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Autore: Flos Ignis    23/12/2019    3 recensioni
Soulmate!AU.
Al compimento dei diciotto anni d'età, da qualche parte sul corpo appare il nome della propria anima gemella.
Non succede a tutti: è un caso molto raro di cui ancora non si conoscono le cause o i criteri per cui solo alcuni ricevono questa conoscenza, ma per quanto raro... esistono.
Sherlock e John hanno ricevuto i loro nomi, ma come avverrà il loro incontro in un mondo in cui il destino decide chi è la tua anima gemella?
Questo contest partecipa al contest "Il mio Babbo Natale segreto", indetto da Claire roxy sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Sette ore e quarantasette minuti dopo, Sherlock Holmes era ormai stato tagliato e ricucito, mandato in reparto perchè smaltisse il resto dell'anestesia e... sì, John aveva pensato sul serio di legarlo al letto, perchè avevano molte cose da dirsi e tante altre da scoprire con il tempo e non voleva rischiare che se ne andasse, ma quel gesto avrebbe scatenato le infinite domande dei colleghi... no, non valeva la pena rischiare. Non se ne sarebbe andato come aveva minacciato di fare appena si fosse svegliato, giusto?

Certo, la sua anima gemella gli era sembrata abbastanza spericolata da andarsene tranquillamente con i punti appena messi e mezzo litro di sangue ancora da ripristinare, ma non avrebbe potuto con così tanti medici in circolazione, giusto?

Aveva fatto fatica a concentrarsi per il resto del suo turno con il costante pensiero del suo compagno predestinato - Sherlock. Si chiamava Sherlock...

Due ore più tardi Sara gli disse di andarsene fuori dai piedi, perchè per come era deconcentrato in quel momento avrebbe potuto scambiare una sacca di fisiologica con una di antibiotico.

A sua discolpa, aveva appena fatto una scoperta che gli avrebbe cambiato la vita, che diamine, ma decise di darle retta e rendersi reperibile solo per le emergenze.

Fece avanti e indietro nel suo ufficio per svariati minuti prima di sospirare e rendere produttivo quel tempo in attesa del suo risveglio, prendendo in mano i fascicoli dei suoi vecchi pazienti e aggiornandoli con gli appunti successivi, un lavoro lungo e noioso che non aveva mai la pazienza o la voglia di fare, ma tutto era meglio che rimanere senza far nulla a fissare il vuoto.

Riuscì a resistere non più di due ore, comunque, prima di mandare al diavolo la sua etica professionale.

La sua leggendaria concentrazione era andata a quel paese ormai, perciò tanto valeva andare alla stanza duecentoventuno per controllare se un certo suo paziente fosse ancora nel mondo dei sogni o stesse sul serio tentando una fuga alla Lupin.

Scoprì ben presto che ci era andato piuttosto vicino, ma nei suoi scenari immaginari non aveva previsto quattro infermieri armati di tranquillante che scappavano in lacrime e rossi in volto - se per vergogna o rabbia, John non era in grado di definirlo -, mentre uno Sherlock decisamente sveglio stava cercando di sciogliere i muscoli tesi dal riposo forzato.

John si appoggiò allo stipite della porta, improvvisamente conscio di aver scordato il suo bastone nell'ufficio, tre piani e due corridoi più sotto.

-Lo sa di non potersene ancora andare, vero?-

Il moro si girò di scatto, smettendo per un secondo di imprecare contro tutti quei macchinari, stringendo gli occhi e indirizzandogli uno sguardo infastidito e, sì, il dottore aveva avuto una giusta sensazione: aveva gli occhi blu più belli che avesse mai visto.

-Lei è il chirurgo. Mi ricordo di averla avvertita di legarmi, o me ne sarei andato.-

-Signor Holmes, se continua ad agitarsi a quel modo si riapriranno i punti e dovrà rimanere qui oltre la normale degenza, che nel suo caso sarà relativamente breve, di appena quarantottore, a patto che lei venga in ospedale ogni giorno poi per cambiare la fasciatura per una settimana, dopodichè ogni tre giorni.-

-Noioso, noioso, noioso! Ho tutta Londra da vivere e respirare, non ho tempo per queste sciocchezze.-

-La sua salute non è una sciocchezza e ora si sieda o la farò calmare io.- John era abbastanza famoso per la sua pazienza, ma aveva intravisto una macchiolina rossa sulla fasciatura e il muoversi incessante di quell'uomo lo impensieriva. Anima gemella o meno, era il suo paziente e lui il suo dottore, che diamine!

-E come intende costringermi? Ho del lavoro da fare e anche lei scommetto, perciò vada a tediare altri pazienti più bendisposti e saremo tutti più felici.-

Però, che caratterino...

Certo, se ne era già accorto in sala operatoria da quei pochi minuti di conversazione, ma evidentemente ora che era del tutto sveglio e senza del piombo nel petto era più in forma di prima e anche la sua lingua già tagliente si era affilata.

Sospirò, racimolando pace interiore insieme all'ossigeno, per poi osservare con più calma quell'uomo. Sapeva il suo nome e la sua età - ventisette anni, leggermente più giovane di lui -, ma a parte questo, sapeva solo che erano destinati a incontrarsi e amarsi per tutta la vita.

Francamente, John non sapeva quanto credito dare a tutta quella faccenda, ma se qualcosa aveva decretato che insieme fossero "perfetti" forse valeva la pena quanto meno di conoscersi. Che il tutto poi sfociasse in una storia romantica non era indispensabile, giusto? Forse sarebbero semplicemente diventati buoni amici, di quelli nella vita si ha sempre bisogno e non è forse l'amicizia una forma d'amore, solo senza il sesso? Lui era stato sempre e solo con donne, non si era mai precluso nulla volontariamente ma non aveva mai provato chissà quali brividi nel guardare i suoi commilitoni o qualsiasi altro uomo.

Il fatto che avesse percepito una specie di scossa elettrica lungo tutta la colonna vertebrale quando aveva finalmente visto quei bellissimi occhi completamente svegli e reattivi non era altro che una reazione chimica alla vicinanza dell'uomo che la biologia reputava la sua perfetta metà, giusto?

-Dottore? Sta avendo un ictus?-

-No, no... stavo solo pensando. Come ha fatto a far scappare ben quattro infermieri?-

-Non ne sono del tutto sicuro, ho solo detto loro la verità e se la sono presa piuttosto a male. Non capisco come fanno a essere così stupide le persone, era tutto talmente ovvio che non c'era bisogno di essere me per capire che due di loro sono sposati con altri ma vanno a letto tra loro, che l'altra ha contratto la clamidia e il quarto ha da poco fatto un intervento per allungarsi il pene. Quando l'ho detto si sono arrabbiati e se ne sono andati.-

John si aspettava di tutto, ma di certo non questo. Tutto l'ospedale sapeva di Clare e Roland, John era amico di Stanford che aveva operato Leopold al pene e di Michael, che gli aveva confessato di persona di aver contratto una malattia venerea perchè la sua ex l'aveva tradito per un bel po' prima di lasciarlo.

Ma Sherlock come aveva fatto a capirlo? Era stato...

-...straordinario.-

Dopodichè ridacchiò con leggerezza, guardando con occhi ammirati il moro, che ora lo fissava con diffidenza ancora maggiore, ma con un po' di genuino stupore che lo rendeva adorabile agli occhi di John.

-...di solito non è questo quello che mi dice la gente.-

-E cosa dicono?-

-"Fuori dai piedi".-

E questa volta risero sonoramente entrambi, divertiti da quella situazione nuova per entrambi, ma molto piacevole.

John allora prese coraggio, avvicinandosi all'altro uomo, che stavolta ora sembrava più rilassato.

-Ascolti, non voglio sapere perchè non è a suo agio negli ospedali, non sono affari miei in fondo, ma posso fare in modo che la dimettano già domani, se assume qualcuno che le controlli almeno due volte al giorno la ferita per i primi tre giorni, e poi una volta al giorno finchè una mia visita di controllo non mi dirà che possiamo stare più tranquilli sui rischi di infezione o altro. Va bene?-

Sherlock lo guardò per un minuto buono, prima di sciogliere una tensione di cui John non si era accorto, guardandolo ora con semplice curiosità.

-Sono saltato giù dal tetto di questo ospedale.-

A John, per un intero minuto, si gelò il sangue nelle vene.

-Non faccia quella faccia, dottore, non ho cercato di togliermi la vita. Ho solo inscenato la mia morte per ingannare il mio nemico mortale, tale Jim Moriarty, per potermi dedicare con un po' di vantaggio tattico allo smantellamento della sua organizzazione criminale, le sue cellule erano sparse per tutto il mondo e la mia improvvisa sparizione lo avrebbe messo in allarme. Quindi mi sono finto morto, saltando dal tetto di questo ospedale.-

-Avrai fatto preoccupare molte persone. I tuoi familiari, i tuoi amici... e tu devi esserti sentito molto solo.- era così sconvolto da non rendersi conto che aveva iniziato a dargli del "tu".

Sherlock fece un gesto sprezzante alle sue parole.

-I miei genitori sono stati informati di tutto il piano da mio fratello, il Sigor Governo Britannico in persona, che mi ha aiutato a inscenare la farsa. Il collega di Scotland Yard meno noioso che collabora con me quando sono tornato l'anno scorso mi ha urlato contro per almeno un'ora, dopo avermi tirato un calcio al ginocchio, credo per impedirmi di scappare da quella tortura...-

-Io ti avrei rotto il naso con un pugno, probabilmente, se fossi stato tuo amico a quei tempi.-

-Io non ho amici, dottore.-

-Beh, a me non sembra così, e questa è comunque una cosa su cui poter lavorare. Ti va se ti do una mano?-

-Perchè si interessa tanto di me?-

-Perchè le tue storie sono molto avvincenti e mi piacerebbe molto ascoltarle, in più sei davvero un uomo intelligente, nonostante un carattere difficile. E sei chiaramente troppo idiota, per essere tanto intelligente, se non capisci questo.-

Sherlock rimase interdetto dalle sue parole, ma John aveva preso la sua decisione e niente, niente, lo avrebbe dissuaso dall'avvicinarsi di più a quell'uomo.

-Quando ti sarai rimesso mi auguro tu abbia il buonsenso di offrirmi una birra per il favore che ti sto facendo facendoti uscire da qui prima del previsto, va bene?-

John fece per andarsene, ma la voce appena insicura ma intrigata di Sherlock lo fermò sulla porta, voltato di spalle.

-Non serve che lei porti il bastone, chiaramente ne fa uso di solito, ma essendo un problema psicosomatico che in mia presenza non si è ancora presentato deduco che a lei manchi il fervore della guerra... chiaramente è un ex medico militare, e in me ha visto il suo campo di battaglia, o non vedo il motivo per cui dovrebbe aver voglia di passare del tempo con un paziente qualunque.-

-Lei non è un uomo qualunque, signor Holmes. Parleremo davanti a quella birra di tutte le tue deduzioni, sono affascinato da come sembri sapere tutto di qualcuno solo guardandolo. A presto, vado a preparare le tue carte per le dimissioni.-

Si girò di nuovo, pronto per uscire, ma poi decise che anche lui si meritava il diritto di sorprendere l'altro come il moro aveva appena fatto con lui, anche se aveva cercato di mascherarlo come poteva.

-Il mio nome è John Watson, e sono la tua anima gemella. A questo punto credo valga la pena conoscerci e vedere dove questo ci condurrà, non trovi?-

John sentì il respiro strozzato dell'altro uomo a quella sua rivelazione, perciò si voltò per lasciargli un breve sorriso fiducioso e sicuro, in un angolo del suo cuore, che in quel preciso momento stavano gettando le basi per qualcosa di grande e duraturo... solo che ancora non sapevano cosa da quei semi sarebbe cresciuto.

-A presto... Sherlock. spero che non cercherai di scappare di nuovo, ho il tuo indirizzo nelle mie cartelle cliniche e potrei farti davvero male, se tentassi di sparire proprio ora che ci siamo trovati.-

-Non credo nelle anime gemelle. Non avrebbe senso incontrarci solo per questo motivo. In più, in guerra lei era un dottore, non potrebbe farmi nulla.-

-Sono stato anche un soldato e credimi, ho avuto delle brutte giornate. Il fatto che sia un dottore significa solo che posso romperti tutte le ossa chiamandole per nome, pur di essere certo che non tenterai di scappare o fingerti di nuovo morto.-

Sherlock ora era davvero agitato e non lo guardava più negli occhi come aveva fatto fino a quel momento. Sembrava spaventato, addirittura.

Il cuore di John perse un battito a quella visione. Non voleva più vedere quell'espressione terribile su quel viso così bello.

-Ascolta, non pretendo nulla per via dei nostri tatuaggi, okay? Voglio solo conoscerti, perchè se la biologia ci reputa buoni partner vorrà dire che insieme siamo più forti che da soli. Potremmo essere buoni amici, non siamo obbligati a sposarci domani o anche tra mille anni solo per i nostri nomi, per quanto ne sappiamo potremmo anche scoprire che come amici funzioniamo talmente bene che non abbiamo bisogno di altro. Vorrei solo scoprirlo. Tu non sei almeno un po' curioso?-

E lì, John capì di aver colpito nel segno. Sherlock era curioso, e si era illuminato appena un po' quando lo aveva sentito parlare di un legame biologico e non metafisico come di solito insegnano nelle scuole comuni.

-...immagino che non avremmo nulla da perdere a conoscerci. In effetti, potresti essermi persino utile per il mio lavoro, John. I pareri di un medico che non sia affiliato alla polizia saranno certamente più attendibili.-

Sherlock sorrise, finalmente sereno e bendisposto, e se John rabbrividì al suono del suo nome o per quel lieve movimento delle labbra piene del moro, non lo avrebbe mai scoperto.

Per ora, avevano un appuntamento in programma e una vita intera per scoprire a dove quei nomi tatuati sulla pelle li avrebbero condotti.



  
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