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Autore: _Trixie_    31/12/2019    5 recensioni
Questa “storia” sarà un po’ particolare, perché non è stata scritta per essere una storia unitaria, al contrario. Si tratta di frammenti, di inizi, di progetti mai conclusi, di idee che non ho sviluppato fino in fondo e che lì sono rimaste e che hanno una sola cosa in comune: Emma e Regina.
Così, facendo ordine nel pc, ho pensato di pubblicarle, nonostante la diversità della loro “origine” (alcune risalgono al 2013) e anche della loro forma. Troverete altre note all'interno!
Buona lettura!
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Regina Mills
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note
Ehi <3
 
Come sempre, naturalmente, note chilometriche perché altrimenti non sono felice. Dunque, questa “storia” sarà un po’ particolare, perché non è stata scritta per essere una storia unitaria, al contrario. Si tratta di frammenti, di inizi, di progetti mai conclusi, di idee che non ho sviluppato fino in fondo e che lì sono rimaste e che hanno una sola cosa in comune: Emma e Regina.
 
Così, facendo ordine nel pc, ho pensato di pubblicarle, nonostante la diversità della loro “origine” (alcune risalgono al 2013) e anche della loro forma. L’ordine che ho scelto non è quello cronologico di composizione, ma della storia interna di Emma e Regina: non ci saranno veri e propri nessi logici e potete scegliere di leggere ogni “parte” come a sé stante (ogni frammento è in sé concluso) oppure con un unico filo conduttore (e così si spiega anche la citazione iniziale e il titolo, che riecheggia vagamente il petrarchesco “in rime sparse” che apre il Canzoniere).
 
Un’ultima informazione: i frammenti sono numerati e, accanto a ogni numero, specificherò il punto di vista (Emma o Regina) da cui è narrato quel frammento, per il semplice fatto che non solo alcuni frammenti sono in prima persona e altri in terza, ma la prima persona è talvolta di Emma e talvolta di Regina.
Inoltre, non tutti i frammenti hanno un titolo, ma nel caso lo avessero, indicherò anche questo!
 
Alla fine, vi lascerò informazioni dettagliate sui singoli frammenti, nel caso vi sia la curiosità di saperne di più.
 
Buona lettura,
T. <3

 

 
 
 
In frammenti sparsi
 
 
 
 
When you are in the middle of a story it isn't a story at all, but only a confusion; a dark roaring, a blindness […] It's only afterwards that it becomes anything like a story at all. When you are telling it, to yourself or to someone else.
Margaret Atwood, Alias Grace
 
 
 
 
 
***
 
 
Frammento No. 1, Regina
Prologo
 
 
Ero una bellezza pericolosa. Ero stregata. Ero incantevole.
Di me, vedevi la bellezza immutabile. Di me, vedevi la fredda crudeltà.
Ero una nota che riecheggiava in eterno in una città di cristallo.
Vibravo. E la città vibrava per me.
Tintinnavo e stridevo e la città tintinnava e strideva.
Io ero e non sarei mai cambiata. Così ero e così sarei sempre stata.
A guardarmi, di giorno in giorno, non avresti visto nulla di diverso in me.
Ero lì e lì sarei sempre stata.
In una città che era il mio specchio.
Non mutava e nulla sarebbe mai mutato.
Se non…
E poi l’orologio scattò.
E il tempo tornò a scorrere.
I secondi si inseguivano senza posa, i minuti scivolavano tra le mie mani e le ore passavano e passavano e passavano…
I giorni finivano.
E lei rideva e danzava nella seta della vita e la città rideva e danzava con lei.
La città, ma non io.
Volevo, ma non potevo.
E come avrei potuto?
La desideravo e anelavo ciò che lei era.
Desideravo e anelavo lei.
Non era la mia Salvatrice, eppure mi avrebbe salvato dalla prigione del tempo.
Ma non lo sapeva.
Perché ero così ed ero lì.
E lì e così sarei sempre stata.
E altrimenti non avrei mai potuto essere.
Se non per lei.
 
 
***
 
 
Frammento No. 2
 
 
C’erano cose che Regina Mills non diceva e non avrebbe mai detto. A queste cose, però, Regina non poteva fare a meno di pensare e, tutte quante queste cose, avevano un unico e tormentoso filo conduttore: Emma Swan.
E Regina Mills pensava spesso ad Emma Swan e la osservava in ogni occasione.
Conosci il tuo nemico, si diceva, e saprai come sconfiggerlo.
In realtà Regina capiva perfettamente che ciò che si ostinava ad osservare - la curva del collo di Emma, le onde spettinate dei capelli di Emma, i pantaloni attillati di Emma - non l’avrebbero aiutata in alcun modo a sconfiggere Emma, ma questo in fondo non aveva importanza.
Perché quella donna era comparsa nella vita di Regina come un fulmine a ciel sereno e aveva iniziato a distruggere tutto ciò che aveva pazientemente costruito e atteso: Storybrooke e Henry, il suo Lieto Fine.
E, proprio come un fulmine, Emma aveva illuminato il buio della sua tempesta, rischiando di accecarla. Era stato con orrore che Regina aveva capito che quella luce chiara e potente la affascinava e le piaceva, che quella luce prepotente era in grado di fare ciò che nessuno al mondo era stato in grado di fare da molti e molti anni: darle speranza.
Emma era stata l’unica a poter squarciare quella coltre di nubi nella quale Regina aveva avvolto sé e il suo mondo, l’unica a penetrare in quell’oscura protezione in cui il Sindaco aveva celato il proprio cuore perché nessuno potesse ferirlo, causandole un dolore che non sarebbe mai e poi mai riuscita ad affrontare.
Contro ogni ragione, Regina non riusciva a odiare Emma per questo. Irritazione, rabbia, rancore e, forse, invidia, ma non odio. Regina provava molte cose per Emma Swan, ma di certo non odio.
E la cosa, a parer suo, era alquanto ironica, perché la signorina Swan, a quanto si diceva, era il prodotto del Vero Amore. In che modo, dunque, sarebbe mai riuscita ad odiarla?
Inoltre, Regina non poteva dimenticare, in alcun modo e a nessuna ora, che Emma era la madre di Henry e che lei non avrebbe mai avuto suo figlio se Emma non fosse stata… Emma. E da quando quella donna si era presentata a casa sua ogni cosa ruotava intorno a lei.
Per questo ciò che più spaventava Regina era quel battito leggero, quel battito attutito, quel battito antico che, silenzioso, aveva iniziato a risuonare nel suo petto.
Un battito di cuore, il battito del suo cuore, quello stesso cuore che da anni aveva dimenticato di poter vivere e amare.
Non era solo l’orologio sopra la biblioteca ad aver ripreso il proprio corso grazie ad Emma, ma anche Regina stessa.
Ma Regina non poteva permettersi di pensare ad Emma Swan, né di dare ascolto al proprio cuore. Lei aveva una meta, lei aveva il suo Lieto Fine da inseguire e questo lieto fine di certo non contemplava la madre naturale di Henry.
Anche se, forse, si stava completamente sbagliando a riguardo.
 
 
***
 
 
Frammento No. 3
Cheiloproclitic
 
 
Regina prediligeva le frasi lunghe. Emma non era nemmeno sicura del perché, non le importava nemmeno perché non ascoltava in ogni caso, ma Regina prediligeva le frasi lunghe e le sue labbra articolavano con cura ogni parola, pronunciavano con attenzione ogni sillaba, facevano tintinnare con grazia ogni accento.
Perché le labbra di Regina erano precise e, le labbra di Regina, erano sempre celate da un velo di rossetto rosso che ne accentuava le curve e Emma avrebbe voluto afferrare il mento del sindaco - disegnare la linea delle labbra di Regina con il pollice.
Emma avrebbe anche voluto sapere se fossero morbide, le labbra di Regina, e quale fosse il loro gusto e che cosa sarebbe successo se avesse rovinato il bel rossetto rosso delle labbra di Regina con le proprie.
 
 
***
 
 
Frammento No. 4
Neverland
 
 
«Emma?»
La ragazza si voltò all’istante riconoscendo quella voce, e lasciò cadere la coperta - con le iniziali della Jolly Roger - che stava sistemando a terra.
«Regina?» rispose, schiarendosi la gola, confusa.
«Possiamo scambiare due parole?»
Emma si strinse nelle spalle e i suoi genitori, che si erano già sdraiati a contemplare le stelle di Neverland prima di addormentarsi, si misero a sedere.
Regina si trattenne a stento dall’alzare lo sguardo al cielo. «In privato» aggiunse poi.
La ragazza, che dava le spalle a Mary Margaret e David, sospirò: aveva capito perfettamente dove Regina volesse andare a parare.
Hook emise un grugnito infastidito.
«Certo, nessun problema» rispose Emma. 
Regina annuì e si addentrò nel fogliame e la ragazza lasciò che fosse lei a scegliere la strada. 
Emma non distolse mai gli occhi dalla donna davanti a lei, accertandosi che non ci fossero pericoli.
Infine, Regina si fermò in un piccolo spiazzo, grande abbastanza perché loro due non fossero infastidite da rami e fogliame. Alle spalle di Regina c’era un albero alto, dal tronco ampio su cui si attorcigliava dell’edera. Probabilmente, erano le radici di un albero tanto possente a impedire ad altre piante di crescere nelle sue immediate vicinanze.
Le due donne si guardarono.
Emma, con le mani in tasca, e Regina, con le braccia incrociate sotto al seno.
Faticava a respirare, Regina.
«Ehi» fece Emma, rilasciando il respiro che aveva trattenuto fino a quel momento.
Regina abbassò lo sguardo.
«Ehi».
La sua voce era bassa, spezzata.
«Così mi hai rapita di nuovo, mmh?» continuò Emma, facendo un passo verso l’altra. Tolse le mani delle tasche e le sollevò all’altezza dei gomiti di Regina, senza però toccarla.
«Adoro far impazzire tua madre» rispose questa. Aveva gli occhi lucidi, ostinatamente puntati a terra.
Emma sbuffò appena e Regina alzò gli occhi su di lei.
La ragazza le scostò una ciocca di capelli dal viso. Una calda lacrima scivolò lungo la guancia di Regina.
Emma la strinse a sé.
Con una mano attorno alle spalle di Regina e una tra i suoi capelli, Emma la strinse forte.
Regina si aggrappò alle spalline della canottiera di Emma, nascondendo il volto nel collo della ragazza.
Anche sul viso di Emma scivolavano copiose lacrime.
Nessuna delle due singhiozzava.
Piangevano e basta, lasciavano che il dolore di non avere Henry vicino le inondasse e straripasse al di fuori con quelle lacrime salate.
E si aggrappavano l’una all’altra, per non soffocare.
«Voglio solo il nostro bambino» sussurrò Regina.
Emma annuì, stringendosi ancora di più all’altra.
Regina spostò le mani.
Le fece scivolare verso il basso, fino ai fianchi di Emma e poi dietro di lei, aggrappandosi alla schiena della ragazza.
Rimasero così.
Ferme, immobili, tra le braccia dell’altra.
Era un’intimità, quella che condividevano, che nessuna delle due si era mai permessa di avere con un’altra persona. Eppure, avevano scoperto di averne entrambe bisogno.
Quei loro abbracci, nascosti a tutti, perché nessuno avrebbe capito fino in fondo il loro significato, erano l’unica cosa che impediva a entrambe di cedere il passo alla pazzia.
 
 
***
 
 
Frammento No. 5
Risveglio
 
 
Emma aprì gli occhi e, per una frazione di secondo, rimase immobile nel letto - un letto decisamente troppo morbido rispetto a quello cui era abituata -, poi si catapultò letteralmente fuori dalle lenzuola, con il cuore a mille e i nervi tesi fino all’inverosimile.
Il suo cervello era ancora annebbiato dal sonno, ma Emma era sicura che quella stanza non fosse la sua e non solo per il letto davvero enorme e davvero comodo in cui si era risvegliata.
Il tappeto morbido sotto i piedi, i colori chiari e delicati della tappezzeria, la cassettiera diligentemente accostata al muro, l’ordine impeccabile e quel profumo dolce dal retrogusto amarognolo, tutto sembrava indicare che quella stanza fosse di…
«Regina!»
Emma strabuzzò gli occhi, quando l’ex sindaco di Storybrooke entrò in camera indossando un impeccabile tailleur e un’espressione di pura curiosità.
 «Emma» disse Regina, facendo scorrere un paio di volte lo sguardo dall’alto al basso e poi ritorno, lungo il corpo di Emma, prima di proseguire.
«Non che non apprezzi la visione, ma sono sicura che indossare dei vestiti non ti ucciderà».
Emma scosse la testa e afferrò un lembo del lenzuolo, tirandoselo addosso.
«Ma che cosa-»
Oh, disse il cervello di Emma, quando i suoi neuroni riuscirono a connettere decentemente tra loro, riportandole alla memoria la sera precedente.
Gli shottini al Ganny’s, quelli che avevano bevuto senza riuscire a tenerne il conto, dopo essere tornate al locale con l’intento di discutere la scoperta di cui Henry le aveva messe al corrente.
La risata di Regina, nascosta blandamente dalle mani della donna e che Emma l’aveva pregata di lasciarle vedere, senza coprirla.
I passi confusi fino al numero 108 di Mifflin Street e poi su per le scale, fino alla camera di Regina, dove i cappotti erano scivolati giù dalle spalle stanche, dove la bocca di una aveva lasciato segni sulla pelle dell’altra, dove i capelli erano stati arruffati e i respiri condivisi.
Oh, disse di nuovo il cervello di Emma.
Poi la ragazza lasciò la presa sul lenzuolo e mosse un passo verso Regina.
«Nemmeno togliere questi vestiti ti ucciderà, Regina».
 
 
***
 
 
Frammento No. 6, Regina
Tra gli astri tutti il più stupendo
 
 
E mi sento vuota e smanio…
 
Era stata Zelena a notarlo per prima.
L’anello, dico.
Perché non appena ero entrata nell’appartamento di Mary Margaret e David, mi ero resa conto della strana atmosfera che aleggiava nella stanza.
Snow era insolitamente felice, persino per una con il suo insopportabile carattere al sapore di zucchero e fiori di campo. Henry sembrava turbato, come diviso tra due opposti istinti. Si sforzava di sembrare felice, ma c’era qualcosa che lo frenava.
E poi Emma.
Emma che, non appena mi aveva visto, aveva cambiato espressione, come se si sentisse in colpa.
Ma io, la mente preoccupata a causa della parte più malvagia di me dalla quale sembrava impossibile liberarmi, avrei volentieri rimandato a un secondo momento la confusione e le spiegazioni, perché avevo già abbastanza problemi cui badare e, qualsiasi cosa rendesse Snow felice in quel modo, nella quasi totalità dei casi, sarebbe sicuramente stato deleterio per me.
Per l’appunto.
Zelena, che in quanto pettegolezzi avrebbe fatto invidia alla signorina Lucas, aveva trascinato Emma verso di noi, prendendole la mano sinistra.
Scialbo, ecco come era quell’anello.
Scialbo come il signor capitano Killian Jones detto Hook.
Scialbo come la relazione che lui e Emma avevano.
E tuttavia mi costrinsi a sorridere, con le labbra, almeno, perché ai miei occhi non potevo chiedere altro se non di trattenere le lacrime. Abbracciai Emma, rigidamente, per evitare che vedesse la mia espressione, che leggesse il dolore sul mio viso.
Emma, fiamma ardente nel mio cuore, costante, ricorrente, mai più sopita dal giorno in cui mi hai guardata e salve hai sussurrato alla mia domanda, non solo quella pronunciata, ma anche quella taciuta. Ricordo ancora quello che dissero le mie labbra, lei è la madre biologica di Henry?, e quello che non riuscirono a chiedere: sei tu, che fai battere il mio cuore quasi-morto con tanta vita, una nuova speranza, il mio Lieto Fine?
Forse lo era, Emma, forse avremmo potuto essere molto di più, ogni cosa, forse avevamo bruciato la nostra occasione senza nemmeno accorgercene.
O forse ero io, solo io, a vedere qualcosa che, in realtà, non era mai esistito.
Già, probabilmente era così.
Non avevo perso nulla perché non c’era mai stato nulla da perdere.
Non avevo appena perso Emma, perché Emma non era mai stata mia da perdere.
Illusa, mille e mille volte illusa, dal suo sorriso, dai suoi occhi verdi, dalla sua voce ferma, decisa, sincera che dice io credo in te, come se non solo io, ma anche il resto del mondo dovesse saperlo che lei, Emma Swan, credeva in me, Regina Mills.
Avevo costruito, nel mio cuore, una finzione. Mi ero convinta, e che immenso, irreparabile sbaglio il mio, che tra noi, tra me e Emma, ci fosse un legame speciale, un filo intrecciato con onestà, conoscenza reciproca, fiducia. Ignobile peccato di superbia, da parte mia, credere che Emma potesse ricambiare quello che io provavo per lei, qualsiasi cosa fosse.
E in quella sterminata, arida desolazione in cui si era trasformata tutta la mia anima vi era posto solo per una bruciante sensazione di ingiustizia. Io, senza dubbio, non sarei mai stata all’altezza di Emma, io con il mio passato e le mie colpe e i miei crimini, non avrei dovuto nemmeno sfiorare Emma con il pensiero, perché Emma meritava molto di più, un molto di più che certo non era quella barzelletta di un pirata.
Ma domai la mia rabbia.
Avevamo problemi più urgenti da affrontare che non il mio cuore spezzato – di nuovo, forse irreparabilmente, questa volta.
Perché, in fondo, era stata Emma a scegliere.
Emma aveva detto di sì, no?
Emma, dunque, doveva essere felice.
E questo mi bastava.
 
 
Tramontata è la luna
e le Pleiadi a mezzo della notte;
anche giovinezza già dilegua,
e ora nel mio letto resto sola. 
 
Da bambina facevo un gioco.
Era un gioco molto speciale, a cui solo io potevo giocare.
Pretendevo, con tutta la forza che avevo nel mio piccolo cuore, che il giorno e la notte fossero invertiti o, meglio, che il sonno e la veglia lo fossero: la realtà non era altro che un lungo, vivido incubo, mentre quel torpore senza sogni in cui sprofondavo ogni sera, quel buio, quel nulla privo di tutto diventava la realtà.
Riconosco ora che non era affatto divertente, come gioco, ma certo utile per sopravvivere a una madre come la mia.
Avrei voluto fingere ancora. Avrei voluto chiudere gli occhi, sprofondare in un sonno senza sogni, senza incubi e convincermi che quella era la realtà, che l’annuncio del matrimonio tra Emma e Hook non era che un prodotto della mia fantasia, forse il risultato di un pasto indigesto, troppo pesante.
Ma non ci riuscivo.
Chiudevo gli occhi e rivedevo lei, Emma, accanto a lui.
Allora gli riaprivo e subito gli spifferi di vento tra le finestre mi portavano la voce di miele di Emma che diceva che sì, avrebbe sposato Hook.
Non avevo pace, non avevo tregua in quel letto troppo grande.
Chissà se Emma stava dormendo…
Probabilmente no.
Forse era preoccupata per la situazione che ci trovavamo a fronteggiare o forse non riusciva a smettere di pensare, entusiasta, al giorno del suo matrimonio.
O forse… forse era con Hook.
Ebbi un moto di nausea e mi girai su un fianco.
Odiavo Hook.
Conoscevo bene l’odio, sapevo di odiare il pirata.
Non sopportavo l’idea che a lui toccasse il privilegio di veder riconosciuto il proprio amore da Emma. Amore che, in ogni caso, non ritenevo tale.
Era morboso, quel sentimento che Hook provava nei confronti di Emma, e egoistico e possessivo.
E nocivo, per Emma.
Ma chi ero io per giudicare?
E che posizione credevo di avere nella vita di Emma se credevo di potermi arrogare il diritto di odiare Hook, l’uomo con il quale lei voleva passare il resto della sua vita?
Chiusi gli occhi, strinsi i pugni sotto le coperte, pregai che il nulla diventasse la mia realtà.
Ma il viso di Emma era sempre lì.
 
 
Come il giacinto che i pastori pestano
per i monti, e a terra il fiore purpureo
sanguina.
 
Avevo gli occhi rossi come chi abbia passato la notte insonne.
E, per l’appunto, non solo quella appena trascorsa, ma tutte le precedenti, da quando Emma mi aveva detto che stava per sposare Hook.
«Hai un aspetto orribile» commentò Zelena non appena mi vide, nel tardo pomeriggio.
Scrollai le spalle, non replicai nemmeno. Aveva ragione. Il mio aspetto rifletteva alla perfezione come mi sentivo.
«E sei ancora in pigiama» aggiunse poi, con una smorfia. «Ti senti bene?»
«Come?» domandai, confusa.
Ancora in pigiama? Dovevo cambiarmi? E dove-
Oh. Giusto. Da Emma. Ci aveva invitate per aiutarla a scegliere e provare l’abito da sposa.
Zelena mi squadrò.
«Oh, no».
«Cosa?» risposi, l’irritazione che iniziava a crescere, un flusso di magia pronto a tramutarsi in una palla di fuoco. E al diavolo se, colpendo mia sorella, avessi bruciato l’intera casa. Che bruciasse pure, che il mondo intero bruciasse.
Zelena si spostò dall’ingresso e andò a sedersi in salotto.
«Zelena, se non parli immediatamente ti giuro su quanto ho di più caro che ti riduco a un ammasso di-»
«Sei innamorata di Emma».
Mi zittii all’istante.
Avrei voluto negare.
Provai a negarlo.
Provai a negarlo a Zelena, provai a negarlo a me stessa, come avevo fatto per tutti quegli anni, ma la voce non usciva, la gravità, l’assolutezza del mio amore per Emma mi impediva di parlare, mi impediva di respirare.
Dannazione, dannazione a tutto quanto.
La lampada alle spalle di Zelena esplose in mille pezzi, colpita dalla mia magia.
«Centro» bisbigliò mia sorella, prima di notare qualcosa, in me, forse una scintilla di follia nel mio sguardo, che la spinse ad alzarsi all’istante dal divano e appoggiarmi le mani sulle spalle. «Regina».
La guardai.
La guardai senza vederla davvero.
«Regina!»
Le risposi con un verso di frustrazione.
«Regina, ora andiamo di sopra, ti fai una doccia, scegli uno dei tuoi noiosi completi da anonimo sindaco di una triste cittadina e troviamo il modo di coprire quelle occhiaie. Mi hai sentita?»
L’avevo sentita? Sì, certo.
Mi importava? No.
«Se vuoi avere una possibilità con Emma, allora va’ da lei e dille quello che provi. Ma se scegli di stare in silenzio e soffrire e rimanere nel dubbio per il resto della tua vita, almeno fallo con dignità. Non rimarrò in disparte, guardandoti mentre cadi a pezzi. Nessuno ha il potere di farti questo, Regina, nessuno».
Piangevo.
Lacrime silenziose, pesanti, amare al punto da farmi credere che se qualcuno le avesse toccate, avrebbe finito con l’avvelenarsi all’istante.
Zelena mi strinse a sé. «Sopravvivrai anche a questa, te lo prometto».
 
 
***
 
 
Frammento No. 7, Emma
I cento e uno motivi di Emma Swan
 
Di Regina, Emma avrebbe potuto elencare cento motivi che la spingevano ad odiarla, ma,
di Regina, Emma continuava ad elencare quei cento e uno motivi che la spingevano ad amarla.
 
 
Cicatrice
 
I bambini mostrano le cicatrici come medaglie.
Gli amanti le usano come segreti da svelare.
Una cicatrice è ciò che avviene quando la parola si fa carne.
Leonard Cohen, Il gioco favorito
 
Avevo l'abitudine di tracciare con le dita la linea tenue che le solcava il labbro superiore.
Lei non parlava mai della sua cicatrice e io non avevo intenzione di costringerla a farlo, perché sapevo che apparteneva a un passato che spesso Regina aveva desiderato dimenticare.
«Smettila, Emma» diceva a volte.
Io non la smettevo.
Quella cicatrice aveva un significato preciso, che il mondo avrebbe dovuto capire molto tempo fa e che per me era tutto.
Regina poteva essere ferita.
«Mi piace, la tua cicatrice».
Lei non rispondeva mai, ma sapeva quello che cercavo di dirle.
Non ti ferirò mai più, Regina.
 
 
Bocca
 
Poi la bocca,
che aveva saputo aprirsi alla menzogna,
gemere di orgoglio e gridare di lussuria.
Gustave Flaubert, Madame Bovary
 
Prima di uscire a cena, quella sera, Regina stese con cura un velo di rossetto sulle labbra morbide, definendone i contorni con attenzione.
Era tutta fatica sprecata e lei lo sapeva benissimo.
Finii con il mordere, divorare quella bocca che, per tutta la sera, non aveva fatto altro che chiudersi su lucide forchette d’acciaio e scintillanti bicchieri di vetro, lasciandovi sbiadite macchie rosse.
«Baciami, Regina» sussurrai, le mie labbra che sfioravano le sue.
Lei sorrise e, Dio, quella bocca dal rossetto sbavato era la mia salvezza e la mia rovina.
 
 
Specchio
 
[…] O in mille e mille specchi sorridente
grazia, che da la nuvola sei nata
come la voluttà nasce dal pianto […]
Gabriele D’Annunzio, Versi d’amore e di gloria
 
Credevo che l’ossessione della Regina Cattiva per gli specchi non fosse altro che l’ennesima esagerazione di una storia per bambini.
Ma la casa e l’ufficio di Regina traboccavano effettivamente di specchi, di ogni dimensione e forma, privi di cornice o incastonati in vere e proprie opere d’arte, che riflettevano all’infinito la sua figura. E persino la mia, quando mi trovavo accanto a lei.
E il poter scorgere, in infiniti specchi, il nostro riflesso, non faceva altro che farmi sorridere.
Era quello ciò che vedevano gli altri guardandoci?
Vedevano gli sguardi e quel sottile gioco di movimenti? Quel continuo cercarci e sfiorarci senza mai toccarci e stringersi davvero, lo vedevano?
«Mi piacciono i tuoi specchi» dissi, ammiccando al suo riflesso nello specchio accanto al mio.
«Anche a me. Illuminano la stanza, non trovi?»
 
 
Domande
 
Le domande alle quali è più difficili rispondere
sono quelle la cui risposta è più ovvia.
George Bernard Shaw
 
Ti amo, avevo detto.
Non di proposito, non dico mai nulla di importante di proposito, mi era semplicemente sfuggito dalle labbra. E lei mi aveva guardato, con quegli occhi scuri. E spaventati.
«Cosa hai detto?»
Era una domanda semplice, ma mi trovai incapace di rispondere.
Avevo detto troppo.
Avevo detto che, per come stavano le cose, avrei passato il resto della mia vita con lei.
Avevo detto che l’avrei aspettata, se ce ne fosse stato bisogno, ma che avevo scelto lei.
Avevo detto quello che provavo per lei, per Regina.
Eppure, ora non sapevo rispondere.
Cosa hai detto?
«Ti amo» dissi di nuovo e Regina mi baciò ad occhi chiusi, per sentirlo davvero.
 
 
Fragilità
 
Era un volto che l'oscurità avrebbe potuto uccidere in un istante,
sia la luce sia una risata potevano ferirlo.
Lawrence Ferlinghetti
 
A scuola ti insegnano che il diamante è il materiale più duro presente sulla terra.
Risulta impossibile spezzare, rompere o persino scalfire un diamante, ti dicono.
Stronzate.
Personalmente, ero un’adolescente scettica e insofferente dell’apatia che si respirava nelle aule scolastiche, per questo non ci ho mai creduto.
E quando conobbi Regina ne abbi la conferma.
Lei era una rarità, e non sono perché non capita spesso di dividere un figlio con la Regina Cattiva, ma soprattutto perché aveva mille e una sfaccettature.
Era preziosa, un capolavoro della natura.
Come il diamante. Solo che, come il diamante, era incredibilmente fragile.
Il fatto è che, se conosci la giusta angolazione con cui colpire il diamante, questo si sgretola tra le tue mani, in mille piccoli pezzi.
Per questo Regina mi temeva. Perché io ero la sua giusta angolazione.
 
 
Casa
 
Era un profumo che mi investiva ogni volta che aprivo la porta e mettevo un piede all’interno.
A volte sapeva di arrosto, altre di cioccolato. Oppure sapeva di pulito, dello shampoo di Regina o del bagnoschiuma di Henry.
Stentai a credere a quel profumo inaspettato, una sera, che mi suggerì la presenza di mia madre e di Regina sotto lo stesso tetto, nonostante l’assenza di insulti o improperi.
Sapeva di dopobarba, la prima volta in cui nostro figlio si rasò, e sapeva di fiori in primavera e di legno scoppiettante in inverno.
A quella sensazione, probabilmente, non mi sarei mai abituata.
Ma era un profumo che avrei riconosciuto tra mille e che mutava di giorno in giorno, raccontando la nostra vita, pur rimanendo lo stesso. Era il profumo di un posto in cui tornare, di un posto in cui c’era qualcuno ad aspettarmi.
Era il profumo di casa, era il profumo di Regina. 
 
 
Unghie
 
Ed erano le sue unghie, laccate oggi di rosso, domani di nero, che percorrevano l’arco della mia schiena, seguivano i miei fianchi, scivolavano lungo le gambe e poi risalivano, leggere, lentamente, fino alla mia spalla.
Le sue unghie, che disegnavano piccoli cerchi e spirali e linee invisibili, delicate e diafane.
Unghie impeccabili che avrebbero potuto lasciare scie rosse sulla mia pelle, e tuttavia vi danzavano semplicemente sopra e mi facevano rabbrividire, in quelle mattine d’estate in cui tutto il mondo si risolveva in Regina che era lì, con me e per me, e che lì sarebbe rimasta. 
 
 
Fianchi


Regina osservò la propria immagine riflessa nello specchio, come era solita fare ogni mattina prima di uscire di casa.
La guardai divertita, mentre torceva il busto per controllare come la gonna le fasciasse il corpo.
«Smettila di preoccuparti, stai benissimo. Come sempre, comunque» dissi, mettendomi a sedere tra le lenzuola del nostro letto.
«Lo so».
Mi soffermai con lo sguardo sui suoi fianchi, lo feci scivolare dolcemente fino alla base della schiena. Molto alla base.
Regina intercettò il mio sguardo nel riflesso dello specchio e mi sorrise compiaciuta.
«Alza gli occhi da lì, Emma, prima che ti cadano a terra».
 
 
Scarpe
 
Scivolai fuori dalle coperte silenziosamente, per non svegliare Regina.
Mossi incerta qualche passo al buio prima di inciampare e aggrapparmi all’angolo di un mobile, forse la cassettiera.
Imprecai.
Regina accese la luce. «Sei impacciata quanto tuo figlio» biascicò.
Risposi con una smorfia prima di individuare l’oggetto sul quale ero inciampata.
«E tu sei disordinata quanto tuo figlio. Non si lasciano le scarpe in giro» dissi, facendole il verso mentre lanciavo una delle sue scarpe, nere, lucide, tacco vertiginoso, sul letto accanto a lei.
«È colpa tua. Eri impaziente ieri sera» disse lei con un grugnito, spegnendo di nuovo la luce.
 
 
Età
 
«Oh, andiamo, Regina!»
«Emma, non ho la minima intenzione di dirtelo!»
La seguii nella nostra camera da letto e per poco non andai a sbattere contro la porta del bagno che si chiuse dietro di lei con un colpo secco.
«Regina!» protestai, toccandomi il naso per controllare che fosse tutto a posto.
«No».
«Regina! Tra tre giorni ci sposiamo, non puoi tenermi nascosta la tua età!» protestai.
La porta si aprì. «In realtà posso» bisbigliò Regina, in tono cospiratorio, uscendo finalmente dal bagno.
«Ma tra tre giorni ci sposiamo» ripetei, in tono esasperato.
Lei mi guardò, come se non cogliesse il problema che mi affliggeva e io sbuffai, risentita, prima di cacciarmi sotto le coperte.
«Un giorno, Regina, scoprirò quanti dannati anni hai».
«Forse, ma non oggi» rispose, spegnendo la luce.
 
 

 

 
NdA
Ehi, prima di tutto grazie per essere arrivati qui e complimenti al coraggio!
Ho pensato che pubblicare tutte le parole che in questo decennio, per un motivo o per l’altro, non avevo pubblicato (o nemmeno concluso) fosse un bel modo per salutare il 2019.
 
Qui sotto, vi lascio i dettagli di ogni singolo frammento. Naturalmente, se una delle idee originarie dovesse piacervi e decideste di scriverla, io ne sarei più che felice (basta che me lo facciate sapere!).
 
Grazie ancora e, soprattutto, vi auguro un Buon 2020!
A presto,
T. <3  
 
 
 
Frammento No. 1, Regina – Prologo: Dunque, questo risale al 7 agosto del 2015 e il titolo è Prologo perché si presupponeva che fosse il “prologo” di una long (che non ho mai scritto, primo capitolo non concluso a parte). Il titolo della long avrebbe dovuto essere “Will you still love me?” perché l’idea era venuta grazie a Young and Beautiful di Lana del Rey. Non si trattava esattamente di una AU, forse più una What if? che prendeva inizio dalla prima stagione. Alla base vi era l’idea di una più stretta connessione tra Regina e la città e quindi, se la Prima Maledizione fosse stata spezzata, ne avrebbe risentito anche lei, invecchiando di ventotto anni in pochi minuti per poi morire. A spezzare la Maledizione sarebbe stato il bacio tra lei e Emma, non il primo in assoluto, ma quello subito dopo il momento in cui Regina ammette di essersi innamorata della signorina Swan (che nel frattempo ha capito un po’ tutta quella storia della Maledizione). Insomma, c’era proprio un progetto chiaro e preciso, che poi alla fine… puff.
 
Frammento No. 2: In tutta onestà, non ho idea di quale sia l’origine (o la ragione) di questo frammento. Risale al 22 ottobre 2013 (buon compleanno, signorina Swan!). Tra l’altro non sono nemmeno sicura di NON averlo mai pubblicato, può anche essere che io l’abbia inserito in un'altra long. Chissà.

Frammento No. 3 – Cheiloproclitic: Cheiloproclitic significa “essere attratti in senso erotico dalle labbra di qualcuno” e direi che si spiega da sé, signorina Swan. Si tratta di una drabble (abbondante, perché io le scrivo solo abbondanti, di 131 parole) che risale al 5 luglio 2019 (il frammento più recente).
 
Frammento No. 4 – Neverland: E su questo ho ancora più dubbi sull’averlo pubblicato o meno. Sono abbastanza sicura di no (abbastanza). In caso contrario: ops. In ogni caso, si trattava di una flash-fic (sono 506 parole, secondo word) basata su un’interpretazione molto ampia del prompt “il cattivo rapisce l’eroe”.
 
Frammento No. 5 – Risveglio: Si tratta di una flash-fic (349 parole) che era nata per un prompt su ask.fm (ommioddio quanto tempo), che era appunto “risveglio”. In tutta onestà non ricordo chi suggerì il prompt (se è qualcuno di vuoi, sarei felicissima di saperlo **). La flash-fic risale al 16 febbraio 2015.
 
Frammento No. 6, Regina – Tra gli astri tutti il più stupendo: Dunque, le citazioni in versi (a destra e in corsivo) di questo frammento, insieme al titolo (Tra gli astri tutto il più stupendo) sono di Saffo. L’idea era di scrivere una shot seguendo i versi di Saffo e che doveva essere molto più lunga (se non ricordo male, in sette parti) e per nulla allegra. Forse è stato meglio non averla conclusa. In ogni caso, risale al 20 luglio 2017.
 
Frammento No. 7, Emma – I cento e uno motivi di Emma Swan: Non ho idea di quando pensai a questa raccolta per la prima volta, sicuramente ero ancora al liceo (quindi… Non so, 2014? 2015?). L’idea era di prendere 101 aspetti di Regina (non solo fisici) e raccontare perché Emma li amasse con una drabble ciascuno (alcune di quelle pubblicate sono effettivamente di 100 parole tonde, altre no). Ne ho scritte circa una ventina (e no, le altre non vedranno mai la pubblicazione perché sono assolutamente da scartare), nell’arco di diversi mesi se non anni. Non credo la concluderò mai, anche se mi piacerebbe.


 
   
 
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