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Autore: Dida77    28/12/2019    3 recensioni
A volte non è necessario essere grandi per sapere cosa significhi amare.
A volte si hanno le idee chiare anche a dieci anni.
Perché a dieci anni, a volte, è tutto molto chiaro e sappiamo con certezza cosa vogliamo dalla vita.
Kidfic Stucky scritta per lo Stucky Secret Santa 2019 del gruppo Facebook "till the end of the line"
https://www.facebook.com/groups/2271305943091413/
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è stata scritta per Kisa89. Spero che le piaccia almeno un po'.
Come al solito, grazie mille ad Miss Rossange Stucky per avermi fatto pazientemene da beta e per avermi convinto a scrivere ormai più di un anno fa. Un abbraccio forte.
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24 dicembre 1928
 
"Forza Steve, muoviti o faremo tardi..." Urlò Sarah spazientita, già pronta in piedi davanti alla porta. 
 
"Arrivo mamma, sto arrivando. Dammi ancora un attimo... Non riesco a fare il fiocco." La risposta di Steve arrivò attutita dalla porta di camera ancora chiusa. Si era trincerato in quella stanza dalla mattina presto non appena fatta colazione e non ne era ancora uscito. 
 
"Steve, vuoi che ti aiuti? Porta fuori quel pacchetto. Lo so che stai incartando il regalo per James. Non è un segreto sai..."
 
"No mamma. Preferisco fare da solo. Un attimo ancora e ho finito."
 
"Sono venti minuti che mi rispondi un attimo ancora e ho finito Steve..." Il rumore dei tacchi bassi di Sarah, partita a passo di marcia verso la camera del figlio, riecheggiarono in tutta la casa. Sarebbe uscito subito di lì, con le buone o con le cattive. Ma nel momento in cui Sarah stava per appoggiare sulla maniglia la mano avvolta in un guanto di capretto chiaro che aveva visto sicuramente tempi migliori, la porta si aprì da sola mostrando uno Steve con un'aria così felice e soddisfatta che ogni rimprovero le morì immediatamente in gola. 
 
"Guarda mamma. È venuto bene, vero?" Il piccolo pacchetto era stato avvolto con cura in un pezzo di carta da pacchi già usata, che Steve era riuscito in qualche modo a conservare ed era completato da uno spago che terminava con un fiocco fatto così bene da dare all'intero pacchetto un'aria molto curata, malgrado tutto. 
 
"È bellissimo Steve. Sono sicura che James apprezzerà tantissimo. Ma non vuoi dirmi come hai fatto a comprarlo? Non mi hai chiesto nemmeno un centesimo…"
 
"Ho utilizzato i miei risparmi. Volevo farcela da solo, mamma." Rispose Steve gonfiando il petto e alzando il mento tutto orgoglioso, piantando gli occhi in quelli di sua madre che rispondeva con uno sguardo pieno di orgoglio per quello scricciolo di bambino che aveva nel petto un cuore grande come tutta Brooklyn. 
 
"Sei stato bravissimo. Ormai sei diventato grande… Dai, adesso andiamo o faremo tardi sul serio." Concluse lei reprimendo l'istinto di scompigliargli i capelli, per evitare di perdere ancora più tempo. 
 
Uscirono in una Brooklyn freddissima, camminando lentamente per evitare di cadere sulle strade coperte di ghiaccio. Il cielo si era fatto di nuovo bianco e molto probabilmente avrebbe dato retta alle previsioni metereologiche che davano neve per quella notte. In fondo nessuna notte di Natale era davvero una notte di Natale senza almeno una spruzzata di neve. 
 
Percorsero i pochi isolati che separavano la loro casa da quella dei Barnes praticamente in silenzio. Steve era troppo eccitato per parlare, mentre Sarah preferiva non avviare conversazioni che avrebbero costretto il figlio ad abbassare la sciarpa pesante che gli copriva bocca e naso e lasciava scoperti solo gli occhi. Si era rimesso completamente da una brutta polmonite solo un paio di settimane prima e Sarah avrebbe fatto qualsiasi cosa per evitare di ripetere quell'infernale esperienza fatta di veglie notturne, convulsioni, bagni freddi per abbassare la febbre, rantoli e preghiere.
 
Una volta arrivati in vista della casa, Steve affrettò il passo e fu costretto ad aspettare impaziente che sua madre lo raggiungesse prima di suonare il campanello. 
 
"Eccoli, eccoli. Vado io, mamma. Vado io." La voce di Bucky riecheggiò da dietro la porta mentre Steve aveva ancora il dito appoggiato al campanello. Una serie di passi veloci giù per le scale furono il preludio allo spalancarsi della porta di casa. 
 
"Eccoti finalmente. È tutto il giorno che ti aspetto." Disse Bucky abbracciando con trasporto l'amico ancora sulla soglia. 
 
"James. Non essere maleducato. Fai entrare i nostri ospiti." La mamma di Bucky uscì dalla cucina asciugandosi le mani al grembiule per accogliere i nuovi arrivati e dare una mano al figlio che, preso dall'entusiasmo, si era dimenticato le buone maniere. "Sarah, Steve, vi prego entrate. Non restate sulla soglia. Fa un freddo terribile questa sera. "
 
"Grazie mille per l’invito Winifred. Steve era al settimo cielo quando ci avete chiesto di passare la vigilia di Natale qui con voi. Ho portato questa per la cena." Rispose Sarah porgendole il vassoio coperto da un panno che aveva portato con tanta cura. "È una torta al cacao. Spero che possa piacere a tutti."
 
"Oh Sarah… Addirittura con il cacao. Ti sarà costato una fortuna! Grazie mille. Le tue torte sono sempre fantastiche. James mi racconta che gli lasci sempre una fetta di torta per merenda. Ma vieni, dammi il cappotto e vieni a scaldarti di fronte alla stufa. George sarà a casa a momenti. Ha portato Rebecca a trovare la zia. James non si è voluto muovere di casa invece, ha detto che non poteva rischiare che Steve arrivasse e non lo trovasse qui ad aspettarlo." La mamma di James parlava tranquillamente con tono allegro, mentre accompagnava la sua ospite in cucina per tornare ad occuparsi della cena. Sarah, che aveva accettato quell’invito solo per far felice Steve, in una manciata di minuti si dimenticò del fatto che si sarebbe potuta sentire un’estranea, del fatto che non avrebbe mai potuto ricambiare l’invito e di un sacco di altre obiezioni che le erano venute in mente, e si ritrovò in cucina con un grembiule attorno ai fianchi a dare una mano per finire di preparare la cena.
 
"Ti volevo ringraziare Winifred. " Disse improvvisamente dopo un po’, mentre si occupava del pane.
 
"Per cosa, Sarah?"
 
"Per aver permesso a James di venire a trovare Steve così spesso mentre stava male nelle scorse settimane. Per lui è stato veramente importante."  Nel dire quelle parole si fermò, cercando di impedire alla commozione di giungere agli occhi, ma senza riuscirci del tutto. Quando sentì la mano gentile dell’altra appoggiarsi sul suo braccio, tirò su la testa e si sforzò di sorridere.
 
"Posso solo immaginare quanto sia stata dura…"
 
"Ho pensato tante volte che non ce la facesse… Nei giorni più difficili, quando la febbre era alta e ogni respiro era un tormento, sono convinta che abbia continuato a lottare solo per aspettare James che lo veniva a trovare prima e dopo la scuola…" A quei ricordi gli occhi divennero presto lucidi, ma venne interrotta da James che arrivò di corsa in cucina, come una ventata di aria fresca di primavera che porta via i pensieri tristi dell'inverno.
 
"Mamma, ho fatto togliere il cappotto a Steve e gli ho fatto vedere il nostro albero di Natale. Adesso possiamo salire in camera mia? Ti prometto che scendiamo giù non appena arriva papà." La faccia emozionata di Steve si intravedeva da dietro la figura dell’amico. Teneva il suo prezioso pacchetto ancora stretto in mano.
 
"Certo tesoro. Ma non correte e non vi agitate troppo." L’ultima parte della frase venne detta alla porta vuota, mentre la voce felice dei due ragazzi arrivava già da metà scale.
 
"Dai Steve, vieni su. Ti devo dare una cosa?"
 
"Cosa mi devi dare?"
 
"Il tuo regalo, no? È o non è la vigilia di Natale? Non crederai ancora in quella storia di Babbo Natale, vero? Non ci crede più nemmeno mia sorella…"
 
"Ma no, cosa dici? Certo che non ci credo più. Ho dieci anni, ormai." L'ultima frase venne pronunciata da uno Steve che gonfiava il petto e alzava il mento per sembrare più grande di quello che effettivamente fosse.
Arrivati in cima alle scale si fermò per un attimo sulla porta di camera, mentre Bucky era già entrato e si era seduto sul letto in attesa che l’amico lo seguisse.
 
"Cosa fai lì imbambolato? Vieni a sederti qui accanto a me." Gli disse Bucky quando si rese conto che Steve sarebbe potuto restare tutta la serata ad osservare la sua camera con timore reverenziale. Malgrado i due ragazzi si frequentassero da quella primavera e si vedessero praticamente tutti i giorni, Steve era stato solo un paio di volte a casa di Bucky e non era mai salito fino in camera sua. Durante la bella stagione non stavano mai in casa e poi, con l’arrivo dell’autunno, avevano iniziato a passare il loro tempo a casa di Steve, principalmente per evitare che prendesse freddo, vista la sua salute malferma. E poi, da quando aveva iniziato a far buio presto, Bucky si sentiva molto più tranquillo a sapere Steve al sicuro a casa quando arrivava l’ora di separarsi e a percorrere lui le strade poco illuminate che lo separavano da casa.
 
Steve si riscosse. "La tua camera è bellissima Bucky. Veramente molto bella."
 
"Oh grazie. Sono contento che ti piaccia. Dai, vieni ad aprire il tuo regalo." Bucky prese un pacco avvolto nella carta rossa con uno splendido fiocco bianco dalla scrivania vicino al letto e glielo porse con tutte e due le mani e l’aria un po’ agitata. "Spero proprio che ti piaccia… L’ho comprato con i miei risparmi, sai? Non mi sono fatto dare nemmeno un centesimo dalla mamma… Questo è un regalo importante… Il primo regalo di Natale che ti faccio e… non so… volevo che fosse una cosa tutta mia. Ma a dirlo ad alta voce sembra una cosa stupida."
 
"No no, Bucky. Non è una cosa stupida, anche io ho fatto tutto da solo con i miei risparmi, sai? Solo che a vederlo, sembra che il mio sia ben poca cosa rispetto al tuo."
 
"Ma cosa dici… è bellissimo. Dai dammi qua, non vedo l’ora di aprirlo." Tolse rapidamente il fiocco e fece per aprire la carta quando si fermò di botto. "Ma tu non apri il tuo?"
 
"Dopo. Adesso voglio vedere che effetto ti fa il mio… Dopo lo apro. Prima tu."
 
Bucky sorrise con uno di quei sorrisi caldi che sembravano illuminare anche le giornate più grigie e tornò ad occuparsi del pacchetto che aspettava ancora appoggiato sulle sue ginocchia. Lo aprì lentamente, come per far durare il più possibile quel momento.
 
Non appena aperta la carta, la prima cosa che Bucky vide fu una tavoletta di cioccolato. Era una cosa preziosa, che in casa arrivava raramente malgrado non avessero problemi economici. Bucky non ricordava di averne mai avuta una tutta per sé. Nel vederla i suoi occhi si spalancarono felici, dando al suo volto molto meno dei suoi undici anni.
 
"Oh mio Dio, Steve, ti sarà costata una fortuna…"
 
"Ho svuotato il mio barattolo delle monetine. Alla fine avevi ragione tu, c'era dentro un bel gruzzoletto." L'orgoglio nella sua voce era palpabile… Era riuscito a comprare un regalo per il suo migliore amico tutto da solo. Ormai era un uomo fatto…
 
"Guarda sotto il cioccolato, dai…" Lo incitò Steve nel vedere che l'amico era rimasto imbambolato ad accarezzare la sua preziosa tavoletta.
 
Dopo un attimo di titubanza, l'amico appoggiò la tavoletta sulla coperta, scoprendo un foglio accuratamente ripiegato in quattro in modo che avesse le stesse identiche dimensioni della tavoletta. Bucky lo aprì con le mani leggermente tremanti e per una manciata di secondi non riuscì a proferire parola, mentre osservava il ritratto di sé che dormiva con i capelli scompigliati e una mano aperta davanti alla bocca in un gesto che sapeva essere tanto usuale.
 
"E questo quando lo hai fatto?"
 
“Un paio di settimane fa, quella volta che sei venuto a trovarmi dopo la scuola, ma che eri così stanco che ti sei addormentato."
 
"Ecco perché non mi hai svegliato e mi hai lasciato dormire… Non avevo capito che era per questo."
 
"Ma quanto sei scemo. Ti ho lasciato dormire perché eri stanco e avevi bisogno di riposare. Per un po' ti ho guardato e basta. Poi mi è venuto in mente di farti un ritratto. Ma ti piace?"
 
"Se mi piace? È la cosa più meravigliosa che abbia mai visto. Sembro bellissimo in questo disegno."
 
"Ma tu sei bellissimo Bucky." Quelle parole uscirono in un sussurro a malapena udibile dalle labbra di Steve, mentre i suoi occhi si abbassarono e le sue guance si imporporarono rapidamente.
 
Bucky sorrise con l'imbarazzo di chi non è avvezzo a quel tipo di complimenti. "Su dai… Adesso tocca a te, apri il tuo." Disse per cercare di spezzare quella strana atmosfera che si era venuta a creare, troppo particolare per due ragazzi di dieci e undici anni.
 
Steve fece cenno di sì con il capo e iniziò ad aprire coscienziosamente il proprio regalo. Prima il fiocco, poi la carta, stando molto attento a non rovinarla in alcun modo, anche lui cercando inconsciamente di prolungare quel momento il più lungo possibile.
 
Una volta aperta la carta, questa mise in mostra un gruppo di fogli di carta bianchi dalla grammatura pesante, ideali per il disegno, rilegati con una copertina di cartoncino rigido blu scuro, con un'etichetta bianca in alto per scrivere il nome del proprietario.
Steve accarezzò il blocco con riverenza. Disegnare era la sua passione, Bucky lo sapeva bene, ma sua madre non era mai riuscita a comprargli il materiale necessario e lui si arrangiava con i pezzi di matita avanzati e con qualche foglio staccato dai quaderni della scuola.
 
"Ti piace?" Chiese Bucky titubante.
 
"Non ho mai avuto un quaderno così bello…" Furono le uniche parole che riuscì a pronunciare, senza mai staccare gli occhi da quel tesoro.
 
"Ma c'è dell'altro… guarda sotto." Gli suggerì Bucky indicando con il dito, mentre Steve si avvicinava il prezioso regalo al petto scoprendo una scatola con tre carboncini. "Avrei voluto regalarti un’intera scatola di matite colorate, Steve, ma i miei risparmi non ce l'hanno fatta. Te li regalerò a luglio, per il tuo compleanno. Così questa estate durante le vacanze potrai fare un sacco di disegni colorati."
 
"È un regalo bellissimo Bucky. Dovrei dirti che non dovevi spendere tutti quei soldi. La mamma vorrebbe che te lo dicessi, lo so… Ma è un regalo troppo bello. Non riesco a dirtelo davvero… Pensi che sia un bambino cattivo?"
 
Bucky ci pensò su per qualche secondo, poi il suo volto si illuminò. "No Steve, non penso proprio che tu sia cattivo. Ma se anche tu lo fossi, per me non cambierebbe niente. Tu sei perfetto così come sei… E sono felice che il mio regalo ti sia piaciuto." Rispose con uno splendido sorriso stampato in faccia.
 
"Un sacco…"
 
"Su adesso scendiamo, ho sentito papà e Rebecca che rientravano. Lasciamo i regali qui, così non rischiamo di farceli rovinare da mia sorella."
 
Scesero le scale trotterellando con lo stomaco che brontolava dalla fame tipico della loro età, pieni di aspettativa per la cena che li aspettava al piano di sotto.
 
"Buonasera signor Barnes, grazie per l'invito." Disse Steve tutto compito, stringendo la mano del capo famiglia appena rientrato a casa.
 
"Buonasera a te Steve, sono felice che siate venuti. Credo che la cena sia praticamente pronta, ragazzi. Perché intanto non andate a lavarvi le mani?"
 
"Sì papà. Ho una fame da lupi." Rispose Bucky trascinando l’amico con sé verso il lavello della cucina.
 
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La cena trascorse in allegria. Malgrado la madre di Bucky si fosse preoccupata tanto, la cottura dell'arrosto era perfetta e il purè di patate era venuto soffice come una nuvola.
Alla fine della cena la torta di Sarah si immolò per concludere degnamente quel lauto pasto. Alla fine del secondo giro rimasero solo alcune briciole spolverate rapidamente dai tre bambini soddisfatti.
 
"Wow, signora Barnes, era tutto buonissimo. Non mi ricordo di aver mai mangiato tante cose buone tutte insieme." La mano di Steve era andata a massaggiarsi lo stomaco, molto molto più pieno rispetto al solito.
 
"Grazie, Steve. Sei un tesoro."
 
"Adesso mamma possiamo andare a giocare un po' su in camera? Non facciamo rumore, promesso." Chiese Bucky pieno di aspettative per quel dopo cena.
 
"Per me non ci sono problemi, James. Sarah per te va bene?"
 
“Mi dispiace ragazzi, ma sarebbe meglio di no. Tra dieci minuti torniamo a casa, Steve." Rispose Sarah alzandosi per aiutare la padrona di casa a togliere le stoviglie dalla tavola.
 
"Ma mamma. Sono soltanto le dieci. Speravo che ci saremmo fermati almeno fino a mezzanotte." Lo sguardo triste di Steve parlava per lui, e quello dell'amico lì accanto non era certo da meno.
 
"Lo so tesoro. Ma domani mattina alle 6.30 devo essere in ospedale. Non possiamo fare tardi, lo sai…" Nemmeno Sarah era felice di porre fine a quella splendida serata e ancor di più le dispiaceva rattristare Steve in una sera come quella, ma la sveglia alle 5.00 in punto la mattina successiva imponeva di tornare a casa.
 
"Hai ragione, mamma. Scusa." Rispose Steve facendosi forza per nascondere la delusione in modo da non rattristare troppo sua madre. "Vado a prendere i cappotti."
 
"Lavori anche domani, Sarah?" Si intromise il signor Barnes stupito.
 
"Sì. Domani faccio il doppio turno e lavoro tutto il giorno. Mi dispiace lasciare Steve da solo, ma il giorno di Natale pagano gli straordinari doppi e non posso lasciarmi scappare questa occasione."
 
Un velo di imbarazzo aleggiò nella stanza e i coniugi Barnes si scambiarono una rapida occhiata. Winifred guardò con aria interrogativa il marito, che rispose solamente con un sorriso e un rapido cenno di assenso del capo.
 
"Ascolta Sarah," iniziò la mamma di James un po’ imbarazzata. "So che domani è Natale e che vorrai stare con Steve, ma visto che dovrai lavorare tutto il giorno, pensavo che Steve stanotte potrebbe rimanere a dormire qui e passare la giornata di Natale con noi. Poi quando avrai finito di lavorare, puoi venire a prenderlo tu o possiamo portarlo a casa noi. Come preferisci..."
 
Sarah rimase per una manciata di secondi con i piatti a mezz’aria, assolutamente impreparata a quella proposta. "Non possiamo assolutamente dare tutto questo disturbo Winifred. Siete stati già tanto gentili a invitarci a cena questa sera…"
 
"Nessun disturbo Sarah, i ragazzi saranno al settimo cielo. Non ti devi preoccupare di niente. Si divertiranno e staranno in casa al caldo per tutto il giorno."
Al caldo e felice. Fu il pensiero di sapere Steve felice e al caldo per tutto il giorno che fece ingollare a Sarah quel grumo di orgoglio che le stava facendo rispondere di no. Sapere Steve con Bucky invece che da solo nel piccolo appartamentino gelido che riuscivano a permettersi dopo la morte del marito trascinò via tutte le sue remore come un’ondata di piena.
 
"Ok Winifred. Non riesco a dirti di no. Devo essere onesta. Sapere Steve qui con voi invece che a casa da solo renderà la giornata di Natale più leggera anche per me." Un luminoso sorriso distese le labbra della donna, conscia del fatto di aver preso la decisione migliore.
 
"Perfetto." Rispose il padre di James che aveva assistito alla scena ancora seduto a capotavola. "Non resta che dirlo ai ragazzi. James… Steve… Venite qui, presto."
Chiamò alzando la voce per farsi sentire dai ragazzi che si erano ritirati in sala per prendere i cappotti.
 
"Arriviamo papà…" Arrivò subito James in cucina portando in braccio il cappotto della signora Rogers e tallonato da James che si stava allacciando il suo.
 
"Cambio di programma ragazzi." Iniziò il signor Barnes con aria seria, bloccando i due ragazzi dove erano e facendo alzare loro lo sguardo. "Per stanotte Steve rimarrà a dormire da noi e resterà con noi domani per tutto il giorno."
 
Steve rimase immobile per alcuni secondi, guardando il signor Barnes e chiedendosi per quale motivo gli stesse facendo quello scherzo crudele. Fu sua madre a distoglierlo dai suoi pensieri. "Sei d’accordo Steve? Ho detto di sì senza interpellarti… Ho pensato che ti sarebbe piaciuto dormire con James…"
 
"Dai Steve… Ti va?" Chiese Bucky con un enorme sorriso sulla faccia.
 
"Oh sì certo che mi va. Ma mamma, tu sarai sola stanotte." Una nota di preoccupazione non riusciva ad abbandonare la voce di Steve
 
"Non è un problema Steve. Mi dovrò alzare prestissimo e sarò fuori fino all’ora di cena. Mi farebbe piacere saperti qui. Cosa ne pensi?" Sarah lo guardò con un sorriso caldo, facendogli capire di gradire davvero quell’inaspettato cambio di programma.
 
"Oh mamma. Allora certo che mi va." Le ultime parole furono soffocate dall’abbraccio che Steve corse a dare a sua madre. "E grazie signor Barnes. Sono veramente felice di dormire qui e di passare la giornata di Natale con voi." Continuò Steve che si era dimenticato delle buone maniere solo per pochi minuti.
 
"Allora affare fatto figliolo. "
 
"Può dormire con me mamma, vero?" Si intromise subito Bucky.
 
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Un’ora più tardi Steve entrò sotto le coperte, raggiungendo Bucky che vi era entrato solo pochi minuti prima. Il letto era stato scaldato dalla signora Barnes prima che salissero le scale e affondare in tutto quel tepore fu meraviglioso. Un sospiro soddisfatto gli uscì dalle labbra mentre si faceva più vicino a Bucky.
 
"Ma sei gelato Steve." Le parole dell'amico arrivarono attutite da sotto le coperte. "E hai i piedi gelati. Dai avvicinati che ti scaldo io. Non vorrei davvero che tu ti ammalassi di nuovo."
 
"Dovevo sistemare i vestiti prima di venire a letto, Buck. Tu non lo hai fatto, così ho dovuto sistemare anche i tuoi… e non mi ammalerò di nuovo, stai tranquillo. Questo letto è meraviglioso. Vedrai che mi scaldo subito."
 
Ma Bucky non lo ascoltò minimamente e scivolò veloce verso di lui, premendo il proprio petto contro la schiena dell’amico e avvolgendolo tra le proprie braccia, mentre Steve si faceva cogliere dall'imbarazzo.
 
Rimasero immobili in quella posizione per parecchi secondi, Steve ancora rigido come un manico di scopa.
"Ehi Steve, sono solo io… Perché non cerchi di rilassarti un po'?" Ma dato che nessuna risposta uscì dalle labbra di Steve, Bucky riprese. "Preferisci che mi allontani?" Le ultime parole furono pronunciate con una voce così triste che costrinsero Steve a scuotersi dal torpore un cui sembrava caduto.
 
"No. Non voglio che tu ti allontani." Rispose subito con tono sicuro. "È solo che… mi sento in imbarazzo, ecco. Lo so che non dovrei, ma ho sognato così tanto questo momento che adesso non mi sembra vero... Dammi solo un attimo, ok?"
 
Bucky sorrise piano a quelle parole e con il capo fece un segno di assenso che Steve percepì lieve contro la nuca. Un attimo dopo un profondo respiro uscì dalle sue labbra e piano piano iniziò a rilassarsi tra le braccia dell'amico, godendosi tutto quel calduccio e quel senso di protezione che Bucky portava sempre con sé. "Allora già che sei così caldo, scaldami anche i piedi, ti va?" Disse alla fine, incastrandoli a tradimento tra i polpacci dell'amico che si lasciò andare ad una risata contro i suoi capelli.
 
Rimasero in silenzio godendosi il tepore e la reciproca vicinanza per parecchi minuti, mentre due sorrisi, celati dal buio della stanza, aleggiavano sui loro volti.
 
"Sono felice che tu sia qui Steve." La voce di Bucky, bassa contro il proprio collo lo fece sussultare.
 
"Anche io sono felice." Rispose Steve girandosi in quell'abbraccio protettivo, in modo da trovarsi faccia a faccia con l’amico.
 
Bucky appoggiò la fronte contro la sua e riprese a parlare dopo una manciata di secondi. "C'è una cosa che ti devo dire, Steve. Ci penso da settimane e credo che questo sia il momento giusto per parlartene." Le parole uscivano titubanti dalle labbra di Bucky, come se non fosse convinto di avere il coraggio necessario per farle uscir fuori.
 
"Cosa c'è Bucky?" Chiese Steve improvvisamente preoccupato, staccando la fronte da quella dell'amico come per guardarlo negli occhi, malgrado il buio della stanza.
 
"Ecco, io ci ho pensato tanto, Stevie, davvero tanto… E sono giunto alla conclusione che… Ecco, io… io credo di amarti Steve." Le ultime parole furono solo un sussurro, come un segreto che non può essere detto ad alta voce, perché troppo grande, troppo importante, troppo tutto per la loro età.
 
Dopo un primo attimo di sconcerto in cui entrambi si dimenticarono di respirare, Steve pose l'unica domanda che gli sembrò veramente importante in quel momento. "Come fai ad amarmi Bucky? Ma mi hai visto? Ti arrivo a malapena alla spalla."
 
"Ma l'amore non si misura mica in centimetri, scemo." Rispose Bucky riprendendo a respirare in uno sbuffo divertito.
 
"Ma cosa ne sai tu dell'amore, Buck? Cosa ne sappiamo noi? Come fai a sapere che sia davvero amore?" Continuò Steve con l'espressione di chi è determinato ad arrivare al nocciolo del problema.
 
Bucky rimase un po' in silenzio, cercando con cura le parole per spiegare tutto quel groviglio di emozioni che gli vorticavano nel petto stando lì, abbracciato a Steve sotto le coperte. 
 
"Forse hai ragione Steve." Concesse alla fine. "Non posso sapere se sia davvero amore. In fondo ho solo undici anni, cosa posso saperne, io? Però alcune cose le so…" Disse acquistando fiducia via via che parlava. Le parole sempre più sicure.
 
"So che quando siamo insieme sono felice. Non mi importa cosa facciamo, dove siamo, con chi siamo, la cosa importante è che siamo insieme. E la cosa che mi fa più felice di tutte è vederti felice. Solo questo mi interessa. Che tu sia felice… e al sicuro. L'ho capito quando ti sei ammalato, sai? Quando ogni volta che arrivavo a casa tua mi batteva forte il cuore per la paura che tu… che tu te ne fossi andato. Ogni volta ci mettevo minuti a trovare il coraggio di bussare alla porta. Lì ho capito quanto sei importante per me e che l'unica cosa che voglio quando sarò grande è stare insieme a te. Del resto non mi interessa, basta che siamo insieme." E per dare forza a quelle semplici parole, strinse ancora di più le braccia attorno alle esili spalle di Steve, il quale lasciò uscire dalle labbra umide un profondo respiro e appoggiò la fronte al petto del compagno.
 
"Per me è la stessa cosa, Buck." Rispose Steve non appena il magone che gli aveva stretto la gola gli consentì di parlare. "Credi che sia questo, l'amore?" Chiese alla fine, scostando un poco la testa per cercare di guardare l'altro negli occhi, malgrado l'oscurità. Poi continuò. "Ti penso sempre, sai? La sera prima di addormentarmi, dopo che ho detto le preghiere con la mamma, e la mattina appena sveglio prima di scendere dal letto. Ogni volta mi domando se anche tu mi stia pensando."
 
"Sì." La risposta di Bucky risuonò forte nel silenzio della stanza.
 
"Sì, cosa?"
 
"Sì. Ti penso anche io. Tutte le sere... e tutte le mattine. Sei la prima cosa che penso appena apro gli occhi e l’ultima cosa che penso prima di addormentarmi."
 
"Oh..." Lo stupore di Steve fu tale che a Bucky sembrò di poterlo toccare e gli strappò una risata dal petto.
 
"Perché sei tanto stupito? Non ci credi?"
 
"Se me lo dici tu, allora ci credo Buck. Solo che..."
 
"Cosa?" Lo invitò Bucky quando capì che Steve non aveva intenzione di finire la frase.
 
"Solo che non capisco come sia possibile. Guardati Buck." Continuò prima che l'altro potesse fermarlo. "Sei alto, forte, gentile, con due occhi stupendi. Sei simpatico, le ragazze litigano per sedere accanto a te quando ci fermiamo sul muretto a mangiare il gelato. E non dire che non è vero... Non sono stupido... Come è possibile che tu voglia passare il tuo tempo solo con me?"
 
"Non lo so Steve. Davvero. Non lo so. Ma è così. Mi importa solo di te e che tu stia bene." Quelle parole uscirono pure e cristalline dalle labbra di Bucky, come se fossero la cosa più naturale del mondo. Ma poi, con tono più incerto, riprese. "Pensi che tutto questo sia sbagliato?
 
Steve rifletté per un paio di minuti, ben conscio del peso di quella domanda, malgrado i suoi dieci anni e poco più. "Non so se questo sia sbagliato Buck." Rispose con il tono solenne di chi ha ben ponderato le proprie parole. "A volte non capisco bene cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. Ma non credo che stiamo facendo niente di male. E se anche ci fosse qualcosa di male, non me ne importerebbe niente, perché io ti amo lo stesso… E tutto questo mi piace. Mi rende felice." Poi, con un tono malizioso che Bucky gli aveva visto poche volte, riprese. "Forse, però, non è il caso di dirlo a nessuno. Giusto per stare tranquilli. Cosa ne pensi?"
 
"Ok Steve. Allora questo sarà il nostro segreto più segreto di tutti. Ci stai?"
 
"Ci sto Bucky. Il più segreto di tutti. E quando non saremo soli faremo finta di essere solo amici. Ok?"
 
"Allora affare fatto."
 
Non si strinsero la mano. Rimasero semplicemente abbracciati stretti stretti sotto le coperte fino a quando Steve non parlò di nuovo.
 
"Visto che non siamo più solo amici, pensi che potrei baciarti? Le guance e il collo di Steve si infiammano nel dire quelle parole, mentre Bucky fece cenno di sì con il capo, cercando di calmare il frullio di centinaia di farfalle nello stomaco.
 
Steve si passò un paio di volte la lingua sulle labbra troppo secche e le appoggiò lentamente a quelle del compagno, fino a che non si toccarono e rimasero in quella posizione per un tempo indefinito, mentre i loro respiri si fusero in un'unica nuvoletta di vapore nell'aria fredda della stanza.
 
Non si mossero. Non avrebbero saputo cosa fare, come fare. Ma non c'era fretta. Per il resto ci sarebbe stato tempo nel futuro che avevano deciso di passare insieme. Ma già il fatto di essere lì, labbra contro labbra, fronte contro fronte, dava loro la consapevolezza di essere diventati una cosa sola. Una cosa sola, contro il resto del mondo.
 
Fu Bucky a staccarsi per primo, un centimetro appena, quanto bastava per pronunciare parole che avevano il sapore di una promessa lunga una vita.
 
"Allora, insieme fino alla fine, Steve?
 
"A qualunque costo, Buck. Fino alla fine di tutto. Fino alla fine di tutto."
   
 
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