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Autore: meiousetsuna    22/12/2019    1 recensioni
Grazie al bellissimo contest: “Pianeti tra le stelle” indetto da Marika Ciarrocchi /AngelCruelty, torno dopo cinque anni a parlare della mia OTP suprema. La storia è dedicata a tutti coloro che non hanno smesso di parteggiare per Damon e Bonnie. Malgrado i libri delle ghost writer, malgrado la fine del telefilm!
Lettore, regalami dieci minuti, fermati. C'è antico Amore, qui.
dal testo: Damon fece dondolare la bottiglia di Black Magic come un ubriaco, ma non lo era. Quando non si nutriva per troppo tempo il vino della Dimensione Oscura era l’unico sapore che un vampiro gradisse, l’unico nutrimento possibile. Il gusto del ricco fluido vitale di Elena, che ricordava fin troppo bene, si presentò alla memoria costringendolo a lasciar affiorare i canini, seppure non per tutta la loro lunghezza. Anche la bambolina rossa doveva essere appetitosa, pensò. Abbandonata in quella posa era davvero simile a un balocco, una creatura col corpo di porcellana, l’abitino lilla così ridicolo e capelli veri talmente folti da portare il peso della testolina in avanti. Forse avrebbe giocato con lei fino a ridurla a un mucchietto di stracci, forse l’avrebbe conservata per sempre in una teca di cristallo
love, Setsuna
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bonnie McCullough, Damon Salvatore | Coppie: Bonnie McCullough/Damon Salvatore
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Storia partecipante al contest “Pianeti tra le stelle” indetto da Marika Ciarrocchi /AngelCruelty sul forum di EFP
Damon/Bonnie
Pacchetto Saturno: Luogo: Soffitta ― Situazione: Malattia ― Oggetto: Bambola

Farewell to my sweet obsession


Il tempo sarebbe passato. Prima o poi. Era la sua natura inarrestabile e, malgrado fosse una creatura delle tenebre da cinquecento anni, Damon non l’aveva dimenticato. Quando era solo con se stesso ― davvero solo, senza quel pallido fantasma che era il ricordo di sua madre o il bruciante tormento dell’odio che era naturale provasse per il suo maledetto fratellino ― il vampiro riconosceva di avvertire ancora qualche sensazione umana. Il trascorrere degli anni non gli faceva alcuna paura, non poteva morire; lo annoiava, lo faceva impazzire, lo esaltava quando si paragonava a quegli inetti uomini e donne che ricorrevano i loro sogni fugaci e inutili. E anche se non era affatto immune dal comprendere i desideri degli altri questi non lo scalfivano. Il suo cuore morto era perfettamente protetto da quello scudo nero che erano l’odio, i suoi abiti del colore di un perenne lutto, la corazza di metallo della Ferrari. Se qualcuno avesse osato insultarlo dicendogli che ne aveva bisogno avrebbe spezzato la sua vita come quella di un insetto fastidioso, bevendola fino a saziarsi o solo uccidendolo con le sue mani.
Un lampo tagliò il cielo notturno a metà, unica luce in una notte scura come l’animo del ragazzo che ammirava il risultato della sua rabbia e frustrazione scatenarsi nella forma di una tempesta violenta sulla città. Avrebbero dovuto tremare vedendola, perché era solo l’annuncio di quello che sarebbe seguito. Un altro bagliore lontano illuminò di un riflesso fugace la finestra alla quale Damon si era appoggiato mollemente con una spalla. Il mondo fuori da quelle quattro mura non gli interessava, poteva affogare o tramutarsi in cenere; tutto quello che gli premeva era chiuso nella soffitta della casa, semplice e dalla prevedibile facciata bianca, che era il suo rifugio da tre giorni.
Un ricordo lontano si fece spazio nella sua mente; capelli d’oro e occhi di turchese, la voce soave di Katherine che strideva in fondo con una nota sbagliata, un bicchiere di cristallo suonato senza dolcezza. Un'altra visione, gemella della precedente, la seguì, essendone inseparabile. Ma quella ferita era ancora fresca, e sarebbero occorsi secoli per sanarla, più di quanto la breve vita mortale della causa del suo male sarebbe durata. Non doveva andare necessariamente così, poteva ripensarci, tradire la parola data ― non era più un gentiluomo, almeno nel comune senso del termine, era solo un mostro avido e orgoglioso, violento e crudele ― ma una parte di lui provava rifiuto di fronte a quella possibilità.
Elena, che lo aspettava a casa di Bonnie per non destare sospetti nella zia Jenna, gli aveva inferto un colpo basso con quella sua aria leggiadra e angelica, aveva osato illuderlo per poi voltargli le spalle quando Stefan era tornato al sicuro tra le sue braccia. La memoria si aprì uno spiraglio squarciando l’aurea nera che avvolgeva Damon nelle sue spire.
“Sei piuttosto maleducata, dovresti aspettare di essere invitata, è ingiusto approfittarsi del vantaggio!” Damon era in piedi di fronte all’ingresso, l’aveva sentita arrivare e aveva indossato la sua migliore maschera di divertito cinismo.
“Ti sei già annoiata con Santo Stefan, vedo! Cerchi qualcosa di più interessante?” In un istante l’aveva presa per le braccia in una morsa e approfittando della sua perdita di equilibrio la manteneva con la testa sospesa, mentre con i canini appena sporgenti seguiva il ricamo delle vene sulla gola, inebriato dalle pulsazioni e dal profumo di sangue che poteva già avvertire nettamente.

“No! Lasciami, non dobbiamo! Sono qui perché mi fido di te, come puoi comportarti sempre così?”
“E di te stessa ti fidi, angelo?” Damon sogghignava mentre continuava a sostenerla per un braccio e dietro la testa, attorcigliando i suoi capelli lisci intorno alle dita affusolate. “Non mentirmi, so che mi vuoi”.
Sarebbe stato così facile, così giusto. La ragazza l’aveva seguito senza battere ciglio nella soffitta buia e silenziosa, un posto dove nessuno andava mai. Soprattutto la giovane padrona di casa, terrorizzata anche dalla sua stessa ombra. Damon si trovò ad arricciare le labbra sensuali in un sorriso. Non gli dava fastidio, era così indifesa, un piccolo pettirosso spaurito. Che stava pagando per colpe non sue.
Elena non trovò di meglio che rilassarsi nella stretta del vampiro, aspettando di sentire il breve dolore dell’incisione nella sua pelle sottile, ma con un terribile sforzo che lo fece tremare completamente, lui si fermò.
“Non sei una mia vittima – la voce era gutturale, piena di violenza repressa – devi scegliermi al di sopra di mio fratello, cosa ci trovi in quel marmocchio che io non posso darti?”
“Mi ama davvero, pensa sempre prima a me. Io gli appartengo, non posso dividere quello che è suo”. La bionda aveva risposto senza un attimo di esitazione .
“In questi mesi mi eri sembrata più che disposta”.

Damon abbassò lo sguardo di ghiaietto fino a fissarlo su un punto preciso. La vecchia sedia a dondolo dove sedeva Bonnie, le ginocchia tirate su a coprire il viso, le lacrime silenziose che per l’udito predatorio del vampiro producevano il rumore di tante stille d’acqua che si versano sulle foglie durante una pioggia di primavera. Non si era mossa da dove l’aveva lasciata se non pochi minuti per usare il bagno e prendere qualche biscotto col suo permesso, poi era tornata nel suo angolo. Quello che aveva accettato di occupare al posto di Elena, quando era intervenuta percependo il pericolo con le sue capacità magiche. Damon fece dondolare la bottiglia di Black Magic come un ubriaco, ma non lo era. Quando non si nutriva per troppo tempo il vino della Dimensione Oscura era l’unico sapore che un vampiro gradisse, l’unico nutrimento che per un breve intervallo fungeva da palliativo al sangue umano. Il gusto del ricco fluido vitale di Elena, che ricordava fin troppo bene, si presentò alla memoria costringendolo a lasciar affiorare i canini, seppure non per tutta la loro lunghezza. Anche la bambolina rossa doveva essere appetitosa, pensò. Abbandonata in quella posa era davvero simile a un balocco, una creatura col corpo di porcellana, l’abitino lilla così ridicolo e capelli veri talmente folti da portare il peso della testolina in avanti. Forse avrebbe giocato con lei fino a ridurla a un mucchietto di stracci, forse l’avrebbe conservata per sempre in una teca di cristallo come la fanciulla morta di una popolare fiaba. Era incredibile che la sua amica e quello smidollato di Stefan non stessero tentando di liberarla, non temevano di veder volare il suo cadavere giù dalla finestra, le braccia e le gambe spezzate e contorte in una posa innaturale? No, perché una bambola non soffre davvero. Ha lacrime di glicerina e un cuore di stoppa, occhi di vetro e un sorriso dipinto. Una mano dalle dita sottili del vampiro si posò sull’orlo della sedia, facendola oscillare appena, per guardare divertito i boccoli color delle fiamme danzare al ritmo che stava imponendo loro. Per un po’ sarebbe stata un bel diversivo. Anche il colorito della ragazzina era cereo, ormai mancava poco alla sua trasformazione in una bellissima cosa. In parte il pallore era paura, non c’era dubbio, ma anche il freddo della soffitta in pieno inverno aveva contribuito e il poco cibo aveva sferrato il colpo finale. Damon aveva guardato morire tante persone, tante donne, tante… no, non aveva mai fatto male a un bambino, neppure nei suoi momenti peggiori, in guerra, o quando si vendicava di un gruppo di cacciatori di creature sovrannaturali. Ma per operare quella mutazione nella sua bambola che non avrebbe potuto abbandonarlo, tradirlo e farsi beffe di lui, Bonnie doveva passare dalla morte. Sarebbe stato un peso per la sua anima ammorbata e sporca? Si sarebbe sentito disgustato di se stesso?
“Damon”. Un filo di voce sottile, registrata per ripetere frasi stupide e prevedibili; una bambola parlante, almeno per il momento.
“Non ti devi preoccupare di Elena e Stefan, so cosa stai pensando. Non infuriarti, non verranno qui a lottare con te, puoi smettere, per favore? Ho paura del temporale”.
Il bruno si abbassò col movimento felino di una splendida pantera nera, portando il viso dai lineamenti perfetti all’altezza di quello a cuore della sua ospite.
“Hai una bassa opinione di loro, e questo depone a favore della tua intelligenza. Non l’avrei detto”. Il tono era provocatorio e suadente, Damon Salvatore nella sua versione seduttiva, quella che gli veniva più naturale.
“No, Damon, io… ho pregato Elena di non intervenire, perché non è necessario. Tu non mi ucciderai”.
Il vampiro rimase senza fiato, mentre poteva sentire il brivido di terrore che attraversava quella che all’improvviso una bambola non era più. Bonnie aveva schiuso gli occhioni castani arrossati dal pianto cercando i suoi, come per leggervi un messaggio che solo lei sapeva qual era. Alla percezione amplificata della creatura notturna fu subito chiaro che era anche spossata dalla febbre alta; la pelle bianchissima ardeva, ma le piccole mani della strega erano pezzi di ghiaccio. Non aveva emesso un lamento, eppure era una bimba nelle mani di un incubo, la sua vita non valeva nulla, nulla.
“Perché credi di no, streghetta? Pensi che avrò pietà di te, che non ti userò per vendicarmi?”
“Non ti farebbe sentire meglio, credo” la vocina di Bonnie era un sussurro intimorito “sai che non saresti felice, perché lei ti odierebbe e anche tuo fratello, e io ho capito che non vuoi. Avresti avuto mille occasioni, sei molto più forte di lui. Invece l’hai salvato”.
Bonnie si strinse abbracciandosi con il residuo delle sue forze, pronta a uno scatto d’ira spaventoso, la testa che le girava per la temperatura e la debolezza. Damon la fissava in silenzio, seguendo un suo pensiero che restava schermato, la giovane non era in condizione di tentare una connessione mentale.
Elena era la donna che non si era sottomessa ai suoi capricci; erano una sfida l’uno per l’altra. Un’ossessione, la rivalsa su Stefan, la prova del suo valore, la conquista di un trofeo perfetto, la gemma da aggiungere alla sua collezione di donne. La differenza tra lui e il suo infantile fratellino era che lui sarebbe sopravvissuto, mentre egli sarebbe morto senza la sua amata Elena a tenergli la mano nei momenti di disperazione. Erano quasi fusi insieme, mentre Damon era il suo lato oscuro, una sfida, una tentazione. Una nobile rinuncia, d’altra parte, era fuori questione.
“Sembri così sicura di quello che dici, uccellino arruffato. Sei debole, non c’è gusto così. Vieni qui”. In un attimo Damon aveva attinto un sorso dalla bottiglia di Black Magic, preso il viso di Bonnie tra le mani e senza darle modo di reagire l’aveva baciata, lasciando scendere il vino nella sua bocca. La sua bambola si stava animando, la pelle si era subito intiepidita e Damon avrebbe detto che aveva ricambiato il bacio, ma questo era uno scherzo dell’immaginazione, non poteva volerlo.
“Non sei una ragazza fortunata? Ci sono donne che ucciderebbero per essere in una stanza a bere vino così. Ma forse ti lascerò andare, sei troppo malata, non c’è merito nel sovrastare un avversario come te. Vai adesso, prima che cambi idea”.
Bonnie lo guardò con un’audacia inimmaginabile, forse ubriaca con un solo sorso di quel liquido magico, forse in un disperato tentativo di ottenere qualcosa. Improvvisamente sembrò a Damon che avesse sempre voluto essere lì, non come una bambola in soffitta, ma come una persona che desiderava una specie di intimità con lui. Tremando appena, la ragazza stese un braccio, posandolo sul petto del vampiro, all’altezza del cuore.
“Anche tu sei malato. Qui”. Per dei lunghissimi secondi si osservarono fissamente, ognuno incapace di distogliere gli occhi; calcolata freddezza nelle iridi nere, timidezza e timore in quelle brune, eppure furono queste a vincere, accendendo una scintilla in quel cielo di mezzanotte.
“Che fai ancora qui, Pettirosso? Non riesci a riconoscere una via di fuga quando ne vedi una… le bambine che non vogliono incontrare il lupo cattivo scappano quando ne hanno l’occasione, non dire che non ti ho offerto una possibilità”. Il sorriso di Damon si era contratto in una linea dura, e così lo sguardo, diventato di un’oscurità indecifrabile.
“Non scappo, Damon, non finché non starai meglio. Come possiamo chiederti di essere migliore se ti trattiamo come un mostro? Noi… io ti devo delle scuse… a volte non mi soffermo a ragionare e prendo per vero quello che vedo, e tu… cerchi così tanto di sembrare cinico e senza cuore che è quasi impossibile capire che stai fingendo...”
“Chi ti dice che io finga, stupida umana, i tuoi fantastici poteri di medium?” Ondate di potere scuro fluivano violentemente dal vampiro mentre cercava di mantenere sotto controllo il suo livello di collera. Dannazione. Doveva convincerla a togliersi di mezzo da sola. “Non hai la minima possibilità di indagare nella mia mente, se non sono io a volerlo”.
“Lo so” Bonnie sentì una strana calma pervaderla, e crescere al di sopra della sua debolezza “senza usare la veggenza. Ti ho solo osservato con attenzione. Perché mi importa.”
“Cos’è che non riesci a capire? Di stare zitta, o di riservare le tue farneticazioni per qualcuno interessato ad ascoltarti? Ora va via prima di doverti pentire”. La voce del vampiro aveva qualcosa di animale, ma Bonnie era andata oltre le sue paure. Posando delicatamente le dita sugli zigomi sporgenti ricambiò il bacio, ma non era come il precedente. Non era un’affermazione di volontà, Damon lo percepiva perfettamente. Era la speranza che lo facesse felice, dolcezza, amore? Qualcosa che lo stava turbando, che non poteva controllare. Con un movimento fluido la sollevò in braccio, sorridendo del suo peso quasi inesistente. ‘A quanto pare mi piace giocare con le bambole, se sono mie. Se mi fanno sentire bene. Ma questo non posso dirlo’.
“Ti porto in camera tua, Bonnie, hai bisogno di cure”. ‘Mi dispiace’, si materializzò per un istante nella mente di Damon. Al diavolo, se era abbastanza brava come strega l’avrebbe capito, altrimenti era un suo problema.
“Grazie, Damon. Ti sei sempre preso cura di me”.
Il vampiro scese la scala della soffitta in silenzio, le labbra tra i capelli rossi, i pensieri ammorbiditi, la braccia strette intorno alla sua ragazza viva, calda e reale.

Note: Pensando a Saturno/Chronos ho aggiunto il concetto di tempo come rilevante nella fiction
Ho immaginato Bonnie con un vestito con lo stile di Hotaru Tomoe (Sailor Saturn, come da bando)

   

  
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