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Autore: Miryel    21/12/2019    11 recensioni
Dopo un anno dalla perdita di Tony Stark, la vita passa inesorabilmente, tentando di colmare la sua mancanza. Per Peter Parker la vita è ferma, immobile e Harley Keener vuole solo che Spider-Man esista di nuovo. Ancora una volta. Per lui.
Anche se si tratta solo di un istante.
[ Harley Keener x Peter Parker - Past Tony Stark x Peter Parker - Angst/Malinconico/Introspettivo - Post EndGame ]
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harley Keener, Harley Keener, Morgan Stark, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tales About a Spider Kid and an Iron Guy'
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[ Harley Keener X Peter Parker - Post EndGame - Past Tony x Peter -  Angst/Malinconico - word count: 3548 ]

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« Why don't you like me without make me try? »
Mika - Grace Kelly
 



Capitolo IV. Staring At The Sun
 

 

Stringe la mano ad ognuno di loro, accennando un sorriso, sebbene sia convinto che negli occhi degli altri possa vedere lo specchio dei suoi: tristi e vuoti. Increduli, anche. Steve gli dà una pacca sulla spalla, poi sparisce tra la folla. Happy gli arruffa i capelli, Morgan gli stringe una gamba, con gli occhi strizzati dal dolore. Pepper gli lascia un sorriso dolce da ammirare, come se fosse lui, quello che ha appena perso un pezzo di cuore. Gli carezza una guancia, poi se ne va, e lo lascia lì, da solo, perché Harley di fatto, conosce solo lei e conosceva Tony. Gli altri sono solo un contorno che hanno fatto parte della vita incredibile di Iron-Man ma che, come lui, hanno avuto un ruolo importante. Sospira e si volta verso le scale. Il buffet del funerale lo attende, anche se sa che non mangerà niente. Ed è lì che lo vede, isolato e assorto, seduto sul dondolo sotto la veranda, però immobile. Statico. Spento come se fosse morte anche lui. 

Si avvicina solo perché c’è una forza magnetica, che gli dice di farlo. Non sa chi sia, non lo ha mai visto prima, ma è consapevole che si tratti di lui. Di quel ragazzo di cui Tony ha parlato fino a sfinirlo, certe volte, raccontandogli troppe cose, velato da una tristezza che nemmeno un uomo così capace di celare il dolore, era in grado di ammansire. 

«Ciao.» Ha il tono spento di chi vive una giornata senza alcuno stimolo. Tony ha spento la gioia, l’allegria e tutto il resto, con la sua dipartita. Si è portato dietro l’anima di tutti. Sarà difficile riappropriarsene. Il ragazzo di fronte a lui alza lo sguardo. Ha due occhi castani schermati da un milione di paturnie e sofferenza. Non è nemmeno incredulo, come lo sono gli altri. È intrappolato nel buio. Harley può vederlo sprofondare, ogni secondo di più.

«Ciao», risponde quello, poi torna a guardarsi le mani, che si sta tartassando strappando via le pellicine. Tremano. 

«Tu devi essere Peter», gli dice, e allo sguardo interrogativo dell’altro, gli mostra la mano. «Io sono Harley Keener. Non so se Tony ti ha mai parlato di me.» 

L’altro sussulta, e Harley scopre solo qualche tempo dopo, che lo ha fatto a causa di quel nome;lo scoprirà solo più avanti, quando inizieranno a vedersi più spesso, ospiti di quella casa, che chiede tacitamente di essere riempita. 

«Sì, sono Peter.» Risponde alla stretta, con un’enfasi rubata dalla tristezza: nulla. «Sì, mi ha parlato di te», dice, laconico, ma non aggiunge altro. Torna a guardarsi le mani, e a tartassarle. Sembra quasi una punizione; sembra quasi un modo per travasare il dolore altrove, lontano dalla testa e dal cuore. Harley non sa che dire, o cosa fare. L’unico pensiero che lo attanaglia è l’idea che finalmente, dopo cinque anni, sa chi è Peter e, la delusione, è che non ha davanti chi pensava che fosse. Ovvio. Non può pretendere che, in un contesto del genere, Peter possa dimostrarsi la persona amabile, dolce, allegra e casinista di cui Tony gli ha parlato, ma… se negli altri ha visto una personalità diversa, chiusa per un giorno solo in una gabbia di dolore, in Peter non ha visto lo stesso. È un guscio vuoto, un contenitore d’aria tossica. 

È Peter, ma non è Peter. Non splende. E forse non splenderà mai più.

Tony Stark, quel bagliore immenso, lo ha portato via con lui. 

 


 

Gli occhi di Peter, sono luminosi come il sole, ora che lo guarda disteso sotto di lui; mentre gli accarezza i capelli e gli sfiora la punta del naso col proprio. Harley non riesce a distogliere lo sguardo dal suo, e l'altro gli sospira l'urgenza sulle labbra; gli chiede un bacio, che non può negargli. Gli tocca la bocca, la punge con la sua e ha un brivido lungo la schiena. No, non riesce a distogliere lo sguardo nemmeno quando Peter gli stringe una mano intorno alla maglietta e se lo spinge contro. Nemmeno quando alza di poco il bacino, per dirgli cose che a voce non gli chiederebbe mai. Tipo che ha il permesso di andare oltre, di dedicarsi a lui in modo totale; di prendersi quello che vuole, siccome ha lo stesso desiderio. Peter annuisce, quando la mano di Harley si insinua sotto la sua maglietta e gli prende un fianco tra le dita e lo sente inarcarsi sotto di lui. Gli chiede un altro bacio e Harley obbedisce come se non potesse fare altrimenti. Effettivamente, non vuole altro che quello.

Gli sfila via la maglia e quando se ne sbarazza, torna a baciarlo con una irruenza incontrollata. Peter lo imita e gli toglie la sua, gettandola lontano, chissà dove; un problema di dopo. Rimanderanno tutto a dopo, ora c'è altro a cui pensare. Primo fra tutti, trattenere sospiri indecenti e dimenticare tutto il resto. Harley si appropria del suo collo, lo morde e Peter puntella i gomiti sul materasso, alzando leggermente la schiena per permetterglielo; gli sta dando modo di fare tutto ciò che vuole, ora che è libero da quell'ombra oscura che lo avvolgeva, e che è riuscito a lasciar andare, anche se si tratta di un momento solo, probabilmente. Harley ha paura che non durerà per sempre, che domani saranno di nuovo punto e a capo. Che domani Tony Stark tornerà a minare quella quiete – che così quiete non è – e li dividerà ancora, e ancora, e ancora...

Gli slaccia i pantaloni; Peter sospira frustrato, per questo Harley glieli sfila via con un solo gesto e, poco dopo, fa lo stesso con i suoi. Hanno addosso boxer e pelle; ogni volta che la sua incontra quella di Peter, Harley trattiene il respiro. Scende il silenzio, rotto solo dal loro respiro fuso. Si guardano, si catturano i visi tra le mani, e si chiedono tacitamente se proseguire è la scelta giusta.

Gli occhi di Peter sono ancora luminosi come il sole. Questo significa che è giusta. Lo è sempre stata.

Si scambiano piccoli, leggeri baci sulle labbra che sembrano tanto puri quanto carichi di bollori adolescenziali, che entrambi sanno di non provare da troppo. Hanno bruciato le tappe molto tempo fa, chi in un modo e chi in un altro. Hanno avuto vite troppo distaccate, troppo lontane da quelle dei ragazzi come loro, spensierati e liberi da tumulti logoranti e angosciosi, come il continuo senso di abbandono che tutti e due hanno provato e che, inesorabilmente, non riescono a scrollarsi di dosso, pur volendo.

L'unico modo è andare avanti comunque, anche se a volte non si ha la forza di farlo. Quel giorno però è diverso e quel giorno fa da manifesto a quella forza d'animo che non sempre è presente. Harley allora lo fa stendere sotto di lui e lo sovrasta. Peter apre le gambe e lo accoglie gemendo nel suo orecchio, quando si china per baciargli il collo e annaspare il suo profumo di cocco e vaniglia. Un mix pungente e dolcissimo, di cui Harley è succube ormai da mesi. Esplora l'incavo della sua spalla con la punta del naso, poi scende e gli lascia baci umidi sul petto e traccia una linea immaginaria con la lingua, di tanto in tanto. Incontra l'elastico dei suoi boxer e lo tira con i denti. Si ferma.

Peter gli stringe le dita intorno ai capelli, in un riflesso incondizionato, e Harley alza la testa per guardarlo, perché quel tocco è deciso, ma non ha alcun motivo di fargli male; o di fermarlo. No. Né il corpo né gli occhi di Peter vogliono questo. Questi ultimi sono umidi e pregni di urgenza, di desiderio e hanno valicato quel punto di non ritorno dove c'è quella minuscola possibilità che possa decidere di fermare tutto e porre già fine a quell'intento.

Allora Harley non si ferma e si delizia di quei mugugni di piacere, strozzati da una mano che Peter non smette di mordersi, per smorzare rumori indecenti e gradevoli, graffianti. Caldi. Qualcosa che Harley ascolterebbe per ore, come una canzone che dà assuefazione e la si vorrebbe ascoltare all'infinito.

Poi si ritrovano ad essere una cosa sola. Movimenti che ondeggiano in sincrono, che chiedono di più e lo chiedono con una disperata necessità. Gli bacerebbe le labbra fino a morire, se potesse e Peter splende, quando inarca la schiena sotto di lui, e lo stringe in una morsa che è tanto inaspettata, da spaccargli il cuore.
 



Harley guarda il soffitto. Peter ha gli occhi chiusi e la testa appoggiata alla sua. Le coperte aggrovigliate intorno alle gambe sono solo un cumulo di stoffa, testimone di quella notte che sta trascorrendo in silenzio, dopo troppi gemiti strozzati in baci bagnati. Alza una mano per carezzargli i capelli. Peter si stringe di più contro di lui, come un gatto che approva delle coccole e non vuole darlo a vedere, ma che il linguaggio del suo corpo tradisce. Lo sorprende alzando di poco la testa e lasciandogli un bacio sotto al mento. Altri brividi, e vorrebbe tornare sotto quel cumulo di coperte e diventare un tutt'uno.

«A che pensi?», gli chiede Peter, con un sussurro. La voce rauca di chi ha taciuto per troppo.

«A tante cose. Tu?»

«A tante cose.» Harley si gira a guardarlo. Sta sorridendo, anche se il suo viso è velato di una leggera malinconia che – è inevitabile, non lo abbandonerà molto presto. Non importa, Harley è paziente, anche se non credeva potesse esserlo tanto. Ha aspettato mesi prima di tirargli fuori qualcosa e ora sono lì, in un letto minuscolo, fatto per una persona sola, a condividere battiti del cuore e respiri spezzati, dopo aver fatto l'amore e aver fuso gli sguardi per ore. Quelli da cui Peter era più propenso a fuggire, fino a qualche ora fa. Ora gli affonda le iridi castane nelle sue – celesti, così differenti da quelle dell'altro – e sembra quasi non voglia tornare più a galla. Ha trovato l'appiglio che Harley ha tentato di mostrargli troppe volte; per cui Peter si è finto cieco per colpa di quell'incessante, terribile, angoscioso pensiero di non poter più amare nessun altro, dopo Tony. Harley sa che non lo eguaglierà mai, ma... questo non significa che non sia importante lo stesso. Non è una riserva, una ruota di scorta. È il dopo. Un dopo che, con un po' di fortuna, riuscirà a salvare Peter e lasciare che torni ad essere ciò che deve. Piano piano, ma sa che accadrà.

«Come ti senti?», gli chiede, e Peter non risponde. Non subito. Alza un braccio e lo appoggia sulla fronte. Fissa il soffitto e anche Harley torna a farlo. Lo lascia pensare; non pretende che gli risponda subito, non alle domande alla quale ha sempre risposto in modo positivo, ma solo per non sforzarsi di tirare fuori la verità e ammettere troppe cose. Ora sta soppesando quelle parole, e sta cercando quelle giuste per ribattere. Anche se ci vorrà un'eternità, a ricevere la risposta che cerca, Harley sa che dopotutto sarà per una volta sincera e ne varrà la pena.

«Libero da una catena», ammette Peter, e sono passati minuti interi. «Non sto bene, ma nemmeno male e non sono pentito. Tu mi piaci, Harley. Inutile nasconderlo, no?», dice, ma la sua voce è atona.

«Ma questo non significa che tu debba necessariamente sentirti pronto per ricominciare con qualcun altro. Non subito, almeno.» Fa un male cane dirgli una cosa del genere e dargli la libertà di scelta, ma è quello che vuole ed è quello che è giusto. Non esiste che gli imponga di stare con lui e condividere insieme il loro tempo per forza, anche se è quello che vorrebbe. «Però sapere che è reciproco è un bel passo avanti, lo ammetto.»

«Sì, lo è. Ho tentato così tanto di sopperire tutto questo, solo perché non lo trovavo giusto nei suoi confronti. Come se lui potesse avercela con me, ovunque sia, per averlo messo da parte...» Imperterrito, non riesce ancora a chiamarlo per nome, malgrado si senta libero da un peso e dalla prigionia di quella personalità forte che era Tony Stark. Ma Iron-Man non era solo questo; era qualcuno che ha dato a Peter tanti di quei motivi per cui credere ancora in se stesso, che alla fine se li è portati con lui nella tomba, per sempre. Ma Peter è vivo, continua ad andare avanti, a provare sentimenti, a respirare aria e a vedere come le cose evolvono e mutano senza che lui possa farci niente. Può solo lasciarsi trascinare, buttare giù il groppone e proseguire, anche senza Tony accanto perché, peggio di morire, c'è vivere senza essere vivi. Quello è peggio di qualunque altra cosa.

«Come ti ho detto, non lo stai dimenticando. E nemmeno tradendo. È difficile, Peter. Lo so... ma stai andando avanti e, a mio parere, è il regalo più bello che tu possa fargli. Lo so che, detto da uno che prova qualcosa per te sembra quasi un tentativo di convincerti per un motivo egoistico, ma lo penso davvero. Penso che lui non ti voglia vedere statico, in un punto, come se non ci fosse altro; come se il passato fosse l'unica vita che hai davvero vissuto.»

«Non penso che il tuo sia un pensiero egoistico. Tu pensi che io non abbia visto quello che hai cercato di fare per me, in tutto questo tempo? La verità è che lo so meglio di chiunque altro», dice Peter e cerca i suoi occhi, di nuovo. Harley glieli lascia ammirare, girandosi verso di lui. Gli guarda le labbra e le vorrebbe baciare ancora, se solo non stessero parlando di altro... di qualcun altro. «Non sarei qui, altrimenti», gli risponde ancora, come se avesse letto nel suo sguardo quella domanda che avrebbe voluto fargli.

Harley sorride. Si lascia scappare uno sbuffo divertito e gli cattura la bocca nella sua. Peter muove i piedi e non sembra nemmeno accorgersene. Si mettono su un fianco e si baciano ancora e ancora e ancora... c'è odore di libertà e di malinconia ma, invece di schiacciare il resto, quest'ultima si tiene in piedi perfettamente in equilibrio col resto dei sentimenti. Il cuore di Harley batte forte, e ha la sensazione che possa scoppiargli da un momento all'altro. Peter lo sovrasta. Gli sale a cavalcioni e piega la schiena per ammirarlo negli occhi. Si perdono ancora, e scappa a entrambi un sorriso e, quel velo nero, si sfibra via dal soffitto e evapora, si dissolve. Ogni tanto tornerà, Harley lo sa, ma ora come ora, vuole solo perdersi a contemplare quel sole che gli splende addosso, e che gli chiede di guardarlo sorgere.
 



Harley stringe le dita intorno alla tazza sbeccata, inebriato per un attimo dal calore che il contenuto sprigiona contro la ceramica. Porta sopra il logo della Stark Industries. Sbuffa una risata, mentre la guarda, poi alza gli occhi verso il cielo e ammira le stelle nascoste dietro ad un velo di nebbia, che sembrano tante, piccole luci di Natale, che in qualche modo, portano calore. Quello che, per un attimo, ha temuto di non sentire mai più nel petto. Sorride leggermente.

È seduto sui gradini di legno, quelli che portano alla porta d'ingresso della cucina. Quelli che, di solito, ospitano Morgan e Peter, nei loro giochi spensierati. Quei pochi momenti in cui Peter è, ineccepibilmente, se stesso. Quello che, a quanto pare, ha rubato il suo cuore e se lo sta tenendo gelosamente tra le dita.

"Fai pure, tienitelo per te!", vorrebbe dirgli, ma non serve. Non più.

Inclina la testa e guarda una timida luna che fa capolino tra uno squarcio di nuvole. Si perde a contemplarla, poi sussulta. La porta della veranda si è appena chiusa e, quando gira leggermente lo sguardo, Peter lo sta raggiungendo. Ha anche lui una tazza di tè caldo tra le mani. Sorride e gli si siede accanto. Si guardano e non parlano. Non ce n'è bisogno. Non più. Non sempre. C'è altro che parla per loro; gli sguardi che non sfuggono più, per esempio.

«È un sorriso quello?», gli chiede Harley e Peter sbuffa divertito, e guarda per un attimo altrove.

«Sì. Credo di sì.»

«È il primo che ti vedo fare dal vivo, in carne ed ossa. Gli altri erano tutti in quelle foto che Tony non faceva altro che incorniciare e mettere ovunque», ammette, e ha quella confidenza in gola da mesi; forse da quando lo conosce. Ha pronunciato quel nome. Peter ha tirato un sospiro profondo e lungo, ma i suoi occhi non hanno smesso di brillare, stavolta.

«Lo facevo di certo più spesso, una volta. Questo non significa però che non debba succedere più. Ci sono cose che pesano, Harley. Però poi ci si abitua a portarli, certi fardelli, ad un certo punto. È già successo, e succederà di nuovo», dice Peter, e si morde il labbro inferiore. Accorcia le distanze e reclama un bacio a fior di labbra, che Harley non riesce a non concedergli; lo vuole anche lui. Gli passa una mano tra i capelli e sorride, perdendosi ancora nei suoi occhi castani.

«Inquieto giace il capo che porta la Corona», risponde, e Peter sussulta.

«Quella frase Tony me la ripeteva in continuazione.»

«Anche a me», confessa Harley e, anche se vorrebbe, non dice nulla del fatto che Peter abbia infine trovato il coraggio di dire quel nome. «Una di quelle frasi che lo facevano sentire terribilmente intellettuale, immagino!»

Peter ridacchia. Lo fa con una malinconica spensieratezza, ma lo fa. È un sollievo immenso, gigantesco, che spacca catene e libera porte. Che distrugge muri, li sfascia e lascia spazio, infine, alla possibilità di condividere insieme qualcosa che è stato e che non tornerà più. Qualcosa che è impossibile dimenticare, anche se a volte entrambi vorrebbero, ma per motivi troppo diversi.

Si zittiscono e si guardano. Ci sono troppe cose che Harley vorrebbe dirgli ma che non può ancora lasciar andare via. Hanno fatto un passo avanti, forse due, anche tre, ma non è il momento perché Peter, dopotutto, non è ancora tornato totalmente da quella battaglia; parte di lui è ancora lì, inginocchiata a guardare Tony Stark morire e a tirargli via una parte di cuore che comunque – Harley lo sa – gli apparteneva. Gli appartiene ancora. Gli apparterrà sempre.

Dovrà convivere con quel fardello, se vuole stare con lui. Sa che pian piano le cose miglioreranno, e questa è la parte più difficile, ma Harley non vuole fallire e, soprattutto, non vuole essere l'ennesima persona a cui Peter si lega e che poi, inesorabilmente, lo lascia solo in quel maledetto mondo senza pietà alcuna, per quel cuore incantevole.

«Che altro ti diceva?», chiede Peter, incuriosito e Harley gli stringe la mano, con estrema delicatezza, solo perché ha una fottuta paura di romperlo.

Fa una pausa, poi torna a sorridere e, esitando un secondo, infine dice, «Siamo connessi».

«E lo eravate?» Peter non sembra geloso, mentre lo chiede, anche se Harley ha paura di sì. Hanno fatto l'amore, un'ora fa, e sembra impensabile che possa esserlo ma, dopotutto, quella non è una situazione ordinaria. Loro non sono due semplici adolescenti che ardono di passione e basta. Sono due ragazzi già adulti, che gridano con tutto il cuore di poter vivere, anche solo per un attimo, la spensieratezza di cui sono stati privati.

Harley non risponde subito. La risposta che vorrebbe dargli è molto più complessa di quel che poi riesce a dire. Vorrebbe dirgli che lo erano, ma non nello stesso modo con cui lo sono stati Peter e Tony. Vorrebbe dirgli che tutti, in un modo o nell'altro, sono stati connessi con quell’uomo. Perché lui ha voluto che fosse così e lo ha permesso a quelle poche persone di cui si fidava. Vorrebbe dirgli che quella connessione non ha nulla più che un significato allegorico, forse qualcosa di paterno, nella mente contorta e incredibilmente complesso che è stata parte di Tony Stark. Vorrebbe dirgli tutto questo, ma non lo fa. Allora gli stringe di più la mano, e spinge le labbra contro le sue; gli ruba un bacio e poi un altro.

«Molto più ora di quanto lo fossimo prima», ammette e spera che Peter abbia capito che, dopotutto, è lui la connessione tra Harley e Tony. Forse lo è sempre stato, se esiste davvero un destino già scritto.

Ha capito, perché sta sorridendo. Ha abbassato lo sguardo, e le guance gli si sono tinte di rosso. Non per il freddo, ma per qualcosa che non può nascondere nemmeno lui. Harley gli alza il mento con l'ausilio di due dita, e cedono ad un altro bacio che ha un sapore diverso, ora come ora. Quando si dividono si guardano negli occhi e si perdono in sguardi sicuri, poi alzano la testa e guardano le stelle. Il vento ha soffiato via le nuvole, rivelando un manto blu che ora fa loro da coperta. Le mani ancora strette l'una nell'altra e in quella notte inaspettata che hanno appena vissuto, c'è racchiusa la promessa che, da qui al domani, niente sarà più come prima. Non più.

Sono connessi e niente al mondo potrà cambiare quel fatto.


Fine



 



 

Angolo angoloso di Miryel:

Ebbene sì.... ebbene sì, ho concluso questa storia e, malgrado io abbia cambiato qualcosa in corso d'opera, è esattamente come volevo che finisse; Il titolo non era casuale. Fino alla fine ero convinta che Tony fosse la connessione tra i due, invece mentre scrivevo ho consapevolizzato che, dopotutto, è Peter il legame. È Peter che è sparito e, nel mio headcanon, è diventato materiale di discussione tra Harley e Tony.

Questa coppia mi piace davvero moltissimo, e sono certa che presto tornerò a scrivere su di loro, magari qualcosa di più allegro e meno canonico. Magari qualcosa che mi aiuti anche a studiare meglio l'introspezione di Harley che ho dovuto costruire sulla base di lui bambino, che è l'unica fonte che ho. Spero che la mia visione personale di lui vi abbia convinti e che, se ne scriverò ancora in futuro, lo riconoscerete (e questo starà ovviamente a me, ma mi impegnerò, giuro).

Sperando che la storia vi sia piaciuta e che abbiate visto in loro quel potenziale che ho visto io, quando ho iniziato inconsapevolmente a shipparli. Grazie a tutti coloro che mi hanno supportato, sopportato, letto e commentato. È solo grazie a voi se ho avuto il coraggio di continuarla e, infine, concluderla.

Alla prossima avventura insieme, grazie mille di tutto, ringrazio Mika per aver accompagnato con le sue canzoni, questa storia 🖤

A presto,

Miry

   
 
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