Anime & Manga > Bungou Stray Dogs
Ricorda la storia  |      
Autore: Ode To Joy    14/12/2019    3 recensioni
[Oda x Dazai]
Dazai Osamu non era una certezza, ma un intenso, pericoloso, attimo fuggente; il solo che Oda Sakunosuke non era riuscito a prevedere e a cui non era potuto sfuggire.
[Storia per il Calendario dell’Avvento 2019 di Fanwriter.it]
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Osamu Dazai, Sakunosuke Oda
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Fleeting Moment 



”...E ora passiamo al meteo. Non accenna a placarsi la bufera di neve che ha investito Yokohama e una nuova perturbazione arriverà dal mare nei prossimi giorni…”

Oda aprì gli occhi pigramente, svegliato dal televisore. 

La giornalista del telegiornale gli sorrise dallo schermo, augurando ai telespettatori un buon proseguimento di giornata. Oda sollevò la testa dal bracciolo del divano e il suo collo protestò per la posizione scomoda in cui si era addormentato.

Sapeva di non essere stato lui ad accendere il televisore. Lo faceva raramente e ogni volta finiva per cedere alla stanchezza o distrarsi con altro. Oda doveva aver urtato il telecomando nel sonno che, cadendo a terra, aveva acceso l’apparecchio da solo.

Oppure era stato Dazai, che dormiva dalla parte del bordo, con l’unico cuscino disponibile sotto la testa e la schiena premuta contro il petto del padrone di casa. 

Oda lo cingeva con un braccio e, sotto il cappotto nero che avevano recuperato da terra per coprirsi, Dazai aveva infilato una gambe tra le sue per via del poco spazio che il divano offriva loro. Lui se ne stava caldo e comodo. Oda si era guadagnato un torcicollo che lo avrebbe accompagnato per almeno un paio di giorni e il cappotto non arrivava a coprirgli la schiena. Sfiorò il grembo del più giovane con la punta delle dita, facendogli il solletico intenzionalmente. 

Dazai sollevò il ginocchio di scatto, biascicando qualche lamento assonnato. Si stiracchiò contro l’uomo alle sue spalle in modo volutamente provocante.

Oda concluse che non era così profondamente addormentato come appariva. “Dazai?” 

Un mugolio lo informò che aveva tutta la sua attenzione. 

“Vai in camera, mettiti a letto.”

Dazai si rigirò nell’abbraccio, privando completamente Oda del cappotto nel processo. “E tu dove vai?” Domandò. Le bende che gli coprivano la parte destra del viso si erano allentate, liberando l’occhio e andando a intrecciarsi ai capelli già arruffati per loro natura. 

“Fumo una sigaretta e ti raggiungo,” rispose Oda, sollevandosi su un gomito per scavalcarlo e recuperare i vestiti dal pavimento. Prima di riuscirci, Dazai strinse le dita intorno alla mano con cui lo toccava. “Fa freddo…” Buttò lì, sebbene fosse il solo dei due a essere coperto.

“Per questo ti ho detto di andare di là.”

“Avrò freddo anche a letto, se vado da solo.” 

Oda liberò la mano da quella del più giovane, fece scivolare le dita sotto le bende che ricadevano disordinatamente sul suo viso e le sciolse definitivamente. 

Per nulla disturbato dal gesto, Dazai assecondò i suoi movimenti spingendosi contro il palmo caldo. Si fece più vicino, avvolgendo l’amante nel cappotto nero insieme a lui, dissuadendolo dall’allontanarsi dal calore creato dalla vicinanza dei loro corpi. “Resta, Odasaku,” disse. “Fa troppo freddo per restare da soli.”

Come spesso capitava, Oda ebbe l’impressione che ci fosse qualcosa di più in quelle parole, oltre il loro mero significato. Non indagò. Se aveva avuto un buon motivo per alzarsi da quel divano, lo aveva scordato nel momento in cui entrambi gli occhi scuri di Dazai si erano posati sui suoi.

Oda allungò il braccio oltre il bordo del divano e, per sua fortuna, la ricerca del telecomando fu breve. 

Non appena il televisore si spense e il silenzio confortevole dell’appartamento divenne il padrone indiscusso della scena, Dazai seppe di aver vinto. Le sue labbra si piegarono in un sorriso ancor prima che Oda le graziasse con le sue. Aggiustò il cappotto nero sulle spalle dell’amante, mentre questi si spostava sopra di lui.

Si dimenticarono del freddo per un po’, perdendosi nel calore l’uno dell’altro.





”Spero che tu non stia rispondendo al telefono perché, finalmente, sei riuscito a crepare, ma in caso contrario sappi che ti ammazzerò con le mie mani!”

Fu la voce di Nakahara Chuuya a svegliare Oda la seconda volta. 

“Ehi, idiota, guarda che lo vedo che sei in linea! Smettila d’ignorarmi, stronzo!”

Si era addormentato addosso a Dazai e il più giovane giocava distrattamente con i suoi capelli, ascoltando il progredire dell’ira del suo partner messaggio dopo messaggio.

”Mi auguro che tu sia scivolato in qualche vicolo buio, battendo quella testa di cazzo che ti ritrovi!”

Non era esattamente la miglior colonna sonora dopo il pomeriggio che avevano passato insieme su quel divano. Dovevano spostarsi sul letto, ma il calore che avvolgeva Oda in quel momento, con il battito regolare del cuore di Dazai contro l’orecchio, era un invito a desistere.

Sentì il bip-bip del cellulare provocato dal più giovane che digitava sul display. Una voce più matura e pacata prese il posto di quella di Nakahara.

“Dazai, tutte le strade della città sono bloccate per la bufera. Nessuno sa dove sei e il Boss è preoccupato per la tua incolumità.” 

Era Hirotsu, il comandante della Black Lizard. 

“Sì…” Sussurrò Dazai a se stesso, digitando qualcos’altro. “Sono certo che stia morendo di preoccupazione.”

“Dovresti avvertirli,” disse Oda a voce un po’ più alta della sua.

Dazai smise di accarezzargli i capelli il tempo necessario per realizzare che era sveglio e lo stava ascoltando da un po’. “Ti ha disturbato Chuuya, vero?”

Oda sollevò la testa per guardarlo. “Dovresti dire a qualcuno che sei qui.”

Dazai sbuffò, guardando storto il display del suo stesso cellulare. “E rischiare che Chuuya arrivi a recuperarmi volando?”

Il più giovane prese a scorrere i contatti nella sua rubrica con aria riflessiva. Quando trovò la soluzione al problema, i suoi occhi scuri s’illuminarono di una luce furbetta. Selezionò il numero del povero malcapitato e si portò il cellulare all’orecchio, infilando le dita tra i capelli di Oda per invitarlo a rilassarsi di nuovo addosso a lui.

“Ango!” Canticchiò allegramente Dazai.

Sì, Oda avrebbe dovuto aspettarselo.

“Pare che al quartier generale stiano diramando un comunicato di persona scomparsa. È per me. Fai sapere a qualcuno, non Chuuya, che sono stato colto alla sprovvista dalla bufera durante una passeggiata e che Odasaku mi ha gentilmente offerto riparo! Ciao, ciao!”

Dazai chiuse la comunicazione prima che Ango potesse replicare in alcun modo. Oda poteva quasi vederlo nel suo ufficio, con il telefono ancora premuto contro l’orecchio e l’espressione allibita. Alla prossima serata al Lupin, gli avrebbe offerto da bere per chiedergli scusa. 

La realtà dei fatti era un po’ diversa: si erano accordati per incontrarsi e Dazai aveva scelto il giorno e l’ora giusta perché su Yokohama si scatenasse l’inferno proprio mentre erano a casa insieme.

“Come hai fatto?” Domandò Oda.

Dazai lasciò cadere il cellulare da qualche parte con disinteresse. “Di cosa parli?”

“Hai calcolato il momento preciso per rimanere bloccato qui con me.”

Il più giovane non rispose immediatamente. Premette le labbra contro i suoi capelli e rise. “Sono lusingato, ma non ho capacità tanto grandi,” disse. “È stata solo una piacevole coincidenza.”

Senza il cellulare stretto tra le dita, ora Dazai poteva accarezzarlo anche con la mano destra. Oda chiuse gli occhi, rilassandosi completamente contro di lui. Stava per addormentarsi di nuovo, quando il più giovane spezzò il silenzio.

“Ti piaceva la neve quando eri bambino?”

Non era una domanda strana per sua natura, ma lo era il fatto che fosse uscita dalla bocca di Dazai. Nel mondo in cui entrambi vivevano, nessuno aveva mai avuto un’infanzia, non nel senso tradizionale del termine. Oda stesso non ricordava cosa era accaduto prima del giorno in cui gli era stata messa una pistola tra le mani. La storia del giovane demone della Port Mafia era solo la più oscura di tutte. La vita di Dazai Osamu prima dei suoi quattordici anni era un buco nero in cui nessuno era ancora riuscito a fare luce. Dazai stesso parlava come se non vi fosse stato nulla prima del suo incontro con l’attuale Boss della Port Mafia.

Quella domanda era una porta socchiusa su di una stanza buia, ma Oda sapeva di non poterla spalancare. “No,” rispose. “La neve non è una cosa buona quando non si ha la certezza di avere un tetto sopra la testa. I sicari esperti sono una garanzia, i ragazzini un rischio e a nessuno piace rischiare quando si tratta di uccidere qualcuno.”

Dazai affondò il naso tra i suoi capelli e chiuse gli occhi. “A Elise piace la neve.”

Oda non aveva idea di chi fosse Elise.

“Il primo inverno che ho passato con Mori, non ha fatto che tormentarmi perché voleva che giocassi con lei,” continuò il più giovane. “Nella clinica faceva sempre freddo, ma lei non lo sentiva. Elise non può sentirlo il freddo.”

Oda non era sicuro che la storia che stava ascoltando fosse reale e non un incubo partorito dalla mente di Dazai. 

“E io volevo che, invece, lo sentisse. Non sapevo se era possibile, così ho fatto una prova: l’ho accontentata e ho giocato con la neve insieme a lei.” 

Il silenzio che seguì fu pesante come un macigno. 

“E cosa è successo?” Domandò Oda.

“Le ho strappato di dosso il cappotto, l’ho spinta in un cumulo di neve e le ho premuto il viso contro il terreno ghiacciato fino a che non è riuscita a liberarsi. Mi ha dato uno schiaffo e ha pianto tanto, tantissimo. Ma vuoi sapere il bello?”

Oda sapeva che non serviva rispondergli 

“Non aveva un segno addosso. Nella colluttazione, le si erano rotte le calze e senza il cappotto, c’era solo un vestitino a coprirla.” Dazai smise di parlare, gli occhi scuri fissi sulla finestra di fronte al divano: nevicava ancora. “Il freddo ti divora,” aggiunse, dopo un po’. “Sembra che ti prenda a morsi la pelle, fino a che non arriva in profondità e ti sbrana. Lo fa con calma, però, un pezzo alla volta, così che tu non muoia subito e-“

“Dazai.” Oda sollevò la testa e lo guardò dritto negli occhi. Non lo interruppe perché gli dava fastidio quello che l’amante gli stava raccontando - avrebbe potuto condividere storie di gran lunga più macabre - ma perché aveva smesso di parlare con lui. Accadeva che nel pieno di una conversazione o di un racconto, Dazai precipitasse in una digressione che altro non era che la cronaca del flusso dei suoi pensieri. A Oda era servito tempo per riconoscere quei momenti e, alle volte, succedeva anche in presenza di Ango. Non gli piacevano. Non era sicuro lasciare che Dazai si perdesse nella sua stessa mente.

Il più giovane tenne gli occhi fissi sui suoi per un lungo istante, poi sbatté le palpebre e quelle iridi scure smisero di essere quelle di un morto. “Una volta, Hirotsu ci ha portati a pattinare,” disse di colpo, come se il racconto di poco prima non fosse mai stato narrato.

Oda puntò il gomito tra i cuscini del divano così da poterlo guardare in viso.

“Non eravamo a Yokohama ma non ricordo dove fossimo,” aggiunse Dazai, con rinnovata allegria. “Io e Chuuya stavamo litigando, come al solito e penso che Mori volesse liberarsi di noi per un paio d’ore. A qualcuno venne l’idea di andare a pattinare - forse proprio Mori - e Chuuya la rese la sua ennesima dichiarazione di guerra contro di me.”

“Mi hai detto tu che vorresti fosse il tuo cane,” disse Oda con tono neutrale, cercando di rimettere a posto un ciuffo ribelle sulla testa dell’altro con una carezza.

“È lui ad avermelo suggerito,” replicò Dazai. “Ogni volta che mi vede, abbaia e ringhia!”

“E come è finita sulla pista di pattinaggio?”

“Era un laghetto poco fuori città. Chuuya barò fin da subito, non pattinò per davvero nemmeno mezzo secondo, si limitò a modificare la gravità come più gli pareva.”

“E tu?”

Dazai scrollò le spalle. “Io persi interesse all’ennesima finta piroetta in aria. Chuuya si beava di se stesso e io mi annoiavo.” Pausa. “Poi mi accorsi che erano stati messi dei segnali di pericolo verso il centro del lago, dove il ghiaccio era più sottile.”

Oda sapeva dove sarebbe andato a parare.

“Erano tutti presi dal guardare Chuuya dare spettacolo di sé e non si accorsero di me che superavo la barriera. Avevo letto che cadere nell’acqua gelida uccide quasi istantaneamente, così cominciai a prendere a pedate il ghiaccio per romperlo…” Pausa a effetto.

“È stato Nakahara a tirarti fuori?” Domandò Oda.

“No.” Dazai sospirò sconsolato. “Non ho mai rotto il ghiaccio. Sono scivolato e ho battuto la testa. Quando mi sono svegliato, ho sentito Mori dichiarare che mi ero slogato una caviglia e Chuuya mi stava urlando addosso tutti gli insulti del suo repertorio.”

Oda, ormai, aveva fatto l’abitudine a quel genere di storie ma, forse per quella rara intimità domestica che si erano ritrovati a condividere, quella volta si coprì gli occhi con una mano e si lasciò andare a una mezza risata.

Sorprendentemente, Dazai non fece alcun commento su quella sua reazione. Oda lo sentì districarsi da lui e alzarsi di fretta dal divano, portando il cappotto nero via con sé. Colpito dall’ondata improvvisa di freddo, l’attacco d’ilarità del padrone di casa ebbe vita breve.

“Dazai?” Si sporse oltre lo schienale del divano appena in tempo per vedere Dazai uscire sul balcone con solo il cappotto nero addosso. 

Erano al decimo piano.

“Dazai!” Oda s’infilò i pantaloni in meno di un secondo, ma non fece in tempo a fare il giro del divano che una palla di neve lo colpì in pieno viso.

Gelò, non tanto per il freddo quanto per la sorpresa. Si passò una mano sugli occhi. Dazai era in piedi sulla porta finestra socchiusa e tremava da capo a piedi, ma sorrideva come un bambino che vede la neve per la prima volta. 

“Sono stato colto da un pensiero, Odasaku,” dichiarò, chinandosi per raccoglierne altra dal pavimento del balcone. “Prima di morire, forse vale la pena provare questa cosa delle battaglie a palle di nev- Eh!”

Oda non gli diede il tempo di preparare un secondo attacco. Se lo caricò in spalla con un singolo, veloce movimento e prese la via della camera da letto. Non pesava nulla e questo gli ricordò che era bene che entrambi mangiassero qualcosa. Si era dimenticato un dettaglio fondamentale: Dazai aveva ancora della neve tra le mani. Se ne ricordò quando la sentì scivolare sotto l’elastico dei pantaloni. Lo shock fu tale che perse la presa su Dazai, il quale cercò di aggrapparsi a lui, facendoli cadere entrambi. 

Oda atterrò su di un gomito per non schiacciare il più giovane, la cui testa toccò il pavimento con un sonoro tonk

“Dazai!”

Tutta la sua preoccupazione sparì nel suono cristallino della risata di Dazai. “Odasaku,” disse, col fiato corto. “Mi verrà un bernoccolo!” 

Oda tastò la parte lesa per assicurarsi che oltre a quello non ci fossero altri danni. 

“Ahi!” Dazai l’allontanò immediatamente. 

“Hai la testa dura,” commentò Oda.

“Sì, me lo dicono in tanti,” replicò Dazai. “Ciò non toglie che faccia male.”

“Sei tu che mi hai infilato la neve nei pantaloni,” gli ricordò Oda, senza nessuna intonazione in particolare. 

Con Dazai era così e non aveva senso rimproverarlo per la sua natura. Poteva solo restare al buio con lui, aspettando un bagliore di luce che forse non sarebbe mai arrivato per nessuno dei due. O forse sì. Il suo potere non gli permetteva di vedere tanto lontano. 

Oda cercò di alzarsi, ma Dazai gli avvolse le braccia intorno al collo. “Aspetta…” Mormorò, tirandolo verso di sé. “Fa freddo,” aggiunse, prima di baciarlo a fior di labbra.

“Perché siamo sul pavimento,” replicò Oda. “Ti preparo qualcosa da mangiare, ci facciamo una doccia e poi continuiamo a letto.”

“E se, nel frattempo, la neve si sciogliesse?” Ancora una volta, Dazai intendeva molto più di quello che diceva. Oda lo capì senza chiedere spiegazioni. 

Quel giorno, grazie alla neve, il mondo si era fermato, ma non era altro che un regalo lungo un istante e quell’istante andava vissuto tutto, prima che scivolasse via.

Oda lo sapeva meglio di chiunque altro: il tempo non si poteva riavvolgere. Ogni bacio di cui si privavano era perso per sempre e, per chi viveva una vita come la loro, il domani era un lusso che non si potevano permettere.

Ogni obiezione a rimanere su quel pavimento morì contro la bocca del più giovane.

Non c’era un altro modo per scrivere la loro storia, se non un istante alla volta.

Dazai Osamu non era una certezza, ma un intenso, pericoloso, attimo fuggente; il solo che Oda Sakunosuke non era riuscito a prevedere e a cui non era potuto sfuggire.

Sempre ammesso che lo avesse mai voluto.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Bungou Stray Dogs / Vai alla pagina dell'autore: Ode To Joy