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Autore: Wastingthedawn    17/12/2019    3 recensioni
Forse Olly si trova in quel posto per un motivo, una causa più grande che nemmeno lui si sa spiegare. Fatto sta che la sua sensibilità spiccata e una sorta di mente premonitiva lo condurranno a una grande epifania: non disturbare il sonno degli antichi, non portare il sangue sul terreno sacro.
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Si può visitare, c’è scritto sulla guida turistica!”.
Mia madre, la regina delle ingenue.
Non fraintendetemi, io amo mia madre, ma a volte non posso fare a meno di pensare che sia stupida.
Irriducibilmente, disperatamente stupida.
Stupida di quelle che si sentono legittimate a essere così stupide, dire cose stupide e fare cose stupide, solo perché qualcun altro ha detto loro che va bene.
“È vero, lo ha detto la televisione! Ma certo che sono sicura, l’ha visto la mia vicina con i suoi occhi! O piccolo mio, perché sei sempre così scettico?”.
Entriamo disordinatamente in questa specie di campo santo; cioè, non è un vero campo santo, però è così tetro da sembrarlo.
Tutto è cominciato perché una delle donne del vicinato ha raccontato di essere stata in questo posto, una nuova scoperta archeologica; non sapendo bene cosa fosse, mio padre non aveva voluto venire.
Ma mia madre, beh lei: “Ci vanno tutti!”.
Ci vanno tutti.
Quindi ora sono qui, a ricevere spintoni da turisti sudati e maleducati, mentre mia madre scatta con il suo smartphone ogni ammasso di pietra che le si para davanti.
Quando sento il rumore del “clic”, avverto una sensazione strana.
Mi si gela il sangue nelle vene, e non riesco a spiegare perché.
Ho tredici anni, ma non sono stupido.
So benissimo che non dovremmo essere qui.
Abbiamo camminato per quasi due ore, su percorsi molto più verticali che orizzontali, per arrivare a una radura che da su uno strapiombo che solo a gettargli uno sguardo ti toglie il fiato; tutto per vedere un cumolo di pietre ammassate le une sulle altre, di uno strano verde acqua che non sembra affatto essere naturale.
Pietre, e ancora pietre, che si ergono imponenti su di noi, accatastate in una maniera che sembra sfidare la legge di gravità con impertinenza.
Man mano che ci si addentra in questa radura, circondata da alberi scuri e contorti, sfigurati oserei dire, vediamo una sorta di abitacolo rozzo.
Sulle pareti verdastre, muschiose, di questa struttura alta circa 5 metri vi sono delle strane incisioni.
Non sembrano rune celtiche. Non sembrano appartenere ad alcun alfabeto, moderno o antico, che sia mai stato decifrato.
Perché mi fischiano le orecchie?
La bocca sa di sangue, e la mia testa è pesante, come se mille e oltre voci stessero urlando e implorando in una lingua sconosciuta.
Non ho mai avuto attacchi di panico in vita mia.
Non sono un tipo ansioso.
C’è qualcosa che non va, qui.
Chiunque abbiamo creato tutto questo ha voluto farlo in un posto che non fosse facilmente raggiungibile. Ma forse non aveva previsto l’invenzione delle seggiovie.
Ci siamo, avverto le esclamazioni e capisco che stiamo arrivando alla grande attrazione: tutte le persone stanno intorno a questa grottesca statua porosa, di un grigio topo con sfumature verdastre, e poi rossicce.
Vi giuro, non riesco a guardarlo o a metterlo a fuoco, perché sento che la testa mi gira.
Si tratta di una sorta di umanoide glabro, che regge sulle sue spalle un’arca; una tomba antica.
Ancora, sento le orecchie fischiare, e il sapore di sangue non se ne vuole andare.
“Non è strepitoso, Olly? E tu non volevi nemmeno venire”.
Sta zitta mamma.
Camminiamo, e ci troviamo in questa sorta di giardino pieno di statue: una pietra rossiccia è stata intagliata fino a riempirsi di disegni mostruosi; non hanno senso, non hanno assolutamente senso e la gente li osserva con stupore, ma io nel guardarli avverto il vomito salirmi in gola, e all’improvviso ho come la sensazione che la terra si sgretoli sotto di me; non soffro nemmeno di vertigini, se ve lo stavate chiedendo.
Un’altra statua raffigura una specie di donna che spalanca la bocca orribilmente deforme e spalanca le braccia, urlando contro il cielo; è come se il suo corpo si stia liquefacendo, e non so da una pietra così dura e rozza chi, in epoca antica, sia stato in grado di realizzare una simile opera.
Mi giro verso quell’altare di massi bianchi, lucenti, sopra uno dei quali sta seduto (o meglio, appollaiato) un ibrido tra umano e avvoltoio dalla pelle squamata, di pietra grigio scuro.
Lo fisso finché questo non ha un movimento lento e scattoso.
Si è mosso! Ne sono certo, si è mosso.
Sto avendo un attacco di panico, non sono pazzo.
Le mie proteste destano confusione e paura, ma sono io a spaventarli!
No, io l’ho visto muoversi.
E il sangue, io mi tasto il naso e sputo a terra ma niente, eppure io lo sento il sangue in bocca e la terra che si sgretola sotto i miei piedi e…I miei piedi.
Sono…sono fradici.
Sono pieni di sangue.
Dalla terra sta zampillando sangue.
Ora è tutto chiaro.
Siamo noi.
Noi, siamo entrati calpestando questo suolo sacro.
Con scarpe che saranno state fabbricate da persone povere e sfruttate fino all’osso, da bambini.
I nostri vestiti sono macchiati di sangue.
Siamo entrati e abbiamo calpestato una terra non nostra con arroganza, e stiamo scattando foto a loro; che sono vivi! Dormienti ma vivi.
Corro fino alla fine della radura, togliendomi scarpe e vestiti.
È freddo, molto freddo, ma è l’unico modo perché si calmino.
Esorto gli altri a fare lo stesso, ma nessuno mi ascolta.
Chiamano i soccorsi, lo fanno per me perché credono che sia pazzo ma non è così! Sono loro pazzi a non accorgersi che quelle statue si stanno muovendo, si muovono…
Inciampo sulla terra intrisa di sangue e quando mi alzo, di fronte a me c’è un tempietto, le cui pareti sono fatte con i rami dei grossi alberi neri che, piegandosi in avanti, hanno prestato i propri arti alla costruzione di questo edificio piccolo e contorto.
Vorrei urlare, piangere, scappare, ma non posso.
Riesco solo a starmene immobile mentre quel corpo mummificato e agghindato con splendidi abiti di seta scura si erge sopra di me, indicandomi con il braccio scheletrico la radura dietro: ogni statua ha preso vita, ogni umanoide e ogni angelo dal volto tentacolato, ogni avvoltoio di pietra e ogni mostro marino dal corpo flaccido (non conoscerò mai parole esatte per spiegarvi come quella statua di pietra dura potesse, al contempo, apparire così informe e floscia).
La terra sotto ai loro piedi si sgretola: nel tentativo di scappare, stolti e affrettati, camminando gli uni sopra gli altri, gli uomini hanno dato prova di non meritare misericordia e perdono.
Avidi, corrotti, arroganti e pronti a cibarsi della carne del loro prossimo se necessario.
Guardo giù, nello strapiombo dove tutti stanno precipitando, e riconosco lo zaino verde fosforescente con l’adesivo della Dickies.
Quell’ammasso di carne e ossa che si sta appallottolando sulla roccia. Sono io.
Mi volto verso l’uomo mummificato, mentre il mio corpo si irrigidisce e, prima che anche la lingua si secchi e pietrifichi, gli chiedo: “Sei tu il guardiano?”.
Non ho idea di cosa sto dicendo, o a cosa mi riferisco.
So solo che dovevo dirlo.
Le parole mi sono uscite dalla bocca.
Questi annuisce con calma.
Non posso più muovermi né parlare, ma sembra che lui mi legga nel pensiero perché, senza che io possa chiedergli perché io mi trovi lì, e nonostante lui sia già scomparso, percepisco la sua voce bassa dirmi: “perché il mio turno è finito”.
E adesso?
 
 
 
 
Nota autore: mi sono ispirata a un sogno particolarmente vivido che ho fatto alcune notti fa. Quei sogni in cui le leggi della fisica non hanno alcun potere e due elementi contrastanti possono convivere, e il tutto sembra avere una perfetta giustificazione logica. Ovviamente per i mostri e l’idea di scritte antiche non umane mi sono ispirata all’amato Lovecraft.
   
 
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