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Autore: Amor31    30/12/2019    1 recensioni
A due mesi dalla risoluzione del caso Beecham, Sara si reca da Laszlo per restituirgli un libro che le aveva prestato.
Ancora non sa che presto tutto ciò che credeva verrà stravolto.
ATTENZIONE! SPOILER PER CHI NON E' IN PARI CON LA SERIE!
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Schuyler Moore, Laszlo Kreizler, Sara Howard
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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L'amore risiede nel cuore

 

Era un giovedì pomeriggio come tanti. Be', di certo normale rispetto a due mesi prima. La fine di agosto era ormai vicina, con una tremenda cappa di calore a bruciare le strade polverose di New York, ma malgrado le temperature torride la giornata preludeva già all'autunno.
Sara Howard era uscita in tutta fretta dal Dipartimento di Polizia. Roosevelt l'aveva congedata dicendole che per quel giorno poteva bastare, che si era anche meritata un breve periodo di ferie, se solo lo avesse desiderato. Per tutta risposta Sara aveva scosso la testa e, ringraziando il Commissario, lo aveva salutato assicurandogli che si sarebbero visti la mattina successiva, come di consueto.
Aveva sceso le scale interne di marmo del Dipartimento e si era ritrovata in Mulberry Street. Le era bastata un'occhiata al cielo per capire che di lì a poco si sarebbe scatenata una pioggia torrenziale. Si sbrigò a chiamare una carrozza e fornì poche indicazioni al cocchiere: non era ancora giunto il momento di tornare a casa.
Spiò la strada dal finestrino, osservando la folla scansarsi al passaggio della vettura. Pian piano lasciò i quartieri poveri per raggiungere, infine, una zona residenziale che nel corso dei mesi precedenti le era diventata estremamente familiare; quando avvistò il portone che le interessava, batté il pugno contro la cabina e il cocchiere fece fermare il cavallo. Sara scese dalla carrozza, pagò la corsa e attraversò la strada, mentre le prime gocce di pioggia iniziavano a cadere a terra.
Salì i quattro scalini che rialzavano l'ingresso della casa e suonò il campanello: era rotto o forse solo disattivato. Bussò con forza un paio di volte finché finalmente qualcuno non venne ad aprirle.
«Signorina Howard», la salutò con un sorriso cordiale il possente Cyrus Montrose, «prego, entrate».
L'uomo si fece da parte e Sara varcò la soglia. Si guardò rapida attorno: tutto era come l'ultima volta che era stata in quella casa. Fece scorrere lo sguardo lungo il corrimano della bella scala in legno e i suoi occhi si fermarono su un punto ben preciso, notando che i segni del mortale incidente che vi si era consumato erano ormai spariti.
«Il Dottor Kreizler è qui? O forse è uscito?» domandò, voltandosi verso Cyrus.
«È nel suo studio. Sta ricevendo un paziente».
Sara annuì. «Mi dispiace essere passata senza alcun preavviso. Forse mi converrà tornare un'altra volta».
«No, signorina Howard, restate pure. Sono certo che il Dottore sarà felice di rivedervi. Venite in salotto e accomodatevi; appena avrà terminato la sua visita, sarà da voi. Posso portarvi qualcosa? Del tè o...?»
«Non preoccuparti, Cyrus, non mi occorre nulla».
«Volete che riponga la vostra borsa nello stanzino degli indumenti?»
Sara strinse d'istinto la borsa che portava al braccio e scosse la testa. «Non mi tratterrò a lungo, Cyrus. Preferisco tenerla».
«Come volete, signorina Howard. Venite, vi accompagno nell'altra stanza».
Il servitore la scortò nel salotto e la invitò di nuovo a sedere. Si congedò con un cenno del capo e sparì, rassicurandola ancora che presto il Dottore l'avrebbe ricevuta. Rimasta sola, Sara camminò avanti e indietro per il salotto, tentando di ingannare l'attesa. Si avvicinò al grammofono, studiandone l'ampiezza, e al pianoforte, sfiorandone appena i tasti senza osare premerli: temeva quasi che il suono potesse violare la quiete che regnava nella casa. Non resistette però alla tentazione di sedersi di fronte allo strumento e la sua attenzione fu presto catturata dallo spartito aperto a metà sul leggio. Lo chiuse, tenendo il segno della pagina con il dito indice, e lesse ciò che vi era scritto a caratteri dorati sulla copertina: Chopin, melodie per l'anima. Doveva essere sicuramente una raccolta di brani; Sara non era mai stata un'esperta musicista, ma sapeva che nemmeno quei pezzi potevano essere suonati da una sola mano. Si domandò se non fosse Cyrus a suonare.
«Signorina Howard», fu costretta a voltarsi di scatto, sentendosi chiamare, «lieto di rivedervi».
Laszlo Kreizler le venne incontro, mentre lei riponeva in fretta lo spartito e si alzava per salutarlo a sua volta. Il Dottore le tese la mano e lei la strinse: «Sono felice anch'io. Mi scuso per non avervi avvertito della mia visita...»
«Non ce n'è bisogno, ve lo assicuro. Vedo che continuate a dilettarvi con la musica».
Aveva lanciato un'occhiata oltre la spalla di Sara e la ragazza interpretò quella frase come una frecciatina vera e propria. Cercò di lasciar cadere il discorso, ma Laszlo continuò: «Tra i più grandi artisti europei, Chopin è probabilmente quello che sento più affine in questo periodo. Credo che Stevie sia stufo di ascoltare tutte le sere Cyrus che suona, ma sto cercando di far sì che impari».
Sara lo ascoltò in silenzio, prestando particolare attenzione al suo tono di voce. Se a una prima impressione Kreizler sembrava il solito orgoglioso, scrutandolo più approfonditamente era possibile notare come fosse di colpo invecchiato. Le occhiaia violacee non miglioravano il suo aspetto, così come la barba decisamente incolta e l'espressione abbattuta. Era evidente che fosse ancora provato da quanto accaduto in casa sua solo due mesi prima.
«Ma veniamo a noi» si riscosse, dopo aver passato qualche secondo a fissare il pianoforte. «A cosa devo l'onore della vostra visita?»
«Sono passata per restituirvi questo».
Sara sbirciò nella propria borsa e ne estrasse un libro. Glielo porse e Laszlo lo soppesò tra le mani: «Vi avevo consigliato di leggere questo? Un trattato sulle differenze psicologiche tra uomini e donne?»
Lei annuì. «Affinché potessi persuadermi che l'agire del nostro assassino non fosse in alcun modo causato dall'influenza negativa di sua madre, immagino».
Kreizler sorrise ironicamente, incassando la frecciatina che Sara gli aveva a sua volta rivolto. «Magari vi potrà essere utile per risolvere un caso futuro».
Si allontanò da lei e poggiò il volume sul tavolo su cui teneva anche il liquore. Se ne versò un bicchiere e ne offrì a Sara, che però non accettò.
«Se non avete fretta di andare via, sedete pure. Posso farvi preparare del tè, se il vino non è di vostro gradimento. Cyrus!»
Il servitore caracollò nella stanza un minuto più tardi e prima che Sara potesse opporsi era già sparito in direzione della cucina. Ormai costretta a non respingere l'ospitalità, prese posto sul divano e Laszlo le sedette di fronte, accomodandosi sulla poltrona.
«Ditemi, Sara: come vanno le cose al Dipartimento? La vostra situazione è migliorata in seguito alla risoluzione del caso Beecham?»
«Mi piacerebbe poter dire di sì, ma in realtà non è cambiato nulla. Non per me, almeno».
«Cosa intendete?»
«Che le squadre di pattuglia adesso sono coordinate da un uomo più onorevole e capace del Capitano Connor. Se non altro, il Dipartimento potrà riacquistare un po' di credibilità».
«E Roosevelt? Non mi sembra che i giornali chiedano la sua testa, ultimamente».
«Per il momento; sono sicura che basterà una piccola miccia a far esplodere una nuova rivolta, soprattutto se ad alimentarla ci saranno due nostre vecchie conoscenze».
«Paul Kelly e Biff Ellison» Laszlo completò per lei.
«Sì. Beecham sarà stato pure fermato, ma l'insofferenza nei bassifondi cresce ogni giorno di più. Temo molto per la vita di quei ragazzi, a prescindere dal fatto che circoli o meno un omicida».
Mentre finiva di parlare Cyrus tornò da loro, sorreggendo un bel vassoio d'argento. Prestò attenzione a non rovesciare nulla e poggiò il tutto sul tavolino basso che separava ulteriormente Sara da Laszlo.
«Signorina Howard, il vostro tè» le mostrò l'uomo. «Quanto zucchero desiderate?»
«Una sola zolletta sarà più che sufficiente. Grazie, Cyrus», gli disse, prendendo la tazza che lui le porgeva.
«Dottore...»
«Lasciala pure lì» lo fermò Laszlo. «Puoi andare».
L'uomo li lasciò di nuovo soli. L'unico suono percepibile era il tintinnio del cucchiaino che di tanto in tanto batteva contro la ceramica della tazza che Sara stringeva tra le mani.
«Dunque cosa si propone di fare il Dipartimento per risolvere questa situazione?» la incalzò Kreizler.
Lei saggiò il tè bagnandosi appena le labbra dopo aver soffiato sulla nuvola di vapore che si levava dal liquido scuro: «Purtroppo non si sta attuando nessuna strategia né sembra essercene una all'orizzonte».
Laszlo ammutolì, pensieroso. Sara lo studiò da oltre il bordo della propria tazza, indecisa su cos'altro dire. Poi si lanciò: «I vostri studi procedono bene, invece? State facendo progressi?»
«Non ho niente di nuovo con cui stuzzicare il vostro interesse, signorina Howard. Sono finito in un vicolo cieco» ammise, decidendosi a prendere il tè.
Sara immaginò che una simile affermazione dovesse costargli non poca fatica: Kreizler non era il tipo d'uomo che ammette tanto facilmente di aver sbagliato o, peggio ancora, di aver fallito. Perciò le sembrò strano che si fosse sbilanciato così tanto; forse tutto derivava dai postumi del trauma emotivo recentemente subito, dato che aveva pronunciato quella frase trattenendo a stento un moto d'ira.
«Cyrus se la cava molto bene in casa», provò a cambiare ancora argomento, pur sapendo che la risposta seguente, seppure ci fosse stata, sarebbe risultata secca e seccata.
Come da previsione, Laszlo si limitò ad alzare le spalle: «Non mi sono mai potuto lamentare dei suoi servigi, men che meno adesso».
Era inutile provare a fare conversazione. Il Dottore la metteva solo a disagio, come se avesse voluto crogiolarsi nel proprio dolore. Sara trattenne un sospiro e si disse di portare pazienza, perché d'altra parte quell'irritante modo di fare era l'unica risposta che Kreizler aveva trovato per placare la propria sofferenza. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter andare via e porre fine a quel calvario; e dire che era passata solo per restituirgli quel libro!
Fu lui a sospirare, contrariamente a quanto Sara si sarebbe aspettato. Notò i suoi occhi abbassarsi, guardando distratto la trama del tappeto, e l'espressione del suo viso contrarsi dolorosamente: «È dura, molto dura. Mary... La sua assenza grava su tutti noi».
Alla fine lo aveva detto, aveva pronunciato il nome che lo faceva stare male. Una tristezza infinita si sprigionava dai suoi occhi stanchi e Sara, sentendosi impotente, rimase a fissarlo, pur odiando il fatto di non essere in grado di aiutarlo. Non sapeva cosa dirgli, come consolarlo; pensò che sarebbe stato male ancora a lungo, proprio com'era accaduto anche a lei quando suo padre aveva deciso di togliersi la vita. Capiva perfettamente come ci si sentiva a perdere una persona cara, eppure rifletté che doveva esserci qualcosa di diverso nel sentimento che corrodeva Laszlo: d'altra parte, per quanto entrambi profondi, l'amore che si prova nei confronti di un genitore doveva essere di certo differente da quello rivolto al proprio partner. O forse no?
Quell'ultima riflessione la coinvolse tanto da non accorgersi che Laszlo la stava chiamando. 
«...Signorina Howard? Mi state ascoltando?»
Batté le palpebre. Aveva gli occhi secchi – probabilmente era rimasta a fissare il vuoto senza neanche rendersene conto – e il torpore uditivo svanì poco alla volta. Spostò l'attenzione su Laszlo e incontrò il suo sguardo, ora di nuovo risoluto.
«Come avete detto, Dottore?» gli rispose, domandandosi quante volte Kreizler avesse fatto il suo nome.
«I fratelli Isaacson. Vi ho chiesto come stanno».
Sara restò per un secondo perplessa, non riuscendo a capire il perché del quesito. L'istante successivo ricollegò la domanda a quanto si erano detti non molto prima e dedusse che nei momenti di riflessione Laszlo avesse richiesto di cambiare argomento.
«Oh, sì... I sergenti stanno bene, si stanno facendo finalmente strada tra i colleghi, nonostante permanga qualche diffidenza nei loro confronti. È ancora presto per dire se le cose sono effettivamente migliorate per loro, ma il Commissario Roosevelt sta facendo di tutto affinché la loro integrazione nel Dipartimento possa completarsi».
«Capisco. Mi auguro che i vostri colleghi siano tanto lungimiranti da rendersi conto che i loro metodi non sono solo all'avanguardia, ma estremamente efficaci» commentò Laszlo. Poi proseguì: «E cosa mi dite del nostro caro amico in comune? Sono già due volte che lo invito all'opera, ma pare essere molto impegnato. Potrebbe essere una semplice scusa, dato che odia la lirica. Ne sapete niente?»
Sara scosse appena la testa. «Ad essere sincera, è passata quasi una settimana dall'ultima volta che l'ho visto. Ci siamo incontrati a un ricevimento». Si interruppe: a onor di cronaca avrebbe dovuto aggiungere che si era trattato di una festa a cui era stata stranamente invitata, vista la sua abituale lontananza dalla scena pubblica della nobiltà locale, ma si trattava di un dettaglio che poco aveva a che vedere con la domanda di Laszlo. Proseguì: «Mi è parso tutto nella norma, il solito John che conoscete meglio di me. Che non manca di canzonarmi, qualche volta, e soprattutto che si preoccupa troppo per me». Si fermò di nuovo e il ricordo della giornata la travolse. Un lieve sorriso le illuminò il volto e per nasconderlo assaggiò d'istinto un altro sorso di tè.
«Qualcosa vi diverte, Sara?»
Mantenne la tazza salda tra le mani e si prese qualche secondo prima di parlare, cercando di organizzare un discorso che fosse il più sintetico possibile: non aveva molta voglia di raccontare a Laszlo ciò che era successo. Non che fosse accaduto niente di eclatante, al contrario, ma qualcosa dentro di lei la invitava a essere reticente, temendo che Kreizler potesse tentare una delle sue interpretazioni una volta che il resoconto sarebbe finito.
«Stavo solo ripensando», cominciò a dire sommariamente, «a un intervento di John. Si è intromesso nella discussione che stavo avendo con il signor Albert Paine, figlio del padrone di casa».
«Ah, la famiglia Paine», calcò Laszlo. «La loro ascesa sembra inarrestabile, ora che hanno aperto la principale via di commercio tra New York e il Messico. Ma prego, continuate. Cosa è accaduto di preciso?»
Era fin troppo interessato, Sara lo vedeva bene. Lo si capiva dai suoi occhi, dal fatto che avesse riposto la sua tazza sul vassoio d'argento e che avesse assunto una posizione più comoda sulla poltrona, accavallando la gamba sinistra sulla destra e incrociando le dita davanti alla bocca. I meccanismi del suo cervello erano entrati in azione e Sara poteva quasi sentirli scricchiolare, ferrosi.
«Il signor Paine è mio coetaneo. Suo padre conosceva molto bene il mio e credo che sia questo il motivo per cui anch'io sono stata invitata al ricevimento». Fece una piccola pausa e proseguì: «Non lo avevo mai visto e di certo non avrei potuto riconoscerlo tra la folla. Mi si è avvicinato nella confusione e mi ha offerto da bere». Si fermò di nuovo, osservando l'espressione di Laszlo restare imperscrutabile. Chissà cosa stava pensando?
«Eravate sola, signorina Howard?» le chiese, senza tradire alcuna emozione in particolare.
«Non stavo parlando con nessuno, in quel momento. Effettivamente ero un po' defilata», dovette ammettere.
«Mh. Continuate».
Sara riprese: «Abbiamo iniziato a chiacchierare, a fare qualche generico commento sul ricevimento. Solo allora si è presentato ufficialmente».
«Vi siete sbilanciata nel dare un parere sulla festa?»
«Assolutamente no. Ho solo detto di non nutrire un giudizio che fosse davvero positivo o negativo. Era un normale ricevimento in casa di ricchi».
«Credete che il vostro interlocutore ne sia rimasto offeso?» indagò ancora Laszlo.
«Tutt'altro. Il signor Paine ha affermato di non essere un grande estimatore di eventi di questo tipo. E non ho dubbi che fosse sincero», aggiunse sicura.
Vide Kreizler corrugare appena la fronte. «E John?»
«È arrivato più tardi. Ha interrotto un discorso davvero interessante; il signor Paine mi stava infatti dicendo di essere simpatizzante del movimento femminista». Un'altra, piccola pausa: aver trovato – o almeno pensare di aver trovato – finalmente un uomo che supportasse i diritti delle donne l'aveva davvero entusiasmata. Probabilmente sarebbe stata in grado di chiacchierare con lui ancora per ore.
Un'occhiata particolarmente profonda di Kreizler la invitò a riprendere il racconto: «John si è avvicinato all'improvviso, cogliendomi totalmente di sorpresa. Si è messo tra noi, ha salutato il signor Paine e si è complimentato per la bella festa organizzata. Poi mi ha chiesto se non volessi un passaggio fino a casa, dato che lui e sua nonna stavano per andare via».
Stavolta non ebbe dubbi: la mandibola di Kreizler si era contratta. Le era parso che, dietro le dita ancora incrociate, le sue labbra si fossero appena distese in un sorriso, ma non poteva esserne sicura.
«Siete rimasta dai Paine?» le domandò, il tono della voce non decifrabile.
«Confesso che mi sarebbe piaciuto restare ancora, perché la conversazione che stavo avendo era, appunto, molto interessante. Ma alla fine ho accettato l'offerta di John; d'altronde ero arrivata al ricevimento chiamando una carrozza in strada, quindi non c'era motivo per rifiutare».
Laszlo non fece commenti. Si limitò a guardarla per un paio di secondi, ma Sara si sentì comunque a disagio. 
«Siete andati via subito?»
Annuì. «Sì. Ci siamo congedati dal signor Paine e siamo usciti».
«Il signor Paine non ha detto nulla? Non ha cercato di trattenervi?»
Scosse la testa: «Al contrario. Ci ha salutati e lasciati andare. Si è augurato di rivederci presto».
«Anche John, quindi».
Sara ci pensò su. «No», si corresse, «si riferiva piuttosto a me. Ve l'ho detto, stavamo avendo una conversazione molto...»
«Non si è forse comportato galantemente con voi?» la bloccò il Dottore.
«Come farebbe un qualsiasi gentiluomo del suo calibro, immagino. Mi ha detto che sperava di rivedermi presto, appunto, e ho risposto che per me era stato un vero piacere conoscerlo. Era la verità». Zittì. Non gli raccontò che Albert Paine, con fare ammiccante, avesse replicato un "Il piacere è tutto mio, ve lo assicuro" che su due piedi l'aveva lasciata frastornata. Così come si astenne bene dal fare alcun riferimento al baciamano che c'era stato al momento dei saluti, sotto lo sguardo bieco di John. Le era parso che in seguito avesse alzato gli occhi al cielo, ma non ne era completamente certa.
Sorseggiò altro tè. Vedeva Kreizler riflettere, preso da chissà quali teorie che, non ne dubitava, presto le sarebbero state esposte in tutta la loro crudezza. Mentre si chiedeva su cos'altro l'avrebbe interrogata, Laszlo le domandò: «Come è andato il viaggio in carrozza?»
«Non molto diverso da un qualsiasi altro tragitto, Dottore. La signora Moore non ha mancato di profondere complimenti, soffermandosi molto a illustrare i meriti della famiglia Paine e a commentare lo stato delle loro finanze che, come voi stesso avete già notato, sono chiaramente in ascesa».
«Un genere di discorso che non vi ha mai entusiasmata, se non sbaglio».
Sara poggiò la tazza di tè sul vassoio proprio come aveva fatto Laszlo poco prima. «È la tipica conversazione di circostanza. Avete ragione, non la apprezzo molto, ma come ospite della signora Moore non avrei mai osato contraddirla o chiederle di cambiare argomento».
«Quindi è stato questo l'unico tema di cui si è parlato».
Annuì di nuovo. «Della famiglia Paine e poi di Albert nello specifico».
«E cosa si è detto di lui?»
Sara tentò di non sbilanciarsi e con tono fermo disse: «La signora Moore non ha lesinato apprezzamenti su di lui e me ne ha chiesto conferma perché mi aveva visto parlargli».
«La vostra risposta?»
Quell'incalzare stava diventando snervante. Perché gli interessava così tanto?
«Mi sono limitata a ribadire le mie convinzioni e cioè che il signor Paine fosse molto interessante», replicò vaga. Nel finire di parlare, ebbe l'impressione che le palpebre di Laszlo si fossero increspate.
«John non ha detto nulla al riguardo?»
«Se ne è guardato bene. Non ha proferito parola, ha fissato imperterrito fuori dal finestrino per tutta la durata del tragitto. Non ha abbandonato il suo mutismo nemmeno quando sono scesa dalla carrozza».
Kreizler la spiazzò con un sorriso sardonico, che non tentò in alcun modo di nascondere. «Tipico di John» commentò. «Probabilmente si sarebbe lanciato dalla carrozza in corsa, se avesse potuto».
Sara si irrigidì sul divano, la schiena ben dritta: «Non può continuare a comportarsi come un bambino. Io per prima non sono entusiasta di certi discorsi, ma addirittura non rivolgere parola a nessuno...! Non riesco a capire perché debba reagire così».
Calò ancora il silenzio. Laszlo la guardò stupito, come se avesse detto qualcosa di insensato o di inopportuno. «Signorina Howard» spezzò la quiete, «state mentendo. Credo che voi sappiate bene o che almeno immaginiate senza troppo sforzo dove risiede la causa di un simile atteggiamento. Perciò non tentate di prendere in giro me o, peggio, voi stessa. Siete una donna e ai vostri occhi tutto sarà evidente».
Al sentirlo parlare in quel modo, il suo orgoglio fu ferito. Scosse la testa e corrugò la fronte: «Niente affatto, Dottor Kreizler. Se non credete alla mia sincerità, possiamo anche interrompere qui il nostro discorso».
«Sara, mi state davvero dicendo che non sospettate nulla quando le cose non potrebbero essere più evidenti?»
Sospirò, esasperata. «Cosa c'è di così evidente?» sbottò.
Laszlo cambiò posizione. Sciolse le gambe, che aveva tenuto accavallate per tutta la discussione, e si chinò in avanti, fissandola con un sorrisetto che non le piacque affatto. Impiegò qualche secondo prima di riprendere a parlare e quando lo fece usò una voce insolitamente calma, quasi scandendo bene ogni singola parola.
«John è innamorato di voi, Sara. Glielo si legge sulla faccia, nelle attenzioni che vi riserva, nel modo in cui vi guarda. Non ne siete consapevole?»
Se non fosse stata già così rigida, probabilmente sarebbe rimasta pietrificata. Non riusciva a credere che il famoso alienista Laszlo Kreizler, che per mesi lei stessa aveva tentato invano di decifrare, ora stesse parlando con lei dei presunti sentimenti del loro unico amico in comune. Era una situazione folle, paradossale: nessuno di loro era il tipo di persona che indulge ad analizzare quel genere di sentimenti, né tantomeno a rifletterne insieme. Dirle che John era innamorato di lei, poi! Ma come gli era saltato in mente? Non era affar suo, erano faccende private... E poi come lo sapeva? John si era confidato con lui? Sara ne dubitava fortemente, sia perché John era molto riservato in proposito – o almeno lei lo riteneva tale. Chissà, magari aveva sbagliato – sia perché Kreizler non era di certo interessato ad ascoltare i turbamenti sentimentali, a prescindere da chi li covasse. Insomma, era tutto troppo strano. Eppure, nonostante il suo cuore avesse perso un battito quando il Dottore le aveva ripetuto ciò che lei sapeva già da due mesi, non poté non rifletterci su. Ragionò a mente fredda, per quanto le fosse possibile in quel momento, e fu certa di una cosa: Laszlo non sapeva che John le si era dichiarato. Non ne era a conoscenza, altrimenti non l'avrebbe messa tanto alle strette fin dall'inizio del suo racconto. No, c'era dell'altro. E stava a lei scoprire cosa. Perciò, dopo essersi presa del tempo – in realtà non più di pochi secondi – disse risoluta: «Non dubito che mi abbia a cuore, ma non credo che quello che provi sia amore. John... È sempre stato così, si lascia andare a facili passioni di cui ben presto scompare perfino il ricordo. Non sarò mai un passatempo, né per lui né per nessun altro».
Laszlo continuò a osservarla, stavolta senza replicare. Si alzò dalla poltrona e scomparve alla sua vista; Sara dedusse che si fosse avvicinato al pianoforte, a cui lei stava dando le spalle. Evitò quindi di girarsi, sicura che in questo modo avrebbe dato l'impressione di non essere affatto incuriosita o in attesa di commenti da parte sua.
La voce del Dottore stuzzicò le sue orecchie poco dopo: «Ricordate dell'imboscata che ci hanno teso agli inizi di giugno?» le domandò. 
«Certamente», assentì Sara. «Quando stavate tornando dalla visita alla fattoria di Adam Dury».
«La nostra carrozza...»
«Volò giù da un ponte, sì. E siete stati costretti a farvi strada nei boschi, fino a raggiungere la stazione».
«Precisamente. Ma non accadde solo questo». Laszlo si fermò, tornò accanto alla poltrona su cui si era accomodato e si versò due dita di vino. Mentre lo faceva, riprese: «Una grossa scheggia di vetro mi si conficcò nella gamba e temetti di non farcela. Sembrava che stessi perdendo molto sangue e John mi fasciò in fretta la ferita. Nella paura di poter restare ucciso, gli dissi che avevo bisogno che portasse un messaggio a una certa persona: mi rispose che non sarebbe stato necessario, perché nessuno di noi sarebbe morto quel giorno. Così mi aggrappai a lui e continuammo a camminare nel fitto della boscaglia».
Sara lo fissò bere, in attesa di sapere cos'altro le avrebbe raccontato. Kreizler non la lasciò aspettare molto: «Quando fummo finalmente certi che non ci avrebbero seguiti oltre, John mi domandò cosa avrei voluto dirgli. Tentai di cambiare argomento, naturalmente, ma lui aveva capito tutto e mi obbligò a parlare. Così, dopo essermi seduto su un tronco che ci sbarrava la strada, gli confidai che c'era una persona molto importante nella mia vita. Una persona verso cui a lungo avevo creduto di provare solo un potente sentimento di protezione, ma che con il tempo avevo chiarito essere amore».
Quell'ultima affermazione la lasciò stupefatta. Chi avrebbe mai immaginato che Laszlo Kreizler, così impassibile e addirittura insensibile, in realtà nascondesse – e molto bene, c'era da dire – un cuore morbido e suscettibile di passione? Sara fu sorpresa dal fatto che, diversamente da quanto avrebbe inizialmente potuto intuire, fosse stato lui a confidarsi con John e non il contrario.
Il Dottore riprese: «John mi continuava a fissare con un'espressione difficile da decifrare; mi chiese se ero ricambiato e annuii. Mi disse che lo sospettava da tempo e che la donna di cui parlavo era splendida; mi pregò di avere cura di lei. Poi, con un sospiro, mi tese la mano per aiutarmi a riprendere il cammino, dicendo di aver avuto il merito di farmela conoscere». Dopo una breve pausa, aggiunse: «Capite cosa vi sto dicendo, Sara?»
Non rispose, ma la tensione che stava montando in lei si palesò con l'aumentare la stretta sulla tazza di tè, che aveva riafferrato solo per tenere le mani impegnate.
Laszlo proseguì: «Io parlavo di Mary, naturalmente, ma lui...»
«Si riferiva a me» completò lei in un soffio. Aveva gli occhi sgranati e fissi sul vassoio d'argento che le stava di fronte. «Per tutto quel tempo...»
«Ha creduto che io e voi provassimo qualcosa l'uno per l'altra. La gelosia deve averlo divorato, proprio come accaduto nei confronti del signor Paine».
Sara alzò a stento lo sguardo su Kreizler, incredula. Ciò che le aveva appena raccontato cambiava tutto. Cambiava il senso della dichiarazione di John, cambiava il significato della risposta che lei gli aveva dato quando gli aveva detto che desiderava solo ciò che non aveva. Che sciocca era stata!
Laszlo poggiò il bicchiere sul tavolo e la osservò dall'alto. «Signorina Howard», la chiamò con tono insolitamente addolcito e lei sostenne a fatica la profondità dei suoi occhi, «John è il mio più caro amico, il solo che possa definire davvero tale. L'ho già visto innamorarsi e ha amato in modo profondo. Ora, però, è diverso. C'è qualcuno che lo spinge ad essere migliore, qualcuno che lo ha liberato dai demoni del passato. E quel qualcuno, Sara, siete voi».
Aveva preso a tremare e si odiava per questo. Detestava sentirsi e mostrarsi vulnerabile, soprattutto di fronte a un uomo come lui. Si disse mentalmente di stare calma, di placare il battito che le stava sconquassando il petto, di silenziare la voce di John che ora le rimbombava nelle orecchie, così come l'eco di ciò che Kreizler le aveva appena detto. Avrebbe voluto interromperlo e congedarsi da quella casa, ma qualcosa la tratteneva, incitandola a restare per finire di ascoltare quello che il Dottore aveva da dirle. Inspirò piano, mentre Laszlo tornava a sedere di fronte a lei, di nuovo curvo come lo era stato prima di alzarsi. 
«Non dubitate dei suoi sentimenti, non commettete il mio stesso errore» parlò come se avesse voluto farle una raccomandazione. «Ho capito troppo tardi cosa significava davvero Mary per me e quando finalmente me ne sono reso conto l'ho persa proprio per colpa mia. Riflettete su voi stessa e rispondete a questa domanda: chi e cos'è per voi John? Trovate nel vostro animo la risposta che cercate: vedrete, la troverete già lì, in attesa di essere scoperta. Perché, almeno per questa volta, posso dare ragione a John: l'amore risiede nel cuore. Basta solo lasciarlo emergere».
Sara era senza parole. I suoi pensieri si erano imbizzarriti davanti alla pura e semplice realtà dei fatti. Avere inaspettatamente conferma che le intenzioni di John fossero sincere la fece sentire come mai prima di allora: con il morale al settimo cielo e soprattutto con la testa di colpo priva di dubbi, come se questi fossero evaporati via senza avere nemmeno il tempo di rendersene pienamente conto. Che dire di Laszlo, poi? Non riusciva a credere che Kreizler, così come lo aveva conosciuto, potesse rivelarsi non solo tanto prodigo per il suo amico, ma addirittura così spontaneo nell'aprire il proprio cuore a ciò che aveva provato in passato e che in parte sentiva ancora adesso.
«Andate a parlargli», le consigliò ancora. Sara non era abituata a vederlo sorridere – o a provarci proprio come stava tentando di fare, incoraggiante – ma la sua espressione le fece comunque tenerezza. «Siate felici. Ve lo meritate entrambi, dopo aver sofferto così tanto nella vita», aggiunse.
Annuì con un debole cenno della testa, ancora troppo frastornata. Laszlo aveva ragione: sia lei sia John avevano il diritto di vivere sereni. Che lo facessero da soli o insieme non aveva importanza, almeno per il momento; era semplicemente necessario che le cose cambiassero. E mentre rifletteva su tutto questo, si alzò, sentendosi leggera come uno spirito incorporeo, e Kreizler la accompagnò fin nell'atrio della casa.
«Arrivederci, Dottore» lo salutò lei, tendendogli la mano.
«A presto, signorina Howard. Vi prego, non dimenticate ciò che vi ho detto».
Ah, come avrebbe potuto? Non sarebbe riuscita a scordare quella conversazione nemmeno se avesse picchiato la testa contro qualcosa. Assentì ancora con un singolo battito di ciglia e varcò la soglia, scoprendo che il temporale era passato lasciando dietro di sé solo rivoli d'acqua sporca che scorrevano placidi ai limiti del marciapiede. Si voltò e incontrò un'ultima volta gli occhi di Laszlo, fermo dietro di lei e incorniciato dalla porta: «Grazie» trovò appena la forza di dire, domandandosi se il fuoco che percepiva sulle guance non si fosse tradotto in effettivo rossore.
«A presto, Sara» ripeté lui, quasi le stesse impartendo una benedizione.
Gli sorrise di rimando e scese i quattro gradini che le si paravano davanti. Si gettò in strada e imboccò il marciapiede, certa che il Dottore l'avrebbe osservata allontanarsi ancora per qualche secondo. Non sbagliava: nonostante il ticchettio umido delle scarpe contro il manto bagnato della strada, poté sentire il portone scattare con un lieve ritardo. Sorrise all'aria ora fresca e inspirò a pieni polmoni.
Forse doveva seguire il consiglio di Laszlo. Doveva parlare con John e sistemare tutto.
Forse, invece, doveva fare finta di nulla e aspettare, proprio come John le aveva promesso.
Forse doveva soltanto essere felice e abbracciare la vita così come le si presentava. E chissà, presto magari il loro caro amico comune avrebbe deciso di farsi di nuovo avanti. Perché se Laszlo, citando John, aveva ragione e quindi l'amore risiedeva nel cuore, non restava altro che farlo emergere, proprio come lei era riuscita a fare in quel piovoso pomeriggio di fine agosto.

   
 
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