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Autore: EmsEms    01/12/2019    0 recensioni
Tsukishima fa visita ad una casa di piacere.
[TsuruTsuki] [TsukiIlya]
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La fic che state per leggere è ambientata in Russia durante il periodo in cui Tsurumi lavorava per i servizi segreti giapponesi (perché sia mai che io scriva una fic strettamente canon-compliant). Ilya è un mio personaggio originale. Visto che nella storia non c’è scritto, approfitto delle note per specificare che ha 24 anni. Un bacino al mio instancabile ‘editor’. Grazie per aver reso la fase della correzione una delle fasi più divertenti della scrittura. Farti ridere è diventato l’unico indice di qualità di cui ho bisogno per capire se una fic funziona o no.   

 

***

 

Da fuori l'edificio sembrava una delle tante locande in cui Tsukishima aveva pernottato durante il suo lungo viaggio in compagnia di Tsurumi, ma non poteva essersi sbagliato: l'indirizzo era quello. Tsukishima si guardò intorno un'ultima volta prima di bussare alla porta. Ad aprirgli fu una signora dall'aspetto sciupato e dai capelli lisci e radi, chiusi sulla nuca da una spilla dorata. Tsukishima si lasciò studiare dall'alto in basso, finché la proprietaria del bordello non si decise a lasciarlo passare.
"Giapponese" annunciò, quando una ragazza incuriosita dal nuovo arrivato spuntò da dietro una porta.
Tsukishima lanciò sguardi furtivi all'ambiente da sotto la visiera del cappello. Le finestre erano oscurate da teli di stoffa porpora e una coltre di fumo rendeva l'atmosfera ancora più buia e soffocante.
"Parli russo?"
Tsukishima tossì un 'sì' e si coprì la bocca, nel tentativo di proteggere le vie respiratorie da quella nube nauseabonda. La ragazza che aveva seguito con interesse lo scambio di battute fra la proprietaria e lo straniero scivolò accanto a lui e gli si aggrappò al braccio.
"Vieni con me" lo invitò, tirandolo a sé con entusiasmo.
"Prima deve pagare" intervenne la signora, scacciandola e facendo cenno a Tsukishima di non prestarle attenzione.
Intanto una folla di curiosi era scesa per le scale fra schiamazzi e risate squillanti, mentre i clienti seduti al bancone bevevano in silenzio, una sigaretta stretta nella mano e il boccale nell'altra. Tsukishima si calò la visiera del cappello ancora più giù, ma non poté fare a meno di tendere l'orecchio ai commenti delle ragazze su come fosse basso e su come fosse buffa la sua divisa. Non aveva avuto modo di comprare dei vestiti da civile. D'altronde, non ne aveva avuto il tempo: aveva chiesto solo un pomeriggio di licenza. Tsurumi aveva insistito affinché Tsukishima prendesse l'intera giornata libera, ma il sergente si era rifiutato, sostenendo che l'idea di lasciarlo anche solo per poche ore bastava a farlo sentire inquieto. Le intenzioni di Tsurumi erano tutt'altro che malvage, e questo Tsukishima lo sapeva bene, ma non poteva fare a meno di preoccuparsi per l'incolumità di un uomo con più nemici che capelli in testa.
"Signore" brontolò la proprietaria del bordello, agitandogli una mano davanti al viso per richiamare la sua attenzione.
Tsukishima tirò fuori dalla giacca il borsellino e fece cadere sul bancone della taverna la somma che la signora aveva chiesto.
"Sofia!" esclamò lei, abbozzando una ridicola corsetta verso la porta dove tutte le ragazze si erano affacciate. Tsukishima la raggiunse in poche falcate e la fermò prima che potesse presentargli la ragazza.
"In realtà vorrei... mi hanno detto che voi..."
Tsukishima cominciò ad inciampare in un russo stentato, imparato in un breve arco di tempo e storpiato dai dialetti che il suo orecchio aveva colto viaggiando di città in città. La signora rimase immobile ad ascoltare, perplessa. Tsukishima si guardò intorno e tirò un sospiro di sollievo nello scoprire che i clienti della locanda non erano affatto interessati a tutto quel baccano e tanto meno al soldatino giapponese che lo aveva provocato. Il sergente si stava per arrendere all’idea di riprendersi i soldi e andarsene, quando la signora schioccò la lingua e gli rivolse uno sguardo disgustato, come se Tsukishima si fosse trasformato improvvisamente in uno degli odiosi scarafaggi che infestavano la cucina della locanda.

“Ah, è uno di quelli.

La nuvola di disgusto che aveva oscurato il suo sorriso svanì presto, sospinta via dal vento del profitto. 

“Ilya! E’ un altro dei tuoi” gridò la signora, infilandosi le monete in una delle pieghe del vestito e facendo strada a Tsukishima attraverso la folla di prostitute che si stava disperdendo con aria altrettanto nauseata. 

“Ilya!!” strillò la padrona del bordello, arrancando su per le scale e issandosi di gradino in gradino grazie all’aiuto di un corrimano consumato dalle mani di chissà quanti clienti. 

Tsukishima la seguì, mantenendo una distanza di sicurezza che gli avrebbe permesso di sfuggire a morte certa qualora la signora avesse mancato un gradino e fosse scivolata all’indietro. Lo scricchiolio delle scale cominciò ad essere accompagnato da brusii e tonfi ritmici che lasciavano intendere a che genere di attività fossero dediti gli ospiti della locanda. Di tanto in tanto si potevano udire gridolini e risate al di là del muro incrostato di muffa. 

“Ilya!” gracchiò la signora, battendo il pugnetto scheletrico sulla prima porta del corridoio. 

“Arrivo!” esclamò una voce scocciata. Da qualche parte qualcuno urtò un vaso. Tsukishima sentì distintamente il suono della porcellana che andava in frantumi. 

“C’è un altro di quegli invert-.... signori che chiedono di te” annunciò la donna quando la porta venne spalancata per lasciare uscire un uomo sulla quarantina, avvolto in una giacca che toccava terra. Tsukishima si abbassò istintivamente il cappello sugli occhi: era sicuro di averlo incontrato sul treno per Mosca. Stessi baffi, stessi occhiali d’oro, stessa stempiatura. Tsukishima sperò in cuor suo che non lo riconoscesse a sua volta, ma il sussulto che abbandonò le labbra dell’uomo e la celerità con cui si precipitò giù per le scale cancellarono ogni speranza che Tsukishima aveva nutrito fino a poco tempo prima.

“Ti dispiacerebbe aspettare un attimo?” 

Hajime alzò lo sguardo sul ragazzo che gli aveva appena rivolto la parola, ma, trovandosi ancora sull’ultimo gradino delle scale ed essendo poco più alto di una delle piante ornamentali tanto in voga nei salotti dell’alta borghesia, gli si parò davanti agli occhi uno scorcio di pelle diafana punteggiata di nei piccolissimi e solcata da una cascata di raso. 

“Uhm” fu l’unica risposta che Tsukishima fu in grado di cacciare fuori, lingua stretta in un nodo non troppo dissimile a quello che gli chiudeva lo stomaco. La situazione non migliorò quando gli occhi di Tsukishima si soffermarono sul viso del ragazzo. Gli zigomi alti sembravano l’opera di uno scalpellino rinascimentale attento ai dettagli più minuziosi e capace di ricavare dal marmo più ostinato giovani eroi biblici e divinità greche, mentre le labbra piene erano sormontate da un paio di fini baffi della stessa tonalità biondo cenere dei capelli. 

“Devo darmi una pulita” sorrise Ilya, passandosi un polso sottile sulla fronte bagnata di sudore. Nell’alzare il braccio, i bordi della vestaglia si ritirarono come onde durante la bassa marea, lasciando scoperti i bianchi lidi delle sue cosce. Il sergente distolse lo sguardo per nascondere il rossore che aveva cominciato a tingergli le guance. Un semplice cenno, ed era già dentro la stanza con lui.

 

“Puoi sederti lì” suggerì il ragazzo, indicando il letto disfatto. Tsukishima annuì, ma rimase esattamente dov'era, immobile come una statua di cera.

“Un nome ce l'hai?” chiese Ilya, prima di tuffare il viso in una bacinella colma d'acqua.

“Sergente Tsukishima.”

Sergente è un nome molto comune, anche se devo dire che fra i miei ospiti va più di moda Soldato Semplice. Certo, alcune volte mi capita anche qualche Generale. Sono più comuni di Aleksey e Vladimir di questi tempi, non credi?”  

Ilya rimase deluso nel voltarsi e trovare Tsukishima ancora in piedi davanti alla porta chiusa. 

“Di solito ai clienti piace sentirsi chiamare con il loro nome. Se preferisci il cognome, però, a me non cambia nulla. Su, siediti. Non ci ho fatto niente sul letto, tranquillo. È disfatto solo perché ci dormo” lo rassicurò Ilya, inzuppando un panno nella bacinella d’acqua e pulendosi il petto. Tsukishima si sedette sul materasso di paglia. Era più duro del pavimento. 

“Tu puoi chiamarmi come vuoi, ovviamente” aggiunse, estraendo un mozzicone di sigaretta dalla tasca della vestaglia. Il muro era talmente ruvido, che appena vi strusciò la testa di un fiammifero, quello si accese.

"Ti dispiace se fumo?" chiese, solo dopo aver soffiato sulla fiammella. L'idea che il suo cliente non gradisse l'odore di sigaretta non lo aveva nemmeno sfiorato. D'altronde, chiunque dotato di un naso funzionante se ne sarebbe andato appena messo piede in quella fetida topaia. Stando alla sua esperienza, poi, i soldati perdevano il senso dell'odorato ben prima dell'udito. Il secondo, solitamente, a causa delle bombe. Il primo… beh, non esiste esercito che distribuisca più di un cambio d'uniforme e in tempo di guerra i catini dove lavarlo scarseggiano. Essere privi del senso del gusto, invece, doveva essere un requisito necessario per fare il militare. Iliya si guardò i piedi scalzi e luridi. C'era chi era davvero disposto a mettersi di tutto in bocca. 

"È la tua prima volta?"

"C'era una ragazza. È stato molto tempo fa." 

"Intendo in un bordello. Hai l'aria di uno che non frequenta certi posti." 

Tsukishima si alzò dal letto e raggiunse il ragazzo chino sulla specchiera. 

"Ti aiuto" mormorò, sfilandogli di mano lo straccio. Ilya lo lasciò fare.

"Abbiamo fretta, eh? Di dove sei?"

"Uno sputo d'isola che sicuramente non conosci" rispose il sergente, passando con cura il panno sul collo del giovane e costringendolo così ad alzare lo sguardo. Nelle travi marce del soffitto si annidavano insetti di ogni colore e dimensione. Ilya se li immaginava in guerra con gli acari della paglia che lo pinzavano di notte. Il suo corpo era terra di nessuno, una barriera fra i due eserciti. 

"Mi insegni un po' di giapponese?" chiese Ilya, buttando fuori il fumo dal naso. 

"Cosa vuoi sapere?"

“Dammi tutti i tuoi soldi.”

A Tsukishima scappò un sorriso, ma fu lesto a riacchiapparlo. Prese il mozzicone di sigaretta dalle labbra del ragazzo e fece un tiro. 

“Vuoi rapinare una banca?” domandò, sfregando il panno su quella che scoprì essere una crosta. 

“No. Ma ho un cliente giapponese ricco. Procurarsi la pistola non sarebbe difficile. Me ne passano fra le mani almeno cinque al giorno.”

Tsukishima spense la sigaretta finita in un posacenere di latta e poggiò il panno sul bordo della bacinella. 

"E se quello si rifiuta? Cosa hai intenzione di fare?" 

"Mi toccherebbe ammazzarlo."

“Uccidere un soldato giapponese non è una passeggiata. Quelli non si arrendono mai.”

“Ne hai uccisi tanti dei vostri in guerra?” rise Ilya, stirando le gambe addormentate.  

“In guerra, no.” 

Tsukishima aveva ucciso, ma non per lo sfizio di un ufficiale qualsiasi. A lui gli ordini dall'alto non andavano a genio, ed era per quello che non avrebbe mai fatto carriera nel militare. Gli unici ufficiali che avrebbe ascoltato per più di cinque minuti, sarebbero stati quelli della corte marziale qualora avessero deciso di rispedirlo in qualche prigione sperduta a Hokkaido. C'era andato molto vicino quando aveva aggredito un Sottotenentino per aver allungato le mani su una ragazzina cinese durante lo stazionamento in Manciuria. L'occhio nero del figlio non era piaciuto al padre, un Generale appesantito da un discreto numero di medaglie e da una pancia talmente grande, da ispirare mire espansionistiche. Non si sarebbe sorpreso se ci avessero costruito un avamposto. Lo spazio non mancava. 

Con Tsurumi, invece, era tutto un altro paio di maniche. Il Tenente era caratterizzato da quell'abitudine di mentire propria del suo grado militare, ma le sparava così grosse da risultare onesto. Grazie ad un'intricatissima rete di sotterfugi era riuscito a farsi affidare Tsukishima per una missione in Russia, il tutto senza consultare il diretto interessato. Non che lui avesse di meglio da fare nella casa deserta dove era tornato una volta archiviate le pratiche che lo scagionavano dall'assassinio di suo padre. Secondo i suoi superiori, una settimana di congedo lo avrebbe rimesso al mondo. Certo, il sabato giù al porto facevano un granchio buonissimo, ma non aveva più nessuno con cui mangiarlo. La vista delle alghe trascinate a riva dalla corrente, poi, lo nauseava. Tutto su quella maledetta isola parlava di lei. Così aveva accettato di buon grado la missione e ci era mancato poco che baciasse l'ambasciatore del telegramma. C'era mancato poco che baciasse anche il mittente, ma quella era un'altra storia. 

"Sai, assomigli molto ad una persona con cui lavoro" mormorò Tsukishima, sfilandosi il cappello e passandosi una mano sui capelli corti. "Una ventina d'anni più giovane, però."

Senza la visiera calata sugli occhi, Ilya fu finalmente in grado di scrutare il volto del sergente. Qualcosa dovette piacergli particolarmente, perché prese la lampada da sopra il tavolo e la puntò sul suo viso.

"Anche la tua faccia mi dice qualcosa" osservò, sorpreso. Colto da un'improvvisa quanto inaspettata illuminazione, il ragazzo sparì dietro ad un paravento che nei suoi giorni migliori doveva aver senz'altro visto una mano di rosso. 

"Beh, mi è stato detto che ho un viso un po' comune. A parte il naso, s'intende. Per quello devo ringraziare mio padre. Da lui ho ereditato solo delusioni" commentò ironicamente Tsukishima, dondolandosi sui talloni. Quando Ilya riapparve da dietro il paravento, al sergente prese un colpo. Il suo primo istinto fu quello di scattare sugli attenti, il secondo fu quello di sedersi per riprendersi da ciò che aveva appena visto. Il ragazzo indossava un'uniforme blu scuro di una taglia più grande. Sulla giacca erano appuntate due file di bottoni, percorse da cordoncini dello stesso funereo colore. I pantaloni gli ricadevano morbidamente sul ginocchio, dove sparivano dentro ad un paio di stivali tirati a lucido. I capelli biondo cenere erano diventati una tonalità più scura grazie ad una sapiente passata di cera. Conciato a quel modo, sembrava la copia sputata del Tenente.

"Mi va un po' grande" confessò Ilya, tirandosi su i pantaloni che continuavano a cadergli, nonostante il pronto intervento della cintura. Tsukishima rimase in silenzio ad osservare: in quel momento non riusciva a formulare un pensiero, figuriamoci una risposta. Preso posto sulle ginocchia del sergente, Ilya non perse tempo e gli intrufolò subito una mano fra le cosce. A Tsukishima non ci vollero che una manciata di secondi per diventare completamente duro. Dentro di lui libido e morale duellavano, senza che nessuna delle due prevalesse sull’altra. Non sapeva nemmeno da dove cominciare. Nel sangue ribolliva il cieco desiderio di toccare il giovane sosia di Tsurumi, di stenderlo sul letto e prenderlo fino allo sfinimento. A frenarlo fu un abile colpo di fioretto, con il quale la morale mise in ginocchio la sua mortale avversaria. Il naso sepolto nella giacca della divisa, Tsukishima inspirò a fondo per ben due volte prima di rivolgere la parola ad Ilya. Quell’odore era inconfondibile per chi lo respirava tutti i giorni. Era lo stesso Tsukishima a consegnare l’uniforme del Tenente alla cameriera ogni qual volta avesse bisogno di essere lavata. 

“Dove hai preso questi vestiti?”

Il ragazzo fece spallucce. Se solo il sergente non gli avesse bloccato il polso, avrebbe continuato a massaggiargli il cavallo dei pantaloni. Tuttavia Tsukishima non sembrava intenzionato a consumare il rapporto finché non avesse ricevuto una spiegazione. E intanto la presa sul suo polso si faceva sempre più stretta. 

“Li ho trovati” rispose Ilya con disinvoltura. 

“Balle” sputò Tsukishima, cacciando gli occhi in quelli del ragazzo, come a sfidarlo di mentirgli un’altra volta. “Li hai rubati.”

“Non li ho rubati” ribatté Ilya, indignato. Era abituato ai clienti piantagrane. Il trucco era mantenere la calma. Una volta soppesate le alternative, decise che il gioco non valeva la candela. In fondo, il mittente non aveva apposto nessuna clausola di segretezza alla lettera. Nessuna che gli vietasse di mostrarla al sergente, ad ogni modo. Se avesse aspettato ancora un po’, Tsukishima gli avrebbe sbriciolato il polso e non poteva certo permetterselo con il lavoro che faceva. Chi lo spiegava alla vecchia, poi?

“E va bene, ti dirò la verità, ma per l’amor del cielo lasciami andare.” 

Tsukishima mollò la presa e Ilya scese dalle sue ginocchia. Lo vide trafficare con un cassetto della specchiera, per poi tornare brandendo una busta. Era arrivata quella mattina. Tsukishima, diffidente, se la rigirò fra le mani prima di estrarvi un foglio di carta piegato a metà. Ilya si sedette sul letto accanto a lui e sbottonò il colletto della giacca. L’uomo che gliel’aveva spedita doveva avere un collo sproporzionatamente sottile rispetto alle spalle su cui poggiava. 

Il biglietto non diceva molto. Chi lo aveva scritto invitava Ilya ad indossare l’uniforme recapitatagli insieme alla lettera e a pettinarsi indietro i capelli qualora si fosse presentato al bordello un uomo simile a quello nella foto allegata per la profumatissima somma di dieci rubli. Inizialmente Ilya aveva pensato si trattasse di uno scherzo, ma visto che Tsukishima era lì, non ne era più tanto sicuro. Il sergente, dal canto suo, si augurava che fosse uno scherzo. Tuttavia la calligrafia del Tenente gli era ancora più familiare dell’odore. Aveva ricevuto così tante lettere da Tsurumi, da essere capace di distinguere un autentico da un falso senza l’aiuto di esperti calligrafi. In un moto di sdegno, appallottolò il foglio e se lo cacciò nel taschino dell’uniforme. Quell’inqualificabile faccia di bronzo. Fino a che punto era disposto a spingersi con i suoi dannatissimi intrighi? Per caso pensava di essere troppo vecchio per lui? O si era semplicemente divertito a giocare con i suoi sentimenti? Tsukishima fremeva di rabbia. 

“Perdonami, ti ho accusato ingiustamente.”

Ilya si grattò un orecchio, appiccicoso a causa della cera per capelli. Non aveva ben capito il motivo di tanta agitazione, ma la faccenda non lo riguardava. Avrebbe lasciato che se la sbrigassero quei due. Tirava aria di tempesta.       

 

"Quanto ti ha chiesto quell'aguzzina?" domandò Ilya, intercettando Tsukishima prima che lasciasse la stanza.

"Trenta copeche. Perché?"

Il ragazzo tirò fuori un piccolo scrigno da sotto il letto e lo aprì con una chiave che aveva fatto comparire dal nulla. Era colmo di monete. 

"Tieni" sorrise, porgendo trenta copeche al soldato. "Così puoi tornare a trovarmi. Mi sono divertito. Ma ti avverto che ci vorrà più di una bella scopata per farti perdonare." Ilya richiuse il cassetto e nascose la chiave. "Quelli del tuo amico me li tengo. Penso di meritare un risarcimento" aggiunse, massaggiandosi il livido che gli circondava il polso laddove Tsukishima lo aveva stretto.

 

Non erano passati che pochi istanti dalla partenza di Tsukishima quando qualcuno bussò nuovamente alla porta. 

“L’uniforme” borbottò il sergente, imbarazzato.
Ilya finì di sfilarsi i pantaloni e glieli passò insieme alla giacca attraverso lo spiraglio della porta.
 

  
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