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Autore: Aperonzina    05/01/2020    1 recensioni
Da sei anni Carlo sente che la sua vita è in pausa, non riesce ad andare avanti a causa di un evento il cui solo ricordo non gli da pace.
Passa ogni anno aspettando quello successivo, intrappolato in quel terribile autunno di sei anni fa.
La spensieratezza e intraprendenza che aveva da giovane ormai sono sparite, la sua vita è monotona e proprio nel momento in cui sentirà di starsi abituando a questa situazione, ecco che il suo passato tornerà a galla e questa volta per lui sarà impossibile ignorarlo.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
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Da quella sera i miei incubi si erano come moltiplicati.
Nei miei sogni, al posto di un volto pallido e malato, ora c’era l’insistente voce di Arianna che mi accusava.
Ero stato io ad ucciderla, era colpa mia, così diceva.
Mi tolsi il lenzuolo di getto e aprii le tapparelle, ero stanco, quella maledetta non poteva darmi problemi anche da morta, non poteva incolparmi della sua malattia, non ora, non più.
Mi irritava pensare a lei così intensamente e francamente lo trovavo ingiusto. 
Avevo impiegato davvero tanto tempo per prendere la decisione di andarmene.
Trasferirmi a Brescia, parecchio lontano da casa, non era stata una scelta semplice, lontano da tutti, da lei, da quella che avevo sempre reputato la mia famiglia...
Non era stato semplice ma l'avevo fatto, perché il luogo in cui sono cresciuto non rappresentava più da tempo la mia casa, quelle persone non erano la mia casa, Arianna stessa non lo era più.
E ora era morta e se non era mai stata la mia famiglia, allora proprio non capivo perché avrei dovuto permetterle di tormentare le mie notti.
 

Mi stavo lavando la faccia quando il campanello interruppe il mio riflettere. 
La mia mente, intenta ad assecondare quei pensieri disfunzionali e malati, mi portò davanti alla porta di ingresso che indossavo ancora i pantaloni del pigiama e una canotta grigia, ma in quei giorni non mi importava granché delle apparenze, quindi aprì semplicemente la porta, con l’intenzione di cacciare chiunque avesse osato disturbarmi, di rifiutare qualunque venditore porta a porta o missionario della chiesa. 
 
Quando i miei occhi si scontrarono con quelli dell’ospite indesiderato, temetti di cadere a terra, perché la testa aveva iniziato a girarmi non appena i suoi occhi si erano posati su di me.
Capelli rossi e mossi, un viso fine e pallido dai lineamenti appuntiti e gli stessi occhi scuri che mi perseguitavano da sei anni nei miei incubi.
Persi un battito e trattenni il respiro per qualche secondo, lei si avvicinò di poco, come per darsi coraggio, le due fedi che portava al collo, legate insieme da una catenina, fecero un rumore fastidioso che sembrò penetrarmi i timpani e le sue labbra sottili che si arricciarono in segno di disappunto mi riportarono alla realtà. 
«Ehi» disse secca.
Quando ebbi finito di boccheggiare, mi schiarì la voce, il suo forte accento Friulano lo riconobbi subito, era quello che avevo sentito per tutta la mia infanzia e adolescenza.
Se pur arrivasse appena all’altezza del mio mento, e avesse una corporatura decisamente gracile, non potevo fare a meno di sentirmi agitato.
Non ci eravamo mai visti ma sapevo esattamente chi fosse, erano le sue intenzioni che non mi erano chiare.
«Che cosa vuoi?» fu tutto quello che riuscì a dire.
Lei si strinse nelle spalle, forse stupita dalla mia reazione e assunse un’aria di scherno, osservando la mia figura impallidita.
Sorrise appena «I nonni mi hanno detto che dovrò restare qui per i prossimi tre mesi» disse semplicemente.
Io corrugai d’istinto le sopracciglia «Cosa?».
«Ecco lo sapevo» esordì lei afferrando il manico della sua valigia distrattamente, «non ti hanno avvisato vero?» continuò scocciata.
Non riuscivo a capire se mi stessero facendo un brutto scherzo o se mi trovassi davvero in quella situazione assurda «Non c’è nulla che posso fare per te, mi spiace» dissi rigido.
Per un momento avevo sperato che sarebbe bastato così poco per farla andar via, ma la ragazza si alzò sulle punte, circospetta, tentando di sbirciare dentro casa «Beh, ho affrontato un viaggio di tre ore su un treno regionale, sporco e scomodo, ho vagato in questo paesino desolato per almeno trenta minuti prima di trovare questa casa» annunciò con un’apparente tranquillità che sembrava poter crollare da un momento all’altro »tutto, perché mi è stato detto che avrei dovuto lasciare la mia casa e venire a stare qui per qualche mese» continuò, il tono della voce ora nascondeva una punta di amarezza, «ora, mi spiace che tu non sia stato avvisato e tutto il resto, ma dopo il viaggio che ho dovuto affrontare, non ti sembra il minimo farmi entrare? Sai, anche solo per fare pipì».
Inizialmente rimasi sorpreso, il suo menefreghismo era ammirabile, chinò la testa da un lato, in attesa di una mia risposta.
Mi scappò uno sbuffo d’ira «Bastardi» dissi frustrato.
«Uhm, già, la gente è orribile, quindi? Vado? Resto? Mi faccio una passeggiata e intanto ci pensi?» rise alla sua stessa battuta.
Corrugai le sopracciglia a quella domanda, la sua impertinenza era incredibile, se in un primo momento mi aveva ricordato Arianna, il suo tono di voce e le sue parole acide mi fecero ricredere, comunque, non osai controbattere «I Tuoi nonni ti hanno detto di venire qui?».
La giovane annuì pensierosa «Più che altro mi hanno preso un biglietto di sola andata per Brescia e mi hanno spedita da te, però si, vedila un po’ come vuoi, non credo faccia la differenza».
Scossi la testa, al pensiero di quei due «Beh, qui non puoi restare, mi spiace» feci per chiudere la porta, non volevo saperne nulla.
Mi sorpresi quando mi accorsi di non essere riuscito a chiudere la porta e sentì uno strano rumore di ossa rotte, seguito da un urlo «Ahi!»
Spalancai nuovamente la porta, sbalordito, trovandola la ragazza in piedi su una gamba sola, mentre teneva tra le mani il piede destro con gli occhi lucidi dal dolore «Ma sei scemo?».
«Ma cosa?» esclamai allarmato, «sei tu che hai infilato il piede mentre chiudevo».
«Beh che altra scelta avevo?» chiese massaggiandosi il piede.
Quindi lo aveva fatto intenzionalmente? «Fa tanto male?».
«Ti stavo parlando! perché cavolo hai chiuso?» mi rimproverò, poi alzò lo sguardo, «davvero vuoi farmi tornare in città e affrontare tutto il viaggio da zoppa?» chiese indignata.
«Che? Ehm… è così grave?».
«Credo di non poterlo appoggiare» rispose infuriata lei, cercando di poggiarlo a terra, strizzando gli occhi per il dolore.
«Ok, senti mi spiace» cercai di mantenere la mia rigidità, ma da quando l’avevo incontrata, per qualche ragione non era stato semplice, «non puoi camminare?».
«Forse… ma fa un male cane» continuò adirata.
Era l’ultima persona con la quale avevo voglia di passare del tempo, ma erano le undici del mattino e nonostante fosse autunno il sole era pesante da sopportare quel giorno, per non parlare del fatto che aveva appena affrontato un viaggio di almeno tre ore per arrivare a casa mia e scoprire di dover tornare indietro, e per concludere in bellezza, le avevo pure schiacciato un piede nel tentativo di sbatterla fuori di casa, questo era troppo anche per me «Senti hai mangiato qualcosa in viaggio?» cedetti infine.
Lei rivolse nuovamente il suo sguardo su di me e mi venne quasi istintivo indietreggiare, come se il solo guardarmi negli occhi fosse una minaccia.
Scosse la testa in negazione «Non avevo soldi con me» spiegò «e l’idea di chiedere ai nonni mi disgustava».
Non commentai la sua affermazione, almeno su una cosa eravamo d’accordo «Senti, intanto entra in casa, puoi pranzare qua e riposarti un po’, poi vediamo cosa fare» ero disposto a riportarla a Pordenone in auto se voleva dire togliersela di mezzo.
Stava per rispondermi, quando una voce da dentro l’abitazione ci interruppe.
«E lei chi è?»
Mi voltai sorpreso, Vanessa, mi ero quasi dimenticato che aveva passato la notte da me.
La osservai stupito, sì, mi ero appena ricordato della sua presenza e non me ne vergognavo affatto.
In quel momento avrei voluto solo che se ne andasse, che se ne andassero entrambe, avrei voluto restare solo per sempre e soprattutto evitare quella domanda.
Così, la gola secca e la voce tremante, le risposi «Lei è mia nipote».
 
Note dell’autore: Ciao! Questo capitolo è un po’ diverso dagli altri e un po’ più lungo, non sono sicura di essere riuscita a mantenere la solita atmosfera ma spero che comunque il capitolo funzioni abbastanza bene, se avete consigli fatemelo sapere!
Spero comunque vi sia piaciuto, grazie di essere arrivati fin qui.
   
 
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