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Autore: Napee    20/12/2019    3 recensioni
*Questa os è stata scritta per il contest di Natale “Natale al supermercato” indetto dal gruppo fb Takahashi fanfiction Italia*
***
Tratto dalla storia:
“Non sono mai stato innamorato di nessuno, quindi non so se quello che sento sia una cotta o altro… e sì, è vero che sono confuso, ma fino a ieri sera ero solo io e niente di più.” S’interruppe per prendere fiato e guardarsi i piedi. Non riusciva più a sostenere il suo sguardo.
“Dopo aver litigato con te… non lo so più…”
Il silenzio piombò in quel momento. Un assordante silenzio fatto di tensione, interrotto solamente dai canti di Natale che si sentivano in sottofondo.
“Ti do un anno di tempo.” Esordì infine il ragazzo.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Bankotsu, Jakotsu | Coppie: Bankotsu/Jakotsu
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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• Un anno •






L’Hiraikotsu’s club era ciò che di più affollato avessero mai visto gli occhi di Bankotsu. Ovunque intorno a lui vi erano persone mascherate nei modi più strani ed eccentrici che si muovevano al ritmo di quella che sembrava una delle canzoni più in voga de momento.
La serata a tema “mascherata” che i proprietari del locale avevano indetto per Natale era stato un vero successone. Ad occhio e croce pareva che l’intera città si fosse ritrovata nel locale per danzare e divertirsi a ritmo delle note stonate che il dj pompava nelle casse.
Per entrare in quello che era il suo locale preferito, si era dovuto sorbire almeno un’ora e mezza di fila. E poco importava che il buttafuori, Suikotsu, fosse suo cugino e lo conoscesse benissimo anche come assiduo frequentatore di quel locale. 
“Se non esce qualcuno, non posso farti entrare.” Gli aveva prontamente risposto, facendogli saltare i nervi.
Gli piaceva l’Hiraikotsu’s club, era sempre poco affollato e riservato. Intimo. Nel fine settimana si riempiva un po’ di persone, ma era sempre stata una cosa facilmente gestibile.
Con quella trovata della proprietaria per festeggiare l’arrivo del Natale, aveva praticamente scatenato l’energia distruttiva di una bomba in città.
Ovunque non facevano che parlare della festa in maschera all’Hiraikotsu’s club, ogni mormorio, ogni bisbiglio aveva in sé il nome del locale. C’era stata una grande pubblicità su Facebook e ogni mezzo secondo sulla sua home appariva l’inserto pubblicitario del locale che riportava la data della vigilia con annesso “mega festa in maschera per Natale”.
E mentalmente, Bankotsu, si era preparato ad affrontare un locale mediamente popolato di persone. Credeva che sì, sarebbe stato affollato, ma non così tanto! Ci saranno state più persone in quel locale che granelli di sabbia in una spiaggia!
Era ciò che più odiava. Non sopportava la folla, non sopportava le persone e non sopportava doversi trovare in luoghi troppo affollati.
Sbuffò annoiato ingoiando il fastidio che sentiva già prudergli le mani e decise di annegare la sua irritazione nell’alcol.
Con fatica immane, Bankotsu si fece largo fra la folla sgomitando come un pazzo nel suo completo elegante con annessa cravatta blu a paperelle.
Vedeva gli sguardi su di lui, ma era più che conscio che nessuno avesse capito la sua maschera da Barney Stinson.
Una volta giunto nei pressi del  bancone, ricevette una gomitata ben assestata nelle costole che lo fece gemere di dolore e ricadere addosso a quella che aveva tutta l’aria di essere una ragazzina troppo piccola per stare in quel posto.
“Ti sei fatto male?” La vicina squillante della ragazza lo raggiunse premurosa e preoccupata.
Appena Bankotsu aprì gli occhi, una marea di glitter esplosero davanti alle sue pupille incredule.
La ragazza davvero minuta e gracile, pareva essere stata immersa in un mare di glitter.
I capelli acconciati in una morbida treccia erano cosparsi di brillantini argentei a forma di piccoli fiocchi di neve. Il suo trucco era un tripudio di celeste e bianco ghiaccio attorno agli occhi scuri e alle labbra.
Per non parlare del vestito ceruleo e del mantello chiaro che perdevano glitter ovunque sul pavimento del locale.
“Sto bene.” Rispose sgraziato e maleducato, senza nemmeno scusarsi o preoccuparsi di averle fatto male.
Nemmeno il tempo di terminare la frase che un energumeno di almeno due metri vestito di bianco gli andò vicino squadrandolo male e con una certa insistenza.
Bankotsu si voltò a fronteggiarlo senza paura, pronto ad affrontarlo nonostante non avesse idea di che cosa volesse da lui.
“Chiedile scusa.” Aveva esordito, senza curarsi di aggiungere altro. Il tono severo e inquisitorio della sua voce era già una minaccia di per sé.
Aveva sovrastato persino il suono che proveniva dalle casse e gli era arrivato dritto alle orecchie come una sirena d’allarme rosso.
Con quel tipo non sembrava il caso di fare lo strafottente o avrebbe avuto la peggio sicuramente.
“Sì, scusa ragazzina.” Pronunciò svogliatamente, masticando e poi sputando le parole in modo confuso.
La ragazza minuta parve non accorgersene minimamente e gli sorrise grata con le sue labbra brillanti.
“Non preoccuparti, non mi hai fatto male.” Esordì lei concludendo la conversazione quando l’energumeno la cinse per le spalle e la trascinò lontano con fare protettivo mentre seguitava a guardarlo male.
“Andiamocene, Rin” lo aveva sentito pronunciare a voce più bassa, ma sempre con quella intonazione monocorde.
La ragazza trotterellò al suo fianco con un sorriso smagliante quanto i glitter che aveva indosso.
“Ma non chiamarmi per nome! Ricorda, io sono Elsa e tu sei Olaf!” Lo riprese lei bonariamente. Bankotsu percepì la svogliatezza dell’energumeno fin da dove si trovava. Sembravano così diversi quei due che non riuscì a non trovarli ridicoli.
Bankotsu scosse la testa e rise di loro. Una coppia davvero strana e assurda nella quale era meglio non imbattersi, ma che almeno gli aveva fornito una rapida via d’accesso per il bancone gremito di gente.
Fece per raggiungere lo sgabello sul quale vi erano ancora i brillantini della ragazzina, quando un balordo vestito elegante glielo soffiò al volo.
Ordinò due birre al barista e Bankotsu approfittò per dargli una gomitata e fargli perdere l’equilibrio.
“Hey!” Rantolò il ragazzo, voltandosi irritato e stringendo il pugno in segno di minaccia.
Bankotsu gli regalò un sorrisetto canzonatorio in risposta mirato proprio a farlo infastidire.
“Guarda che ti sfilo quell’espressione dalla faccia a suon di pugni!” Berciò quello che doveva essere la brutta copia di un James Bond dai facili attacchi d’ira.
Al suo fianco, una ragazza avvolta in un completo maschile scuro lo tenne per una spalla evitando che gli si scagliasse addosso.
“InuYasha, lascia perdere. Non roviniamoci la serata per un maleducato.” Le pigolò nell’orecchio abbastanza forte da farsi sentire dal maleducato in questione.
“Hai ragione Kagome, lasciamo perdere… non vorrei doverlo mandare in ospedale proprio la vigilia di Natale.” Concluse il balordo pagando le birre ed allontanandosi con la ragazza.
Bankotsu gli fece un veloce “ciao ciao” con la mano a presa in giro e si accomodò su quello sgabello che sarebbe stato suo di diritto.
Attese che il barista gli rivolgesse l’attenzione, ma con il fiume di gente che andava e veniva ordinando cocktail improbabili era un’impresa davvero ardua farsi servire. C’era da aspettarselo dopotutto. Un l’affluenza di quel tipo, così caotica e confusionaria, non era mai capitata nel locale e c’era da aspettarselo che i baristi non fossero in grado di gestire tale mole di lavoro.
Una barista però gli rivolse lo sguardo ad un tratto. Sembrava in attesa del suo ordine e Bankotsu si sporse in avanti per ordinare, ma quella donna vestita da gheisha si voltò all’improvviso e servì un altro tizio.
Bankotsu rimase interdetto qualche secondo. Si sentiva leggermente preso in giro, ma forse aveva solo frainteso la situazione.
Aspettò qualche altro minuto nel corso dei quali la scena si ripeté più e più volte.
La ragazza lo guardava in attesa e appena lui apriva bocca, lei si voltava e si rivolgeva ad un altro cliente.
Era irritante e maleducata. Gli stava letteralmente facendo saltare i nervi con quel suo giochino irritante e Bankotsu non era pronto a tollerarlo un secondo di più.
Attese il momento opportuno e appena la barista gli fu vicino abbastanza, si sporse sul bancone e  si fece avanti abbastanza con il busto da averla a pochi centimetri dal viso.
“Una pignacolada all’ananas.” Le ordinò svelto, godendo come un matto della sua espressione sorpresa ed imbarazzata.
Non l’aveva mai vista in quel locale. Solitamente i baristi erano uomini all’ Hiraikotsu’s , ma Bankotsu non riusciva a non ammettere a sé stesso che apprezzava particolarmente quel cambiamento.
La ragazza era carina nell’insieme. Certo, forse un po’ alta e mascolina, ma aveva un bel visetto e quel seno appena accennato che si intravedeva appena dal kimono allentato, lasciava intendere che non stesse portando il reggiseno.
Scelta audace per una serata come quella, con un branco di maiali in giro per il locale. Ma, anche in questo caso, Bankotsu non riusciva a non apprezzare tale decisione.
Non ebbe neppure il tempo di finire di squadrarla che, tornando al viso dopo una considerevole sosta su tutto il resto del suo corpo, se la ritrovò a mezzo centimetro di distanza e con un’espressione talmente incazzata che lo colpì non poco.
“Le lastre quando posso venire a ritirarle, Dottor Cravatta di merda?” Lo derise lei, scoprendo un’insolita quanto insospettabile voce gutturale e roca. Quasi maschile. Non si addiceva affatto a lei, alla sua persona… o almeno all’idea che si era fatto!
“Hey! Guarda che sono un cliente e esigo ch-…”
“Al massimo puoi beccarti un vaffanculo con ghiaccio e un ombrellino.” Lo interruppe lei di nuovo, guadagnandosi gli applausi e i fischi d’incitamento provenienti dai balordi al bancone che avevano assistito alla scena.
Bankotsu si sentì avvampare di un misto fra rabbia e vergogna. Non era più stato deriso così pubblicamente da un bel po’ di tempo. Dopo i tempi della scuola, quando i bulletti avevano deciso di torturarlo come passatempo, aveva cercato di modificare il suo carattere e la sua persona affinché nessuno potesse più nuocergli.
In pratica, era passato dalla vittima al carnefice in modo consapevole.
Per sua pura scelta.
E sapeva che non era giusto, sapeva che non era corretto nei confronti degli altri che si ritrovavano ad avere a che fare con un vero bastardo di serie A, ma qual era l’alternativa?
Dalla parte della vittima aveva scelto di non volerci più stare… eppure quella barista lo aveva riportato indietro nel tempo con le sue risposte secche e il suo carattere irascibile.
Con appena due frasi  intrise di arroganza, aveva fatto a pezzi la sua corazza di stronzaggine e lo aveva esposto al mondo per il suo ludibrio.
Strinse i pugni ed ingoiò quel peso che sentiva opprimergli il petto.
“Tu non puoi parlarmi così.” Puntualizzò piccato, tornando seduto composto sullo sgabello ed incrociando le braccia al petto con aria permalosa.
“Ho visto come hai trattato gli altri al bancone prima di te.” Chiarì lei invece, sorridendogli in modo stranamente conturbante.
C’era qualcosa che non gli tornava in quel sorriso, ma decise di non badarci troppo e lasciar perdere.
“Erano tutti e quattro brave persone e tu le hai trattate male volutamente, quindi dimmi dottor Cravatta brutta: hai il gene della strafottenza esageratamente sviluppato o sei solo un coglione?”
Bankotsu si ritrovò ad ingoiare a vuoto e tacere, mentre le urla d’incitamento dei balordi al bancone si faceva sempre più fragoroso.
“Ti ho chiesto una pignacolada all’ananas comunque.” Puntualizzò cambiando discorso e sentendosi incredibilmente fuori luogo.
La ragazza sbuffò un po’, ma comunque gli preparò il suo cocktail con svogliatezza.
Bankotsu la osservò in silenzio e quando gli porse il bicchiere colmo di alcol e ghiaccio stava per chiederle come si chiamasse.
Non per reale interesse in verità… era più una curiosità, uno sfizio che voleva togliersi.
Non aveva mai trovato qualcuno in grado di tenergli testa in quel modo, non aveva mai trovato qualcuno in grado di zittirlo e lasciarlo senza niente da dire per ribattere.
In un certo senso, quella barista aveva attirato la sua attenzione.
E stava per chiederle il nome, stava per prepararsi anche all’ennesima battutaccia come risposta, ma quando il suo cocktail toccò il bancone, anche un ananas gli fu messo davanti al naso.
Bankotsu lo guardò stupito e confuso.
“Non hai mai visto un ananas?” Lo derise lei, ancora.
Bankotsu gli sorrise annoiato roteando gli occhi.
“Certo che sì, ma non capisco cos-…”
“È per te.” Lo interruppe la barista con un sorrisetto strano sulle labbra.
“Consideralo come il mio regalo di Natale nonché un caldo invito a farti da solo il prossimo drink e sloggiare dal mio bancone.”
Appena finito di parlare, il coro di ovazioni dei balordi ubriachi raggiunse le stelle.
Sembrava quasi di essere allo stadio tanto era il frastuono.
Bankotsu ingoiò i rimasugli del suo orgoglio e sorrise piccato alla barista.
Lo stava letteralmente distruggendo a parole, ma anche lui era un osso duro e non avrebbe ceduto così facilmente.
Con un ghigno che la sapeva lunga, si sfilò la cravatta blu a paperelle gialle e la porse alla ragazza che nel frattempo stava preparando un altro cocktail.
“Questa è per te, gioia. Consideralo pure il mio regalo di Natale.” Ammiccò sornione e si godette l’espressione divertita che le illuminò il viso.
Non finiva lì. Non finiva così.
“E sentiamo, perché mai dovrei accettare una cravatta così brutta come regalo?”
“Perché sarebbe maleducato da parte tua rifiutare e poi…” si sporse sul bancone quel tanto che bastava per averla vicino abbastanza da poterle sussurrare nell’orecchio.
“Ho un debole per le donne con la cravatta.” Esordì infine, con un sorriso trionfante che divenne persino più ampio quando notò il rosso scarlatto che le colorava le guance.
La vide voltarsi di lato e servire il drink al cliente con un sorriso garbato e un po’ tirato.
L’aveva finalmente messa in difficoltà e si sentiva fiero del suo operato.
La seguì con lo sguardo mentre serviva altri due clienti rapidamente. Nel frattempo sorseggiava il suo cocktail all’ananas. Non era affatto male. Anzi, la barista era davvero brava, sapeva il fatto suo e questo era innegabile dinanzi alla festa delle sue papille gustative.
Attese che tornasse da lui con un sorrisetto un po’ malinconico. Triste forse.
Per la prima volta da quando era diventato uno stronzo, Bankotsu si ritrovò a sperare che non fosse per quello che gli aveva detto.
Certo, aveva mirato a farla tacere, il suo obbiettivo era metterla in ridicolo come lei aveva fatto con lui, ma vedere quell’espressione malinconica sul sup viso non gli era piaciuto affatto. Tantomeno se fosse stata frutto delle sue parole.
“Considerando la cravatta che indossavi, è abbastanza palese che tu abbia dei seri problemi di vista.” Esordì poggiando i gomiti al bancone ed ignorando i clienti che cercavano di ordinare da bere. In quel momento Bankotsu aveva la sua totale attenzione. I suoi occhi cioccolato erano proiettati direttamente sul suo viso. Vedeva solo lei, ogni minimo accenno di sorriso, ogni minimo dettaglio catturava la sua attenzione come un magnete con un pezzo di metallo.
Era come se non fosse realmente lì. Non gli era mai successa una cosa del genere, non era mai stato preso così tanto da qualcuno come in quel momento.
La vide sistemarsi una ciocca dello chignon morbido dietro l’orecchio e un sorriso imbarazzato le disegnò le labbra.
Sembrava bella. Genuina.
Qualcosa di puro e semplice, ma inarrivabile. Bankotsu avvampò di vergogna appena realizzò ciò che aveva pensato.
Si stava prendendo una cotta per la barista che lo aveva messo in ridicolo?
Sperava davvero di no, ma a giudicare dalle pulsazioni impazzite del suo cuore sembrava proprio il contrario.
“Se non te ne fossi accorto, sono un uomo.” Concluse infine, allontanandosi dal bancone rapidamente e correndo a servire i clienti che si sbracciavano per attirare la sua attenzione.
Bankotsu riprese a respirare in quel momento.
La musica tornò ad assordarlo con il suo cacofonico delirio di note e il suo cuore riuscì a regolarizzare il battito prima che gli prendesse un colpo.
Prese un altro sorso del suo drink. Un bel sorso abbondante che gli bruciò la gola.
Poggiò il bicchiere mezzo vuoto sul bancone e cercò di ragionare.
La bella barista era un uomo.
Aveva tutti i sintomi di una cotta stratosferica per un uomo.
Aveva appena fatto una figura di merda chiamandola donna.
Si voltò ad osservarlo mentre serviva dei clienti dalla parte opposta del bancone.
Si muoveva svelto e veloce, con movimenti sicuri e decisi. Dispensava un po’ troppi sorrisi verso i clienti ubriachi e Bankotsu si ritrovò un po’ irritato nel constatare tale fatto.
Una piccola parte di lui, la più istintiva è irrazionale, si ritrovò a pensare che non era giusto, che doveva sorridere solo a lui in quel modo, che doveva ridere e scherzare solo con lui e non anche con gli altri.
Si riscoprì irritato dalla confidenza che gli altri clienti parevano avere con lui.
Rimase seduto al bancone per molto tempo, sorseggiando quel che restava della sua pignacolada e guardando fisso l’ananas con la mente altrove.
Si era preso una cotta per un uomo e la cosa non lo disturbava affatto.
Anzi, dopo un po’ che continuava a ragionarci su, si era reso infine conto che non poteva fregargliene di meno.
Che fosse stato uomo, donna o unicorno, a Bankotsu piaceva quella persona, piaceva quel carattere, quella parlantina e quel modo che aveva di battibeccare con lui.
Non fu una grande scoperta. Non fu l’epifania che scendendo dal cielo avrebbe illuminato ogni cosa con la sua luce divina.
Accettò la situazione per quella che era e tracannò gli ultimi rimasugli del suo drink.
Prese l’ananas con sé e decise che per quella sera, si era divertito fin troppo.


Si accomodò sui divanetti a bordo pista e osservò la folla in movimento che danzava in modo sconclusionato.  La sua mente era altrove, era ancora a quel bancone a litigare con il barista, era ancora lì con lui ad osservarlo mentre lavorava.
Spostò lo sguardo sull’ananas al suo fianco e una risata gli distese le labbra.
Chi cavolo regala un ananas per Natale ad uno sconosciuto?
D’istinto rivolse la sua attenzione nella direzione del bancone da bar ancora gremito di gente.
A tratti si apriva di quando in quando un varco e riusciva ad intravederlo mentre lavorava.
Aveva sempre il suo sorriso stampato sulle labbra, talvolta più ampio e spontaneo, talvolta più tirato. Si capiva facilmente quando gli toccava servire un cliente poco simpatico. Un po’ come era stato con lui.
Anche con lui aveva avuto quell’espressione scocciata e irritata e spesso gli aveva rivolto quel sorrisetto scoglionato che gli aveva fatto saltare i nervi uno a uno.
Gli sarebbe piaciuto ricevere il sorriso sincero invece… magari provocarlo lui stesso con una battuta.
Sbuffò derisorio prendendosi gioco dei suoi stessi pensieri. A chi voleva darla a bere? Non era bravo né con le battute e né a farsi degli amici.
Socializzare non era mai stato il suo forte, sia ai tempi della sua infanzia, quando troppo timido anche per aprire bocca, sia crescendo, quando aveva deciso di attaccare prima di essere attaccato.
Non aveva mai avuto amici, figurarsi una relazione! Tantomeno qualcosa di serio e concreto.
Solo storielle mordi e fuggi con ragazzine affascinate dal classico cattivo ragazzo incompreso.
Non aveva mai provato interesse per un ragazzo. Anzi, non gli era mai passato neppure per la testa di avere a che fare con un maschio.
Non aveva idea di come il barista avesse fatto per catturare il suo interesse in poco tempo e trasformarlo in qualcosa che gli faceva battere il cuore davvero.
Notò che il club si andava via via liberando dalle persone. Persino il bancone era più libero e si riusciva ad intravedere il legno scuro degli sgabelli.
Controllò l’ora per curiosità.
Aveva gli arti indolenziti e la schiena abbastanza dolorante da fargli intuire di essere rimasto in quella posizione un po’ troppo a lungo.
L’orologio del telefono segnava le cinque meno un quarto.
L’ora di chiusura del locale si avvicinava ed ecco svelato il motivo delle persone che avevano iniziato ad andarsene.
Realizzò solo in quel momento di essere rimasto seduto sul divanetto per tutta la notte a pensare al barista.
Non gli era mai successo con nessuno.
Nessuno lo aveva mai preso tanto da monopolizzargli la mente.
Si alzò dal divanetto in pelle scura e si stiracchiò le spalle intorpidite. Prese il suo ananas con sé e si diresse verso l’uscita del locale pure lui.
Si fermò di fianco all’ingresso e si accese una sigaretta.
Non faceva troppo freddo per essere fine dicembre. L’inverno aveva tardato ad arrivare quell’anno finché non era arrivato mai veramente. Le classiche nevicate che rendevano impossibile addentrarsi in città che coronavano i ricordi della sua infanzia, non si vedevano da un po’ di tempo. Il tempo era cambiato, così come tante altre cose in quegli anni.
Guardò in alto, verso le stelle, ma non ne scorse nemmeno una.
Solo qualche satellite che orbitava distratto in cielo e troppa luce per vedere gli astri veri e propri che sua madre gli aveva insegnato ad amare.
La porta al duo fianco si chiuse rumorosamente e Bankotsu sobbalzò tornando con i piedi per terra.
Il barista era appena uscito e si avvolgeva nel suo cappotto per cercare di scaldarsi un po’.
“Freddo?” Gli chiese sorridendogli con scherno.
Il ragazzo si voltò stupito di trovarlo ancora lì, ma la sua espressione mutò velocemente in divertita non appena notò l’ananas stretto sotto al braccio che Bankotsu aveva tenuto con sé.
“Vedo che hai apprezzato il mio regalo…” Constatò indicando il frutto giallo dall’improbabile ciuffo di foglie.
“Certo. Mi duole notare che tu non hai apprezzato il mio.” Frecciò.
Ma il barista alzò la manica del cappotto quel tanto che bastava per mostrare la cravatta decisamente inusuale stretta al polso.
Bankotsu sorrise sorpreso e divertito allo stesso tempo.
Cercava di darsi una certa aria da stronzo, ma in realtà gli riusciva parecchio difficile con quel batticuore che gli sfondava la cassa toracica.
A stento riusciva a guardarlo in faccia e si malediva come un matto per questo. I tempi della timidezza incontrollata non dovevano essere finiti?
“Senti, Signor Cravatta Brutta…” iniziò il ragazzo avvicinandosi a lui di ben due passi.
Bankotsu boccheggiò senza fiato ritrovandosi a sperare che i rumori della città coprissero il frastuono del suo cuore impazzito.
“Conosco quel comportamento, ti di legge in faccia e prima di spezzare il tuo fragile cuore, sappi che la mia risposta è no.”
L’espressione di Bankotsu mutò in funerea all’istante.
“C-cos-…?”
“Ho conosciuto centinaia di ragazzini confusi che si sono presi una cotta per me.” Lo interruppe bruscamente il barista squadrandolo serio.
“Non sono… i-io…” balbettò Bankotsu colto in fragrante. Davvero era così palese?
Quanti lo avevano notato?
Fece un respiro profondo e dissimulò una risata strafottente. In realtà era nervoso da impazzire, ma fingersi stronzo aveva sempre funzionato e avrebbe funzionato anche quella volta. Giusto?
“Parlare di cotta è un po’ esagerato, non ti pare?” Tentò di assumere un tono non curante, ma il risultato somigliò più ad un pallido tentativo.
“No? Allora spiegami perché non mi hai tolto gli occhi di dosso per tutta la sera.”
Quindi se ne era accorto?
Preso in contropiede, Bankotsu iniziò a balbettare confuso.
“Senti, non ho intenzione di stare dietro ad un ragazzino confuso. Fatti un favore e lasciami perdere.” Pronunciò freddamente lasciandolo lì imbambolato. Bankotsu sentì il freddo dell’inverno pungere in quel momento.
Confuso era confuso. Questo era innegabile. Ma era innegabile anche ciò che quel ragazzo aveva provocato in lui.
Il suo cuore impazzito e le farfalle che giocavano a pallavolo nello stomaco non potevano essere casuali.
Nessuno mai, maschio o femmina che fosse, era stato in gradi di farlo sentire così… così… insicuro?
La sua maschera di strafottenza diventava niente con lui. Non riusciva a mascherare le sue emozioni, non riusciva ad essere lo stronzo che si era sforzato di diventare con gli anni.
Con lui era solo il ragazzino timido e insicuro che era sempre stato.
“Non sono certo che sia una cotta.” Esordì infine riuscendo a farlo fermare.
Il ragazzo si voltò e attese che Bankotsu continuasse.
Vuotare il sacco poteva davvero essere la soluzione migliore?
Tanto valeva provarci.
“Non sono mai stato innamorato di nessuno, quindi non so se quello che sento sia una cotta o altro… e sì, è vero che sono confuso, ma fino a ieri sera ero solo io e niente di più.” S’interruppe per prendere fiato e guardarsi i piedi. Non riusciva più a sostenere il suo sguardo.
“Dopo aver litigato con te… non lo so più…”
Il silenzio piombò in quel momento. Un assordante silenzio fatto di tensione, interrotto solamente dai canti di Natale che si sentivano in sottofondo.
“Ti do un anno di tempo.” Esordì infine il ragazzo.
Bankotsu alzò lo sguardo su di lui stupito e confuso.
“Hai un anno di tempo per capirti e fare chiarezza. Per il momento, piacere di conoscerti Signor Cravatta Brutta, mi chiamo Jakotsu.”
Bankotsu sbatté gli occhi ostentando uno stupore e una confusione talmente intrinsechi nel suo essere che si poteva ben dire facessero parte di lui ormai.
Un anno? Come poteva…? Non sapeva nemmeno come fare, come iniziare… come poteva pretendere di dare una scadenza ad una cosa del genere?
“E come dovrei-...”
“Inizia col presentarti qui domani sera alle nove in punto per l’espiazione di ogni tuo peccato, poi vediamo come proseguire.” Lo congedò con queste poche quanto enigmatiche parole.
Bankotsu rimase lì impalato come un merluzzo. Il vento gelido soffiava più forte ora che era rimasto solo con quella matassa di pensieri che non riusciva a sbrogliare. Sembrava quasi che l’inverno avesse scelto esattamente quel momento per piombare sulla città e ricoprirla con la sua dose di raffreddori, influenze varie e colpi di freddo.
E se fosse rimasto ancora lì impalato, sarebbe divenuto il più grande merluzzo congelato della storia dei tempi.
S’incamminò verso casa a grandi falcate. Nella testa, solo Jakotsu e le sue parole, Jakotsu che lo bidonava ancora prima che Bankotsu stesso avesse compreso i suoi sentimenti, Jakotsu con il cappotto, senza cappotto, con quel ciuffo sulla fronte che gli era sfuggito dall’acconciatura, Jakotsu che sorrideva, il suo broncio.
Jakotsu in ogni salsa gradita al suo palato.
S’infilò sotto le coperte con un solo rimpianto: non gli aveva fatto gli auguri di Natale.
E non gli aveva chiesto il numero. Erano due i rimpianti.
Però si sarebbero rivisti quella sera stessa.
Non era ben chiaro se si trattasse o meno di un appuntamento. Anzi, per come glielo aveva proposto sembrava più un invito ad un esorcismo. Sperava che non fosse così, soprattutto perché non sapeva niente in fatto di esorcismi.
Prese il cellulare ed iniziò a cercare informazioni più disparate su tali pratiche senza un reale motivo apparente.
Il sesso biologico di Jakotsu era passato in secondo piano in un momento indefinito della notte che Bankotsu non era nemmeno interessato a conoscere.

Il pranzo a casa di sua madre era un trionfo di carboidrati, zuccheri e colesterolo libero nel sangue.
La tavola imbandita era stata presa letteralmente d’assalto da lui e dai suoi fratelli. Avevano fatto mambassa di ogni ben di Dio, avevano spolverato i vassoi di patate arrosto che sfilavano lucidi di olio caldo sul tavolo. Avevano tracannato diverse bottiglie di vino per accompagnare il glorioso maiale in crosta che si sarebbe sognato per tutta la notte, ne era certo.
E seduto sul divano in stato più comatoso che cosciente, Bankotsu seguitava osservando -senza vederli davvero- i suoi fratelli mentre si destreggiavano nell’arte della composizione di puzzle. Lui nemmeno ci aveva provato. Era negato con quei cosi.
L’immagine da comporre era una ghirlanda verde con due campane incorniciate con un bel fioccone rosso su sfondo bianco candido.
Il perfetto puzzle per il giorno di Natale insomma.
I suoi fratelli si punzecchiavano giocosamente, sua mamma cucina una sciarpona rossa ai ferri che aveva tutta l’aria di essere davvero caldissima. La tv passava in loop continuo canzoni di Bublé e film tipici di Natale, dove tutto finisce sempre bene e tutti sono felici.
L’unico con l’umore un po’ preoccupato era lui. Anche senza volerlo, la mente andava sempre da Jakotsu, alla sera precedente, al loro battibecco e quella chiacchierata fuori dal locale.
Si sentiva a disagio, come sotto esame. Ma lo nascose degnamente, passando il tempo vegetando ovunque in casa di sua madre. Quando poi era sopraggiunto il pandoro e l’overdose di zucchero lo aveva  fatto collassare sul divano con la bocca aperta ed un rivolo di bava a colargli sulla spalla, si sarebbe dovuto immaginare che quelle canaglie dei suoi fratelli avrebbero colto l’occasione per scattargli un numero imbarazzante di foto con il quale avrebbero potuto fare il calendario del prossimo anno.
Verso l’ora di cena, quando sua madre era già pronta per imbandire di nuovo la tavola, Bankotsu se l’era battuta in ritirata conscio del fatto che non sarebbe sopravvissuto ad un altro pasto con un tale quantitativo di calorie.
E tornando in città, sfilando per le strade deserte e innevate di Tokyo, Bankotsu continuava a pensare che soltanto pochi minuti lo dividevano da Jakotsu. E che quel batticuore l’avrebbe ucciso presto o tardi se quel dannato organo non si fosse dato una calmata!
Era strana, una sensazione inusuale… era come una peculiare impazienza. Sentiva lo stomaco in subbuglio e non era nemmeno maiale in crosta di sua madre. Era come quando a scuola aveva un compito importante e non riusciva a stare fermo un secondo. Le mani gli sudavano da pazzi, aveva caldo, poi freddo e poi ancora caldo.
La cerniera della sua giacca non aveva un secondo di tregua così come ogni cosa si sé.
Aveva scelto di legare i capelli in una morbida treccia e gli era sembrata una bella idea quella mattina.
Ma poi qualcosa era cambiato. Jakotsu portava uno chignon quando lo aveva conosciuto. Forse avrebbe dovuto legarsi i capelli in quel modo pure lui. Forse no, sarebbe sembrato patetico? E se si fosse offeso per quel pallido tentativo di emularlo per piacergli?
Si spalmò le mani gelate sulla faccia e sfregò forte sugli occhi.
Non si era mai fatto tanti problemi in vita sua, non si era mai curato del preservare intatti i sentimenti del prossimo. Aveva sempre offeso, era sempre stato sgarbato e scorbutico con il prossimo, ma a Jakotsu non andava bene. In effetti non era un atteggiamento corretto, certo… ma perché adesso gli importava tanto?
Perché gli importava tanto del giudizio di Jakotsu?
Gli aveva concesso un anno di tempo per comprendersi meglio e capire cosa volesse davvero. Bene, a distanza di meno di ventiquattro ore non era cambiato assolutamente nulla e la voglia di piacergli almeno un decimo di quanto Jakotsu gli piacesse, era sempre viva e pulsante dentro di lui. Forse era giusto un po’ aumentata.
Non aveva mai avuto una cotta così potente e repentina per nessuno. Eccezione fatta per la pura attrazione fisica, nessuno al mondo gli era mai interessato sul serio. Nessuno aveva mai attirato la sua attenzione fino al punto di fargli desiderare di piacergli sul serio come persona.
“Hey cravatta brutta!” Una voce familiare attirò la sua attenzione. Senza nemmeno accorgersene, i suoi piedi lo avevano condotta fino all’Hiraikotsu’s con qualche minuto di anticipo.
Alzò lo sguardo sul suo interlocutore nonché chiodo fisso dei suoi pensieri e si ritrovò ad arrossire improvvisamente.
Jakotsu era davvero raggiante. Bello, incredibilmente bello.
Aveva i capelli sciolti che ricadevano sul cappotto scuro mescolandosi ad esso.
Indossava un paio di jeans scuri  stracciati un po’ ovunque e Bankotsu poteva vedere le sue gambe coperte dalle calze a rete attraverso gli strappi.
Ai piedi indossava degli stivaletti bassi col pelo. Anche così raso terra sembrava parecchio più alto di lui. Bankotsu non ci aveva fatto troppo caso la sera precedente e se ne sorprese un poco notando quel particolare.
Jakotsu gli sorrise amichevole alzando una mano in segno di saluto. Stretto al polso, che s’intravedeva appena fra il bordo della manica del cappotto, c’era la sua cravatta brutta.
Bankotsu distolse lo sguardo vergognandosene. Non aveva pensato a procurarsi un vero regalo e sperava davvero che Jakotsu non glielo avesse fatto.
“Buona sera ananas.” Lo salutò a sua volta Bankotsu, stando al gioco.
Lo raggiunse stringendosi nelle spalle e sentendosi incredibilmente nudo e fragile. Non aveva intenzione di fare lo stronzo con Jakotsu perché voleva piacergli davvero, ma senza quella sua menzogna da spacciare come facciata, restava soltanto un ragazzo fin troppo timido anche solo per spiccicare parola.
“Spero tu abbia fame, mia sorella ha cucinato tutto il giorno.”
Aspetta… cosa? Sorella? Cibo?
“N-non molta a dire il vero…” balbettò abbassando lo sguardo sui suoi piedi e sentendosi sprofondare sempre di più.
Poi ad un tratto una mano fredda gli cinse il mento e lo costrinse ad alzare lo sguardo.
Bankotsu incontrò gli occhi nocciola di Jakotsu e ci annegò dentro.
Un sorriso sereno svettava su quelle labbra sottili che apparivano anche incredibilmente morbide.
“Dove hai lasciato lo stronzo di ieri sera?” Chiese l’altro a bruciapelo, schernendolo bonariamente.
Bankotsu arrossì ancora di più. Aveva pensato per tutto il giorno a come sarebbe stato il loro incontro, a cosa dire e a come dirla… e dove erano finite tutte le sue idee?
“Mi è parso di capire che non ti piacesse molto.”
“No, affatto.”
Ingoiò saliva e fece un bel respiro.
“I-io voglio piacerti invece.” La confessione gli uscì più tremolante di quanto avesse voluto. Se l’era immaginata con voce ferma e sicura, virile e forte. Invece solo la pallida imitazione dello squittio di un topolino aveva lascito le sue labbra.
La reazione che scatenò però gli piacque un sacco.
Jakotsu ne era rimasto incredibilmente sorpreso. Si era zittito all’istante e qualunque cosa avesse voluto dire era morta su quelle labbra rimaste aperte a mezz’aria.
Gli piaceva sorprenderlo. Era divertente vederlo con quell’espressione incredula che discostava così tanto da quella spavalda e sicura che aveva indossato ieri sera.
“Sei strano, Cravatta Brutta.” Decretò infine, allontanandosi di un passo e sciogliendo la presa sul suo mento.
“Lo prendo per un complimento, quindi ti ringrazio, ananas.”
La porta si aprì all’improvviso e dall’interno del club emerse una ragazzina dai capelli scuri ed un sorriso fin troppo sgargiante.
Bankotsu la riconobbe all’istante.
“Buonasera, fratellone. Questo deve essere il tuo ospite.” Esordì la ragazzina con la sua vocetta strillante ed euforica.
Jakotsu si voltò verso Bankotsu sorridendogli in maniera strana.
Bankotsu adesso capiva. Capiva molte cose e prima fra tutte aveva capito che non sarebbe stata una cena tanto semplice.

Come preannunciato dal suo cervello, non si presentava come una cena tanto semplice.
Prima di tutto per quel tacchino gonfio di ripieno che svettava al centro del bancone da bar, circondato di patate al forno e carotine, il tutto guarnito con delle piccole ghirlande intorno al tavolo e dei fili argentati. Drappi di vischio pendevano dal soffitto come decorazioni, coronati da frutti sgargianti e fiocconi rossi.
Bankotsu abbassò lo sguardo sui suoi piedi appena notò gli invitati. Tutti gli invitati.
La parola “espiazione dei peccati” avrebbe assunto tutto un altro significato quella sera, ne era certo. Sicuramente più simile a “torture gratuite per vendetta”.
Si erano accomodati al bancone e il colosso bianco della sera precedente – oggi invece indossava una camicia nera lucida – lo squadrò male dall’alto in basso facendolo sentire ancor più fuori posto di quanto già non lo fosse.
Ci volle l’intervento di Jakotsu per farlo tornare a respirare regolarmente.
Ma dov’era finita tutta la sua faccia tosta? Dov’era quel suo ghigno da teppista attaccabrighe? Perché si era dissolto nel nulla e non riusciva nemmeno a riesumarlo a comando?
“Andiamo, Sesshomaru, non guardarlo così! È un ospite dopotutto!”
“Ha ragione Jakotsu.” Intervenne in suo soccorso anche la ragazzina minuta. Gli porse un piatto davanti al naso e gli sorrise dolcemente. Sembrava davvero tenera. Molto gentile, quasi troppo da risultare persino stucchevole.
“Ti piace il tacchino Bankotsu?” Ah, sapeva pure il suo nome. Istintivamente si chiese se a Jakotsu avesse parlato di lui e in quali termini.
“Sì, certo.” Rispose sforzandosi di sorridere con quanta più convinzione e naturalezza possibile. Si sentiva comunque sotto osservazione, costantemente giudicato dai freddi e gelidi occhi severi del gigante di nome Sesshomaru.
“Meno male!” Si aprì in un sospiro di sollievo fin troppo esagerato la ragazzina.
“Sai, Jakotsu mi ha detto all’ultimo minuto che avrebbe portato anche il suo ragazzo, quindi ho-…”
“Rin!” La riprese Jakotsu rosso in viso come non lo aveva mai visto.
Bankotsu gli riservò un sorrisetto canzonatorio beffardo. Non gli era affatto sfuggito l’epiteto con il quale era stato chiamato dalla ragazzina.
“Troppo presto?” Chiese in difficoltà la piccoletta e sia Sesshomaru che Jakotsu annuirono convinti.
La situazione si era fatta decisamente tesa. Rin parlava in continuazione per mascherare l’imbarazzo, Sesshomaru alternava lo sguardo fra Bankotsu e l’orologio e di quando in quando sospirava esasperato.
Jakotsu si era ritirato dietro al bancone invece ed aveva iniziato a preparare una serie di aperitivo complicati.
Bankotsu si perse osservando la maestria delle sue mani dietro al bancone.
Giocava con le bottiglie, le faceva girare fra le mani, sui palmi aperti, mescolava profumi e sapori con audacia e sicurezza.
Era davvero bravo. La sera precedente, con tutta quella calca, non aveva avuto l’opportunità di notare le sue doti a pieno.
Si alzò dallo sgabello al fianco di Sesshomaru nel momento esatto in cui Rin li raggiunse per chiedere fra quanto tempo sarebbe sopraggiunto suo cognato.
Bankotsu si palesò esattamente davanti a Jakotsu, osservando i circa dieci bicchierini dal liquido coloratissimo che spiccavano fra loro.
“Sei bravo.” Si complimentò Bankotsu prendendo un bicchiere a caso ed osservandone il liquido all’interno.
“Anche tu.” Commentò Jakotsu di rimando, aggiungendo anche un sorrisetto canzonatorio.
Bankotsu si passò una mano fra i capelli ribelli della frangetta per coprire il rossore delle sue guance e distogliere lo sguardo da quel sorriso che gli aveva fatto impazzire il cuore.
“I-in che senso?”
“Vedo che ti stai sforzando di non fare lo stronzo con le persone con cui sei stato uno stronzo ieri.” Commentò schioccando la lingua sul palato con aria decisamente un po’ troppo saccente.
“Non doveva essere la sera della mia espiazione?” Aggiunse sarcastico Bankotsu ripoggiando il bicchiere sul bancone.
“Qual è il mio?” Chiese poi indicandoli con il dito.
“Lo sto preparando.” Rispose poco prima di iniziare a miscelare con lo shaker.
In quel momento, quasi per caso, gli occhi di Bankotsu furono attirati dal nastro blu con le paperelle gialle che spiccava al polso del ragazzo.
Non se l’era tolta.
Un sorriso sincero gli sbocciò sulle labbra.
“Ho capito che lo fai per me e ti stai sforzando di piacermi per forza.” Lo avvisò Jakotsu sospirando, mentre versava il liquido giallastro in un bicchiere.
Il profumo di ananas si espanse fino alle narici di Bankotsu che fu costretto ad ingoiare un quantitativo imbarazzante di acquolina in bocca. Se era buono almeno la metà del profumo che emanava, Bankotsu si stava preparando ad assaggiare il miglior cocktail di sempre.
“Ma questa è la mia vendetta per ieri sera e fidati, forse sarebbe meglio che tu mi lasciassi perdere.”
Bankotsu rise di scherno.
“Continui a dirmi di lasciar perdere e che non hai tempo per un ragazzo confuso, ma poi vengo nominato come ‘tuo ragazzo’.” Riepilogò Bankotsu irrigidendosi sul posto. Non voleva risultare scontroso o arrabbiato, semplicemente avrebbe tanto voluto capire cosa passava per quella bella testa di Jakotsu.
“Converrai con me che mi stai mandando dei messaggi contrastanti.” Concluse infine e Jakotsu si aprì in un sorrisetto malizioso quanto pericoloso.
“Vuoi la verità?” Chiese così a bruciapelo, poggiandogli il bicchiere sotto al naso con fare svogliato.
Gli sembrava tanto che fosse tornato il Jakotsu della sera prima.
“Jako.” Lo richiamò Sesshomaru e in quel momento fecero il suo ingresso nel locale altre due coppie. In una delle quali Bankotsu riconobbe il balordo e la ragazza che aveva trattato male la sera prima.
“Ne parliamo dopo.” Lo liquidò alla fine Jakotsu bisbigliando velocemente.
Si sentì morire ancora di più. Sentiva di aver rovinato quei pochi risultati ottenuti con una fatica estenuante.
Piuttosto che “espiare” i suoi peccati, quella sera si prospettava come una sessione intensiva di tortura gratuita alla quale si era pure sottoposto volontariamente. Gli sembrava di compiere un passo avanti e tre indietro con Jakotsu. Non riusciva a capire perché un secondo prima era tutto amichevole e il secondo successivo era scostante e scontroso.
Sembrava quasi una miccia che esplode in un incendio appena il vento cambia direzione.
Tutto questo sommato ai suoi dubbi esistenziali su quanto stesse accettando serenamente l’aver preso una cotta per un ragazzo.
Non aveva mai sospettato di essere bisessuale, anche perché nessuno aveva mai attirato la sua attenzione come Jakotsu. Ci aveva rimuginato tutta la notte e alla fine era venuto a patti col fatto che no, non era un problema cosa Jakotsu avesse fra le gambe. Poteva esserci anche un unicorno coperto di zucchero filato e a lui sarebbe andato benissimo lo stesso.
E non poteva nemmeno pensare che gli piacesse come persona, perché dopotutto nemmeno lo conosceva.
Era attratto fisicamente, dal suo modo di fare e comportarsi, da tutto quel fascino che esibiva e sembrava che non sapesse neppure di averlo.
Gli piaceva e non sapeva nemmeno spiegarsi il perché. Gli piaceva che lo mettesse in difficoltà, che lo denudasse con poche parole, che abbattesse ogni suo muro di protezione e sfondasse il suo fortino di strafottenza in pochi secondi.
Gli piaceva come lo faceva sentire fragile e vulnerabile, gli ricordava che stesse camminando anche lui sulla sua stessa terra. Lo faceva essere una persona migliore con un solo sorriso e la voglia che nasceva in Bankotsu di vederlo ancora e ancora.
Era un sentimento trascendentale, gli veniva da dentro, come un’attrazione primordiale. Ed era incredibilmente semplice provare quel sentimento. La sua natura stessa avrebbe dovuto destabilizzarlo quantomeno o spaventarlo, ma no, era nato naturalmente, quasi per caso, e naturalmente aveva radicato dentro di lui mettendo le radici intorno ai suoi organi.
Perso nei suoi pensieri più che mai, già aveva dimenticato i nomi dei ragazzi che gli erano stati presentati. Ricordava vagamente una Sango ed era abbastanza sicuro di aver capito che fosse la proprietaria del club. Il suo accompagnatore lo aveva visto più di una sera alla postazione del dj durante le serate più affollate all’Hiraikotsu’s. Miroku credeva fosse il suo nome… non ricordava fosse un dj particolarmente abile alla console, ma lo stuolo di ragazzine urlanti che lo circondava ogni volta era indimenticabile.
Gli venne presentato anche il balordo della sera precedente, tale InuYasha, che somigliava davvero incredibilmente a Sesshomaru. Si chiese mentalmente se forse c’era una qualche parentela fra loro, ma si guardò bene dal domandarlo ad alta voce dato lo sguardo ostile che i due si erano scambiati.
Poi fu questione di un secondo, gli occhi del balordo dell’altra sera si fermarono nei suoi un po’ troppo a lungo.
Ghignò. Lo aveva riconosciuto. Non sarebbe stata una serata semplice.

La cena scorse lenta ed esasperante. Bankotsu si sentiva satollo di cibo ed ad un passo da una crisi nevrotica.
Appena InuYasha lo aveva riconosciuto, Bankotsu aveva prontamente compreso che quello sarebbe stato solo l’inizio della fine. Per l’appunto, non gli aveva dato un secondo di tregua, lo aveva sommerso di battutine ammiccanti, provocazioni varie e prese in giro di ogni sorta durante la cena.
Persino la sua ragazza Kagome, ad un certo punto, lo aveva richiamato imponendogli di smetterla perché stava rendendo stressante quella serata. Incredibilmente lui l’ascoltò e gli unici riferimenti a Bankotsu furono delle blande frecciatine nemmeno troppo provocanti.
Santa Kagome subito.
Si appuntò mentalmente di ringraziarla. Era stata davvero gentilissima con lui, quando lui non lo era stato affatto con lei la sera precedente.
Un’altra persona avrebbe potuto lasciar perdere, non curarsene, e lasciare che InuYasha lo usasse ancora come personalissimo pungiball umano. Ma non lei, non Kagome, che con una gomitata ben assestata nel fianco al fidanzato e una ben poco velata minaccia, lo aveva fatto zittire all’istante.
Rin continuava ad animare la serata, parlando a profusione come fosse nata solo per quello. Esplorava gli argomenti più disparati, instaurando dialoghi dai più disparati con chiunque.
L’unico che sembrava ascoltarla senza chiedere pietà era Sesshomaru.
Come facesse, era un mistero. Persino Jakotsu aveva chiesto alla sorella qualche minuto di silenzio minacciandola di non preparargli più alcun cocktail se l’alcol aveva quell’effetto devastante su di lei.
A fine tacchino, quando Bankotsu era davvero certo che i suoi piedi non avessero più afflusso di sangue, Jakotsu lo portò fuori con la scusa di una sigaretta.
Indossarono le giacche e si chiusero la porta alle spalle per evitare che gli altri li raggiungessero. I fischi concitatati e davvero poco eleganti che aveva emesso InuYasha appena gli avevano dato le spalle erano più che bastati. Seguiti poi da un “InuYasha!” Risentito e offeso da parte di Kagome.
Ecco, si pentiva di aver trattato male anche lei la sera precedente. Era davvero adorabile.
Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto da Jakotsu che si accendeva una sigaretta.
“Non sapevo fumassi.” Esordì Bankotsu accendendosene una a sua volta.
“Infatti no, solo quando voglio stare solo.” Spiegò sbrigativo senza nemmeno spiegarsi del tutto e lasciando Bankotsu confuso sul fatto che la sua presenza lì fuori fosse gradita o meno.
“Sai, sei più bravo di quanto pensassi.” Constatò infine gettando la sigaretta a terra dopo appena due tiri.
“Sesshomaru e le sue occhiatacce non sono difficili da sopportare, ma pensavo che con InuYasha avresti ceduto.”
Bankotsu sorrise tronfio.
“Ho passato l’esame quindi?”
Jakotsu abbassò lo sguardo sui suoi piedi e sorrise in difficoltà. Era un sorriso storto, sofferente. Anche i suoi occhi sembravano lucidi.
Non gli piaceva quell’espressione.
“Non c’è mai stato un esame da superare, Bankotsu.” Iniziò sofferente, senza nemmeno guardarlo in faccia.
A Bankotsu si strinse lo stomaco in una morsa crudele. Perché si sentiva tutto a un tratto nel panico?
“O meglio, lo hai già superato a pieni voti da più di un anno.”
“Che vuoi dire?”
Jakotsu sorrise a disagio. Le guance più rosse del normale e gli occhi puntati lontano, sulla strada. Lontano da loro.
“È un po’ che lavoro per Sango ed è un bel po’ che ti ho messo gli occhi addosso.” Un sorriso, un sospiro.
“Mi piaci, Bankotsu.” Decretò infine e qualcosa nello stomaco di Bankotsu esplose in un turbinio sfarfallante. Era una splendida sensazione sentirselo dire e comprendere che i propri sentimenti sono ricambiati.
“E tu, fino all’altra sera quando mi hai scambiato per una ragazza, non mi avevi nemmeno mai guardato veramente.” Un altro sospiro, stavolta sofferente e addolorato.
“Sei sempre andato via con qualche ragazza, non ti sei mai avvicinato veramente a nessun ragazzo e ieri sera mi hai confessato che ti piaccio… io non sapevo nemmeno se stavi dicendo sul serio.” Confessò infine. Aveva gli occhi lucidi di pianto, ma Bankotsu non osò fiatare. Finalmente il non detto che sentiva gravare su di loro si stava piano piano sciogliendo.
“E proprio quando sto per andarmene…” stavolta la sua voce vacillò e s’incrinò su sé stessa. Qualche lacrima iniziò a fuoriuscire dai suoi occhi e Bankotsu si fece più attento. Allungò una mano e ne raccolse qualcuna con le dita. Jakotsu glielo permise e poi amplificò il contatto con la sua mano strusciandovi la guancia contro.
Era stato un secondo di elettricità. Le sue dita fremevano per quel contatto. Ne volevano ancora e sempre di più. S’intrufolarono leste fra i suoi capelli ribelli e poi Bankotsu se lo trascinò addosso senza nemmeno curarsi se gli andasse bene o meno.
Si scontrarono in quello che parve più una celebrazione dei loro corpi piuttosto che un abbraccio.
Bankotsu immerse il naso fra il collo e la spalla di Jakotsu, scoprendo il suo profumo ed il calore della sua pelle.
Era buono. Gli piaceva da pazzi e non era certo di poterne fare a meno.
Le braccia di Jakotsu invece erano state più incerte. Si erano strette intorno al suo collo tremando, come se si stesse chiedendo se fosse giusto o meno compiere quel gesto.
Quando poi lo aveva stretto a sé e lo aveva sentito espirare aria dai polmoni, Bankotsu lo aveva avvinghiato ancora di più ringraziando che non lo avesse allontanato oltraggiato.
“Dove te ne vai?” Chiese poi, costringendolo a restare così, avvinghiati e avviluppati come sr volessero fondersi e divenire un unico essere.
“In Brasile a studiare per un anno.”
Freddo. Bankotsu non aveva mai fatto docce particolarmente gelate, ma poteva immaginare cosa provasse il corpo umano se sottoposto ad uno sbalzi di temperatura tanto repentino. La  sensazione provata non doveva essere tanto lontana da come si sentiva adesso.
“Per questo ho un anno di tempo?” Osò chiedere e quando Jakotsu annuì piano, gli fu tutto più chiaro dinanzi agli occhi.
Si allontanò solo di qualche centimetro, quanto bastava per guardarlo negli occhi.
Gli prese il volto fra le mani e sussurrò sicuro.
“Ti aspetterò.”



Un anno passa in fretta, dicevano.
Uno sciocco di dita e già da Gennaio ti ritrovi a Dicembre, dicevano.
Ma Bankotsu non era affatto d’accordo. Lui, quell’anno, lo aveva sentito tutto. Ogni giorno aveva gravato sulla sua schiena come un macigno deciso a schiacciarlo.
Non aveva mai desiderato così ardentemente che il tempo passasse veloce. Non avrebbe nemmeno mai pensato che si sarebbe ritrovato a sperare di invecchiare di trecentosessanta giorni più in fretta possibile.
Jakotsu era partito il ventisette dicembre e con sé aveva portato il ricordo del Natale più bislacco che avesse mai festeggiato e il suo cuore.
Bankotsu lo aveva accompagnato all’aeroporto con la morte nel petto. Aveva cercato di non darglielo a vedere, ma era stato praticamente impossibile. Nel giro di qualche minuto Jakotsu aveva già cambiato espressione e lo andava consolando con qualche parola carina o qualche gesto studiatamente dolce.
Si erano salutati al gate, fra un mare di gente che si abbracciava e si ritrovava. Una separazione in mezzo a tanti incontri.
I jingle di Natale in sottofondo erano la squallida colonna sonora che occorreva a quel momento.
Sulle labbra rimase incastrata loro la promessa di ritrovarsi fra un anno esatto. Nessuno dei due aveva avuto il coraggio di dirlo ad alta voce.
Jakotsu sarebbe andato in un paese straniero dove avrebbe potuto anche innamorarsi e perdere la testa per qualcuno, dimenticandosi che in Giappone qualcuno lo stava aspettando.
Bankotsu invece era ancora troppo incerto con i suoi dubbi/non dubbi riguardo allo stare con un ragazzo.
Un po’ di distanza avrebbe alleggerito la situazione e li avrebbe aiutati a capire e capirsi meglio entrambi.
Ma Bankotsu era rimasto sempre fermo e deciso nella sua posizione. E la lontananza non aveva fatto altro che consolidare quanto fosse radicato in lui quel sentimento. Jakotsu non era solo una cotta come aveva pensato. Jakotsu era molto di più.
Si erano sentiti spesso al telefono o su skype e quella conoscenza virtuale non aveva fatto altro che unirli di più nonostante la lontananza.
Era stata una lenta e agonizzante tortura però.
E a distanza di un anno esatto, con un ananas sottobraccio e gli stessi jingle di Natale nelle orecchie, Bankotsu aspettava trepidante l’arrivo del volo proveniente dal Brasile.
Fra milioni di persone, letteralmente un fiume umano che si muove e si modella, Bankotsu cercava di tagliare la corrente verticalmente sperando di incontrare uno chignon disordinato un po’ familiare.
Lo vide per caso, in mezzo ad un gruppetto di gente e proprio dietro una famigliola di tre persone.
Era bello. Più bello dal vivo piuttosto che riflesso in un freddo monitor.
Era anche parecchio abbronzato e i capelli erano schiariti fino ad un caldo castano chiaro. Più  delicato di quanto i pixel del pc gli avessero paventato.
Un sorriso spontaneo nacque dalle loro labbra in simultaneo appena anche gli occhi di Jakotsu incontrarono i suoi.
Si corsero incontro spintonando la gente che li apostrofava con parole che non sarebbe opportuno dire a Natale.
Quando s’incontrarono, i loro corpi furono calamitati l’uno contro l’altro. Si trovarono e si incastrarono modellandosi insieme come fossero stati creati per compiere quell’unico e singolo gesto.
Si separarono solo per qualche secondo per studiarsi meglio, guardarsi ancora finché i loro occhi non furono sazi dei nuovi dettagli che scoprivano a vicenda l’uno sul viso dell’altro.
Jakotsu indossava la sua cravatta blu con le paperelle. Bankotsu decise che quello era il momento giusto e gli porse l’ananas che aveva riposto nello zaino come regalo di bentornato.
Ad un anno di distanza erano esattamente dove si erano lasciati. Esattamente come si erano lasciati: pazzi e innamorati.

  
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