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Autore: iron_spider    08/12/2019    1 recensioni
Tony è chiaramente molto arrabbiato, in quel suo modo di arrabbiarsi che Peter ha visto solo un paio di volte in vita sua. “Mi dispiace,” tenta. “Mi dispiace, avrei dovuto rispondere–”
“Già, avresti dovuto rispondere!” grida Tony. Gli trema il labbro inferiore mentre scuote la testa, gli occhi furiosi. Si passa una mano sulla fronte.
“Okay, okay, lo saprò per la prossima volta,” dice Peter. Non sa cosa potrebbe migliorare la situazione. Probabilmente nulla.
“Meglio che non ci sia una prossima volta,” dice Tony, lasciando cadere la mano dal volto. “Dio, fai così, come se niente fosse? Pete, nessuno sapeva dove si nascondesse, se non tu, e tu… tu non ci hai detto niente, quindi nessuno sapeva cosa diavolo stesse succedendo, e tu– tu non rispondevi, ragazzo, e quello stronzo mi ha inviato della roba uscita direttamente dai miei incubi, e stavo cercando di essere forte per May perché anche lei era preoccupata e tu– e tu... io– io non pensavo che avrei mai dovuto– pensavo– Cristo Peter, tu non pensi, non–”
Tony si piega in due, artigliandosi il braccio e respirando.

[Traduzione // Angst // Tony&Peter // What if?]
Genere: Drammatico, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'whumptober'
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Sindrome del cuore spezzato


 
[whumptober 2019: # 29. numb]
 
 

Peter torna verso il Complesso oscillando a mezz'aria, ancora un po’ acciaccato... ma ce l’ha fatta. Ha salvato tutti e dieci gli ostaggi da quel pazzoide, non è stato rapito, non è stato ucciso, si è fatto a malapena un graffio. Beh, magari un paio di graffi. Qualche ustione. Una brutta emicrania. Ma è vivo! Ed è quasi arrivato al Complesso.

E Tony l’ha chiamato sei volte.

Beh. Un totale di dodici volte. Sei prima e… sei dopo.

Peter lancia un’altra ragnatela, sussultando per il dolore quando solleva la gamba. Sa che avrebbe dovuto rispondere. Logicamente, avrebbe dovuto. Ma Tony gli avrebbe solo detto di non andare, e lui aveva già deciso di farlo. Quello rapitore stronzo e pazzoide aveva chiesto esplicitamente di Spider-Man, nel notiziario del mattino. Aveva inviato a lui l’indirizzo da un server privato, e a nessun altro. Peter aveva capito che avrebbe dovuto cavarsela da solo invece di coinvolgere terzi, specialmente la polizia. Quel tipo avrebbe ucciso quelle persone, se non fosse intervenuto. Certo, aveva piazzato delle trappole, ma è quello che facevano tutti. Certo, lui aveva rischiato grosso un paio di volte, ma quello stronzo era da solo e lui l’aveva messo fuori gioco salvando tutti. Gli fa male tutto, sì. Ha probabilmente un polso rotto. Decisamente rotto. Ma possono occuparsene al Complesso, come fanno sempre.

Peter butta fuori un respiro, col vento che fischia gli fischia attorno mentre oscilla. È stata dura, questa volta. Aveva avuto sin dall'inizio l’impressione che lo sarebbe stata. Sa che forse è stato incosciente. Ma quelle persone sono salve, lui è vivo. 
È
andata nel migliore dei modi.

Cerca di non pensarci. A quanto ci vada vicino, a volte, a mettersi davvero nei guai.

Tony lo chiama di nuovo, e stavolta Peter risponde.

“Tony–”

Cristo. Cristo, ha risposto… Pete, dove sei?

La sua voce suona strana e arrochita e Peter socchiude gli occhi, sparando un’altra ragnatela con una piccola smorfia. “Uh, a forse...venti minuti da lì? Tony–”

Stai bene?

“Sì,” risponde Peter. “Nulla di troppo grave–”

Ti aspetto sul tetto appena arrivi,” dice Tony. Sembra brusco, e arrabbiato, e Peter sente un'ondata fredda.

“Va bene, va bene,” dice Peter, mentre il suo polso scrocchia in modo terribile. “Cerco di arrivare in quindici minuti.”

Non farti male,” dice Tony, e chiude la chiamata.

Peter deglutisce a fatica, correndo lungo il muro di un condominio. “Non promette bene, eh, Karen?”

Hai ignorato tutte le sue chiamate mentre ti dirigevi a testa bassa nel covo di un malvivente,” gli fa notare Karen. “Sono certa che sia molto preoccupato per te, Peter.

Peter stringe i denti e si tuffa in un’altra oscillazione.

Sono passati otto mesi, da quando è tornato. Otto mesi, da quando ha scoperto che erano passati due anni da quando il mondo era scomparso. Otto mesi, da quando Tony e gli altri hanno rischiato di morire per riportare tutti indietro. E adesso Peter è più in confidenza sia con Tony che con Pepper, soprattutto considerando che lui e May hanno vissuto al Complesso mentre erano in cerca di un nuovo appartamento, e che lui era presente quando Pepper ha scoperto di essere incinta. Ma quella nuova vicinanza gli ha reso le cose più difficili per quanto riguarda le sue imprese come Spider-Man, per via di Tony. Specialmente quelle più rischiose, quelle più eclatanti che finiscono sulle prime pagine il giorno dopo e che recitano SPIDER-MAN SCAMPA PER UN SOFFIO ALLA MORTE NELL’INCENDIO DI UN MAGAZZINO. Tony non è un grande fan di titoli del genere. Non è un grande fan di Peter che si fa anche solo male al mignolino.

Quindi ogni tanto… fa delle cose senza dirglielo. Così da non stressarlo! Ma questa l'è venuta a sapere comunque, probabilmente guardando i telegiornali, e a quanto pare era già sotto stress prima ancora che lo scoprisse. Peter è sicuro che May sia con lui. È sicuro che siano arrabbiati e che abbiano già messo su il loro muro di mattoni per lui.

“Forse, col senno di poi… avrei dovuto rispondergli,” dice Peter, captando un sentore di pizza dal negozietto all’angolo mentre oscilla là davanti. “Tanto per… forse, tranquillizzarlo un po’. Vero?”

Forse,” replica Karen. “Ma impariamo dai nostri errori.”

Peter sospira così forte che gli fa male il petto.

 
§

 
È come se Tony percepisse il momento esatto in cui Peter mette piede sul terreno del Complesso, perché sbuca sul tetto ancor prima che lui riesca a raggiungere la porta. È uno specchio di come si sente: cerchi scuri sotto gli occhi, la sua andatura zoppa più accentuata del solito. Peter cerca di prepararsi alle grida.

Nulla lo prepara all’ondata di silenzio non appena si toglie la maschera. Tony lo guarda come se non l’avesse mai visto in vita sua, con vari gradi di rabbia e sollievo che gli lampeggiano in faccia. Serra la mandibola, digrignando i denti, e squadra Peter da capo a piedi.

“Ascolta,” comincia Peter, alzando i palmi in un’offerta di pace. “Adesso capisco che– che non risponderti era la cosa sbagliata da fare–”

“Ah, tu credi?” scatta Tony. Ondeggia un poco sul posto, portando una mano a pizzicarsi il ponte del naso. “Cristo, Peter.”

“– ma sapevo che tu avresti cercato di dissuadermi e di lasciar fare alla polizia!” grida Peter, quasi implora.

Certo che l’avrei fatto–”

Peter continua a parlargli sopra. “E intuivo che questo tizio sarebbe stato troppo per loro, e aveva detto che avrebbe ucciso gli ostaggi se la polizia si fosse fatta viva, quindi non potevo correre il rischio, Tony! Ha dato l’indirizzo solo a me e sapevo cosa dovessi fare, non potevo rischiare di perdere nessuno–”

“Già, hai dovuto semplicemente rischiare te stesso, Pete,” dice Tony, con voce bassa e minacciosa, avanzando un poco verso di lui. Sta tremando, e Peter socchiude gli occhi. “Ti stavo chiamando, più e più cazzo di volte, mentre tu mi ignoravi, perché quel bastardo ha contattato anche me.”

Peter sente uno strano pugno alla bocca dello stomaco. “Cosa?” gli chiede.

Tony annuisce. “Già. Lo sapresti, se avessi risposto. Mi ha detto delle cose, ti ha minacciato. Mi ha detto che se tu fossi andato lì, come stavi facendo, ti avrebbe preso. Ti avrebbe– ti avrebbe fatto del male. Non– non voglio nemmeno ripetere quello che mi ha detto che ti avrebbe fatto.” Scuote la testa, chiudendo gli occhi, e barcolla di nuovo.

“Tony–” comincia Peter, corrugando le sopracciglia.

“Non smetterò mai di sentirle, cazzo– mai e poi mai, Peter, le cose che mi ha detto. So che tutti quelli come lui dicono cose del genere, ma questo tizio… c’era qualcosa. Qualcosa di diverso. E abbiamo rintracciato le chiamate, i messaggi– già, mi ha mandato dei video molto ben contraffatti di cosa avrebbe fatto, esatto, proprio così, il che non ha aiutato per niente... Rhodey e io ci siamo messi a volare qua e là come imbecilli verso una posizione falsa perché ero così fuori di testa che non mi sono accorto che ci stava monitorando con le coordinate tracciate– e– e ti chiamavo e ti chiamavo e tu non– non rispondevi e basta–”

Tony è chiaramente molto arrabbiato, in quel suo modo di arrabbiarsi che Peter ha visto solo un paio di volte in vita sua, ed è passato troppo poco tempo dalla fine del mondo per cercare di parlarne razionalmente. Adesso riesce a capirlo. “Mi dispiace,” tenta. “Mi dispiace, avrei dovuto rispondere–”

“Già, avresti dovuto rispondere!” grida Tony. Gli trema il labbro inferiore mentre scuote la testa, gli occhi furiosi. Si passa una mano sulla fronte.

“Okay, okay, lo saprò per la prossima volta,” dice Peter. Non sa cosa potrebbe migliorare la situazione. Probabilmente nulla.

“Meglio che non ci sia una prossima volta,” dice Tony, lasciando cadere la mano dal volto. “Dio, fai così, come se niente fosse? Pete, nessuno sapeva dove si nascondesse, se non tu, e tu… tu non ci hai detto niente, quindi nessuno sapeva cosa diavolo stesse succedendo, e tu– tu non rispondevi, ragazzo, e quello stronzo mi ha inviato della roba uscita direttamente dai miei incubi, e stavo cercando di essere forte per May perché anche lei era preoccupata e tu– e tu... io– io non pensavo che avrei mai dovuto– pensavo– Cristo Peter, tu non pensi, non–”

Tony si piega in due, artigliandosi il braccio e respirando a forza dalla bocca.

“Che hai?” chiede Peter, cadendo rapidamente nel panico e sbrigandosi ad afferrarlo. “Tony?”

“Merda,” esala Tony, sussultando, sfregandosi il centro del petto. “Non sento il braccio… uh, questa– non è un’esercitazione, non è un’esercitazione–”

“Cosa?” chiede ancora Peter, paralizzato dal terrore. “Cosa, cosa?”

“Metti– la maschera, chiama aiuto,” ansima Tony, e gli stanno cedendo le ginocchia e Peter lo sorregge, tenendolo dritto. “Helen– è qui, ho– ho bisogno–” Sussulta di nuovo, rantola e si accascia.

“Oddio,” balbetta Peter, tenendolo stretto per non farlo cadere. “Oddio, oddio.” È un infarto. È per forza un infarto, per forza, e Peter trema, rimettendosi rapidamente la maschera. Solleva Tony più delicatamente che può, adagiandoselo sulla spalla, e si precipita verso la porta.

“Karen,” dice, con le lacrime che gli pizzicano gli occhi. “Chiama Helen. Chiama Helen Cho.”

Chiamata in corso,” replica Karen.

Peter tiene saldamente Tony, con le lacrime che gli appannano la vista, apre la porta con un calcio e si fionda giù per le scale.

Il telefono squilla una sola volta prima che Helen risponda. “Peter?” chiede. “Sei qui, ce l’hai–

“Scendi nell’ala medica,” la tronca Peter, sentendo Tony che si agita debolmente. “Tony sta avendo un infarto.”

 
§

 
Peter arriva lì in meno di un minuto, e Rhodey e Happy gli si fanno incontro. Lo aiutano a far stendere Tony, che continua a riprendere e perdere conoscenza, dicendo cose che Peter non riesce pienamente ad afferrare attraverso la nebbia della propria paura. Si tira indietro così da lasciar lavorare Helen e i suoi infermieri, poi si toglie la maschera e prende a torcerla tra le mani. Pepper arriva di corsa tramite la porta sul retro, tenendosi il pancione, e Peter sente Tony che le mormora qualcosa. Crede di sentire il proprio nome, ma non è possibile. Tony non chiederebbe di lui in un momento simile.

Peter ha l’impressione che tutto sia tinto di rosso, la sua vista va e viene, il tempo rallenta fin quasi a fermarsi. Riesce unicamente a sentire le ultime parole di Tony prima che accadesse tutto questo, piene di rabbia ed emozione: Cristo, Peter, tu non pensi

Ha commesso un errore, a ignorare le sue chiamate. Non conosceva tutta la storia, ma si è precipitato incontro al pericolo ugualmente. Non ha pensato. Non ha pensato.

Si sente come se fosse sott’acqua. Come se stesse affogando. È stato lui. È stato lui. È colpa sua. Tony l’ha detto così tante volte, da quando si sono conosciuti. Mi farai venire un infarto, ragazzo. E adesso è successo, maledizione.

“Peter, ehi,” lo chiama May, con una mano sul suo braccio, come se non fosse la prima volta che pronuncia il suo nome.

La fissa e si sente girare la testa, col panico che minaccia di lacerarlo a metà. “Devo andare.”

“Cosa?” chiede lei, preoccupata.

“Devo andare,” ripete lui, liberandosi rapido dalla sua stretta e uscendo dalla stanza.

 
§

 
A volte, quando Tony si sveglia, si sente come se ricominciasse da zero. Uccellini che cinguettano. Un sole splendente. Non importa cosa sia successo la sera prima: di solito se lo scorda al mattino, anche se solo per un singolo istante. Ma quando si sveglia in quel letto in infermeria, è cosciente di tutto. Si ricorda.

“Tony?” lo chiama Pepper. “Tesoro?”

“Quanto è stato grave?” chiede, prima ancora di aprire gli occhi.

“Non è stata la tua ora migliore,” risponde Pepper.

“E quando mai lo è?” chiede in risposta lui, inspirando a forza. “Per quanto sono stato fuori gioco?”

“Non così tanto,” risponde Rhodey. “Ma sai quanto divento irritabile se non sento le soavi note della tua voce ogni due minuti.”

Tony sorride.

“Come ti senti?” chiede Happy.

“Splendidamente,” risponde Tony. Si sente come se fosse passato sotto uno schiacciasassi. Come quando si è svegliato in quella grotta. Gli fa male il petto. “Qual è la prognosi? Voglio unicamente il parere di Helen.”

“Sembrerebbe cardiomiopatia da stress,” risponde quest’ultima. “Quindi, tecnicamente, non è stato un infarto, anche se so che ti è sembrato tale. Non ci sono arterie ostruite, ma faremo comunque altre analisi. Avremmo dovuto prevederlo. Ultimamente ti stai trascurando, vero, Tony?”

“Mi sono agitato un po’,” risponde lui, stringendo con forza gli occhi e tenendoli chiusi. Non è pronto ad essere presente, non ancora. “Sono stato un po’ impegnato–”

“La tua pressione sanguigna era decisamente troppo bassa,” osserva Pepper. “Cristo, amore.”

Lui sospira. “Cosa prevede il recupero?” chiede. “Non voglio sentire nient’altro. Recupero e guarigione, prima di subito.” Apre con riluttanza gli occhi, sulla stanza che è troppo bianca e luminosa per essere parte di qualunque sogno stesse facendo. Pepper è alla sua destra, con le mani posate sul letto, e Rhodey e Happy sono dall’altro lato, entrambi con una preoccupazione fin troppo evidente negli occhi. Non stanno cercando di mascherarla, anche se sanno quanto lui detesti essere guardato a quel modo.

“Riposo a letto per circa tre giorni,” dice Helen. “Dopodiché, niente sforzi per una settimana. Sforzi intesi come minori di quelli che tu consideri sforzi.”

“Fai finta di essere incinto anche tu,” suggerisce Rhodey, con un gesto del mento.

Tony fa per fingere una risata quando realizza chi manca, e un brivido lo attraversa. “Un momento,” dice, aggrottando le sopracciglia. “Dov’è il ragazzo? Dov’è Peter?”

Tutti loro s’incupiscono, e si guardano intorno come se non se ne fossero accorti finora.

Tony sente un altro, conosciuto dolore al petto. “Non è qui?”

“Ti ha portato qui,” risponde Happy, guardando Pepper. “Ed era– era qui all’inizio, ma–”

Tony guarda Rhodey, gli occhi colmi di stupore, e Rhodey lo fissa di rimando, scuotendo la testa. “Fammi sentire May,” dice.

Tony porta una mano a comprimersi gli occhi, e sente il proprio cuore accelerare i battiti sul monitor.

“Ehi, ehi. Amore?” lo chiama Pepper, posando una mano rassicurante sul suo braccio. “Calmati. Lo troveremo, va tutto bene, sarà qui da qualche parte.”

Dopo quello che ha appena passato, Tony non sa cosa cazzo dovrebbe pensare. Le immagini che gli ha inviato quel bastardo, vere o meno, ce le ha ancora in testa. Erano raccapriccianti, qualcosa preso direttamente da un film horror, e tutto quel silenzio radio… Tony può ancora sentirla. L’attesa. È stato come se qualcuno lo stesse facendo a pezzetti con uno scalpello, spingendolo a forza in quei momenti in cui Peter non c’era, era morto, polvere. Cenere sulle sue dita. Un pensiero ossessivo nella sua testa. Una tomba vuota. E tutto questo, oggi… è stato troppo reale. Si sente male solo a pensarci. Non sa cosa diavolo sia successo, infarto o non infarto, cardiomiopatia da stress… ha urlato addosso a Peter fino a collassare su se stesso come una stella morente. E adesso il ragazzo non c’è, di nuovo.

Non vuole arrabbiarsi con sua moglie incinta o con i suoi due migliori amici per non essersi accorti che Peter non era qui. Sono presi da altro. Quindi Tony dirotta ancora una volta quella rabbia verso se stesso, per essere stato troppo fuori di sé ed essersi ridotto troppo male per accorgersene. Da qualche parte nei recessi della sua mente fluttua una frase: la cardiomiopatia da stress è la sindrome del cuore spezzato, signor Stark, è ciò che ha ucciso Padme – e pensa che potrebbe ricaderci. In quell’orrore oscuro, mosso dal troppo affetto per qualcuno che lo fa volare troppo vicino al sole. Qualcuno su cui la morte può mettere le proprie mani più facilmente rispetto agli altri.

Pronto?” dice la voce di May, dall’altoparlante di Rhodey.

“May,” la saluta Rhodey, tenendo il telefono in direzione di Tony. “Uh, Peter è con te, giusto?”

No,” risponde May, e Tony sente il cuore sprofondare di nuovo. “Non volevo seccarvi, Sam è qui con me per cercarlo… Peter era molto turbato, è uscito di lì incolpandosi per quello che è successo a Tony e poi è semplicemente sparito… non riusciamo a rintracciare la tuta, l’ha disattivata–

“Ci sono un paio di backdoor che potremmo sfruttare,” dice Tony, stringendosi la radice del naso in una morsa e cercando di mantenere un respiro regolare.

Tony?” chiede lei, e sembra sull’orlo delle lacrime.

“Scusa per la scenata,” dice lui. “So che ne abbiamo passate abbastanza per oggi, ed è assolutamente colpa mia se lui se n’è andato adesso–”

Basta prendersi le colpe, per favore, tra tutti e due non so come facciamo a sopravvivere ogni giorno. Sam e io lo troveremo, rilassati, devi rilassarti. Non hai fatto nulla di male.

Tony si sente un rottame distrutto, e ricorda a malapena cosa sia successo questa mattina, ricorda a malapena quando le cose erano ancora normali, per quanto possano essere normali per loro. Peter diceva di voler prendere della pizza per cena. Gli ha raccontato del mazzo di tarocchi che ha trovato nel parco. Meditava di comprare un body di Spider-Man per il bambino ed era indeciso tra le taglie da neonato e quelle per tre mesi.

“Non è a casa?” chiede Happy.

“Non è a casa, né alla Tower, né da Ned o MJ. Non è in nessuno dei ristoranti che ama, né alle bodegas… ho anche cercato su qualche sito web di fan di Spider-Man, ma nessuno l’ha visto, non è dove va in giro di solito. Anche il localizzatore del telefono è spento.”

Tony cerca di pensare a dove potrebbe mai andare il ragazzo. Peter è il tipo da cercare luoghi rassicuranti, e dopo un evento del genere immagina che cercherebbe qualcosa di familiare. Qualcosa che hanno condiviso, insieme, qualcosa che gli facesse pensare… a guarire. Ci arriva in un lampo.

“Balenottera azzurra,” dice, lasciando scivolar via la mano dalla faccia. Guarda Pepper, e la coglie ad osservare il monitor cardiaco. “Uh… al Museo di Storia Naturale.”

Appena tornato, Peter era profondamente inquieto. Era perseguitato da quanto accaduto, da dov’era stato, da ciò che riusciva e non riusciva a ricordare. Il senso di colpa di Tony era un qualcosa di senziente e vivo che lo divorava, e tutto ciò che voleva fare era aiutare Peter, aiutarlo a tornare al mondo. Riaverlo con sé era stato uno shock quasi quanto perderlo… ma tutto quel duro lavoro, tutte quelle imprese rischiose sul filo della morte erano valsi a qualcosa, a quel qualcosa che tutti desideravano. E Tony aveva bisogno di ritrovare un senso di normalità per il ragazzo. Era stata la sua priorità numero uno.

Quella ricerca li aveva portati al Museo di Storia Naturale quasi ogni fine settimana. Peter non ne aveva mai abbastanza. Il planetario, i mammut, il T-Rex. Ma la balenottera azzurra era la sua preferita. Potevano rimanere in quella stanza per ore [1]. E il volto di Peter si illuminava come prima che il mondo finisse, prima che lui diventasse cenere nelle braccia di Tony. Andavano lì con May, con Pepper, una volta Tony aveva portato con loro anche MJ e Ned e aveva comprato alla banda tutti i souvenir scemi che volevano, anche se non ne avevano alcun bisogno.

Ma per Peter, esisteva solo la stanza della balenottera azzurra.

Dio, Tony… potrebbe essere,” dice May. “Credo che tu abbia ragione.”

“Se è lì–” comincia Tony.

Lo riporto da voi,” completa May. “Pensavo di rimanere lì per un paio di giorni, se possiamo.”

“Sai che siete sempre i benvenuti, May,” dice Pepper.

Tony libera un respiro e si prepara a un’altra attesa. E ad altri sensi di colpa.

 
§

 
Peter è poggiato alla ringhiera, quando la vede. È al secondo piano come lui, e il suo primo istinto è quello di fuggire. Ma è come se lei lo sapesse, e gli rivolge questo sguardo che lo radica sul posto, come se lui avesse di nuovo dieci anni e lei stesse strillando il suo nome.

È improvvisamente cosciente di avere addosso una felpa troppo larga e un paio di jeans che appartengono probabilmente a Rhodey, o forse a Sam. O a un qualunque Vendicatore a caso che si trovi di passaggio al Complesso. May si avvicina rapida a lui, aggirando gruppi di persone che stanno cercando di vedere il più possibile del museo prima che chiuda. Non sa quanto tempo sia passato. Un’ora o due. Sembra di più. Quella giornata sembra essere durata cinque anni di fila.

“Perché sei scappato via così?” chiede May, non appena lo affianca. “Tesoro, conosco te e come ragioni, e quello che è successo non è–”

“È decisamente colpa mia,” sibila Peter, con le lacrime che gli salgono di nuovo agli occhi. “Nel senso, proprio colpa mia, mia, io, per tutto, tutto quanto– nel senso, sono– sono stato io. Ha avuto un infarto per colpa mia, per quello che ho fatto–”

“Non è stato nemmeno un infarto,” dice May. Poi distoglie lo sguardo, mordendosi il labbro. “È stata colpa dello stress.”

“Lo stress che gli ho causato, e a me sembrava proprio un infarto, senz'ombra di dubbio,” dice Peter, col cuore che gli sbatacchia nel petto. “Avrei dovuto rispondere al telefono, e non l’ho–”

“E quello è stato uno sbaglio,” dice May, fissandolo intensamente. “Capisco che tu voglia prendere da solo le tue decisioni, piccolo, ma tutti hanno bisogno di una squadra dalla loro parte. Tony vuole tenerti al sicuro. Cosa penseresti, a ruoli invertiti? Se tu lo avessi chiamato cento volte mentre lui si dirigeva verso un pericolo e non ti avesse risposto?”

“Sarei alterato,” dice Peter, asciugandosi gli occhi. “Ma–”

“Aveva delle informazioni di cui tu non eri a conoscenza,” replica May. “E certo, ce l’hai fatta. Perché sei abile, e qualche volta lui ed io diventiamo forse… un po’ troppo mamme orse con te. Ma stavolta… avresti fatto meglio ad accettare sostegno. A volte puoi accettare un aiuto.”

Peter annuisce, sbuffando un respiro. Sposta il peso in avanti e posa la fronte sulla sua spalla. “Ho capito,” sussurra. “Lo so. Ma non puoi… non puoi dire che adesso non stia male per causa mia. Soprattutto dopo tutto quello che hai appena detto. Gli ho fatto venire un infarto per colpa dello stress.”

Lei gli strofina una spalla, premendogli un bacio sulla guancia. “Tesoro, ti vuole bene e si preoccupa. Dopo quello che è successo è… anche solo vederti sbattere un mignolo gli farebbe venire un infarto. Se anch'io soffrissi di cuore, sarei allettata accanto a lui.”

“Così non mi fai sentire meglio,” sospira Peter.

“Quello che è successo non è colpa di nessuno,” dice lei. “Le cose succedono, va bene? È un supereroe, sappiamo tutti cosa gli è successo e come lo è diventato: qualunque cosa avrebbe potuto ridurlo così. E sta bene. Starà bene. Come ti ho detto, non è stato esattamente un infarto: guarirà in fretta, sta bene. E vuole che tu torni lì da lui.”

Peter scuote la testa. Il senso di colpa lo sta sbranando vivo. “Non lo so. Non credo.”

“Sì, che vuole,” dice May, sfregandogli la schiena. “È stato lui a capire che ti avremmo trovato qui. Non appena si è svegliato ha chiesto dove fossi tu. Il complesso di colpa, tra tutti e due… ci potreste asfaltare le strade, tesoro. Sul serio.”

Peter sospira. “Ma Pepper, lei è–”

“Ti prego,” dice May, scostandosi da lui e tenendolo per le spalle. “Peter. Andiamo. Siamo una famiglia. Sei parte della famiglia. Hai commesso un errore e adesso lo sai, e sei sano e salvo, ed è tutto ciò che conta. Tony vuole vederti: vuoi davvero stargli lontano quando vuole vederti? Mentre è allettato?”

Peter s’imbroncia. “Adesso lo stai sfruttando, il senso di colpa.”

“Sissignore. Ti conosco.”

Peter si accosta di nuovo a lei, stringendola forte. “Scusa se ti ho fatta spaventare. E tutti gli altri. Non… non avevo capito, tutto qui. Non ho pensato. Volevo… solo salvare quelle persone ed evitare che qualcun altro rimanesse ferito. Tony ne ha passate così tante e non– non–”

Non hai pensato. Non hai pensato.

Libera un lamento, stringendo con forza gli occhi.

“Andiamo, tesoro,” lo invita lei, posandogli un braccio a cingergli le spalle. “Sam ci sta aspettando in macchina.”

Peter assottiglia gli occhi. “Non mi importa se è immaturo, ma se mi prende in giro come al solito, giuro che torno con le ragnatele.”

“Non lo farà,” dice May, baciandolo di nuovo sulla guancia. “L’ho già avvertito.”

 
§

 
Il messaggio di May mette l’anima in pace a Tony, ma solo parzialmente. Più ci pensa, peggio si sente. E si sente uno schifo.

Pepper è seduta sulla sponda del letto e lui continua a fissarle la pancia, chiedendosi se finirà per essere uno stronzo invadente con suo figlio, quando crescerà, proprio come fa ora con Peter. Per un solo attimo aveva pensato di essere portato, per fare il padre.

Lei si sporge verso di lui, baciandolo all’angolo delle labbra. “Smettila,” gli intima. “Smettila, e basta. Puoi concederti di riposare per, tipo, cinque minuti?”

“Riposare?” chiede lui, inarcando le sopracciglia. “Cavolo, Pep, non so nemmeno che diamine significhi.”

“Rilassati. Prenditi una pausa. Sono passati otto mesi da… tutto quanto, e continui a torturare te stesso e gli altri ogni giorno. Penso che tu abbia staccato per circa un giorno e poi hai… sei andato avanti da allora.”

“Non è colpa del ragazzo,” dice Tony, rilasciando un respiro. “È mia, ho– ho perso completamente la testa, cazzo, a pensare a– pensare–”

“Lo so,” lo interrompe lei. “Lo so. Voi due dovete solo parlare.”

“Non appena mi vedrà steso qui, riverserà senso di colpa targato Parker ovunque,” sospira Tony. “E poi io mi sentirò in colpa perché lui si sente in colpa, sarà… uno spettacolo.”

Pepper si limita a scuotere la testa, sorridendo appena. Poi la porta si apre, e Peter entra nella stanza.

Tony butta fuori un respiro.

“Vi lascio soli,” dice Pepper, posandogli un bacio sulla testa. Si alza, lascia una carezza sulla guancia a Peter quando lo supera e poi si chiude la porta alle spalle.

Tony si commuove un po’ solo a guardarlo. L’intera giornata incombe su di loro come uno spettro, e lui ha in mente le foto che quel rapitore folle gli ha inviato, e si infuria di nuovo. Ma la rabbia sfuma immediatamente quando vede Peter che abbassa lo sguardo, scuotendo la testa.

“Pete,” esordisce. “Questo… tu non c’entri, capito?”

“No,” ribatte Peter. “So cosa stiamo per fare. Avvieremo un rimpallo infinito, per l’ennesima volta. Colpa mia; no, colpa mia; no, colpa mia.”

Tony solleva le sopracciglia, schiarendosi la voce. “Beh–”

“È colpa di entrambi,” conclude Peter, a bassa voce.

Non è ciò che Tony si aspettava di sentire.

“Avrei dovuto rispondere,” continua Peter. “Non avrei dovuto ignorarti, e so che io non vorrei mai essere ignorato da te, quindi non dovrei farlo neanch’io. È– tutta la faccenda era pericolosa e avrei dovuto… approcciarla con più cautela. Avrei dovuto… considerare anche il pericolo per me stesso. So che a volte me ne dimentico.”

La quantità di affetto che Tony prova in questo momento è quasi debilitante, e gli spuntano altre lacrime agli angoli degli occhi che si affretta ad asciugare.

“Io, uh, non avrei dovuto darti motivo di pensare che non puoi rispondermi,” dice poi, con la voce arrochita dall’emozione. “E avrei dovuto cercare di… regolarmi. Di darmi una cazzo di calmata. Ne hai passate abbastanza, oggi e… in generale.”

Peter annuisce, poi il suo volto si accartoccia. È come un pugnale nel petto di Tony, e scuote la testa. “Pete…”

“È solo che– mi dispiace che– sia successo questo, tutto– tutto questo… non– non voglio– stressarti, soprattutto non dopo tutto quanto e… e quello che hai fatto, per tutti, per– per me e May… e adesso tu– tu hai avuto un infarto per causa mia– o magari non un infarto… May– May è stata molto vaga sui dettagli…” Il suo pianto diventa più forte e intenso, spezzettando del tutto le sue parole. Risucchia un respiro tremante. “Mi dispiace, mi– mi dispiace, non voglio– fare così, è imbarazzante–”

“Vieni qui, ragazzo,” dice Tony, facendo quello che avrebbe dovuto fare sul tetto prima invece di urlare in modo isterico. Si asciuga gli occhi. “Vieni qui, non piangere.”

Peter finisce solo per piangere di più, con un’aria terribilmente abbattuta in volto mentre si avvicina barcollando. Si puntella sulla sponda del letto e quasi collassa quando Tony lo attira a sé, per poi nascondere il volto nella sua spalla. Si scioglie in dei singhiozzi completi e Tony lo stringe, con le lacrime che gli rigano a sua volta le guance.

“Mi dispiace, Peter,” dice, cullandolo appena avanti e indietro. “Cristo, è solo che… quello stronzo fuori di testa mi ha davvero messo davanti all’idea di poterti perdere di nuovo, e il mio cervello ha smesso di funzionare. Completamente. Shutdown, bluescreen, quella roba lì. Non capisco... come May riesca ad andare avanti normalmente ogni giorno sapendo che potrebbe accaderti qualcosa. È difficile ammetterlo, ma perderti una volta ha… stravolto la mia prospettiva e tu sei… tu sei mio figlio, lo sai.” Passa le dita tra i capelli di Peter, chiudendo gli occhi. “Poterti fare da mentore è stato un qualche dono del cielo, figurarsi… essere come un padre per te. Ho avuto la fortuna che May mi abbia permesso di far parte della tua vita a dispetto di tutti i miei errori e sbagli e non– Pete, ti voglio bene, ragazzo, troppo per poter pensare a un mondo senza te. Quel telefono che… squillava e squillava e squillava– mi ha ricordato di quando ti chiamavo dopo– dopo quel giorno e– e ti chiamavo per far finta per un momento che– che avresti risposto…”

“Dio, mi dispiace,” piange Peter, stringendolo più forte. “Ti voglio bene anch’io. Mi dispiace, mi dispiace.”

Tony sussulta, scuotendo la testa. “Non te lo dico per farti stare peggio, ragazzino. Scusa,” dice, sfregandogli la schiena nel tentativo di calmarlo. “Ho solo… perso la testa. Devo lavorarci. Ritrovare il mio centro, cercare di… mantenerlo, non lo so, qualunque cosa, devo lavorarci e basta. Mi fido di te, davvero... è solo che non mi fido di nulla e nessuno là fuori, per– per quanto riguarda te, perché… ho pochi punti essenziali nella mia vita e tu– tu sei uno di loro. Sei uno di loro.” La sua voce si spezza, e questo tipo di discorsi sentimentali sono agonia pura, ogni singola volta. È fortunato a dover rimanere a letto, perché dovrà rimanerci più per questa discussione che per l’infarto. O qualunque cosa sia stata.

“Anche tu,” dice Peter, ovattato contro la sua maglietta. “Anche tu, anche tu sei essenziale, no– niente infarti. Per– per nessuno, neanche me.”

Tony detesta sentirlo parlare così. “Volevo dirtelo,” dice, cingendogli la nuca col palmo. “Questa è stata… cardiomiopatia da stress. Ovvero, la sindrome del cuore spezzato.”

“Oh, mio Dio,” guaisce Peter, e Tony percepisce la sua super-forza quando gli si aggrappa alle spalle.

“No, no, fa ridere,” dice Tony, forzando un sorriso. “Sono la Regina Padme, ragazzo. Sono il motivo per cui si sono lamentati tutti i critici. Beh, uno dei tanti. Magari quest’anno per Halloween potrei, non so, vestirmi da Jar-Jar o qualcosa del genere.”

Il pianto di Peter si fa più flebile e si scosta da lui, tenendogli ancora le spalle. Ha gli occhi rossi e gonfi. “Lei è la Senatrice Amidala, Tony,” dice, pragmatico. “Non sbagliare i titoli, dai. Quel film l’abbiamo visto insieme.”

“Oh, scusa, scusa,” dice Tony, alzando gli occhi al cielo. “Un grave errore.” Alza una mano, asciugando alcune delle lacrime di Peter.

“Lo è,” dice Peter, cercando di smorzare il singhiozzo. Si acciglia. “È andata davvero così? È stato quello?”

“Già,” conferma Tony. “Ma è un bene, perché non ho ostruzioni alle arterie e robe simili. È stato solo… shock. E il mio libero arbitrio, ovvero… urlarti contro come un pazzo.”

Peter scuote la testa e si inclina di nuovo in avanti, abbracciandolo. A Tony torna in mente quando tutto questo lo spaventava. Quando cercava di mettere quanta più distanza tra lui e il ragazzo, perché non poteva affezionarsi. Poi ricorda il silenzio. Il vuoto. La voce di Peter nei video, nella sua segreteria telefonica, congelata nel tempo.

Adesso Tony lo abbraccia ogni volta che può.

“Siamo una squadra, capito?” chiede Tony. “A volte avrai ragione tu, a volte io, a volte avremo torto entrambi e dovremo risolvere le cose. Ti voglio al sicuro, punto e basta. So che sai difenderti, ho solo bisogno… che tu mi ascolti, ogni tanto. Anche se non segui i miei consigli. I miei consigli geniali, ben pensati e ricercati.”

Peter soffoca un risolino, scuotendo la testa. “Anche tu devi proteggerti,” dichiara. “Tra poco avrai un vero figlio.”

Tony assottiglia gli occhi, premendo un palmo sulla sua nuca. “Un vero figlio? E tu cosa saresti? Un cyborg? E me lo dici adesso?”

“Sai cosa intendo,” dice Peter, tirando di nuovo su col naso. “Nel senso… di sangue.”

Tony trattiene bruscamente il respiro e Peter si tira indietro, mentre lui scuote con vigore la testa. “Sai benissimo che Rhodey, Happy ed io non veniamo dalla stessa famiglia, ma quei due sono comunque miei fratelli. Che vogliano esserlo o meno, a questo punto è… irreversibile, sono destinati a sopportarmi.”

Peter si limita a fissarlo con occhi lucidi.

“Tu sarai sempre mio figlio, a prescindere da tutto,” dice Tony, sperando di suonare convincente. “L’unica cosa che cambierà sarà l’investirti col titolo ufficiale di fratello maggiore, che include il dovere di cambiare pannolini.”

Peter si apre in un sorriso, alzando le sopracciglia. “Ah, davvero?”

“Mhm, e il dovere di farti usare come cuscino, e quello di ridurre in poltiglia la frutta–”

“Nei negozi la trovi già,” dice Peter. “Sai, la mettono già fatta in dei vasetti appositi.”

“Faremo molte attività pratiche,” insiste Tony. “Tipo pestare l’uva coi piedi per fare il vino, solo che sarà per fare pappa per bambini.”

Peter trattiene un’altra risata. “Okay, ci sto,” conclude. “Per tutto.”

“Bene,” dice Tony, asciugandosi gli occhi prima che quell’affetto abbia di nuovo la meglio su di lui. “Vuoi rivedere i film di Star Wars mentre sono allettato? Mi serve chiaramente un ripasso.”

“Me lo chiedi anche?” si sorprende Peter, alzando le sopracciglia. “Ce li ho scaricati sul telefono. Sono sempre pronto. Ho anche la serie animata. Clone Wars e Rebels. E lo Speciale di Natale.”

Tony adesso capisce perfettamente perché la sindrome del cuore spezzato si applichi al suo caso, alla prospettiva di perdere questo ragazzo. Si schiarisce la voce. “Stavolta chiedi a Hap di fare i Wookie Cookies,” dice, sedendosi un po’ più dritto. “Di Rhodey non ci si può fidare, come abbiamo imparato a nostre spese.”

Peter annuisce e non dice nulla per un secondo, se ne sta solo seduto lì, sorridente. Finalmente calmo. Tony ricorda quel senso di torpore che gli aveva fatto credere di essere finalmente sul punto di un infarto, dopo tutte le minacce e le scenate che ha imbastito per una vita intera. Ma a pensarci, quell’intorpidimento non è nemmeno lontanamente comparabile a quello che ha provato quando Peter era morto.

Ma adesso è tornato. Sta bene. È qui.

“Mi dispiace molto, sul serio,” dice infine Peter. “Per tutto.”

“Anche a me,” dice Tony, con un cenno del capo. “Basta drammi, vale per entrambi. Sono proibiti. Off limits. Da qui in poi voglio solo stoica professionalità.”

Peter lo fissa, col sorriso che si allarga sul suo volto. Poi emette un verso inconsulto, scoppiando a ridere.

“Già, ma cosa mi aspettavo,” sospira Tony. “Giorni passati dalla tua ultima scemata: zero. Niente bonus di Natale, quest’anno.” Peter ride più forte, e a Tony si riempie il cuore. Stringe Peter a sé, piantandogli un bacio sulla fronte. “Ti voglio bene davvero, ragazzo. Abbastanza da starti sempre tra i piedi.”

“Ti voglio bene anch’io, Senatrice Amidala.”

Tony scuote la testa, punzecchiando Peter tra le costole. Poi entrambi scoppiano a ridere, con tutto il fardello di quella giornata che finalmente scivola via. Tony ripensa a quella grotta, così tanti anni fa. Ripensa a ciò che non aveva allora, a ciò che aveva e che non apprezzava, a ciò che ha adesso e a cui dà più valore di qualunque altra cosa. Ha costruito la propria famiglia. Li ha scelti, li ha raccolti attorno a sé. Non ha sprecato la sua vita. Ha solo finalmente iniziato a viverla.



 
– Fine –



Tradotto da broken heart syndrome di iron_spider da _Lightning_


Note:

[1] Per i curiosi, la sala del Museo di Storia Naturale con la balenottera azzurra: qui.



Note della traduttrice:

Cari Lettori, siamo giunti alla fine di questo whumptober (anche se è temporalmente slittato fino a dicembre...) Spero che le storie vi siano piaciute, e che in tal caso siate andati a rendere omaggio all'autrice originale.
Avevo promesso una long, che arriverà in settimana col primo capitolo, per poi essere aggiornata settimanalmente, e tra il 20 e il 24 arriverà anche un piccolo speciale di Natale <3
Grazie a tutti coloro che leggono, seguono e commentano!
A presto,

-Light-


 
   
 
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