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Autore: Manto    06/01/2020    1 recensioni
Dal testo: " «So tante cose su di te, su noi due insieme; ma la più importante sta nel fatto che, se anche dovessimo essere separati o lontani, o fossi io a perdermi, in qualche modo continuerai a sentirmi e mi farai ritrovare la strada di casa. E ciò può bastarmi.»
«Condividere il destino porta anche a questo, Takane mia; e se si ha la stessa voce ancora di più.» "
Di amore, promesse e situazioni che solamente il coraggio fa vivere, e l'empatia favorisce.
Tutta per Angie96.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arataka Reigen, Katsuya Serizawa, Nuovo personaggio, Toshiki Minegishi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: i personaggi sotto presentati non mi appartengono, a eccezione di uno.
L’OC Takane è una creazione della cara Angie96, che me l’ha ceduta per quest’occasione.
La storia è stata scritta senza scopo di lucro.

 

 

 

Cwtch

 

{Cwtch: termine gallese che descrive l’abbraccio capace di darci protezione e rifugio dal dolore,
generalmente riferito a quello della persona che più amiamo.}

 

 

 

Il primo giorno, Lei si sveglia — è così da anni, mai nulla cambia. Si sveglia, si riconosce e ricorda sé stessa, ma è troppo debole per levarsi e così rimane ancora avvolta nel suo sonno, in attesa di poter ritornare.
Il secondo giorno, preghiere e sussurri le danno la forza necessaria per risorgere, così che alla terza alba il suo sospiro inizi ad attirare attenzione e divenga il battito di un cuore a stento udibile nella confusione della città, ma racchiuso nelle sue viscere e portato ovunque. È un richiamo che non tutti percepiscono, perché Lei è esigente e non si accontenta facilmente; ma non un anno passa senza che abbia scelto qualcuno,
e che non l’abbia ottenuto.

 

 

Un tramonto calmo immerge la città: i palazzi sfaldano i profili nell’ultimo chiarore del giorno, le case accendono le proprie luci e l’ombra della luna nasce all’orizzonte, in attesa d’illuminare la via dei notturni viaggiatori. La brezza della primavera danza con le persone e i loro pensieri, disperde e convoglia echi e profumi, crea melodie agli angoli delle strade e giunge fino alla giovane donna che, non molto distante da quei giochi delicati, osserva ogni cosa senza farne realmente parte.
Dopo un’intera mattina di follia, in casa Kaminami c’è finalmente silenzio, come se tutti coloro che l’hanno riempita di passi, richiami e parole siano svaniti o abbiano perso la voce, oppure abbiano dimenticato il motivo per cui sono giunti lì: quella futura sposa che guarda e si guarda dal mondo intero.

Distanza.
Takane prende un ennesimo, forte respiro e appoggia la testa contro il vetro della finestra che la separa dalle prime stelle, mettendosi più comoda sul davanzale che occupa da ormai troppo tempo per definirlo semplicemente “qualche ora”. Ciò che contempla è un panorama diverso da quello che spesso ammira nell’appartamento di Reigen, così che gli occhi volano su un bel giardino e non su mura di case e cieli senza confini; e anche se non sarà mai abbastanza grata ai genitori di Umiko-senpai per aver deciso di ospitare lei e la sua famiglia in vista della cerimonia, in verità vorrebbe avere intorno a sé la casa del giovane… magari con lui vicino, o presente in qualche modo.
Malinconia.
Non è il comportamento che vorrebbe adottare in un momento simile — dovrebbe essere al massimo della gioia! Scappare da parenti troppo invadenti e domande ancora più imbarazzanti, nascondersi in qualche angolo della casa con le senpai e sfogare ogni parola che le brucia la lingua, liberare i desideri e le ansie per il giorno seguente… non di certo starsene in silenzio; ma, semplicemente, non riesce ad agire diversamente e allora preferisce avvolgersi nella tranquillità che alla fine hanno voluto concederle, perché ad ora la solitudine è l’unica amica di cui sente il bisogno.
Anche la vista degli splendidi girasoli che il gentile Mob le ha portato, primo fra tutti e con il regalo più gradito, non l’aiuta molto, né lo fa il ricordo del lieve, entusiasta rossore sulle guance di quel giovane uomo dal cuore grande: la mente è costantemente percorsa dalla fitta che ha sentito fin dal mattino presto, quando ha aperto gli occhi sull’aurora e ha trovato il letto di Arataka vuoto, privo del suo calore.
La notte si è portata via l’ultimo contatto tra loro, e il suo animo si è mosso.

Che cosa ti aspettavi? Domani vi sposate, immagina tutte le cose che doveva fare!
Non può pensare solamente a te, sai?
Come se non fosse mai successo di trovarvi separati, poi…

Takane annuisce alla sua voce interiore, dandosi sì della stupida ed egoista per sentirsi così svuotata, ma solo in parte.
Una ragione c’è.

Preoccupazione.
La sua testa non ne vuol sapere di rimanere in silenzio, si lamenta contorce e agita non per l’ansia di ogni sposa prima del suo giorno più importante: le forme che assume sono simili al dispiacere per qualcuno, o a una paura che deriva da memorie buie, neanche tanto lontane. Ma questa non ha motivo di esistere, non più… o invece sì?
Ding. Forse è più di un messaggio, una vera chiamata — magari quella che più attende, ma la ragazza non la sente: rimane invece concentrata su quello che si sfoca al di là della finestra, verso un orizzonte che improvvisamente le si è dipanato innanzi.
Il vago malessere assume figura e nitida voce, la rende consapevole e mentre le dà una fitta di tristezza, la fa anche respirare. I pensieri sono liberi di raggiungere una meta precisa mentre la loro proprietaria, intanto, non può fare a meno di alzare il capo per fissare la luna, ora quasi sfacciata nel suo lucore e più grande del solito; e per un istante Takane crede d’intravedere degli occhi nelle macchie che sporcano la sua perfezione, orbite nere che l’interrogano — che piangono. «Lo so che la stai chiamando e la ricordi ogni notte», sussurra allora la mora, «era una tua compagna. Forse… forse ti devo una storia, ed è proprio questo che ti ha fatto avvicinare.»
Strisce di rosso che persistono nel viola, tracce di sangue nella memoria della terra.

Perdita.

 

 

 

♦♦♦

 

 

 

Il quarto giorno, Lei lamenta chi è perduto; il quinto, sceglie colui che farà smarrire.

 

 

Qualche mese prima, 30 dicembre.

 

È il sentore della neve che le fa aprire gli occhi: il freddo pungente e il profumo dell’aria pulita, intrisa d’incontaminato candore.
Takane si scuote con lentezza e sbatte le palpebre due, tre volte: ci mette un istante a riconoscere la macchina in cui si trova, quindi si raggomitola di più sotto la giacca che le è stata messa addosso, cercando ancora il sonno. Nonostante abbia aperto gli occhi più volte, il bianco spettacolo non è riuscito a penetrarle davvero nella mente e lei non l’ha compreso; poi, le sensazioni del mondo riescono a vincere e la ragazza si desta completamente, liberandosi dal caldo dell’abitacolo per il bacio gelido dell’esterno.
A poca distanza dalla ragazza e dal bosco che sta a lui di fronte, al centro dell’ora bianca distesa che separa i primi alberi dall’ombra della città, Reigen è l’unica macchia scura nel paesaggio immacolato, figura senza rumore e quasi appartenente a un’altra realtà; così Takane gli si avvicina con delicatezza, il terreno che si frantuma in guizzi di luce a ogni passo.
Il giovane interrompe la contemplazione della Natura e si volta immediatamente, attendendo di avere la ragazza al suo fianco per godersi in tutto quello sguardo bruno che gli occhiali non possono nascondere, e sorride ancor prima che lei sfoderi un’espressione di finto cruccio. «Dovevi svegliarmi subito.»
«La principessa stava dormendo troppo bene per sentire i miei richiami.»
«Evidentemente non sei stato abbastanza convincente.»
«Evidentemente hai fatto di tutto per non sentirmi.»
Takane alza gli occhi al cielo e si stringe nelle spalle senza rispondere, restando immobile per qualche tempo; poi è lesta ad abbassarsi per afferrare una manciata di neve e compattarla nella mano, tirandola dritta in faccia al compagno. «Battaglia!», urla quindi, saltandogli addosso e rovesciandosi con lui, incapace di non ridere.
«Che sleale, Takane, questo è stato veramente un colpo basso», protesta il biondo con un ghigno e mentre l’afferra per la vita, ben determinato a fargliela pagare. La contesa si popola ben presto di grida e risate, e la calma del luogo si sfalda nella tempesta di cristallo nella quale si affrontano, rotolando e afferrandosi, lottando per la supremazia su quella landa di nessuno, rifiutandosi di cedere troppo facilmente e trarre, invece, il massimo divertimento dai loro sforzi; quasi fosse la prima volta che si scoprono innamorati — e sono già passati quattro anni da allora.
Tutto ciò che hanno vissuto insieme, quanto li lega e scorre nel sangue di entrambi respira insieme a loro, percepibile sia da distanti che fianco a fianco; ma è nel momento in cui si fermano, con il fiato spezzato per i giochi e dalle risate, che tutto si sente di più, nell’istante di una tregua e mentre si stendono sulla coltre bianca.
«Gli altri vorranno sapere se siamo tornati senza problemi. Saranno ore che non ci facciamo sentire», sussurra la giovane dopo qualche attimo di silenzio, seguendo le danze di luce intorno a sé.
«Sei con me, Takane; gli altri sanno già che stai alla grande.»
La mora sorride, scuotendo appena il capo; quindi si rotola fino a finire tra le braccia del giovane, un’idea improvvisa che le brilla nello sguardo. «Ci facciamo una casetta?»
Senza attendere una risposta, prende l’altro per mano e lo fa alzare, per poi correre fino alle porte della selva. «Su, vieni! Facciamola qui, dove la neve è ancora intatta.»
«Lo sarà ancora per poco con te, terremoto ambulante.»
«Non tutti possono fare i bambini ventiquattr’ore su ventiquattro, Arataka; devi concedermi i miei momenti.»
Reigen ride sinceramente e l’aria si riempie del suo vibrare, così come il terreno e il bosco; avanza verso la compagna ma poi scarta di lato, prevedendo la mossa di questa d’inseguirlo, e corre avanti.
In quel momento e per un’oscura ragione, Takane vede il mondo farsi buio e aguzza lo sguardo verso gli alberi innanzi a lei: un riflesso involontario del corpo, una sensazione simile a un brivido che se ne va tanto improvvisamente quanto è arrivata.
La mora non sposta lo sguardo per altro tempo ancora; poi, le braccia del biondo le raggiungono le spalle e la scuotono dolcemente, il suo volto diventa tutto ciò che vede.
«Va tutto bene, tesoro? Sei stanca?»
«Sto bene, sì», sussurra lei, «è tutto a posto.» Non sa cos’è successo, così non può spiegarlo neppure a sé stessa; quindi è difficile da trattenere e inizia a sfaldarsi in poco tempo, specie dopo che il giovane l’abbraccia forte e le posa un bacio sulla fronte. «Brutta notizia: la casetta non si costruirà da sola… proviamo a finirla prima che venga il tramonto?»
La giovane ritorna a sorridere, annuisce; non pensa più alla buia sensazione…
… E tuttavia, una volta vinta la sfida contro il tempo e al momento di andarsene, getta nuovamente un’occhiata all’intricata selva che li ha visti passare quei momenti insieme; nell’animo la interroga di qualcosa che non sa, mentre con la coda dell’occhio vede che anche Reigen si gira verso lo stesso punto, indugiando un istante più di lei e mutando espressione in una luce nuova, simile a quella che scende ad avvolgere gli alberi in una cortina fumosa e nell’incedere della silenziosa sera.
«Andiamo, amore? Inizia a fare freddo qui.»
Un breve silenzio, un sorriso che allontana il buio — quale buio, però?
«Andiamo.»

 

 

 

 

Il sesto giorno, Lei sogna; il settimo, tesse una vita insieme.

 

 

1 gennaio.

 

Ricordati di dirmi il tuo primo sogno dell’anno, mi raccomando.
E se non ne dovessi avere?
Ma certo che ne avrai, Takane; e ovviamente ci sarò io di mezzo.
La città è percorsa di luce quando la ragazza alza il capo e immerge lo sguardo in una notte che non è veramente tale, non in quel momento.
Il cielo buio fatica a trovare il proprio spazio tra i fiumi di gente che si riversano nelle strade, i festoni, i richiami continui e il giorno dell’anno che trascina con sé quanto resta dei festeggiamenti, e nonostante la notte praticamente insonne e la lunga visita al tempio nel primo mattino, la girandola di amici e parenti che si è divisa la sua presenza e le vicende inaspettate di una giornata comune, la mora si accorge di non avere un briciolo di stanchezza in corpo. Si sente elettrizzata, invece, come se stesse attendendo qualcosa da troppo tempo per sentire altro… anche se quello che sta andando a incontrare non è niente d’incerto né di nuovo.
Sono in ufficio, mi raggiungi lì?
Smettila di pensare sempre al lavoro!
Così appena arrivi potrò occuparmi di te come meriti.
“… Un giorno riuscirò a vincere contro la tua parlantina, sappilo.”
Scuotendo il capo e sorridendo come se Reigen potesse vederla, Takane ripone il cellulare e si gode l’ultima parte del percorso che guida fino alla sua meta, raggiungendola ancor prima che se ne accorga.
L’ufficio è immerso nel buio, come se il suo proprietario non ci fosse, e lei entra con leggera titubanza, senza far rumore. Schiaccia quel pulsante della luce che oramai conosce a memoria e tutto diviene ancora più scuro, facendole aggrottare la fronte per la sorpresa e sollevando uno sbuffo di fastidio a qualche metro di distanza da lei. «E perché ora si è spenta la luce?»
«… Arataka-kun
Un istante di silenzio e un debole fruscio, come di qualcuno che si giri. La tenebra, intanto, si fa ancora più fitta.
«Oh, eccoti qui! Non ti ho sentita arrivare!»
La ragazza deglutisce, immobile e leggermente confusa. Perché la voce del giovane suona così normale? Non vede di essere al buio? C’è qualcosa che non va. «Ehm… dove sei? Non riesco a vederti.»
«Come sarebbe a dire che non riesci a vedermi? Sono proprio qui davanti a te! Ohi, Takane… è tutto a posto?»
Lei fa per replicare, avanza nell’ombra… e ci sbatte contro come farebbe con un vetro annerito, sentendo sul naso il gelo tagliente di una lastra di ghiaccio e barcollando all’indietro per la sorpresa e il dolore al volto. Liquido caldo le scende fin sul petto, e la giovane ci mette qualche istante prima di comprendere che sia sangue; quindi, finalmente il buio sembra letteralmente farsi da parte per lasciar passare Reigen e fargli afferrare la sua fidanzata. «Takane, ma cosa…»
Questa, incredula, si guarda le mani costellate di gocce cremisi e si sfiora il naso, là dove ha colpito quella strana barriera, per poi alzare gli occhi sul compagno, che a sua volta la fissa stupito e leggermente confuso tra ciò che rimane della cortina buia.
Si guardano senza sapere cosa dire, quindi lui le si avvicina di più. «Vieni, siediti», dice infine, prendendo l’altra per mano e facendola sedere alla scrivania, «fammi vedere bene.»
«Era tutto buio quando sono entrata, non riuscivo a capire nulla, e—» Takane s’interrompe e irrigidisce, una smorfia dipinta in volto; la pelle è percorsa da brividi e si inumidisce, come se si trovasse sotto un’improvvisa pioggia: una tempesta che ha l’odore del ferro e l’essenza dell’orrore.
«… Sono ricoperta di sangue…»
«Ma… ma io non vedo nulla.»
«Lo sento scendere ovunque, ovunque! Devo… devo…»
«Takane.» Il giovane la prende per le spalle e la ferma, incurante del pericolo di sporcarsi; le sue dita sono gentili mentre le passano sul volto e le scostano i capelli dalla fronte sudata, le aggiustano gli occhiali e l’accarezzano di nuovo. «Takane, ascoltami: è tutto a posto. Non c’è niente che non vada, hai solo preso un colpo al naso: forse ti sei scontrata con qualcosa mentre entravi, e il dolore ti ha fatto vedere tutto nero… ti sei spaventata e basta. E sei stanca.»
La ragazza rimane in silenzio, ma in parte vorrebbe placarsi sia per le parole del giovane sia appena vede che, effettivamente, non c’è alcuna traccia rossa sulle mani e che anche l’epistassi si è fermata. La sua mente crede sì alla voce calmante di Reigen, ma per metà; l’altra continua a inviarle segnali d’allerta e le impedisce di accettare completamente la versione del biondo, tormentandola ancora.
Questo se ne deve accorgere, perché evitando di parlare troppo la conduce fuori dall’ufficio e lontano dal caos cittadino, fino al suo appartamento e sotto le proprie cure; Takane si lascia spogliare senza protestare e si fa lavare, chiudendo gli occhi per godersi la dolcezza che le viene riservata e poi stringendosi completamente contro il corpo dell’altro, cercandolo e chiamandolo con il proprio.
Dalle finestre la notte entra senza pudore, illuminando le pareti con pallore di stelle e profumi di tenerezza, e davanti a esse Reigen si siede con la ragazza tra le braccia, cullandola come una bimba e baciandola a lungo sulla fronte, agli angoli delle labbra, fin dentro l’anima. «Ora dormi e non ti preoccupare di nulla, va bene? Sono qui con te, non vado da nessuna parte.»
Finalmente Takane si permette d’ubbidire completamente e annuisce piano, lieta di averlo vicino a sé non solamente in una sera simile, ma sempre.

Domani andrà tutto meglio: è una brutta giornata, non la rovina di una vita intera.

 

 

 

 

L’ottavo giorno, Lei accoglie.

 

 

2 gennaio.

 

Quando Takane si sveglia piano e si allunga verso il lato dove Reigen ha dormito, certa d’incontrare il suo corpo, non trova nulla: lui è già uscito e ha lasciato la tranquillità dell’appartamento a vegliarla, insieme al fascio di luce che si fa largo nelle stanze.
La ragazza osserva il sole splendere al di là delle mura e si riaccoccola tra le coperte mentre immagini fumose della sera precedente fanno capolino nella mente, tuttavia senza inquietarla come poche ore prima, e poi si spengono. Per qualche tempo si riaddormenta e sogna neve, bruma, il corso di un fiume e alte montagne a circondare i suoi passi, la pelle quasi bruciata dal gelo invernale e un rumore lontano che si fa via via più vicino, simile al suono di una campana che chiami da terre sconosciute e giunga come un’onda…
… Il trillo del suo cellulare e di una telefonata in arrivo, che rompe la sottile magia e la costringe a rispondere per l’insistenza con cui continua a tormentarla.
Dall’altro capo, ancor prima che lei possa dire una parola, la voce di Serizawa la sveglia completamente. “Pronto Sakurai-san, per fortuna hai risposto.”
«Buongiorno anche a te, senpai. Perché tanta agitazione? Arataka ha combinato qualche disastro in ufficio?»
Una piccola pausa. “In verità l’ufficio è chiuso, ed è strano perché Reigen-san mi aveva dato appuntamento qui per due ore fa. Il suo cellulare è sempre occupato e non riesco a contattare nessuno degli altri… è lì con te, per caso?
«No, non è qui: credo sia uscito da un po’.»
Aspetterò, probabilmente ha avuto un imprevisto.”

Uno di quelli grossi, se è da due ore che non si fa vivo. «Non ti preoccupare, ora provo a chiamarlo anch’io. Ci sentiamo.»
La ragazza stacca la chiamata e fissa lo schermo per qualche istante, quindi la telefonata parte per proprio conto. Non passano che due squilli prima che Reigen risponda, e Takane sente il cuore tornare ai suoi battiti normali. «Che costa sta succedendo? Serizawa ti sta attendendo da due ore! Dove sei?»
Sono fuori città. Ora… ora ritorno.”
«Fuori città… perché?»
Silenzio. “Sarò di ritorno tra poco… non vi dovete preoccupare. Ora… ora arrivo.”
La mora si passa il cellulare da una mano all’altra, cercando di controllare la voce. Il tono del giovane sembra stanco e lontano, come se parlasse dal vero ma distante vari metri da lei. Per qualche ragione, poi, nella sua mente sorge nuovamente l’immagine della distesa di neve in cui hanno giocato giorni prima.

Qui la telepatia non c’entra… forse. «Arataka… va tutto bene? Sembri strano.»
Tutto a posto, davvero. Avevo solo un impegno che dovevo sbrigare.
L’altra annuisce, non convinta. «Vuoi… vuoi stare al telefono con me, intanto che torni? Ci faremo compagnia a vicenda.»
Qui non prende molto bene, purtroppo. Ci sentiamo più tardi, ok?
«Come vuoi. A dopo, allora.»
Takane abbassa il cellulare e guarda davanti a sé. Nella mente si avvicendano pensieri ed emozioni diverse, e tra tutte pulsa la stessa, inquietante sensazione vissuta davanti ai boschi e nell’ufficio di Reigen — quell’impressione di trovarsi innanzi a una realtà altra, ostile e pericolosa, che tenta di allontanarla dal compagno. Così non ci pensa due volte prima di afferrare le proprie cose e precipitarsi fuori dall’appartamento del fidanzato, attraversare tutta la città per raggiungere la sua di casa e recuperare le chiavi della macchina, lanciarsi su una strada che, per quanto l’abbia fatta solamente una volta, ricorda perfettamente; dà retta all’istinto, alla voce che le dice che Arataka si trova vicino alla nera selva e che solo là potrebbe essere, e intanto sente sé stessa pregare che vada tutto bene, che il suo animo si stia sbagliando, che il pericolo che percepisce sia un’illusione.

È il momento di metterti alla prova. Takane socchiude gli occhi e si concentra, i poteri si attivano senza sforzo e vincono i chilometri, volano sulle terre e per il cielo; incontrano oscurità e vuoto, e questo portano alla loro proprietaria. Intanto, alberi e solitudine incrociano il suo percorso senza ostacolarla, accompagnano la corsa fino ad aprirsi davanti alla zona ancora immacolata, incantata nel suo lucore e per questo più straniante. Al suo limitare la giovane ferma la macchina e fissa la profondità delle selve con il cuore impazzito, quindi scende senza perdere altro tempo; e se la volta prima i suoi passi nemmeno si sentivano, ora scricchiolano sinistramente sulla coltre bianca fattasi più dura, pronta a farla scivolare a ogni istante.
La ragazza si guarda intorno, cerca una qualsiasi traccia di Reigen con la frenesia di una disperata; cammina per tutta la distesa, segue ogni irregolarità, strema la mente per una pista, ma non trova nulla che la possa ricondurre a lui.

Che mi sia sbagliata? Che sia tutta una mia immaginazione?
I boschi sembrano osservarla e non perdersi neppure un suo gesto, si mostrano ancora più neri quando si prepara ad affrontarli. Niente si muove quando supera i primi alberi e alza il capo verso un intrico di rami e foglie dallo stesso colore dell’ebano, i sentieri bianchi sono tortuosi ma larghi e liberi; ciò nonostante la ragazza trema mentre inizia a percorrere il più vicino a lei e il desiderio di voltarsi e scappare via diventa tanto intenso da far male.
Coraggio, coraggio.
Si ferma un istante per prendere fiato, alza una mano davanti a sé per tastare i tronchi e la strana vegetazione che pende da bassi arbusti, là dove la luce viene strangolata dalla fitta presenza arborea e l’oscurità inizia a regnare, e ricomincia a procedere. Festoni scuri incontrano le sue dita, lasciando una traccia umida sulla pelle e facendola rabbrividire, uno addirittura s’impiglia nella mano e gliela lega.
Con una smorfia e uno strattone, lei la libera e indietreggia, sbattendo contro gli alberi alle sue spalle e scatenando una breve pioggia di neve che finisce dritta dritta sul suo collo. «Odio questo posto, lo odio!», esclama mentre si toglie la sciarpa e la scuote con stizza, muovendo anche la vegetazione più vicina; quindi si blocca e sgrana gli occhi, incredula. Non l’ha notato prima perché impegnata in altro, ma davanti a sé non c’è solo un bosco malato, e lo spiacevole episodio gliel’ha rivelato. Ma questa…, pensa, allungando una mano verso ciò che pende poco sopra la sua testa, … è un mio regalo.

No.
Il tempo di sentire uno schiocco a un sospiro dal suo viso e Takane si ritrova sbalzata indietro di vari metri, appena fuori dal bosco e dalla sua sinistra aura, a rotolare malamente e a ingoiare terra e neve.
Ma che cosa…
Tossisce con violenza mentre riesce ad ancorarsi al suolo, sputa tutto e si mette carponi; fa per alzarsi, ma il corpo trema e la costringe a rimanere com’è, per poi concentrare il massimo dolore al livello del gomito destro, su cui è atterrata duramente più di una volta. Lacrime di spavento e sofferenza le incendiano le guance, ghiacciandosi nell’aria tersa, e le impediscono di vedere davanti a sé; le dita, intanto, stringono fibre di tessuto — la sciarpa di Reigen.
«Com’è po-possibile», mugola lei, «che cosa sta accadendo…»
Attende un attimo per riprendere forza; quindi prova nuovamente a mettersi in piedi. Anche questa volta fallisce, quindi non può far altro che gattonare verso la macchia delle selve, ignara del gelo che le segna le mani e penetra nelle ossa, ben deciso ad annientarla.

Vattene, telepate. Non sei la benvenuta qui.
Il bosco parla, la sua voce esplode nella testa di Takane come una bomba; questa urla e si prende il capo tra le mani mentre al dolore al gomito si aggiungono fitte lancinanti alla fronte. «Smettila, SMETTILA!», urla.
Un sibilo rompe l’immobilità e la mora intravede una nebbia nera lasciare il folto boschivo per venirle incontro; s’immobilizza per qualche istante nel sentire il macigno del terrore colpirla al petto, quindi striscia all’indietro e balbetta parole che neanche lei comprende, voltando il capo per non vedere quello che accadrà dopo.
Una presa decisa le avvinghia il corpo, ma con delicatezza e senza farle male, e la solleva letteralmente allontanandola dalla forma buia, che invece si arresta e retrocede fino a scomparire nuovamente nel bosco.
Sorpresa, la ragazza gira la testa e incontra una figura che conosce da anni, ma che mai come in quel momento è stata più contenta di vedere. Umiko-senpai, non sei l’unica con la fortuna di averlo vicino.
«Minegishi-senpai», mormora, cercando di sorridere.

«Appena in tempo», le risponde l’esper mentre permette alle sue piante di posarla al suolo, «è tutto a posto?»
«Il braccio riesco a muoverlo», sussurra Takane, «non dovrebbe essere rotto, anche se fa parecchio male. Ma Arataka… Arataka è là dentro. Non so che cosa sia successo, non riesco a capire… la sua sciarpa…» Si mette in ginocchio e barcolla, si aggrappa all’altro per non cadere. «Dobbiamo andare a prenderlo, senpai, ha bisogno di noi!»
«Reigen non è là, non sento la sua presenza; e noi dobbiamo andarcene subito, è troppo pericoloso restare oltre.»
La ragazza non comprende, si agita leggermente quando viene sollevata. «Ma… ma…»

«Calma, calma; dammi retta, è meglio se vieni con me.»
«Ma dove andiamo?»
«In un posto sicuro. Devo parlare con una persona… e a questo punto, è necessario che ci sia anche tu. Se hai abbastanza pazienza per attendere ancora un po’, ti racconteremo alcune cose.»
«Non vado da nessuna parte senza Reigen! Ti prego, ti prego, dobbiamo trovarlo… è qui, lo so, lo so…»
Il mondo inizia a vorticare sempre più velocemente, le emozioni più violente l’assalgono tutte insieme e lei si sente mancare, cadrebbe con la faccia nella neve se Minegishi non l’afferrasse al volo e la prendesse in braccio subito dopo; e sviene così, con lo sguardo rivolto alle selve e un grido che strazia il cuore — ma non l’oscurità che gli alberi proteggono —, con la certezza di essere impotente contro di esse.

 

 

È pomeriggio inoltrato quando la giovane riapre gli occhi. Riconosce il soffitto e l’atmosfera, come la luce arriva e le ombre che crea, il calore del letto in cui sta; sa di essere nell’appartamento di Reigen, ma si accorge immediatamente che lui non è lì — né di essere, comunque, da sola. Sussurri e pause l’attirano e le fanno voltare il capo per incontrare le due figure che sono poco distanti dal letto, intente in una discussione fitta che non lascia penetrare il resto del mondo.
«Dov’è Arataka?»
Serizawa e Minegishi s’interrompono di botto e la guardano per un attimo, poi il primo le si fa più vicino e tenta di sorridere. «Come stai, Sakurai-san? Sei rimasta incosciente per parecchie ore.»
Rispondendo con un gemito, la ragazza si mette seduta e si aggrappa a un braccio di Katsuya mentre il mal di testa le martella la vista. Dopo qualche istante la situazione diventa più stabile e il dolore si affievolisce quel tanto che basta per permetterle di capire che cosa le viene detto, e lei riesce anche a prendere il bicchiere d’acqua che Minegishi arriva a offrirle.
«Te la senti di raccontare che cos’è successo?»
«Sì», mormora Takane, «ma prima di farlo, mi potete dire voi perché siamo nell’appartamento di Reigen? E, per favore… voglio sapere dov’è lui.»
«Ho detto io di portarti qui, appena sono stato informato dei fatti di stamattina», risponde Serizawa. «Sono venuto a dare un’occhiata anche in questa zona, nel caso Reigen-san fosse…» Una pausa. «Sei uscita a cercarlo dimenticandoti di chiudere tutto, non è vero? Beh… alla fine è stato un bene, perché così possiamo parlare senza coinvolgere altre persone.»
La ragazza non risponde subito e abbassa gli occhi sulle proprie mani. Tra le dita stringe ancora i fili che è riuscita a strappare da quell’albero, così che il respiro si fa più irregolare. «Vengono dalla sua sciarpa», mormora mentre li mostra agli altri, «gliel’ho regalata io. L’ho… l’ho vista pendere da un ramo, lì nel bosco; quando l’ho afferrata…» Un sospiro. «È da giorni che sta succedendo qualcosa di strano. È iniziato tutto proprio davanti a quella selva: Arataka e io ci siamo fermati a giocare nella neve, e a un certo punto il paesaggio ha cominciato a mutare, è diventato spettrale, quasi, ostile; ma solo per me, perché lui non ha notato niente di diverso — così credo, almeno.
Poi, ieri, il suo ufficio… il suo ufficio era immerso nel buio nonostante le luci fossero accese, ed è accaduta una cosa che forse non riuscirete a credere: a un certo punto mi sono ritrovata bagnata e con l’odore del sangue fresco addosso, come se fossi piena di ferite; eppure stavo e sto tuttora bene, ma quella sensazione…» Un breve silenzio, che nessuno interrompe. «E stamattina, quando Serizawa-senpai mi ha chiamata riguardo ad Arataka, lo so di essere stata folle, ma per qualche ragione mi sono convinta che l’unico posto dove potesse essere fossero i boschi; ho seguito l’istinto, sono andata là… il resto lo sapete. Quello che non so io, invece, è cosa stia accadendo.»
Takane alza il capo e passa con lo sguardo dall’uno all’altro, inquietata dalla profonda immobilità e dalla tensione che vede nel volto di entrambi. «Mi credete pazza, vero?»
«Se sei pazza tu, allora lo siamo anche noi due», mormora Katsuya, quindi la mora si rivolge a Minegishi. «Senpai, prima hai detto che dovevate raccontarmi alcune cose. Che cosa sai — sapete
«Non è una bella faccenda, affatto.» Serizawa esita un attimo e lancia un’occhiata verso Toshiki, il quale annuisce alla silenziosa domanda dell’altro e prende la parola. «C’è una storia, intorno a quel luogo: riguarda una giovane morta in un incidente proprio nel giorno del suo matrimonio, quasi dieci anni fa. Quello che ufficialmente si sa è che la macchina di suo padre precipitò in un burrone con tutta la famiglia all’interno, senza alcun sopravvissuto; ma il corpo della ragazza venne trovato lontano più di un chilometro dal luogo dell’incidente, proprio nei boschi dove sei stata attaccata.»
«Non è morta subito e ha cercato persino un aiuto… deve aver sofferto tantissimo.»
Serizawa scuote il capo, chinandolo. «E la tragedia non è finita qui, purtroppo: qualche settimana dopo il disastro, quello che avrebbe dovuto essere il suo sposo non resse più al dolore della perdita e si uccise. È stato uno dei casi più brutti del Giappone.»
Takane resta un istante in silenzio, quindi aggrotta la fronte. «Certo, ma tutto questo cosa dovrebbe a che fare con Reigen?» Una pausa, l’incastro degli eventi e dei pensieri, la consapevolezza. «… Voi state pensando a uno Spirito.»
«È qualcosa di più che un semplice pensiero, ma fino a ora le nostre sono state solo supposizioni e discorsi incerti», riprende Serizawa. «Vedi, diciamo che noi l’abbiamo… incontrata ai tempi dell’Artiglio. Al Quartiere Generale era giunta notizia che in quei boschi abitasse anche un esper dai grandi poteri, e Suzuki-san mandò alcuni di noi a reclutarlo; ma quelli non tornarono più indietro.»
«Solamente le femmine del gruppo», precisa Minegishi, «tutte con un vuoto di memoria che iniziava dal momento dell’arrivo lì fino al loro risveglio, a poca distanza dalla zona; dei loro compagni non sapevano dire nulla, erano come svaniti.
Suzuki mandò me e Shimazaki a cercare di fare luce su cosa fosse successo, ma non trovammo niente: né la presenza dell’esper, né di chi era scomparso. Non c’erano tracce di lotta e neppure di pericolo, almeno a livello fisico; ma la sensazione che qualcosa non andasse, quella era davvero forte. Troppa calma, immobilità… era come se fossimo arrivati troppo tardi in un posto dove fossero successe cose orrende, ma che non potevamo più vedere.
Suzuki stesso provò a indagare sulla situazione, ma nemmeno lui riuscì a scoprire qualcosa; e da quel momento nessuno parlò più della questione.
A questo si aggiunge un fatto ancora più inquietante: ogni anno dall’incidente, in questo periodo, le piante iniziano ad agitarsi, come se avessero tutte paura o venissero richiamate da qualcosa. La fonte è proprio la selva, ma avvicinarsi al luogo è impossibile… se sono riuscito a salvarti, è perché ero abbastanza lontano dal raggio d’azione di chiunque la controlli.»
La ragazza annuisce a quelle parole mentre brividi ghiacciati sorgono sulla pelle, a lei come a tutti gli occupanti della stanza. «La selva non risponde ai poteri di un esper, sembra avere una vita propria. Quindi, senpai, stamattina tu hai sentito ancora quel turbamento nelle piante e, come me, hai deciso di fare una visita là… evitandomi così una morte certa.» Una pausa. «È strano, però: dici che la situazione dura solo per un periodo e parli di un’entità che rapisce i maschi ma non tocca le femmine, a meno che non sia costretta.»
«E che ogni volta che si è manifestata, qualcuno è scomparso.»
«… Perché, perché tutto questo?»

Quale esper potrebbe contrapporsi a una simile figura? Visto quanto è misteriosa, la sua esistenza sarà considerata uno scherzo… che prove possiamo portare, a dire il vero, della sua reale presenza? Nessuno di noi l’ha mai incontrata, ma ha visto solamente i suoi effetti… e i nostri poteri non possono avere ragione su di lei.
È spaventosa.

«Devo trovarlo al più presto. Anche se non tiene prigioniero Arataka nel bosco, quello Spirito è comunque legato alla sua sparizione… non posso lasciarlo da solo.»
Né Serizawa né Minegishi replicano alle sue parole, ma la ragazza comprende subito che non la lasceranno andare via da lì facilmente.
«Pensateci: chi può avere qualche speranza, se non io? In un’altra occasione avrei chiesto aiuto anche solo a voi due, ma da quello che sappiamo ora sareste delle altre prede; e no, non posso nemmeno pensare che vi accada qualcosa, o di coinvolgere Shigeo-chan, di… no.» Una pausa. «Questa è una faccenda che riguarda delle ragazze, e tra ragazze va risolta: se foste nei miei panni, fareste lo stesso.
Arataka ha già atteso fin troppo.»
«Hai ragione, non possiamo trattenerti qui contro la tua volontà», sospira Serizawa dopo una silenziosa esitazione, «non servirebbe a nulla e non è la soluzione ideale; e non sei l’unica che vuole ritrovare Reigen-san al più presto. Quindi, se hai intenzione di ritornare là, non sarai sola.»
«Possiamo partire anche subito», aggiunge Minegishi, «non ha più senso aspettare.
Proveremo ad aiutarti come possiamo.»
Takane tace, le parole non sono sufficienti per ringraziare entrambi come meritano; ma sente il cuore incendiarsi e quella parvenza di controllo incrinarsi, e in uno slancio abbraccia i compagni. Si ritrova come in apnea, fatica a reprimere le lacrime che le appannano la vista e volta lo sguardo al sole che già muore all’orizzonte, confidando in tutto ciò che rimane della propria speranza; manca un istante prima che la mente si annebbi di troppi pensieri e questi non lascino spazio ad altro, e manca solamente un respiro alla notte, alle sue paure.
Saranno le ore più lunghe della sua vita; e lei è pronta a viverle in ogni loro secondo.

 

 

 

 

Nella sera, i boschi sono ancora più silenziosi delle volte precedenti. Come loro, anche la falce di luna che si innalza in cima agli alberi è immobile, vivida nell’aria gelida, e li irraggia di luce sovrannaturale e ombre di spettri.
Takane ha un moto di paura quando fa il primo passo nella distesa di neve, intatta come sempre; guarda indietro con la coda dell’occhio, quasi ad assicurarsi di non essere sola, e stringe la mano ai due esper per scacciare le brutte sensazioni.
«Come stai?»
«Ho paura», è la risposta sincera, «ma questo non vuol dire che mi fermerò. Non me ne andrò di certo.»
«Noi non possiamo avanzare di molto, presto ci fermeremo. Ti attenderemo qui fino a quando non tornerete, ma se avrai bisogno d’aiuto…»
Le parole di Serizawa rischiano di scatenare altre lacrime negli occhi della giovane, che tuttavia le sfrutta per farsi maggiormente forza. «Grazie, senpai. State mettendo in gioco tutto per me… non credo di meritarvi.»
Minegishi le mette una mano tra i capelli, accarezzandoli piano. «Vai, ora. Non pensare a noi, staremo bene.»
«Prometto che non vi farò aspettare molto», annuisce la ragazza, «quindi… a tra poco.»
Il suono dei suoi passi in corsa copre ogni risposta, ma ormai non si può più aspettare. Prima che se ne accorga, si ritrova sullo stesso sentiero dal quale è stata scacciata lo stesso mattino e si ferma immediatamente, tendendo l’orecchio per captare qualsiasi suono. Tocca i tronchi anneriti dalla notte precoce, sfiora rampicanti, struscia i piedi sulle strade bianche; nessun sibilo o fruscio in risposta, non una voce a esploderle nella testa, come se non ci fosse niente da temere. E a dir la verità, man mano che avanza la giovane si accorge che la selva non appare così terribile come in precedenza; salvo per le ombre che guizzano da un albero all’altro per volere della luna, potrebbe anche sembrare un bosco normale.
Per nemmeno un secondo, tuttavia, pensa di essersi inventata tutto o di essere in preda a un caso di allucinazione collettiva: no, ciò che ha vissuto è reale, ma ora ha forse cambiato volto o si è placato.

Questo vuol dire che è troppo tardi per Arataka? Che lo Spirito ha ottenuto ciò che vuole e non ha più senso tormentare il mondo?
Una ragazza morta nel giorno del suo matrimonio e rimasta intrappolata tra gli umani come Spirito… che cosa può aver avuto così tanta forza da tenerla qui?

Takane ci ha riflettuto per tutto il viaggio fino a lì, e più ritorna alla risposta che si è data più se ne convince. Almeno un pezzo della vicenda avrebbe senso: un desiderio così intenso e totale da riempire quella povera anima di oscurità…
… Il desiderio di uno sposo. Un sostituto.
Rapisce gli uomini per trovare chi possa stare con lei per l’eternità, allontanando o eliminando le donne che si mettono sulla sua strada…
C’è ancora qualcosa che non torna, ma potrebbe davvero essere questo il suo scopo.

La giovane si ferma, alza il capo verso il pallore che i rami non lasciano passare.
Avrei parecchie cose da chiederti, Spirito; e probabilmente lo sai.
Rimane immobile per un poco, parte di quell’oscurità che il sottobosco nutre e protegge; poi riprende ad avanzare senza una meta precisa, ma con l’istinto a dirle che non è passata inosservata. Nonostante le impressioni iniziali, la selva non è estesa e dopo non molto la giovane si ritrova al lato opposto da dov’è entrata; qui si arresta nuovamente, guardando quanto riesce a scorgere intorno a sé con il respiro accelerato dall’adrenalina.
Notte buia… Arataka potrebbe essere anche a qualche metro da me, e non lo vedrei.
Amore mio, dove sei?

«Mi sembrava di averti detto che non eri la benvenuta.»
Takane s’irrigidisce e ogni parola si mozza in gola. La voce che si è sollevata dietro di lei non è spaventosa, ma bassa e dolce nella sua femminilità; tuttavia il corpo smette di rispondere ai normali impulsi e rimane bloccato nella sorpresa, così come la mente.
«Non provare a usare i tuoi poteri, ti faresti solo male. Smetti di resistere così.»
La giovane spalanca la bocca in uno sforzo immane e il dolore si prende tutto il volto, poi una forza estranea a lei l’afferra e costringe a voltarsi. Gli occhi non esitano a mettere a fuoco e il cuore aumenta i battiti mentre l’odore del sangue sale dal terreno e la pelle si ricopre del suo viscido bacio; in risposta, l’altra figura fa una smorfia amara.
A prima vista, lo Spirito non ha nulla che non vada nell’aspetto: lo sguardo è smeraldino e lucente, il volto incorniciato da splendidi capelli di fiamma e il corpo piccolo e snello avvolto non nell’abito tradizionale giapponese, ma in una nuvola di pizzi e tulle che fa risaltare il pallore dell’incarnato. Il simulacro di una bella giovane, quindi; se non fosse per gli squarci su tutto il corpetto della veste e la parte superiore della gonna, dai quali il sangue continua a stillare, e per le mani e piedi ricoperti di orribili ferite. Ombre scivolano su di lei rivelando altre lacerazioni, ematomi e segni che prima erano rimasti nascosti, e Takane rabbrividisce.

Non immagino quanto debba avere patito.
«Sei molto spaventata, piccola? Faccio così paura?»
La giovane non risponderebbe neppure se fosse libera di farlo, e in quell’attimo la presa sul corpo si allenta e lei si sente come cadere a terra, finendo invece per trovarsi il volto dello Spirito a qualche centimetro dal suo.
«Vattene prima che mi arrabbi. Farò finta di non averti nemmeno visto.»
«No-No…»
«No cosa?»
La mora prende un forte respiro. «Io n-non me ne va-do da qui. Tu…»
L’altra fa un debole sorriso e Takane recupera forza. «Dove hai portato Arataka? Lo so che è qui, sotto il tuo controllo… è da quando siamo arrivati qui la prima volta che te lo sei preso.»
Lo Spirito non fa nulla per negare quanto ascoltato, e la giovane striscia verso di esso. «Lascialo libero… non puoi averlo.»
«E perché? Perché si tratta del tuo ragazzo?»
L’esper non replica, la rossa si fa avanti. «Sono dieci anni da quando ho perso il mio cuore; morire nel giorno più bello della propria vita è orrendo… scoprire che la disperazione mi ha impedito di andarmene completamente è inspiegabile.
Per fortuna, sono cosciente della mia sorte solamente per dodici giorni: il periodo in cui tutti i morti ritornano nel mondo dei vivi, come vuole la tradizione irlandese[1]… le leggi della mia gente possono limitarmi, ma il tempo per riavere indietro ciò che mi è stato strappato è comunque abbastanza.»

Ed ecco perché il senpai la sente solamente in questo periodo dell’anno. Ma…
«Hai già rapito tanti uomini», tenta di replicare allora Takane, «che cosa ne hai fatto?
Tra di loro non hai trovato nemmeno uno sposo?»
Lo Spirito rimane un attimo in silenzio. «Loro… loro muoiono sempre, tutti.» Un’altra pausa. «Non riescono a rimanere in vita per più di un giorno. Inizialmente sono sani, pieni d’energia; ma quando il mio tempo finisce, mi riaddormento sempre sola.
Forse… forse non sono quelli giusti per me.»
La mora non replica, agghiacciata.

Muoiono sempre.
Li sceglie bene, ma qualcosa li uccide. È la sua essenza che li indebolisce?
Minegishi-senpai ha detto che non hanno mai ritrovato quegli esper… può essere così potente da consumare le persone fino a farle scomparire, ma solamente gli uomini?
E lei ne è all’oscuro.
Arataka… ti prego, ti prego, che non sia troppo tardi. Ti prego.

«Ti addormenti sempre sola», mormora la giovane, «e questo è il tuo più grande dolore. Non rimane mai nessuno, ti spegni ogni volta per il silenzio che ti circonda.
E se la morte non ha interrotto il tuo viaggio, da qui non ti puoi neanche muovere: sei imprigionata in questa gabbia di rami e foglie, lontana da chi ami davvero… perché non è qui che troverai la pace, non in questa realtà.»
«Non è vero», replica lo Spirito, «io troverò la pace qui. Devo solamente continuare a cercare…»
«E cosa? Continuare a strappare le persone a chi le ama, a ragazze uguali a te?»
La rossa spalanca gli occhi, mentre il sangue inizia a scorrere più copioso dalle sue ferite. Allo sguardo stravolto di Takane, quello è il pianto più doloroso che abbia mai visto, e lei non può evitarsi di soffrire. Soffre per quello Spirito: anche se le ha rapito Reigen, anche se a ogni minuto che passa i suoi amici sono sempre più in pericolo, una parte di sé comprende e prova pena per quella povera ragazza che non aveva fatto nulla di male, come tante altre — solo molto più sfortunata.

Il suo bisogno di calore e affetto non può essere contato, sarà durissima averla vinta contro di lei: non credo che riuscirò a odiarla, nonostante quello che ha fatto. Posso provare rabbia, posso condannare le sue azioni; ma c’è anche tanto altro.
Questa ragazza è la prima vittima di sé stessa.
«Ci hai mai pensato a chi le tue prede lasciano indietro, ai loro genitori, le loro donne? Quelle persone non sono molte diverse dai tuoi genitori, quelle donne assomigliano a te. A quante future spose come te hai portato via il futuro, quante giovani hai privato dell’amore della loro vita?»
«Io… non lo so», mormora lo Spirito, «ma loro hanno ancora speranza, hanno tutta la vita davanti a sé.»
«Non è così facile: alcune trovano il coraggio di andare avanti, altre no.
Alcune soffrono ma poi scoprono che la vita ha concesso loro un’altra occasione per essere felici, altre no.» Takane prende un grande respiro. «L’uomo che hai preso è il mio futuro sposo, e se me lo porterai via io finirò per diventare come te, con lo stesso dolore, la stessa maledizione e disperazione.
Non credo proprio che tu sia crudele: hai un cuore che vuole amare e smettere di sentirsi vuoto, ed è per esso che agisci… e quando si compie qualcosa per bisogno d’amore, non si può essere cattivi.
Per questo chiedo al tuo cuore: lascia andare l’uomo che amo, per me e per te stessa.
Dentro il tuo animo non sei il mostro che semina terrore; quindi, smetti di macchiare la tua bellezza con del sangue che non ti appartiene.»
«Io non voglio più essere sola», replica lo Spirito, gli occhi ridotti a fessure ma la voce incrinata, «non voglio più sentire il silenzio, e il freddo, e la stanchezza, e…»
«Non posso dire di sapere che cosa stai provando», risponde Takane, «se non in parte; ma posso comprendere i tuoi desideri. E quindi, non vuoi riunirti alla tua famiglia, all’uomo che ti sta attendendo da dieci anni?
Ti stanno chiamando da dove c’è tutto ciò che cerchi. Non hai sofferto abbastanza?»
«Non posso raggiungerli», replica lo Spirito, «li ho persi per sempre.»
«Li perderai se continuerai a credere di dover rimanere qui per liberarti.
Quegli uomini non potevano ricambiare i tuoi sentimenti e ti hanno portato solo maggior tristezza; perché, come hai detto tu, non erano quelli giusti. Quello giusto ti sta aspettando al di là di questo mondo, non hai bisogno di qualcuno che non sia lui… perché ognuno si merita chi possa amarlo davvero e per suo volere, non per paura o incanto. Non lo pensi anche tu?»
L’altra non replica, ma dopo qualche attimo cade in ginocchio davanti a Takane. Non è sangue ma un pianto vero, ora, ad abbandonarla, e la mora tende una mano davanti a sé, come per una carezza.
«Non gli avrei mai fatto del male, puoi credermi. Non ho pensato un solo istante di farlo soffrire…»
«Lo so, lo so. Ti ringrazio.»
La rossa fissa Takane per lunghi istanti, in silenzio; quindi si alza e fa segno alla giovane di fare lo stesso. «Vieni», sussurra, mentre la guida nel cuore del bosco, «lui ti starà sicuramente aspettando.»
La mora le corre al fianco, senza nascondere la tensione. «Sta bene, vero?»
«Certo che sì, è solo addormentato. A dir la verità, è quello che fra tutti ha sopportato di più la mia presenza.»
L’altra sorride, arrossendo. «Ne avevi preso uno speciale», commenta in un sussurro.
Lo Spirito rimane in silenzio, pur accennando un sorriso. Le lacrime non smettono di solcarle le guance come perle, mentre la pelle inizia a illuminarsi di una luce interna e i capelli splendono come fuoco vivo. «Io… io non credo che verrò con te», mormora poi mentre le mostra la direzione da prendere, «ma puoi benissimo farcela da sola. Continua ad avanzare fino a quando non arrivi alla fonte naturale: lo trovi lì.»
Takane attende prima di partire. «Tutto quello che ti ho detto lo penso veramente: non sei affatto cattiva… e credo che questo lo sappiano anche le tue vittime. Dovrai chiedere perdono a molta gente, di là, ma abbracciarne altrettanta.»
La rossa annuisce, e così fa la ragazza; questa tende un dito, ma ancor prima che possa provare a sfiorarlo lo Spirito si muta in un fascio di luce e un improvviso sbuffo di vento scuote i capelli della giovane.
«Ma…»
Petali bianchi, rossi, argentei le scivolano sui capelli e davanti agli occhi, lasciandola stupita; quindi li prende nelle proprie mani, sorridendo. Avevi solamente bisogno di qualcuno come te per ritrovare la via perduta, e ora puoi avere tutta la felicità che non hai mai sognato prima. Addio.
Socchiude gli occhi, in attesa; i suoi poteri attraversano tutto il bosco e raggiungono la mente di Serizawa e Minegishi.

Ora potete raggiungermi, non c’è più alcun pericolo: è finita.
È finita.
Takane si deve appoggiare al tronco di un albero, la testa che inizia a girare e le gambe che non reggono più il peso. Ce l’ha fatta, Reigen è salvo: non ha motivo di dubitare, dentro di sé sente che è così. Respira a lungo e a fondo, attende di sentirsi meglio; quindi incomincia a correre, sempre di più, fino a rischiare di cadere e non sentire più il proprio fiato, ma solamente il sibilo del vento intorno.
Il gorgogliare dell’acqua è musica; ma il cuore è calmo, perché sa già che lui è lì, a un secondo dall’alba, a un passo da lei, mai così lontano da essere irraggiungibile.
Gli ultimi alberi si aprono davanti a una radura e lo zampillio della fonte accoglie la giovane; vicino a essa, con la schiena appoggiata contro un tronco solitario, Reigen dorme con l’espressione più serena che la mora gli abbia mai visto.
Questi si sveglia ancor prima che lei lo raggiunga, subito scatta in piedi; se la ragazza non fosse lesta a coprire l’ultima distanza e a prenderlo al volo, cadrebbe dritto a faccia in terra.
«Ohi, Takane, ma dove siamo? Non ricordo di esserci arrivato, qui…»
La giovane non risponde subito, perché prima lo guarda come per imprimersi nella mente i suoi lineamenti, infine gli si slancia addosso e lo stringe forte a sé. «È una storia lunga», gli sussurra, «e prometto che te la racconterò tutta; ma per ora, amore mio, abbracciami e basta.» Un bacio all’angolo della bocca, desiderato e delicato. «Non sai quanto mi sei mancato…»
Reigen non dice nulla, sorpreso e confuso, ma obbedisce e la culla a sé; e la mora si accorge di aver iniziato a piangere solamente dopo minuti interi, quando anche Serizawa e Minegishi raggiungono la radura e si riuniscono a loro.
«È tutto a posto», sente infatti rispondere da Toshiki a una domanda che lei non ha udito, oltre il velo dei singhiozzi, «quel pianto non ha nulla a che fare con il dolore.»

 

 

 

♦♦♦

 

 

 

Alla fine, la camera da letto di Umiko ha ceduto il posto al giardino e a un’infinita stellata venuta ad accompagnare la luna, fattasi ora più sfumata nella sua figura.
Dopo aver rivissuto nella memoria gli avvenimenti di quelle giornate, anche Takane sta meglio: nonostante ciò che ha pensato fino a qualche ora prima, la vicenda dello Spirito non era ancora finita del tutto.
L’atto finale ha atteso quell’alba per attuarsi, e con lei come protagonista: perché, come detto in quel bosco, non c’è mai stata una grande differenza tra sé stessa e la sfortunata sposa. Stesso desiderio, stesso impeto e forza dei sentimenti, forse la medesima reazione davanti alle vicende; in un qualche modo è come se lo Spirito avesse continuato a esistere dentro la sua anima e avesse mostrato il costo di questo.

Quel letto vuoto… e chissà se alla fine ti sei sposata anche tu, poi.
La mora sospira e si avvolge nella coperta che ha portato con sé, gli occhi sempre fissi al cielo. Una stella solitaria brilla maggiormente quando la guarda, e la ragazza decide che quella sia la risposta alla sua domanda.
«Ehi, ehi, da quando le divinità si mostrano così agli uomini?»
Lei sobbalza per la sorpresa e fa scricchiolare il dondolo su cui è sdraiata, quindi si mette a sedere con uno sbuffo di finta irritazione. «Non dovresti essere qui, tu; ti sei dimenticato che la notte prima del matrimonio gli sposi devono restare separati?»
«Me lo ricordo, ma Kaminami-san potrebbe avermi detto qualcosa sul fatto che tu fossi qui, tutta sola… è stata la sua lingua lunga a condurmi da te.»
«Ora non incolpare la senpai
«No», sorride infine Reigen, «stai tranquilla, la colpa me la prendo tutta io. La principessa mi concederebbe cinque minuti del suo tempo, per darle la buona notte?»
La ragazza smette l’espressione imbronciata e accenna a sua volta un sorriso, per poi tamburellare la mano sul posto accanto a sé. «Dai, vieni qui. E comunque mi sembra che prima mi stessi lodando, perché non continui?»
«Hai perso la tua occasione», la prende in giro Arataka, accettando l’invito e sedendosi al suo fianco, «toccherebbe a te, ora.»
La ragazza non replica, ma tira il compagno più vicino a sé e ritorna a fissare la volta sopra il loro capo. «Hai fatto bene a venire, sai… d’altronde non mi hai salutato come avrei meritato, stamattina, e in qualche modo dovevi sdebitarti.»

«Non hai avuto una giornata come le altre, vero?»
«… Chi te l’ha detto?»
«Nessuno: ma ti conosco, ti sento, abbastanza per capire quando il tuo animo non è limpido come sempre. Queste ore ti hanno aiutato a calmarti, però.»
Takane annuisce, per poi rifugiarsi nell’abbraccio del ragazzo quando questi le apre le braccia. «Arataka…»
«Sì?»
«So tante cose su di te, su noi due insieme; ma la più importante sta nel fatto che, se anche dovessimo essere separati o lontani, o fossi io a perdermi, in qualche modo continuerai a sentirmi e mi farai ritrovare la strada di casa. E ciò può bastarmi.»
«Condividere il destino porta anche a questo, Takane mia; e se si ha la stessa voce ancora di più.»
«Sono sicura di aver sentito parole simili in una poesia»
, sussurra lei per prenderlo in giro, senza nascondere la tenerezza che prova. È una dolce notte per pensare, non abbastanza buia per impedire di sognare.
«Non in questo caso… anche se non sono bravo come tanti altri.»
Lei sorride, e non sa che anche i suoi occhi si sono riempiti di stelle. «Non sai mentire, affatto… ma va bene così.»
Reigen ride di cuore e si alza, e Takane lo stringe a sé: forte come ha fatto solamente in quel bosco, con ogni fibra di sé. C’è un termine per definire il calore che si trova nelle braccia amate, quel senso di appartenenza che dà una casa al cuore: non è giapponese, forse europeo — e alla fine questo neanche importa, perché certe cose hanno una voce più forte quando vengono fatte e sentite, non dette.
«A domani, mio sposo.» Le parole scivolano via a un tono più basso, solamente per loro, e Arataka solleva tra le braccia lo scricciolo che ha per ragazza, facendola vorticare. «A domani, mia sposa.»
Rimangono abbracciati per tanto; un tempo infinito che rimane al fianco di Takane anche quando Reigen se n’è ormai andato e la giovane si è chiusa nuovamente in camera di Umiko, con i girasoli e lasciando che la notte corra verso il nuovo mattino. È bello sapere di avere un domani e un sentiero da percorrere in due, mano nella mano.

Riposa bene e preparati, Arataka, perché non ti liberai mai più di me: nel mio cuore l’ho promesso a una brava ragazza, e ho intenzione di mantenere la parola.
Le devo un dono di nozze; così a te, e a me.
Ti auguro una notte serena…
… Di certo, la mia lo sarà.

 

 

 

 

 

 

 

NOTE

 

 

[1] Esiste veramente la credenza, diffusa in molte culture europee, che i giorni che vanno dal 25 dicembre al 6 gennaio siano pericolosi perché il confine che separa il mondo dei vivi da quello dei morti si annulla, e i secondi possono ritornare in mezzo ai primi e trascinarli negli Inferi.

 

 

Considerazioni: adoro Takane tanto quanto le mie, di OC; ho decisamente un debole per i personaggi femminili dall’aria sinistra, non troppo umani ma neanche così incomprensibili nella loro mentalità; la devo smettere di leggere racconti di mistero fino a tardi, e farmi venire idee di conseguenza.
Detto questo, grazie ancora, cara Angie96, per avermi permesso di scrivere nuovamente della tua cara bimba, anche se in un contesto completamente diverso rispetto a quello che tratto abitualmente.
In attesa che tu possa giungere a spiegare in prima persona — e molto meglio di me — chi sia la tua meravigliosa ragazza e come si leghi a tutto il mondo di Mob Psycho 100, accetta questo regalo e goditelo fino in fondo.

 

Manto.

   
 
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