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Autore: Hikari_1997    28/11/2019    3 recensioni
Aveva passato la sua intera e breve esistenza, senza un nome, da sola.
Era veramente destinata a passare la sua vita in completa solitudine?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jaken, Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Tremava, infreddolita e impaurita.

Gli stracci zuppi e inutili a contrastare il freddo invernale, aderivano al suo corpo come una seconda pelle, i capelli fradici e grondanti d’acqua, percepiva brividi protendersi per tutta la colonna vertebrale.

Gli occhi erano stanchi e spenti, i denti battevano incessantemente mentre cerava di stringersi su sé stessa nel vano tentativo di conservare un minimo di tepore; sapeva che era tutto inutile, lei era inutile.

Nei suoi 15 anni di vita aveva viaggiato per l’intero paese da sola, i suoi genitori l’avevano abbandonata, e lei era sempre stata sola.

Strinse i piedi scalzi sporchi di fango mentre si appiattiva alla parete fredda della grotta, lasciando che la pioggia la bagnasse, ormai totalmente incurante di prendersi un malanno.

Singhiozzava nell’oscurità, se anche fosse morta di ipotermia non sarebbe importato a nessuno, non avrebbero posato dei fiori sulla sua tomba, a quale scopo poi?

Una lapide senza alcun nome incisovi era come un riccio senza la castagna, un fodero senza spada … un guscio vuoto.

L’udito confuso percepì un suono ovattano emergere dal fragore causato dalle onde del mare, regolare, che si avvicinava sempre di più.

Gli occhi scuri si alzarono lievemente, la vista ancora sfocata.

Un’ombra bianca, un’accecante luce ce si stagliava con l’oscurità della gelida notte di fine gennaio.

-Padrone, ma ne siete convinto? –

Quelle furono le uniche parole che la ragazza percepì, prima di svenire.

***********************

Forse era morta, si diceva, non percepiva nulla intorno a lei, tranne un silenzio calmo, diverso dal solito.

Aprì le palpebre scrutando l’ambiente, una fioca luce aranciata illuminava le pareti di quella che, ad una prima occhiata, pareva una grotta.

Era una grotta singolare, constatò lei voltando il capo di lato; piena di scaffali lignei dove vi erano appoggiati tomi e volumi, almanacchi e pergamene, libri voluminosi e alambicchi.

Era una cavità circolare, capì di essere sdraiata su un giaciglio di paglia ricoperto da alcuni tessuti, la nuca posata su un cuscino –o almeno così credeva siccome non ne aveva mai posseduto uno- e una serie di candele, di altezze e colori diversi consumate e incrostate.

Alle pareti erano affisse mappe e carte con disegnati strani simboli, cerchi, triangoli, mentre a terra scorse sacchi contenenti carbone, legno e vari minerali.

D’un lato scorse strane ciotole contenenti polverine di molti colori, ingranaggi e rulli, mortai e macine posti vicino a sacchi colmi di erbe.

Poco distante da lei, infine, vi era uno scrittoio di quercia, anch’esso zeppo di libri e candele; il calamaio era posato sul lato destro, e a quel punto vide un’affusolata mano recuperare la piuma della penna.

Non era da sola.

Si alzò di scatto indietreggiando fino a toccare la parete con la schiena, bocca spalancata e gote arrossate.

Era un uomo, sulla trentina; vestiva impeccabilmente dai pantaloni nerissimi –stesso colore delle scarpe- la morbida camicia candida di lino, leggermente gonfia sulle braccia, si apriva morbida sul petto.

I capelli erano lunghi, una cascata d’argento che scovolava liscia e magnifica sulle spalle, contornava i lineamenti decisi e mozzafiato del viso.

Le labbra perfette leggermente dischiuse, il naso dritto, gli zigomi pronunciati e due taglienti pozze dorate simili ad oro incandescente.

Si sentiva scrutata fin nel profondo, non aveva mai visto nessuno come lui prima d’ora, la osservava vigile … e lei fu costretta a distogliere lo sguardo, non riuscendo a reggere quella lava dorata.

-Ti sei svegliata- notò lui riponendo con eleganza la penna nel calamaio.

Lei sobbalzò per poi notare che il vecchio vestito rammendato più volte era sparito, sostituito da una candida veste lunga fino alle caviglie, le maniche erano lunghe ma lasciavano scoperte le spalle e la base del collo.

Non ci mise molto a fare due rapidi calcoli, arrossendo fin sopra alle punte delle orecchie e stringendosi nel nuovo vestito.

- Prima che me lo chieda, non mi scandalizzo nel vedere un corpo femminile- disse lui non notando l’espressione scioccata e in fiamme che era apparsa sul volto della ragazza -Non preoccuparti, non ho intenzione di farti nulla di male-

Lei non lo guardò, per niente rassicurata, quando uno strano rumore provenne dal suo stomaco … col risultato di farla arrossire ancora di più.

L’uomo sospirò, poi prese una campanellina di ottone e la mosse, generando un piccolo tintinnio.

L’uscio si aprì all’improvviso, e un piccolo essere verde varcò la porta con un vassoio sul quale era appoggiato una fumante ciotola contenente della zuppa.

La giovane guardò il cibo, odore di carne e di castagne; il bicchiere riempito fino all’orlo di latte.

-Beh? Non mangi? –

Sussultò alla gracchiante voce del piccolo servo.

Nel regno dove viveva, Aurel, era sempre più frequente la presenza di quei piccoli esseri di nome Kappa.

Lei tentennò un po’; per poi avvicinarsi alla ciotola e, dopo la prima cucchiaiata, seguitò a mangiare con avidità assaporando appieno il forte sapore della zuppa, affondando i denti nel pane e bevendo il latte caldo.

-Bene- disse l’uomo –Ora che hai la pancia piena, il mio nome è Sesshomaru e sono uno studioso di alchimia-

La giovane sgranò gli occhi, ecco il perché di quelle pergamene e dei minerali.

-Riesci a capire quello che diciamo? –

Lei annuì.

-Vuoi parlare? –

Si immobilizzò, scuotendo la testa.

-No- ripeté lui.

-Che insolenza- disse il Kappa, venendo subito zittito dallo sguardo dell’uomo; a quel punto, prese un pezzo di pergamena e una penna porgendoglieli.

–Sai scrivere? – chiese ancora –Riesci a scrivere il tuo nome? –

Lei prese la penna nelle mani di Sesshomaru e scrisse qualcosa sulla pergamena.

“Non ho un nome” era l’unica frase che aveva imparato a scrivere per far capire quanto inutile e vacua era la sua esistenza.

-Jaken, porta via il vassoio- Il Kappa guardò dubbioso Sesshomaru.

-Subito-

Lui si inchinò per poi lasciare la strana stanza.

Gli occhi di Sesshomaru tornarono a fissarla, vide le sue dita muoversi verso di lei.

Tremò al percepire delle sue dita sull’epidermide del collo, legandogli al collo uno spago con uno strano simbolo.

-Rin-

Lei lo guardò interrogativa.

-Quel simbolo in alchimia rappresenta il fosforo- spiegò lui indicando il ciondolo –Per questo, da ora in avanti, il tuo nome sarà Rin-

   
 
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