del vero casinò con le ragazze in abito da sera, ma per rilassarsi dopo il lavoro poteva anche andare bene.
Scelse un videopoker, ma non doveva essere serata, perché non gli venne fuori nemmeno una mano decente. Quando smise di giocare si rese conto che aveva perso altri cinquecento euro.
Spense il computer con un sospiro di frustrazione. In effetti, non aveva sentito il fluido. Ecco perché la VLT non aveva pagato e il videopoker gli aveva mangiato tutti quei soldi.
Niente fluido.
Dapprima si ripromise di giocare solo quando lo sentiva, qualunque cosa fosse, poi ripensò alla VLT che lo aspettava nella sala giochi ed ebbe un sussulto di razionalità: lì non era questione di sensazioni ma di statistica, quella macchina stava per pagare, era chiaro, e lui l’aveva capito.
Si chiese se per caso in quel momento i gestori della sala giochi stessero approfittando del lavoro che lui aveva fatto nel pomeriggio: li immaginò a infilare banconote nella macchina, ghignando della sua impotenza.
Visualizzò una cifra mostruosa – la sua cifra mostruosa – che compariva sul display in un tripudio di luci e musichette.

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Laura lo fissò perplessa. “Come mai esci così presto?”
Rizzelli, che aveva bevuto un caffè in piedi e aveva già il soprabito addosso, le rispose: “Te l'ho detto, tesoro: ho un grosso affare per le mani.” Il che era anche vero, volendo, solo che il suo cliente non era una persona fisica: era un neghittoso Video Lottery Terminal, che andava riempito di attenzioni, oltre che di soldi, per convincerlo a pagare.
Farai tardi anche oggi?”
Non lo so, dipende.”
Dipende, da cosa?”
Dal cliente, amore.” Non specificò, ovviamente, che se il cliente avesse pagato, Laura avrebbe fatto meglio a non aspettarlo proprio.
Uscì svelto, quasi ignorando i saluti di moglie e figlie. La sala giochi avrebbe aperto alle otto e mezza, non poteva rischiare di arrivare cinque minuti dopo e trovare la sua macchina già occupata.
Andò per prima cosa al bancomat, prelevò mille euro per stare sul sicuro, poi si diresse alla sala giochi.
Arrivò che il gestore stava tirando su la serranda, tanto che si sentì in dovere di aiutarlo ad alzarla. Andò diretto alla VLT, attese che l'uomo la accendesse, quindi si installò subito sullo sgabello. Sorrise fra sé e sé: era una buona giornata, sentiva il fluido. Era come una corrente elettrica che gli attraversava le membra, gli faceva battere più in fretta il cuore e gli rendeva il respiro più rapido. Adrenalina, si disse, assaporando con voluttà quelle sensazioni.
Ripensò alla Mercedes e alla bionda e premette il tasto 'Play'.

Roberto alzò la testa dalla scrivania. “Alla buon'ora!” esclamò. “Si può sapere perché arrivi così tardi?”
Rizzelli ostentò un'aria noncurante. “Un po' di traffico.”
Un po' di traffico? Ma sono quasi le undici!”
Era tutto bloccato. C'era un incidente, e...”
Potevi anche telefonare. È venuto quello dell'appartamento di via Roma, ha detto che avevate appuntamento per le nove.”
Merda!” esclamò Rizzelli. Il tizio dell'appartamento: se n'era completamente dimenticato. Guardò l'orologio: le dieci e tre quarti. Gioco un quarto d'ora e me ne vado col jackpot, si era detto, ma la macchina continuava a non pagare. A non pagare e a mangiarsi banconote, per la precisione, mentre il jackpot lievitava.
Alla fine se n'era andato, ma solo perché aveva finito i soldi.
Ok, scusa, Robbi,” disse, “ti prometto che non si ripeterà più.”
Non fa niente, Ale, tanto quello di via Roma me lo sono smazzato io. Però adesso mettiti al lavoro, il boss è già incazzato.”
Rizzelli annuì. Appoggiò soprabito e ventiquattr'ore, poi andò alla scrivania e accese il computer. Controllò la posta, scorse svogliatamente fotografie di rustici sgangherati e appartamenti di periferia, guardò con un po' più di interesse un attico in centro. Si appoggiò all'indietro contro lo schienale, emettendo un sospiro di frustrazione. Tutta paccottiglia, tutta robetta che avrebbe fatto guadagnare alla Diamond House – e quindi anche a lui – quattro soldi. Era stufo di sopportare acquirenti pretenziosi e proprietari paraculi, che una volta venduto l'immobile cercavano ogni scappatoia per non pagare la commissione all'agenzia.
Dardeggiò un'occhiata intorno: non c'era nessuno. Selezionò la navigazione anonima e digitò l'indirizzo del sito di gioco on line.
Comparve la bionda. Bentornato Alessandro, recitò una scritta, non appena egli ebbe effettuato il login.
Andò alla ricerca delle slot. Memore della sua prima vincita consistente, ne selezionò una in stile egizio e cominciò a cliccare, facendo scorrere sul monitor varie combinazioni di ideogrammi.
D'un tratto lampeggiò sul monitor una scritta: duecento euro vinti. Partì un jingle.
Rizzelli sobbalzò per la sorpresa, poi cominciò a spostare il cursore del mouse qua e là per cercare di arrestarlo.
Cos'è?” chiese Roberto dall'ufficio accanto.
Il mio cellulare,” mentì Rizzelli.
Da quando in qua hai queste musichette da asilo?”
Saranno belle le tue.”
E rispondi al telefono, no? Con quel casino sembra di essere al luna park.”
Uffa, quanto rompi.”
Impossibilitato ad arrestare il jingle, Rizzelli optò per la soluzione drastica di spegnere le casse.
Sul monitor frattanto una scritta lampeggiante gli stava chiedendo se voleva continuare a giocare.
Ovviamente sì,” disse fra sé e sé, e cliccò l'icona corrispondente.

La voce del suo collega, proveniente dall'ufficio accanto, lo fece sobbalzare: “Ale?”
Che c'è?”
Me l'hai fatta quella valutazione?”
Assorbito nel susseguirsi di scarabei e faraoni, Rizzelli borbottò: “Quale valutazione?”
Quella del capannone. Avevi detto che me la facevi oggi, il cliente viene alle tre.”
Cazzo,” imprecò lui fra i denti. Rivolse in direzione del collega un'occhiata velenosa. A voce più alta chiese: “Non puoi spostarlo?”
Perché?”
È... complicata. Mi ci vorrà un po'.”
Ieri avevi detto che era una stronzata, e che non ti avrebbe preso più di un quarto d'ora.”
Rizzellì ringhiò un'imprecazione. In un moto di stizza uscì dal sito di gioco on line, quindi disse: “E va bene, adesso te la faccio, ok? Così la smetti di rompere.”
Si udì il tramestio di una sedia che si spostava, quindi Roberto comparve sulla porta e disse: “Ale, questo è lavoro, ok? Non è che ti chiedo la valutazione per romperti i coglioni.”
Stavo vincendo, avrebbe voluto rispondergli Rizzelli, quindi i coglioni me li hai rotti eccome. “Va bene,” borbottò invece, con lo sguardo ostinatamente fisso sulla scrivania. “Ti ho detto che la faccio, va bene? Dammi solo un po' di tempo.”
Roberto non si mosse dalla porta. Con aria vagamente esitante gli chiese: “Qualcosa non va, Ale?”
È tutto a posto.”
Imperterrito, l'altro insisté: “Sei un po' strano ultimamente.”
Sarà una tua impressione, io sono come al solito.”
Roberto fece qualche passo verso di lui. Gettò uno sguardo fugace alla porta del titolare, come sempre chiusa, quindi abbassò la voce e gli domandò: “Senti, non è che ti sei messo a prendere qualcosa di strano?”
Rizzelli aggrottò le sopracciglia. “Del tipo?”
L'altro tentennò imbarazzato, ma non demorse. “Ultimamente sei cambiato,” si risolse a dire.
È un modo paraculo per sapere se pippo della cocaina, per caso?”
È un modo per sapere se hai qualche problema, Ale.”
Anche se ne avessi, a te che te ne frega?”
Roberto lo fissò stupefatto. Aprì la bocca per dire qualcosa, poi evidentemente ci ripensò. Si girò e tornò nel suo ufficio.
Rizzelli cincischiò per un po' con i mappali e le foto del magazzino su cui doveva stilare la valutazione, ma il fastidio per l'intromissione del collega e la consapevolezza che mentre lui era impegnato in quelle cazzate qualcuno forse stava portando la sua VLT a fare jackpot gli toglievano ogni concentrazione.
Alla fine spense il computer, allontanò con un gesto stizzoso carta e penna, quindi si alzò e staccò il soprabito dall'attaccapanni.
Vado in pausa pranzo,” annunciò.
Dallo studio di Roberto non giunse risposta. Rizzelli alzò le spalle con noncuranza: forse il suo collega era già andato a mangiare per i fatti suoi, o magari si era risentito perché lui non l'aveva messo a parte dei suoi supposti problemi.
Il suo sguardo assunse una nota sprezzante: lui non aveva nessun problema, se non quello di essere costretto a fare una vita del cazzo perché non aveva abbastanza soldi, ma presto le cose sarebbero cambiate.
Si allontanò canticchiando: “Mare mare mare, voglio annegare...”

Fermo a un semaforo, in attesa di attraversare la strada, Rizzelli lasciava vagare lo sguardo intorno a sé. Il mondo gli pareva grigio, scialbo, pieno di gente dimessa e triste. Fissò brevemente una donna di mezz'età con la tinta fatta in casa e i vestiti dei cinesi: come si poteva pensare di vivere in quel modo? Quella non era vita, quello era esistere, tirare avanti. Cosa poteva esserci di bello in una quotidianità del genere? Per cosa avrebbe dovuto svegliarsi la mattina quella tizia? Per andare a fare un lavoro sottopagato e tornare a casa la sera con una borsa del discount per mano?
Economie e roba di sottomarca?
No, grazie, si disse. Non fa per me.
Il suo sguardo si fissò su un assortimento di biglietti gratta e vinci appesi a festone nella vetrina di una tabaccheria. I nomi che vi erano stampati sopra gli parvero decisamente suggestivi: Il Miliardario, Il Vincitore, Super Portafortuna...
Entrò nel negozio.
Desidera?” gli chiese la commessa.
Rizzelli stabilì quali fossero i biglietti verso cui l'ormai ben noto fluido lo guidava. “Quei gratta e vinci,” chiese.
Certo, quanti ne vuole?”
Tutti.”
Uscì con un pacco da trecento gratta e vinci sottobraccio. Per un attimo era stato tentato di comprare tutti quelli che c'erano nella tabaccheria, ma poi aveva rinunciato, temendo che non gli sarebbero bastati i soldi. Già così aveva speso seicento euro, ma di sicuro ne era valsa la pena: il montepremi massimo per quel tipo di biglietto era centomila euro, ma naturalmente ce n'erano tanti altri di valore minore. Come minimo sarebbe perlomeno rientrato della spesa.

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Laura e le ragazze erano già a dormire.
Nel silenzio della taverna, un pacco – l'ennesimo – di gratta e vinci usati che finiva di bruciare nel caminetto, Rizzelli cliccava distrattamente i pulsanti di un videopoker online. Emise un sospiro: il colpo grosso tardava ad arrivare. Qualche vincita qua e là, cento euro, duecento, una volta addirittura millecinquecento, ma erano tutte briciole. Cosa se ne faceva di qualche spicciolo in più? In che modo quelle scarse elargizioni avrebbero potuto cambiare la sua vita? Per come stavano in quel momento le cose, gli sarebbe bastato fare qualche straordinario e a fine mese il guadagno sarebbe stato più o meno uguale.
Cliccò ancora qualche volta, le carte passarono di mano, le casse praticamente silenziate emisero un flebile pigolio alla modesta vincita di cinquanta euro.
Rizzelli alzò le spalle sprezzante. Fece per caricare altri soldi, ma a quel punto gli giunse il suono di un sms in arrivo. Meccanicamente tirò fuori il cellulare e guardò il display: la sua banca.
Masticò un'imprecazione. Chiuse il sito di gioco on line e aprì quello di home banking: era arrivato il prelievo della carta di credito e il suo conto era finito in rosso per svariate migliaia di euro.
Merda,” imprecò fra sé e sé.
Rimase per un po' a fissare pensoso la cifra. Che fare? Non sarebbe riuscito a coprirla con il successivo stipendio, ma non poteva nemmeno stare col conto in rosso.
Riaprì il sito di gioco, ma senza soldi non avrebbe potuto farci proprio nulla.
Gli venne un'idea: i soldi c'erano, bastava unicamente spostarli con discrezione. Del resto, sarebbe stato solo per un breve periodo, e poi avrebbe rifuso tutto quanto. Laura non se ne sarebbe mai accorta e le ragazze sarebbero andate in America felici e contente, con la loro bella Università pagata.
Ringraziò che Laura avesse sempre lasciato a lui la gestione di tutte le faccende bancarie.
Entrò nel conto in cui avevano sempre depositato i risparmi per Chiara e Serena: più di centomila euro, decisamente un bel gruzzolo. Anche se ne avesse stornati putacaso dieci o ventimila, ce ne sarebbero stati abbastanza perlomeno per i primi tempi, e poi sarebbero arrivate finalmente le vincite grosse a sistemare tutto.
Effettuò l'operazione, quindi emise un sospiro di sollievo e riprese a giocare.

Lo sorpresero le prime luci dell'alba che entravano dai finestrini della taverna. Un raggio di sole attraversò l'aria resa opaca dal fumo di due pacchetti di sigarette e si riflesse sul monitor strappandogli un'imprecazione.
Si stirò facendo scrocchiare la schiena, poi si passò una mano sul mento ispido. Gli occhi gli bruciavano, aveva le gambe intorpidite. Controllò il credito residuo: solo pochi euro.
Aveva vinto forte durante la notte, tanto che l'eccitazione gli aveva impedito di abbandonare la partita per andare a dormire, poi però aveva perso tutto. Era a malapena in pari.
Spense il computer, si strofinò gli occhi con i pugni. Masticò a vuoto un paio di volte, sentendo in bocca il sapore nauseante di caffè stantio e tabacco.
Si alzò, di nuovo le giunture gli scricchiolarono. Si diresse verso la camera da letto.
Laura ovviamente dormiva. Lui si stese al suo fianco, si tirò addosso la coperta e cercò di addormentarsi a sua volta, ma appena chiudeva gli occhi, ecco che file di ideogrammi in stile egizio cominciavano a susseguirsi nella sua testa, creando ogni genere di combinazione tranne quella che gli avrebbe fatto fare jackpot.
Ripensò al conto delle ragazze e l'unica cosa che gli venne in mente fu che c'erano dentro ancora un sacco di soldi.
Si addormentò.

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Laura controllò l'orologio e sollevò stupita le sopracciglia: erano ormai le dieci passate e Alessandro ancora non tornava.
Che cosa doveva pensare?
Molto semplice: suo marito aveva un'amante, e siccome era stupido come tutti gli uomini, era convinto che lei si bevesse le sue patetiche balle sui clienti da non scontentare.
Erano un po' di notti, ad esempio, che se ne stava giù al computer fino all'alba. Lei faceva sempre finta di dormire quando lui tornava a letto, ma lo sentiva muoversi e rigirarsi per un bel po', prima di calmarsi e prendere sonno.
Chiaramente c'era qualche pensiero che lo eccitava e gli impediva di dormire.
Fino a quel momento non era mai andata a controllare il computer di Alessandro, ma ormai era stufa di essere presa in giro.
Andò in taverna e subito arricciò il naso per l'odore di stantio che vi aleggiava. Mentre tastava in giro alla ricerca dell'interruttore, il suo piede si posò su qualcosa che minacciò di farla scivolare.
Abbassò lo sguardo e vide che si trattava di un gratta e vinci.
Lo raccolse perplessa e nel movimento si accorse che il caminetto conteneva un mucchio di cenere. Andò a controllare: tutti gratta e vinci, si riconoscevano da qualche brandello di cartoncino che le fiamme avevano risparmiato. A giudicare dalla dimensione del cumulo, dovevano essere stati bruciati centinaia di biglietti.
Mio Dio,” mormorò. Andò al computer, lo accese, controllò la cronologia di internet e vi trovò un solo sito: Super Bet, scommesse on line.
Arretrò sgomenta, si guardò intorno come se non riconoscesse più l'ambiente in cui si trovava. Montagne di gratta e vinci, ore trascorse su un sito di gioco d'azzardo on line. In preda a un orrendo presentimento corse al piano superiore, rovistò in un cassetto fino a che non trovò il quaderno nel quale appuntava tutte le password, entrò nel sito della banca e a quel punto scoppiò in lacrime: sul conto delle ragazze c'erano poche centinaia di euro; quello di casa, sul quale lei e Alessandro versavano una cifra mensile, non era messo meglio. Non poteva controllare quello privato di suo marito, ovviamente, ma suppose che anche lì fosse rimasto ben poco.


   
 
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