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Autore: SimonaMak    13/12/2019    2 recensioni
“Freddo le avevano sempre dato, freddo lei era diventata.
L’avevano maltrattata, calpestata, umiliata.
Ma non le importava più, perché non sentiva più niente.
Solo freddo.”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Era dicembre e faceva freddo. Forse quello più gelido di sempre, o era solo una sua impressione. Il gelo che le massacrava le ossa, le doleva come se fosse stata una lama conficcata dentro la carne. Ogni volta che tentava di provare calore, quella sensazione la tormentava. Evidentemente non c’era soluzione, o forse non aveva lottato più per evitarlo. Il fuoco impervio tentava in ogni modo di bruciarla, ma non c’era modo di non esserne indifferente.

Il silenzio accompagnava il freddo. Le mani erano screpolate, come tutto il suo essere. Screpolato, infranto, che perdeva pezzi. Lei era solo quello. Tutto quello. Dentro di sé, non sentiva nient’altro. Il freddo appariva bianco, come il suo colorito pallido che non cedeva a nessun rossore. A nessuna fonte di calore corporeo. Le labbra, una volte rosee, anch’esse bianche.

Ciondolava le gambe nel vuoto, seduta sul bordo gelido del tetto di un palazzo di cemento; la pioggia stava cominciando a scendere rapidamente a punteggiare la strada e a disturbare il suo silenzio. Non si spiegava come mai la pioggia non fosse neve a causa di quelle temperature. Forse le percepiva solo lei.
I lampioni della strada sfarfallavano, fino a spegnersi del tutto e rendendo la strada buia e ancora più fredda.

La colse un brivido alle ossa, quasi avrebbe voluto stringersi e battere i denti ma rimaneva impassibile. La pioggia la bagnava fastidiosamente, ma non se ne curava. Notava in fondo delle finestre illuminate, sintomo che all’interno dei grattacieli vi fossero delle persone. E calore. Che lei non sentiva.

Non si era presa la premura di coprirsi con il cappuccio della felpa grigia e logora, lasciando che le gocce frenetiche le inzuppassero i capelli chiarissimi. Non era truccata, quindi non si sarebbe sciolto il trucco dagli occhi spenti e ingrigiti, ma anche se fosse stato, lei non se ne sarebbe curata. Al contrario di prima.
Tempo addietro, le sarebbe importato. Così come di tutto il resto. Avrebbe ancora fatto caso ad ogni cosa, si sarebbe ancora presa cura di sé stessa, avrebbe ancora provato qualcosa. Calore.

Freddo le avevano sempre dato, freddo lei era diventata. L’avevano maltrattata, calpestata, umiliata. Ma non le importava più, perché non sentiva più niente. Solo freddo.

Doveva porre fine al gelo, l’unica cosa che sentiva, l’unica cosa che le ricordava tutto il resto. Doveva cessare. Avrebbe dimenticato quanto bene aveva dato e quanto male aveva ricevuto; avrebbe dimenticato le porte in faccia, le umiliazioni; non avrebbe più pensato all’ardore che prima la caratterizzava, alla speranza che la bruciava.

Si alzò in piedi, non preoccupandosi del tetto che era diventato scivoloso a causa dell’acqua piovana. Le sue scarpe erano zuppe all’interno e i piedi pungevano ancora di più a causa della pioggia fredda; quasi non riusciva a muoverli, ma li muoveva per alzarsi.
Per la prima volta sorrise, senza scoprire i denti. Allargò le braccia, per accogliere le gocce d’acqua che precipitavano sempre più assiduamente. Voleva copiarle. Voleva essere una di loro, parte della pioggia.

Si lasciò cadere, per punteggiare anche lei l’asfalto bagnato e freddo. Ma non lo sentiva più. Aveva cessato di sentirlo, nonostante la strada sarebbe dovuta essere gelata. Non sentiva più niente. Finalmente aveva lasciato andare ogni ricordo, ogni scintilla, ogni scheggia di ghiaccio. Veniva lavato via dalla pioggia il sangue che aveva versato a causa delle ferite recatele e che, in quel momento, scorreva rapido, annacquato e freddo, come la sua anima che cessava di esistere.

   
 
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