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Autore: Hi Ban    08/12/2019    1 recensioni
Ma Rayna lo sapeva, il primo nome sarebbe stato il suo, aveva lavorato troppo sodo per raggiungere quel traguardo e abbracciare quella che, secondo lei, era una più che meritata vittoria. Solo lei sapeva tutti gli sforzi che aveva dovuto compiere per arrivare fin lì. Aveva sempre progettato ogni singolo passo con la minima cura; perfino per la scelta del vestito di raso e tulle che indossava in quel momento non si era data pace fino a che non aveva risolto il dilemma circa il colore: uovo di pettirosso chiaro o rosa Mountbatten? Aveva vinto l’eliotropo.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lemon meringue pie



Rayna se ne stava con il fiato sospeso e gli occhi chiusi seduta sul bordo della sedia. Probabilmente non si rendeva nemmeno conto di star esibendo un grave caso di gamba tremula, a differenza degli altri presenti che no, non stavano battendo i denti per il freddo nel locale palesemente riscaldato, ma subivano gli effetti del terremoto che la giovane si stava portando dietro. A sua discolpa, l’ignara ragazza poteva dire che da sempre aveva avuto qualche problema a gestire l’emozione, specialmente in quei momenti che potenzialmente potevano cambiarle la vita. Con agitazione si passò le mani più volte sulla gonna dell’abito, stirandolo fin troppo bene considerando che le pieghe create ad arte dallo stilista erano quasi scomparse. Percepiva distintamente ogni singola parola del presentatore, che con ogni parola dell’obbligato seppur un po’ troppo lungo preambolo, si avvicinava ad annunciare la grande verità che in un attimo le avrebbe potuto cambiare la vita. Ma Rayna lo sapeva, il primo nome sarebbe stato il suo, aveva lavorato troppo sodo per raggiungere quel traguardo e abbracciare quella che, secondo lei, era una più che meritata vittoria. Solo lei sapeva tutti gli sforzi che aveva dovuto compiere per arrivare fin lì. Aveva sempre progettato ogni singolo passo con la minima cura; perfino per la scelta del vestito di raso e tulle che indossava in quel momento non si era data pace fino a che non aveva risolto il dilemma circa il colore: uovo di pettirosso chiaro o rosa Mountbatten? Aveva vinto l’eliotropo.
Finalmente, prima che il terremoto prodotto dalla sua gamba potesse fare danni irreparabili alla sala adibita a quell’importante celebrazione, l’uomo sulla sessantina che aveva parlato fino a quel momento disse le parole che Rayna stava aspettando da quando era arrivata quasi due ore prima.
«Andrà tutto benissimo» ripeté più volte a se stessa in una cantilena bassa e ridondante che fece inquietare non poco l’attempato signore di fianco a lei che maggiormente aveva risentito della scossa sismica fatta in casa. Non aveva forse ragione sua moglie Harlinne quando diceva di arrivare minimo due ore prima per trovare un posto decente, ergo lontano dalle correnti d’aria ma abbastanza vicino alle porte per fuggire da eventuali incendi e, cosa più importante, non in prossimità di elementi umani discutibili – come la signorina con il vestito sgargiante? Era una donna lungimirante, la sua Harlinne, che ora stava russando al suo fianco con la bocca spalancata già da quindici minuti.
«Bando alle ciance, ora che abbiamo appurato che il microfono funziona» seguirono risatine sparse nella sala, Rayna gli concesse solo un quarto di sorriso perché era troppo nervosa per partecipare a quei convenevoli. In fin dei conti la sua vita stava per cambiare.
«È con grande piacere che vi annuncio che il primo premio va a-»
Rayna si alzò in piedi di scatto, come se il Creatore le avesse scambiato le giunture con delle molle, le mani che stringevano pugni di tulle e raso e gli occhi spalancati. Perché lei già sapeva, l’universo, il cosmo e il karma glielo dovevano. Era payback time.
Il presentatore batté le palpebre un paio di volte, stranito da quella curiosa interruzione e vagamente divertito dal commento della signora Vanderweele a poca distanza da lui: «Forse deve andare in bagno. La vorrei proprio vedere ad andare in bagno con tutto quel trillitralli addosso.»
Riprese il filo del discorso con un leggero colpo di tosse, che risuonò nella sala totalmente silenziosa.
«Sì, beh, il primo premio va proprio alla signorina Rayna Holquin!»
Rayna sorrise come mai in vita sua. Voleva mantenere un’aura di decoro, ma forse un piccolo e innocente strilletto di felicità riuscì a liberarsi dalla sua gola. Era così felice; anche se sapeva che quel premio spettava a lei e a nessun altro, sentire quelle parole aveva reso tutto più reale, più tangibile, più vero. Ora davvero poteva mostrare a tutti il suo posto nel mondo. Mentre l’applauso appassionato giungeva alle sue orecchie, la giovane si incamminò con sicurezza, con il passo fiducioso di una donna che sa dove sta andando, che sa cosa sta andando a riscuotere e che sa chi è.
Lei era Rayna Holquin e quel premio era il suo.
La sala non era enorme, ma il tragitto dal suo posto – scelto all’estremo della fila per evitare di dover calpestare i piedi a qualcuno quando si sarebbe alzata – al palco le parve eterno, i suoi occhi erano puntati sul premio illuminato dalle luci, rendendolo ancora più allettante. Finalmente giunse a destinazione, dove ringraziò quasi con commozione il presentatore e gli altri individui presenti sul palco e con mani tremanti prese il segno tangibile della sua vittoria. Per anni lei aveva perso mentre altri vincevano; finalmente era giunto il suo turno.
L’annunciatore le strinse la mano e aprì la bocca per dirle qualcosa, ma Rayna, ancora sorridendo, lo anticipò liberando la mano dalla sua stretta e avvicinandosi al microfono, di cui prese possesso.
«Non so proprio cosa dire» iniziò, con una risatina imbarazzata. Gli sguardi incuriositi della gente presente, tuttavia, le diedero lo slancio necessario per continuare. «Ammetto di aver pensato di scrivere un discorso da presentare qui, questa sera, ma poi ho realizzato che in un momento così importante non servono parole vuote, programmate. Serve la spontaneità e la genuinità del mio cuore, mentre vi ringrazio tutti per questa favolosa opportunità.»
Rayna appoggiò il premio sul ripiano di legno di fronte a lei e poi ci si appoggiò anche lei, in modo da avere un supporto che impedisse alle sue gambe di farla cadere per terra. Non sarebbe stato molto fine e lei non avrebbe permesso e nulla di rovinarle quel momento.
«Neanche io credevo di poter arrivare fino a qui. Fin da quando ero piccola ho dovuto sopportare parole sprezzanti nei miei confronti, che tentavano, giorno dopo giorno, di farmi credere che non ero nessuno e pertanto non sarei mai potuta diventare qualcuno. Io ho sempre continuato a credere in me stessa, non mi sono mai abbattuta e ho proseguito la mia strada seguendo i miei sogni, ma non nego che di tanto in tanto è stato difficile non dare peso a queste parole. A volte è più facile pensare ‘magari hanno ragione loro’. Magari non sono destinata ad arrivare da nessuna parte. Magari sono la signorina Nessuno, non degna di considerazione altrui né di un posto speciale nel mondo. Ma oggi questo premio parla chiaro: mi dice chi sono e mi apre infinite strade, strade che mi erano state precluse da parole cattive di persone pessime, probabilmente solo invidiose di me. Mia madre lo diceva sempre» Rayna si fermò un attimo per dare la giusta considerazione al sorriso della signora in seconda fila, i cui occhi si erano illuminati al sentire menzionare sua madre; più persone conoscevano il nome di Sistine Holquin; «che tutte le cattiverie che mi venivano rivolte originavano solo dalla gelosia delle persone che riconoscevano il mio talento.»
Molte persone presenti annuirono, evidentemente colpite da quel che Rayna stava raccontando loro. Nuovamente, questo la spinse ad aprire il suo cuore ai presenti. Voleva che comprendessero quanto quel trofeo fosse importante per lei, cosa significasse quel primo posto.
«Oggi, in questo giorno così importante, ci sono alcune persone che vorrei ringraziare nello specifico, proprio quelle persone che mi hanno ferito di più nel corso del tempo, ma che allo stesso tempo mi hanno reso chi sono ora. Come si suole dire, fa più rumore un albero abbattuto che mille che crescono, giusto? Anche per me rimangono più impresse quelle carogne che hanno tentato di tarparmi le ali. Ma io sono più forte» Rayna era tanto presa dal suo sfogo e dall’adrenalina, che non si accorse dell’aver assunto uno sguardo leggermente più spiritato di quello previsto dall’aura di calma e decoro che si era prefissata di mantenere. Ma era certa, con il senno di poi, che tutto i presenti avrebbero compreso questa sua foga.
«Un grazie a Tim Biffle, che in quarta elementare mi ha spinta per terra, facendomi sbucciare il ginocchio. Ci ho messo un po’ di tempo per poterlo piegare senza piangere tintura di iodio, ma ora funziona abbastanza bene da poterti prendere a calci nelle rotule fino a fartele diventare della stessa consistenza della granella di nocciole. Anche il mio professore di francese merita una menzione speciale, non solo per avermi detto che il mio francese è pessimo quando so pronunciare in modo comprensibile pomme de terre, homme-grenouille, ébriété e coquille d'œuf, ma anche per avermi fatto sapere che in famiglia quella intelligente è mia sorella Ginevra, non io. Dal momento che il suo commento non era stato richiesto, mi permetto di ricambiare il favore e renderla partecipe di un mio auspicio: se non è già diventato concime per la rigogliosa vegetazione del cimitero locale, mi auguro che sua sorella le nasconda l’inalatore per il broncospasmo, così che anche nella sua famiglia si possa dire con convinzione che sua sorella è meglio di lei a giocare a nascondino. Non posso non ricordare con la stessa amarezza che si sente in bocca quando si è vittime del reflusso gastroesofageo la mia cara zia Ottilie. Anche lei, grande campionessa del paragonare individui diversi, con caratteristiche diverse, occhi diversi, scarpe diverse, ossa diverse, nei diversi con lo scopo di farne risaltare uno sull’altro. Infatti, quando ero poco più che tredicenne, ha pensato di rallegrare la mia adolescenze, già caratterizzata da ansia, timori e brufoli, con una verità incontestabile: ‘Rayna! Io l’ho detto a tua madre che sei troppo timida. Lei dice che sei perfetta così, ma io gliel’ho detto. Le persone timide non andranno mai da nessuna parte. Anche quando si impegnano si portano dietro quell’aura di depressione che scoraggia tutti dall’avvicinarsi a loro. Figurati quando balbettano anche, ti senti in dovere di finire le frasi per loro e allora tanto vale parlare da soli allo specchio, no? Bisogna nascere, come si dice? Come si chiamano quelli che tutti socievoli… estropersi? Estromezzi. Esterrefatti? Comunque, come la mia Velebeth, che non si fa fermare da niente e non ha paura di parlare per sé. Non la vedi come è estropersa?’. In quel momento mia cugina, il cui nome, come avrete notato, ricorda quello di un Pokémon, stava spintonando il postino perché non aveva lasciato insieme alle bollette la rivista a cui lei era abbonata. Potete immaginare quanto queste parole, seppur emesse da uno scaldabagno usato, abbiano segnato la mia infanzia. Beh, cara zia Ottilie, spero che la diarrea che ti ha casualmente colto ogni anno al pranzo di Natale ti sia risultata più fastidiosa della mia balbuzie. Ne approfitto, tuttavia, per ammettere che una volta, per sbaglio, ho accidentalmente purgato anche il prozio Reginald. Scusa, prozio Reginald, spero che da lassù tu possa accettare le mie scuse» Rayna interruppe il discorso per salutare con la mano il prozio Reginald che si trovava seduto sugli spalti laterali, in alto, e che le sorrise di rimando.
«Dove eravamo rimasti? Ah, giusto. Non mi dilungherò sulle cattiverie ricevute durante gli anni passati alle superiori, dove ho dovuto imparare che gli esseri umani sanno essere incredibilmente meschini nei confronti di pari senza un vero motivo. Devo ammettere che varie angherie hanno segnato la mia crescita personale; se non fosse stato per una lunga serie di inutili esperimenti umani falliti che mi graziavano con le loro sagge parole, tra cui ‘Dalla tua faccia non pensavo fossi così intelligente’, non sarei mai arrivata a comprendere che queste sono parole, non possono dare forma alla realtà. Quella che può farlo sono io, con le mie azioni. Comunque, vorrei sottolineare la veridicità del detto secondo cui le mele non cadono mai lontano dall’albero: ad aver commentato la mia intelligenze era stata Florestine, la figlia della counselor scolastica che era stata assegnata alla mia classe per definire il proprio percorso dopo il liceo. La mia innocente intenzione di iscrivermi al college per continuare i miei studi – scrittura, in caso non si fosse capito – era stata, in ordine, presa a bastonate, scorciata viva, bruciata con la fiamma ossidrica, grattata sulla moquette e pizzicata con la pinzetta per le sopracciglia. La professoressa Carrubba, infatti, mi aveva fatto notare che era meglio approcciarsi al futuro con delle aspettative che erano coerenti con le proprie capacità. Testualmente ‘Ci sono persone destinate agli studi superiori e altre a lavori più manuali e meno mentali’. Anche lei, secondo me, era destinata a lavori più manuali, come grattare via dall’asfalto gomme da masticare con uno spazzolino. Spero ancora, a distanza di anni, che un giorno due membri su tre della famiglia Carrubba aprano la porta e si trovino davanti un pinguino imperatore che li prenda a schiaffi fino a che non sapranno più nemmeno scrivere la parola sfeniscide. Mi accontento di portare il mio cane a fare passeggiate serali proprio sul loro vialetto, lasciandogli dei regali profumati e 100% biologici. Ma anche questa esperienza mi ha dato molto, sebbene a lungo termine. Alla fine mi sono iscritta al college, non ho intrapreso nessun percorso relativo alla fisica, alla medicina nucleare o alla biologia marina – perciò in modo conforme alle mie capacità –, ho seguito la mia passione e mi sono laureata. Se avessi dato ascolto a quella pusillanime della Carrubba avrei perso molto e guadagnato molto poco. Per questo motivo, grazie professoressa. Spero non sia in ascolto, al mio cane il suo vialetto piace molto e lo stimola a defecare.»
I presenti stavano ridendo apertamente; forse più di una persona in quella sala aveva avuto a che fare con una counselor il cui titolo di studio probabilmente era stato rilasciato dalla macchinetta che emette i biglietti per il parcheggio. Rayna non era irritata che quelle persone stessero ridendo delle sue disgrazie; anche lei, dopo anni, era riuscita a vederne il lato positivo e utile.
«Un grazie va anche al mio ex capo, che un giorno mi ha detto ‘Se non sai organizzare questi documenti significa che non sei capace a fare nulla e sei una fallita’; ma si chiamava Gergely, dire altro significherebbe sparare sulla croce rossa. Però mi permetto di aggiungere che spero che la sua crudeltà quotidiana gli venga riservita su un piatto d’argento quando l’azienda fallirà a causa della sua appropriazione indebita non molto velata di denaro e lui finirà sotto ad un ponte con un gruppo di zibellini rabbiosi come coinquilini. Io ho abbandonato la bagnarola quando l’acqua aveva iniziato appena a bagnarmi il polpastrello dell’alluce. Ma va anche al signore senza nome né volto che una volta è passato deliberatamente in una pozzanghera solo per lavarmi dalla testa ai piedi, per poi salutarmi con la mano dal finestrino. E ancora: alla mia vecchia compagna di stanza che, in presenza del ragazzo che piaceva ad entrambe, quando le ho chiesto se ero sporca di zucchero a velo, mi ha risposto no anche se chiaramente doveva dire sì, visto che ne avevo anche sul sopracciglio sinistro. Lo ammetto con imbarazzo: sono una persona che non mangia, fagocita. Nonostante ciò, Gwenore, lo so che l’astio nei miei confronti derivava dal fatto che, a parità d’età, tu ne dimostravi quindici in più di me, perciò non ti auguro né il pinguino imperatore né un gruppo di zibellini rabbiosi appostati sotto la finestra.»
Rayna sorrise, alcuni annuirono, altri continuarono a guardarla in attesa che continuasse. La ragazza allora prese un grande respiro, pronta a concludere il suo discorso.
«La vita, come vedrete, è andata avanti; ho fatto tesoro di tutti questi avvenimenti spiacevoli che, sebbene sul momento non mi sembrassero nulla di più degli scherzi di un destino non solo avverso, ma totalmente incazzato con me, con il passare del tempo hanno saputo guidarmi fino a qui. Perciò vorrei ringraziare in modo generico tutti quelli che non mi hanno minimamente sostenuta, che mi hanno buttato per terra facendomi lo sgambetto quando stavo per rialzarmi, che hanno avuto sempre una parola negativa nei miei confronti, che non hanno mai minimamente prestato attenzione ai miei sentimenti, che hanno tentato di farmi vedere me stessa come uno spreco di risorse non rinnovabili e che non mi hanno mai chiesto scusa. Mi avete fatto dubitare di me stessa, ma non abbastanza da farmi abbandonare i miei piani. Questo» Rayna indicò il premio con orgoglio, puntandolo due volte con l’indice, con ferocia «è la prova della mia vittoria. Questo premio dimostra che io valgo, che nessuno ha diritto di dirmi il contrario, che anche se non sono nata estropersa ho usato le mie forze per costruire il mio futuro. Rayna Holquin non ha niente da invidiare a nessuno, sa quello che vuole e può ottenerlo e non si farà mai più mettere i piedi in testa da nessuno!»
La gente applaudì con convinzione, alcuni con le lacrime agli occhi: chi per la commozione, chi per gli sbadigli, chi per la congiuntivite. Rayna afferrò in uno scatto deciso il suo trofeo, un modellino di torta su un piatto da torta, tutto in plastica massiccia dipinto di oro su cui era affissa una placca che riportava “44° contest ‘Addolciscici con un dolce!’”; lo mostrò alla platea con sguardo fiero, poi con la stessa sicurezza con cui era salita sul palco scese e si diresse all’uscita della palestra in un fruscio di seta e tulle, pronta a tornare a casa, fiera di se stessa. In più aveva un po’ sforato con i tempi e il giorno dopo doveva svegliarsi presto perché era indietro sulle scadenze per il suo libro.
Dopo che la porta si chiuse rumorosamente dietro di lei, l’applauso si concluse e la sala rimase avvolta in un silenzio tombale. Il primo a riprendersi fu il presentatore, che si diresse verso il microfono. Si schiarì la gola per svegliare la folla dalla trance in cui era caduta.
«Ehm, sì, ancora complimenti a Rayna Holquin, che ha vinto il primo premio con la sua lemon meringue pie! Non mi aspettavo, beh, non era nemmeno previsto che le cose andassero così per le lunghe, perciò ora procederemo un po’ più spediti perché dobbiamo liberare la palestra, domani servirà per l’annuale mostra di rettili. Oh, e prima di andare via non dimenticatevi di assaggiare le torte che hanno partecipato al concorso, le troverete su quel tavolo là in fondo. Dicevamo. Al secondo posto troviamo, con la sua torta a cioccolato e crema di whiskey, Humphrey Lowdermilk! No, no, non ti alzare, che magari cadi un’altra volta come l’anno scorso e ci ritroviamo tutti a cercare il tuo occhio di vetro in giro per la stanza. Allora, qual è stato il tuo ingrediente segreto?»
«Il whiskey.»
Seguirono applausi e ancora applausi.
«Ah, che bella dormita. Forse ti ho sbavato sulla spalla, Horland tesoro» commentò Harlinne, stiracchiando le braccia ossute e contemporaneamente facendo uno sbadiglio di discrete dimensioni che mostrò a tre quarti dei presenti la sua dentiera nuova. «Cosa mi sono persa? Hump ha già perso l’occhio?»



Ogni riferimento è puramente casuale, non esistono zie Ottilie maltrattate a Natale e non porto quotidianamente i miei cani ad espellere i loro bisogni davanti alle case altrui. Però la torta a cioccolato e crema di whiskey è davvero buona.

  
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