DISCLAIMER: i personaggi
sotto presentati non
mi appartengono, a eccezione di uno.
L’OC
Takane è una creazione della cara Angie96,
che me l’ha ceduta per
quest’occasione.
La storia
è stata scritta senza scopo di lucro.
Cwtch
{Cwtch:
termine gallese che descrive
l’abbraccio capace di darci protezione e rifugio dal dolore,
generalmente riferito a quello della persona che più
amiamo.}
Il primo giorno,
Lei si sveglia — è così da
anni, mai nulla cambia. Si sveglia, si riconosce e ricorda
sé stessa, ma è troppo
debole per levarsi e così rimane ancora avvolta nel suo
sonno, in attesa di
poter ritornare.
Il
secondo giorno, preghiere e sussurri le danno la forza necessaria per
risorgere,
così che alla terza alba il suo sospiro inizi ad attirare
attenzione e divenga
il battito di un cuore a stento udibile nella confusione della
città, ma
racchiuso nelle sue viscere e portato ovunque. È un richiamo
che non tutti
percepiscono, perché Lei è esigente e non si
accontenta facilmente; ma non un
anno passa senza che abbia scelto qualcuno,
e
che non l’abbia ottenuto.
Un
tramonto calmo immerge la città: i palazzi sfaldano i
profili nell’ultimo
chiarore del giorno, le case accendono le proprie luci e
l’ombra della luna nasce
all’orizzonte, in attesa d’illuminare la via dei
notturni viaggiatori. La
brezza della primavera danza con le persone e i loro pensieri, disperde
e
convoglia echi e profumi, crea melodie agli angoli delle strade e
giunge fino
alla giovane donna che, non molto distante da quei giochi delicati,
osserva ogni
cosa senza farne realmente parte.
Dopo
un’intera mattina di follia, in casa Kaminami
c’è finalmente silenzio, come se
tutti coloro che l’hanno riempita di passi, richiami e parole
siano svaniti o abbiano
perso la voce, oppure abbiano dimenticato il motivo per cui sono giunti
lì:
quella futura sposa che guarda e si guarda dal
mondo intero.
Distanza.
Takane
prende un ennesimo, forte respiro e appoggia la testa contro il vetro
della
finestra che la separa dalle prime stelle, mettendosi più
comoda sul davanzale
che occupa da ormai troppo tempo per definirlo semplicemente
“qualche ora”. Ciò
che contempla è un panorama diverso da quello che spesso
ammira
nell’appartamento di Reigen, così che gli occhi
volano su un bel giardino e non
su mura di case e cieli senza confini; e anche se non sarà
mai abbastanza grata
ai genitori di Umiko-senpai per aver deciso di
ospitare lei e la sua
famiglia in vista della cerimonia, in verità vorrebbe avere
intorno a sé la
casa del giovane… magari con lui vicino, o presente in
qualche modo.
Malinconia.
Non
è il comportamento che vorrebbe adottare in un momento
simile — dovrebbe essere
al massimo della gioia! Scappare da parenti troppo invadenti e domande
ancora
più imbarazzanti, nascondersi in qualche angolo della casa
con le senpai
e sfogare ogni parola che le brucia la lingua, liberare i desideri e le
ansie
per il giorno seguente… non di certo starsene in silenzio;
ma, semplicemente,
non riesce ad agire diversamente e allora preferisce avvolgersi nella
tranquillità che alla fine hanno voluto concederle,
perché ad ora la solitudine
è l’unica amica di cui sente il bisogno.
Anche
la vista degli splendidi girasoli che il gentile Mob le ha portato,
primo fra
tutti e con il regalo più gradito, non l’aiuta
molto, né lo fa il ricordo del lieve,
entusiasta rossore sulle guance di quel giovane uomo dal cuore grande:
la mente
è costantemente percorsa dalla fitta che ha sentito fin dal
mattino presto,
quando ha aperto gli occhi sull’aurora e ha trovato il letto
di Arataka vuoto,
privo del suo calore.
La
notte si è portata via l’ultimo contatto tra loro,
e il suo animo si è mosso.
Che
cosa ti aspettavi? Domani vi sposate, immagina tutte le cose che doveva
fare!
Non
può pensare solamente a te, sai?
Come
se non fosse mai successo di trovarvi separati, poi…
Takane
annuisce alla sua voce interiore, dandosi sì della stupida
ed egoista per
sentirsi così svuotata, ma solo in parte.
Una
ragione c’è.
Preoccupazione.
La
sua testa non ne vuol sapere di rimanere in silenzio, si lamenta
contorce e
agita non per l’ansia di ogni sposa prima del suo giorno
più importante: le
forme che assume sono simili al dispiacere per qualcuno, o a una paura
che
deriva da memorie buie, neanche tanto lontane. Ma questa non ha motivo
di
esistere, non più… o invece
sì?
Ding.
Forse è più di un messaggio, una vera chiamata
— magari quella che più attende,
ma la ragazza non la sente: rimane invece concentrata su quello che si
sfoca al
di là della finestra, verso un orizzonte che improvvisamente
le si è dipanato innanzi.
Il
vago malessere assume figura e nitida voce, la rende consapevole e
mentre le dà
una fitta di tristezza, la fa anche respirare. I pensieri sono liberi
di
raggiungere una meta precisa mentre la loro proprietaria, intanto, non
può fare
a meno di alzare il capo per fissare la luna, ora quasi sfacciata nel
suo
lucore e più grande del solito; e per un istante Takane
crede d’intravedere
degli occhi nelle macchie che sporcano la sua perfezione, orbite nere
che l’interrogano
— che piangono. «Lo so che la stai chiamando e la
ricordi ogni notte», sussurra
allora la mora, «era una tua compagna. Forse…
forse ti devo una storia, ed è
proprio questo che ti ha fatto avvicinare.»
Strisce
di rosso che persistono nel viola, tracce di sangue nella memoria della
terra.
Perdita.
♦♦♦
Il quarto giorno,
Lei lamenta chi è perduto;
il quinto, sceglie colui che farà smarrire.
Qualche
mese prima, 30 dicembre.
È
il sentore della neve che le fa aprire gli occhi: il freddo pungente e
il
profumo dell’aria pulita, intrisa d’incontaminato
candore.
Takane
si scuote con lentezza e sbatte le palpebre due, tre volte: ci mette un
istante
a riconoscere la macchina in cui si trova, quindi si raggomitola di
più sotto
la giacca che le è stata messa addosso, cercando ancora il
sonno. Nonostante
abbia aperto gli occhi più volte, il bianco spettacolo non
è riuscito a
penetrarle davvero nella mente e lei non l’ha compreso; poi,
le sensazioni del
mondo riescono a vincere e la ragazza si desta completamente,
liberandosi dal
caldo dell’abitacolo per il bacio gelido
dell’esterno.
A
poca distanza dalla ragazza e dal bosco che sta a lui di fronte, al
centro dell’ora
bianca distesa che separa i primi alberi dall’ombra della
città, Reigen è
l’unica macchia scura nel paesaggio immacolato, figura senza
rumore e quasi appartenente
a un’altra realtà; così Takane gli si
avvicina con delicatezza, il terreno che si
frantuma in guizzi di luce a ogni passo.
Il
giovane interrompe la contemplazione della Natura e si volta
immediatamente,
attendendo di avere la ragazza al suo fianco per godersi in tutto
quello
sguardo bruno che gli occhiali non possono nascondere, e sorride ancor
prima
che lei sfoderi un’espressione di finto cruccio.
«Dovevi svegliarmi subito.»
«La
principessa stava dormendo troppo bene per sentire i miei
richiami.»
«Evidentemente
non sei stato abbastanza convincente.»
«Evidentemente
hai fatto di tutto per non sentirmi.»
Takane
alza gli occhi al cielo e si stringe nelle spalle senza rispondere,
restando immobile
per qualche tempo; poi è lesta ad abbassarsi per afferrare
una manciata di neve
e compattarla nella mano, tirandola dritta in faccia al compagno.
«Battaglia!»,
urla quindi, saltandogli addosso e rovesciandosi con lui, incapace di
non
ridere.
«Che
sleale, Takane, questo è stato veramente un colpo
basso», protesta il biondo
con un ghigno e mentre l’afferra per la vita, ben determinato
a fargliela
pagare. La contesa si popola ben presto di grida e risate, e la calma
del luogo
si sfalda nella tempesta di cristallo nella quale si affrontano,
rotolando e
afferrandosi, lottando per la supremazia su quella landa di nessuno,
rifiutandosi di cedere troppo facilmente e trarre, invece, il massimo
divertimento dai loro sforzi; quasi fosse la prima volta che si
scoprono
innamorati — e sono già passati quattro anni da
allora.
Tutto
ciò che hanno vissuto insieme, quanto li lega e scorre nel
sangue di entrambi
respira insieme a loro, percepibile sia da distanti che fianco a
fianco; ma è
nel momento in cui si fermano, con il fiato spezzato per i giochi e
dalle
risate, che tutto si sente di più, nell’istante di
una tregua e mentre si
stendono sulla coltre bianca.
«Gli
altri vorranno sapere se siamo tornati senza problemi. Saranno ore che
non ci
facciamo sentire», sussurra la giovane dopo qualche attimo di
silenzio, seguendo
le danze di luce intorno a sé.
«Sei
con me, Takane; gli altri sanno già che
stai alla grande.»
La
mora sorride, scuotendo appena il capo; quindi si rotola fino a finire
tra le
braccia del giovane, un’idea improvvisa che le brilla nello
sguardo. «Ci
facciamo una casetta?»
Senza
attendere una risposta, prende l’altro per mano e lo fa
alzare, per poi correre
fino alle porte della selva. «Su, vieni! Facciamola qui, dove
la neve è ancora
intatta.»
«Lo
sarà ancora per poco con te, terremoto ambulante.»
«Non
tutti possono fare i bambini ventiquattr’ore su ventiquattro,
Arataka; devi
concedermi i miei momenti.»
Reigen
ride sinceramente e l’aria si riempie del suo vibrare,
così come il terreno e
il bosco; avanza verso la compagna ma poi scarta di lato, prevedendo la
mossa di
questa d’inseguirlo, e corre avanti.
In
quel momento e per un’oscura ragione, Takane vede il mondo
farsi buio e aguzza
lo sguardo verso gli alberi innanzi a lei: un riflesso involontario del
corpo,
una sensazione simile a un brivido che se ne va tanto improvvisamente
quanto è
arrivata.
La
mora non sposta lo sguardo per altro tempo ancora; poi, le braccia del
biondo
le raggiungono le spalle e la scuotono dolcemente, il suo volto diventa
tutto
ciò che vede.
«Va
tutto bene, tesoro? Sei stanca?»
«Sto
bene, sì», sussurra lei, «è
tutto a posto.» Non sa cos’è successo,
così non può
spiegarlo neppure a sé stessa; quindi è difficile
da trattenere e inizia a
sfaldarsi in poco tempo, specie dopo che il giovane
l’abbraccia forte e le posa
un bacio sulla fronte. «Brutta notizia: la casetta non si
costruirà da sola… proviamo
a finirla prima che venga il tramonto?»
La
giovane ritorna a sorridere, annuisce; non pensa più alla
buia sensazione…
…
E tuttavia, una volta vinta la sfida contro il tempo e al momento di
andarsene,
getta nuovamente un’occhiata all’intricata selva
che li ha visti passare quei
momenti insieme; nell’animo la interroga di qualcosa che non
sa, mentre con la
coda dell’occhio vede che anche Reigen si gira verso lo
stesso punto,
indugiando un istante più di lei e mutando espressione in
una luce nuova, simile
a quella che scende ad avvolgere gli alberi in una cortina fumosa e
nell’incedere
della silenziosa sera.
«Andiamo,
amore? Inizia a fare freddo qui.»
Un
breve silenzio, un sorriso che allontana il buio — quale
buio, però?
«Andiamo.»
Il
sesto giorno, Lei sogna; il settimo, tesse una vita insieme.
1
gennaio.
“Ricordati
di dirmi il tuo primo sogno
dell’anno, mi raccomando.”
“E
se non ne dovessi avere?”
“Ma
certo che ne avrai, Takane; e ovviamente ci sarò io di mezzo.”
La
città è percorsa di luce quando la ragazza alza
il capo e immerge lo sguardo in
una notte che non è veramente tale, non in quel momento.
Il
cielo buio fatica a trovare il proprio spazio tra i fiumi di gente che
si
riversano nelle strade, i festoni, i richiami continui e il giorno
dell’anno
che trascina con sé quanto resta dei festeggiamenti, e
nonostante la notte
praticamente insonne e la lunga visita al tempio nel primo mattino, la
girandola di amici e parenti che si è divisa la sua presenza
e le vicende inaspettate
di una giornata comune, la mora si accorge di non avere un briciolo di
stanchezza in corpo. Si sente elettrizzata, invece, come se stesse
attendendo
qualcosa da troppo tempo per sentire altro… anche se quello
che sta andando a
incontrare non è niente d’incerto né di
nuovo.
“Sono
in ufficio, mi raggiungi lì?”
“Smettila
di pensare sempre al lavoro!”
“Così
appena arrivi potrò occuparmi di te come meriti.”
“…
Un giorno riuscirò a vincere contro la tua
parlantina, sappilo.”
Scuotendo
il capo e sorridendo come se Reigen potesse vederla, Takane ripone il
cellulare
e si gode l’ultima parte del percorso che guida fino alla sua
meta, raggiungendola
ancor prima che se ne accorga.
L’ufficio
è immerso nel buio, come se il suo proprietario non ci
fosse, e lei entra con leggera
titubanza, senza far rumore. Schiaccia quel pulsante della luce che
oramai
conosce a memoria e tutto diviene ancora più scuro,
facendole aggrottare la
fronte per la sorpresa e sollevando uno sbuffo di fastidio a qualche
metro di
distanza da lei. «E perché ora si è
spenta la luce?»
«…
Arataka-kun?»
Un
istante di silenzio e un debole fruscio, come di qualcuno che si giri.
La
tenebra, intanto, si fa ancora più fitta.
«Oh,
eccoti qui! Non ti ho sentita arrivare!»
La
ragazza deglutisce, immobile e leggermente confusa. Perché
la voce del giovane
suona così normale? Non vede di essere al buio? C’è
qualcosa che non va.
«Ehm… dove sei? Non riesco a vederti.»
«Come
sarebbe a dire che non riesci a vedermi? Sono
proprio qui davanti a te!
Ohi, Takane… è tutto a posto?»
Lei
fa per replicare, avanza nell’ombra… e ci sbatte
contro come farebbe con un
vetro annerito, sentendo sul naso il gelo tagliente di una lastra di
ghiaccio e
barcollando all’indietro per la sorpresa e il dolore al
volto. Liquido caldo le
scende fin sul petto, e la giovane ci mette qualche istante prima di
comprendere che sia sangue; quindi, finalmente il buio sembra
letteralmente farsi
da parte per lasciar passare Reigen e fargli afferrare la sua
fidanzata. «Takane,
ma cosa…»
Questa,
incredula, si guarda le mani costellate di gocce cremisi e si sfiora il
naso,
là dove ha colpito quella strana barriera, per poi alzare
gli occhi sul
compagno, che a sua volta la fissa stupito e leggermente confuso tra
ciò che
rimane della cortina buia.
Si
guardano senza sapere cosa dire, quindi lui le si avvicina di
più. «Vieni,
siediti», dice infine, prendendo l’altra per mano e
facendola sedere alla
scrivania, «fammi vedere bene.»
«Era
tutto buio quando sono entrata, non riuscivo a capire nulla,
e—» Takane
s’interrompe e irrigidisce, una smorfia dipinta in volto; la
pelle è percorsa
da brividi e si inumidisce, come se si trovasse sotto
un’improvvisa pioggia:
una tempesta che ha l’odore del ferro e l’essenza
dell’orrore.
«…
Sono ricoperta di sangue…»
«Ma…
ma io non vedo nulla.»
«Lo
sento scendere ovunque, ovunque! Devo…
devo…»
«Takane.»
Il giovane la prende per le spalle e la ferma, incurante del pericolo
di
sporcarsi; le sue dita sono gentili mentre le passano sul volto e le
scostano i
capelli dalla fronte sudata, le aggiustano gli occhiali e
l’accarezzano di
nuovo. «Takane, ascoltami: è tutto a posto. Non
c’è niente che non vada, hai
solo preso un colpo al naso: forse ti sei scontrata con qualcosa mentre
entravi, e il dolore ti ha fatto vedere tutto nero… ti sei
spaventata e basta.
E sei stanca.»
La
ragazza rimane in silenzio, ma in parte vorrebbe placarsi sia per le
parole del
giovane sia appena vede che, effettivamente, non
c’è alcuna traccia rossa sulle
mani e che anche l’epistassi si è fermata. La sua
mente crede sì alla voce
calmante di Reigen, ma per metà; l’altra continua
a inviarle segnali d’allerta
e le impedisce di accettare completamente la versione del biondo,
tormentandola
ancora.
Questo
se ne deve accorgere, perché evitando di parlare troppo la
conduce fuori
dall’ufficio e lontano dal caos cittadino, fino al suo
appartamento e sotto le
proprie cure; Takane si lascia spogliare senza protestare e si fa
lavare,
chiudendo gli occhi per godersi la dolcezza che le viene riservata e
poi stringendosi
completamente contro il corpo dell’altro, cercandolo e
chiamandolo con il
proprio.
Dalle
finestre la notte entra senza pudore, illuminando le pareti con pallore
di
stelle e profumi di tenerezza, e davanti a esse Reigen si siede con la
ragazza
tra le braccia, cullandola come una bimba e baciandola a lungo sulla
fronte,
agli angoli delle labbra, fin dentro l’anima. «Ora
dormi e non ti preoccupare
di nulla, va bene? Sono qui con te, non vado da nessuna
parte.»
Finalmente
Takane si permette d’ubbidire completamente e annuisce piano,
lieta di averlo
vicino a sé non solamente in una sera simile, ma sempre.
Domani
andrà tutto meglio: è una brutta giornata, non la
rovina di una vita intera.
L’ottavo
giorno,
Lei accoglie.
2 gennaio.
Quando
Takane si sveglia piano e si allunga verso il lato dove Reigen ha
dormito,
certa d’incontrare il suo corpo, non trova nulla: lui
è già uscito e ha
lasciato la tranquillità dell’appartamento a
vegliarla, insieme al fascio di
luce che si fa largo nelle stanze.
La
ragazza osserva il sole splendere al di là delle mura e si
riaccoccola tra le
coperte mentre immagini fumose della sera precedente fanno capolino
nella mente,
tuttavia senza inquietarla come poche ore prima, e poi si spengono. Per
qualche
tempo si riaddormenta e sogna neve, bruma, il corso di un fiume e alte
montagne
a circondare i suoi passi, la pelle quasi bruciata dal gelo invernale e
un
rumore lontano che si fa via via più vicino, simile al suono
di una campana che
chiami da terre sconosciute e giunga come un’onda…
…
Il trillo del suo cellulare e di una telefonata in arrivo, che rompe la
sottile
magia e la costringe a rispondere per l’insistenza con cui
continua a tormentarla.
Dall’altro
capo, ancor prima che lei possa dire una parola, la voce di Serizawa la
sveglia
completamente. “Pronto Sakurai-san, per fortuna hai
risposto.”
«Buongiorno
anche a te, senpai. Perché tanta
agitazione? Arataka ha combinato
qualche disastro in ufficio?»
Una
piccola pausa. “In verità
l’ufficio è chiuso, ed è strano
perché Reigen-san
mi aveva dato appuntamento qui per due ore fa. Il suo cellulare
è sempre
occupato e non riesco a contattare nessuno degli altri…
è lì con te, per caso?”
«No,
non è qui: credo sia uscito da un po’.»
“Aspetterò,
probabilmente ha avuto un imprevisto.”
Uno
di quelli grossi, se è da due ore che non si fa vivo. «Non
ti preoccupare, ora provo a chiamarlo anch’io. Ci
sentiamo.»
La
ragazza stacca la chiamata e fissa lo schermo per qualche istante,
quindi la telefonata
parte per proprio conto. Non passano che due squilli prima che Reigen
risponda,
e Takane sente il cuore tornare ai suoi battiti normali. «Che
costa sta
succedendo? Serizawa ti sta attendendo da due ore! Dove sei?»
“Sono
fuori città. Ora… ora ritorno.”
«Fuori
città… perché?»
Silenzio.
“Sarò di ritorno tra poco… non
vi dovete preoccupare. Ora… ora arrivo.”
La
mora si passa il cellulare da una mano all’altra, cercando di
controllare la
voce. Il tono del giovane sembra stanco e lontano, come se parlasse dal
vero ma
distante vari metri da lei. Per qualche ragione, poi, nella sua mente
sorge
nuovamente l’immagine della distesa di neve in cui hanno
giocato giorni prima.
Qui
la telepatia non c’entra… forse. «Arataka…
va tutto bene?
Sembri strano.»
“Tutto
a posto, davvero. Avevo solo un impegno che dovevo sbrigare.”
L’altra
annuisce, non convinta. «Vuoi… vuoi stare al
telefono con me, intanto che torni?
Ci faremo compagnia a vicenda.»
“Qui
non prende molto bene, purtroppo. Ci sentiamo più tardi, ok?”
«Come
vuoi. A dopo, allora.»
Takane
abbassa il cellulare e guarda davanti a sé. Nella mente si
avvicendano pensieri
ed emozioni diverse, e tra tutte pulsa la stessa, inquietante
sensazione
vissuta davanti ai boschi e nell’ufficio di Reigen
— quell’impressione di
trovarsi innanzi a una realtà altra, ostile e pericolosa,
che tenta di
allontanarla dal compagno. Così non ci pensa due volte prima
di afferrare le proprie
cose e precipitarsi fuori dall’appartamento del fidanzato,
attraversare tutta
la città per raggiungere la sua di casa e recuperare le
chiavi della macchina,
lanciarsi su una strada che, per quanto l’abbia fatta
solamente una volta,
ricorda perfettamente; dà retta all’istinto, alla
voce che le dice che Arataka
si trova vicino alla nera selva e che solo là potrebbe
essere, e intanto sente sé
stessa pregare che vada tutto bene, che il suo animo si stia
sbagliando, che il
pericolo che percepisce sia un’illusione.
È
il momento di metterti alla prova. Takane socchiude
gli
occhi e si concentra, i poteri si attivano senza sforzo e vincono i
chilometri,
volano sulle terre e per il cielo; incontrano oscurità e
vuoto, e questo
portano alla loro proprietaria. Intanto, alberi e solitudine incrociano
il suo
percorso senza ostacolarla, accompagnano la corsa fino ad aprirsi
davanti alla
zona ancora immacolata, incantata nel suo lucore e per questo
più straniante.
Al suo limitare la giovane ferma la macchina e fissa la
profondità delle selve
con il cuore impazzito, quindi scende senza perdere altro tempo; e se
la volta
prima i suoi passi nemmeno si sentivano, ora scricchiolano
sinistramente sulla
coltre bianca fattasi più dura, pronta a farla scivolare a
ogni istante.
La
ragazza si guarda intorno, cerca una qualsiasi traccia di Reigen con la
frenesia di una disperata; cammina per tutta la distesa, segue ogni
irregolarità, strema la mente per una pista, ma non trova
nulla che la possa
ricondurre a lui.
Che
mi sia sbagliata? Che sia tutta una mia immaginazione?
I
boschi sembrano osservarla e non perdersi neppure un suo gesto, si
mostrano
ancora più neri quando si prepara ad affrontarli. Niente si
muove quando supera
i primi alberi e alza il capo verso un intrico di rami e foglie dallo
stesso
colore dell’ebano, i sentieri bianchi sono tortuosi ma larghi
e liberi; ciò
nonostante la ragazza trema mentre inizia a percorrere il
più vicino a lei e il
desiderio di voltarsi e scappare via diventa tanto intenso da far male.
Coraggio,
coraggio.
Si
ferma un istante per prendere fiato, alza una mano davanti a
sé per tastare i
tronchi e la strana vegetazione che pende da bassi arbusti,
là dove la luce
viene strangolata dalla fitta presenza arborea e
l’oscurità inizia a regnare, e
ricomincia a procedere. Festoni scuri incontrano le sue dita, lasciando
una
traccia umida sulla pelle e facendola rabbrividire, uno addirittura
s’impiglia
nella mano e gliela lega.
Con
una smorfia e uno strattone, lei la libera e indietreggia, sbattendo
contro gli
alberi alle sue spalle e scatenando una breve pioggia di neve che
finisce
dritta dritta sul suo collo. «Odio questo posto, lo
odio!», esclama mentre si
toglie la sciarpa e la scuote con stizza, muovendo anche la vegetazione
più
vicina; quindi si blocca e sgrana gli occhi, incredula. Non
l’ha notato prima
perché impegnata in altro, ma davanti a sé non
c’è solo un bosco malato, e lo
spiacevole episodio gliel’ha rivelato. Ma
questa…, pensa, allungando una
mano verso ciò che pende poco sopra la sua testa, …
è un mio regalo.
No.
Il
tempo di sentire uno schiocco a un sospiro dal suo viso e Takane si
ritrova
sbalzata indietro di vari metri, appena fuori dal bosco e dalla sua
sinistra
aura, a rotolare malamente e a ingoiare terra e neve.
Ma
che cosa…
Tossisce
con violenza mentre riesce ad ancorarsi al suolo, sputa tutto e si
mette
carponi; fa per alzarsi, ma il corpo trema e la costringe a rimanere
com’è, per
poi concentrare il massimo dolore al livello del gomito destro, su cui
è
atterrata duramente più di una volta. Lacrime di spavento e
sofferenza le incendiano
le guance, ghiacciandosi nell’aria tersa, e le impediscono di
vedere davanti a
sé; le dita, intanto, stringono fibre di tessuto —
la sciarpa di Reigen.
«Com’è
po-possibile», mugola lei, «che cosa sta
accadendo…»
Attende
un attimo per riprendere forza; quindi prova nuovamente a mettersi in
piedi.
Anche questa volta fallisce, quindi non può far altro che
gattonare verso la
macchia delle selve, ignara del gelo che le segna le mani e penetra
nelle ossa,
ben deciso ad annientarla.
Vattene,
telepate. Non sei la benvenuta qui.
Il
bosco parla, la sua voce esplode nella testa di Takane come una bomba;
questa
urla e si prende il capo tra le mani mentre al dolore al gomito si
aggiungono
fitte lancinanti alla fronte. «Smettila,
SMETTILA!», urla.
Un
sibilo rompe l’immobilità e la mora intravede una
nebbia nera lasciare il folto
boschivo per venirle incontro; s’immobilizza per qualche
istante nel sentire il
macigno del terrore colpirla al petto, quindi striscia
all’indietro e balbetta
parole che neanche lei comprende, voltando il capo per non vedere
quello che
accadrà dopo.
Una
presa decisa le avvinghia il corpo, ma con delicatezza e senza farle
male, e la
solleva letteralmente allontanandola dalla forma buia, che invece si
arresta e
retrocede fino a scomparire nuovamente nel bosco.
Sorpresa,
la ragazza gira la testa e incontra una figura che conosce da anni, ma
che mai
come in quel momento è stata più contenta di
vedere. Umiko-senpai, non sei
l’unica con la fortuna di averlo vicino.
«Minegishi-senpai»,
mormora, cercando di sorridere.
«Appena
in tempo», le risponde l’esper
mentre permette alle sue piante di posarla al suolo,
«è tutto a posto?»
«Il
braccio riesco a
muoverlo», sussurra Takane, «non dovrebbe essere
rotto, anche se fa parecchio
male. Ma Arataka… Arataka è là dentro.
Non so che cosa sia successo, non riesco
a capire… la sua sciarpa…» Si mette in
ginocchio e barcolla, si aggrappa
all’altro per non cadere. «Dobbiamo andare a
prenderlo, senpai, ha
bisogno di noi!»
«Reigen non è là, non
sento la sua presenza; e noi dobbiamo andarcene subito, è
troppo pericoloso
restare oltre.»
La ragazza non comprende,
si agita leggermente quando viene sollevata. «Ma…
ma…»
«Calma,
calma; dammi retta, è meglio se vieni con me.»
«Ma
dove andiamo?»
«In
un posto sicuro. Devo parlare con una persona… e a questo
punto, è necessario
che ci sia anche tu. Se hai abbastanza pazienza per attendere ancora un
po’, ti
racconteremo alcune cose.»
«Non
vado da nessuna parte senza Reigen! Ti prego, ti prego, dobbiamo
trovarlo… è
qui, lo so, lo so…»
Il
mondo inizia a vorticare sempre più velocemente, le emozioni
più violente l’assalgono
tutte insieme e lei si sente mancare, cadrebbe con la faccia nella neve
se
Minegishi non l’afferrasse al volo e la prendesse in braccio
subito dopo; e
sviene così, con lo sguardo rivolto alle selve e un grido
che strazia il cuore
— ma non l’oscurità che gli alberi
proteggono —, con la certezza di essere
impotente contro di esse.
È
pomeriggio inoltrato quando la giovane riapre gli occhi. Riconosce il
soffitto
e l’atmosfera, come la luce arriva e le ombre che crea, il
calore del letto in
cui sta; sa di essere nell’appartamento di Reigen, ma si
accorge immediatamente
che lui non è lì — né di
essere, comunque, da sola. Sussurri e pause l’attirano
e le fanno voltare il capo per incontrare le due figure che sono poco
distanti
dal letto, intente in una discussione fitta che non lascia penetrare il
resto
del mondo.
«Dov’è
Arataka?»
Serizawa
e Minegishi s’interrompono di botto e la guardano per un
attimo, poi il primo le
si fa più vicino e tenta di sorridere. «Come stai,
Sakurai-san? Sei rimasta
incosciente per parecchie ore.»
Rispondendo
con un gemito, la ragazza si mette seduta e si aggrappa a un braccio di
Katsuya
mentre il mal di testa le martella la vista. Dopo qualche istante la
situazione
diventa più stabile e il dolore si affievolisce quel tanto
che basta per
permetterle di capire che cosa le viene detto, e lei riesce anche a
prendere il
bicchiere d’acqua che Minegishi arriva a offrirle.
«Te
la senti di raccontare che cos’è
successo?»
«Sì»,
mormora Takane, «ma prima di farlo, mi potete dire voi
perché siamo
nell’appartamento di Reigen? E, per favore… voglio
sapere dov’è lui.»
«Ho
detto io di portarti qui, appena sono stato informato dei fatti di
stamattina»,
risponde Serizawa. «Sono venuto a dare un’occhiata
anche in questa zona, nel
caso Reigen-san fosse…» Una
pausa. «Sei uscita a cercarlo dimenticandoti
di chiudere tutto, non è vero? Beh… alla fine
è stato un bene, perché così
possiamo parlare senza coinvolgere altre persone.»
La
ragazza non risponde subito e abbassa gli occhi sulle proprie mani. Tra
le dita
stringe ancora i fili che è riuscita a strappare da
quell’albero, così che il
respiro si fa più irregolare. «Vengono dalla sua
sciarpa», mormora mentre li
mostra agli altri, «gliel’ho regalata io.
L’ho… l’ho vista pendere da un ramo,
lì nel bosco; quando l’ho
afferrata…» Un sospiro. «È da
giorni che sta
succedendo qualcosa di strano. È iniziato tutto proprio
davanti a quella selva:
Arataka e io ci siamo fermati a giocare nella neve, e a un certo punto
il
paesaggio ha cominciato a mutare, è diventato spettrale,
quasi, ostile; ma solo
per me, perché lui non ha notato niente di diverso
— così credo, almeno.
Poi,
ieri, il suo ufficio… il suo ufficio era immerso nel buio
nonostante le luci
fossero accese, ed è accaduta una cosa che forse non
riuscirete a credere: a un
certo punto mi sono ritrovata bagnata e con l’odore del
sangue fresco addosso,
come se fossi piena di ferite; eppure stavo e sto tuttora bene, ma
quella
sensazione…» Un breve silenzio, che nessuno
interrompe. «E stamattina, quando
Serizawa-senpai mi ha chiamata riguardo ad Arataka,
lo so di essere
stata folle, ma per qualche ragione mi sono convinta che
l’unico posto dove
potesse essere fossero i boschi; ho seguito l’istinto, sono
andata là… il resto
lo sapete. Quello che non so io, invece, è cosa stia
accadendo.»
Takane
alza il capo e passa con lo sguardo dall’uno
all’altro, inquietata dalla
profonda immobilità e dalla tensione che vede nel volto di
entrambi. «Mi
credete pazza, vero?»
«Se
sei pazza tu, allora lo siamo anche noi due», mormora
Katsuya, quindi la mora
si rivolge a Minegishi. «Senpai, prima hai
detto che dovevate
raccontarmi alcune cose. Che cosa sai — sapete?»
«Non
è una bella faccenda, affatto.» Serizawa esita un
attimo e lancia un’occhiata verso
Toshiki, il quale annuisce alla silenziosa domanda dell’altro
e prende la
parola. «C’è una storia, intorno a quel
luogo: riguarda una giovane morta in un
incidente proprio nel giorno del suo matrimonio, quasi dieci anni fa.
Quello
che ufficialmente si sa è che la macchina di suo padre
precipitò in un burrone
con tutta la famiglia all’interno, senza alcun sopravvissuto;
ma il corpo della
ragazza venne trovato lontano più di un chilometro dal luogo
dell’incidente, proprio
nei boschi dove sei stata attaccata.»
«Non
è morta subito e ha cercato persino un aiuto…
deve aver sofferto tantissimo.»
Serizawa
scuote il capo, chinandolo. «E la tragedia non è
finita qui, purtroppo: qualche
settimana dopo il disastro, quello che avrebbe dovuto essere il suo
sposo non resse
più al dolore della perdita e si uccise. È stato
uno dei casi più brutti del
Giappone.»
Takane
resta un istante in silenzio, quindi aggrotta la fronte.
«Certo, ma tutto
questo cosa dovrebbe a che fare con Reigen?» Una pausa,
l’incastro degli eventi
e dei pensieri, la consapevolezza. «… Voi state
pensando a uno Spirito.»
«È
qualcosa di più che un semplice pensiero, ma fino a ora le
nostre sono state
solo supposizioni e discorsi incerti», riprende Serizawa.
«Vedi, diciamo che noi
l’abbiamo… incontrata ai tempi
dell’Artiglio. Al Quartiere Generale era giunta
notizia che in quei boschi abitasse anche un esper dai grandi poteri, e
Suzuki-san
mandò alcuni di noi a reclutarlo; ma quelli non tornarono
più indietro.»
«Solamente
le femmine del gruppo», precisa Minegishi, «tutte
con un vuoto di memoria che
iniziava dal momento dell’arrivo lì fino al loro
risveglio, a poca distanza
dalla zona; dei loro compagni non sapevano dire nulla, erano come
svaniti.
Suzuki
mandò me e Shimazaki a cercare di fare luce su cosa fosse
successo, ma non
trovammo niente: né la presenza dell’esper,
né di chi era scomparso. Non c’erano
tracce di lotta e neppure di pericolo, almeno a livello fisico; ma la
sensazione che qualcosa non andasse, quella era davvero forte. Troppa
calma,
immobilità… era come se fossimo arrivati troppo
tardi in un posto dove fossero
successe cose orrende, ma che non potevamo più
vedere.
Suzuki
stesso provò a indagare sulla situazione, ma nemmeno lui
riuscì a scoprire
qualcosa; e da quel momento nessuno parlò più
della questione.
A
questo si aggiunge un fatto ancora più inquietante: ogni
anno dall’incidente,
in questo periodo, le piante iniziano ad agitarsi, come se avessero
tutte paura
o venissero richiamate da qualcosa. La fonte è proprio la
selva, ma avvicinarsi
al luogo è impossibile… se sono riuscito a
salvarti, è perché ero abbastanza
lontano dal raggio d’azione di chiunque la
controlli.»
La
ragazza annuisce a quelle parole mentre brividi ghiacciati sorgono
sulla pelle,
a lei come a tutti gli occupanti della stanza. «La selva non
risponde ai poteri
di un esper, sembra avere una vita propria. Quindi, senpai,
stamattina
tu hai sentito ancora quel turbamento nelle piante e, come me, hai
deciso di
fare una visita là… evitandomi così
una morte certa.» Una pausa. «È strano,
però: dici che la situazione dura solo per un periodo e
parli di un’entità che
rapisce i maschi ma non tocca le femmine, a meno che non sia
costretta.»
«E
che ogni volta che si è manifestata, qualcuno è
scomparso.»
«…
Perché, perché tutto questo?»
Quale
esper potrebbe contrapporsi a una simile figura? Visto quanto
è misteriosa, la
sua esistenza sarà considerata uno scherzo… che
prove possiamo portare, a dire
il vero, della sua reale presenza? Nessuno di noi l’ha mai
incontrata, ma ha
visto solamente i suoi effetti… e i nostri poteri non
possono avere ragione su
di lei.
È
spaventosa.
«Devo
trovarlo al più presto. Anche se non tiene prigioniero
Arataka nel bosco,
quello Spirito è comunque legato alla sua
sparizione… non posso lasciarlo da
solo.»
Né
Serizawa né Minegishi replicano alle sue parole, ma la
ragazza comprende subito
che non la lasceranno andare via da lì facilmente.
«Pensateci:
chi può avere qualche speranza, se non io? In
un’altra occasione avrei chiesto
aiuto anche solo a voi due, ma da quello che sappiamo ora sareste delle
altre
prede; e no, non posso nemmeno pensare che vi accada qualcosa, o di
coinvolgere
Shigeo-chan, di… no.» Una
pausa. «Questa è una faccenda che riguarda
delle ragazze, e tra ragazze va risolta: se foste nei miei panni,
fareste lo
stesso.
Arataka
ha già atteso fin troppo.»
«Hai
ragione, non possiamo trattenerti qui contro la tua
volontà», sospira Serizawa
dopo una silenziosa esitazione, «non servirebbe a nulla e non
è la soluzione ideale;
e non sei l’unica che vuole ritrovare Reigen-san
al più presto. Quindi,
se hai intenzione di ritornare là, non sarai sola.»
«Possiamo
partire anche subito», aggiunge Minegishi, «non ha
più senso aspettare.
Proveremo
ad aiutarti come possiamo.»
Takane
tace, le parole non sono sufficienti per ringraziare entrambi come
meritano; ma
sente il cuore incendiarsi e quella parvenza di controllo incrinarsi, e
in uno
slancio abbraccia i compagni. Si ritrova come in apnea, fatica a
reprimere le
lacrime che le appannano la vista e volta lo sguardo al sole che
già muore all’orizzonte,
confidando in tutto ciò che rimane della propria speranza;
manca un istante
prima che la mente si annebbi di troppi pensieri e questi non lascino
spazio ad
altro, e manca solamente un respiro alla notte, alle sue paure.
Saranno
le ore più lunghe della sua vita; e lei è pronta
a viverle in ogni loro secondo.
Nella
sera, i boschi sono ancora più silenziosi delle volte
precedenti. Come loro,
anche la falce di luna che si innalza in cima agli alberi è
immobile, vivida
nell’aria gelida, e li irraggia di luce sovrannaturale e
ombre di spettri.
Takane
ha un moto di paura quando fa il primo passo nella distesa di neve,
intatta
come sempre; guarda indietro con la coda dell’occhio, quasi
ad assicurarsi di
non essere sola, e stringe la mano ai due esper per scacciare le brutte
sensazioni.
«Come
stai?»
«Ho
paura», è la risposta sincera, «ma
questo non vuol dire che mi fermerò. Non me
ne andrò di certo.»
«Noi
non possiamo avanzare di molto, presto ci fermeremo. Ti attenderemo qui
fino a
quando non tornerete, ma se avrai bisogno
d’aiuto…»
Le
parole di Serizawa rischiano di scatenare altre lacrime negli occhi
della
giovane, che tuttavia le sfrutta per farsi maggiormente forza.
«Grazie, senpai.
State mettendo in gioco tutto per me… non credo di
meritarvi.»
Minegishi
le mette una mano tra i capelli, accarezzandoli piano. «Vai,
ora. Non pensare a
noi, staremo bene.»
«Prometto
che non vi farò aspettare molto», annuisce la
ragazza, «quindi… a tra poco.»
Il
suono dei suoi passi in corsa copre ogni risposta, ma ormai non si
può più
aspettare. Prima che se ne accorga, si ritrova sullo stesso sentiero
dal quale
è stata scacciata lo stesso mattino e si ferma
immediatamente, tendendo
l’orecchio per captare qualsiasi suono. Tocca i tronchi
anneriti dalla notte
precoce, sfiora rampicanti, struscia i piedi sulle strade bianche;
nessun
sibilo o fruscio in risposta, non una voce a esploderle nella testa,
come se
non ci fosse niente da temere. E a dir la verità, man mano
che avanza la
giovane si accorge che la selva non appare così terribile
come in precedenza;
salvo per le ombre che guizzano da un albero all’altro per
volere della luna,
potrebbe anche sembrare un bosco normale.
Per
nemmeno un secondo, tuttavia, pensa di essersi inventata tutto o di
essere in
preda a un caso di allucinazione collettiva: no, ciò che ha
vissuto è reale, ma
ora ha forse cambiato volto o si è placato.
Questo
vuol dire che è troppo tardi per Arataka? Che lo Spirito ha
ottenuto ciò che
vuole e non ha più senso tormentare il mondo?
Una
ragazza morta nel giorno del suo matrimonio e rimasta intrappolata tra
gli
umani come Spirito… che cosa può aver avuto
così tanta forza da tenerla qui?
Takane
ci ha riflettuto per tutto il viaggio fino a lì, e
più ritorna alla risposta
che si è data più se ne convince. Almeno un pezzo
della vicenda avrebbe senso:
un desiderio così intenso e totale da riempire quella povera
anima di oscurità…
…
Il desiderio di uno sposo. Un sostituto.
Rapisce
gli uomini per trovare chi possa stare con lei per
l’eternità, allontanando o eliminando
le donne che si mettono sulla sua strada…
C’è
ancora qualcosa che non torna, ma potrebbe davvero essere questo il suo
scopo.
La
giovane si ferma, alza il capo verso il pallore che i rami non lasciano
passare.
Avrei
parecchie cose da chiederti, Spirito; e probabilmente lo sai.
Rimane
immobile per un poco, parte di quell’oscurità che
il sottobosco nutre e
protegge; poi riprende ad avanzare senza una meta precisa, ma con
l’istinto a
dirle che non è passata inosservata. Nonostante le
impressioni iniziali, la
selva non è estesa e dopo non molto la giovane si ritrova al
lato opposto da
dov’è entrata; qui si arresta nuovamente,
guardando quanto riesce a scorgere
intorno a sé con il respiro accelerato
dall’adrenalina.
Notte
buia… Arataka potrebbe essere anche a qualche metro da me, e
non lo vedrei.
Amore
mio, dove sei?
«Mi
sembrava di averti detto che non eri la benvenuta.»
Takane
s’irrigidisce e ogni parola si mozza in gola. La voce che si
è sollevata dietro
di lei non è spaventosa, ma bassa e dolce nella sua
femminilità; tuttavia il
corpo smette di rispondere ai normali impulsi e rimane bloccato nella
sorpresa,
così come la mente.
«Non
provare a usare i tuoi poteri, ti faresti solo male. Smetti di
resistere così.»
La
giovane spalanca la bocca in uno sforzo immane e il dolore si prende
tutto il
volto, poi una forza estranea a lei l’afferra e costringe a
voltarsi. Gli occhi
non esitano a mettere a fuoco e il cuore aumenta i battiti mentre
l’odore del
sangue sale dal terreno e la pelle si ricopre del suo viscido bacio; in
risposta, l’altra figura fa una smorfia amara.
A
prima vista, lo Spirito non ha nulla che non vada
nell’aspetto: lo sguardo è
smeraldino e lucente, il volto incorniciato da splendidi capelli di
fiamma e il
corpo piccolo e snello avvolto non nell’abito tradizionale
giapponese, ma in
una nuvola di pizzi e tulle che fa risaltare il pallore
dell’incarnato. Il
simulacro di una bella giovane, quindi; se non fosse per gli squarci su
tutto
il corpetto della veste e la parte superiore della gonna, dai quali il
sangue
continua a stillare, e per le mani e piedi ricoperti di orribili
ferite. Ombre
scivolano su di lei rivelando altre lacerazioni, ematomi e segni che
prima
erano rimasti nascosti, e Takane rabbrividisce.
Non
immagino quanto debba avere patito.
«Sei
molto spaventata, piccola? Faccio così paura?»
La
giovane non risponderebbe neppure se fosse libera di farlo, e in
quell’attimo
la presa sul corpo si allenta e lei si sente come cadere a terra,
finendo
invece per trovarsi il volto dello Spirito a qualche centimetro dal suo.
«Vattene
prima che mi arrabbi. Farò finta di non averti nemmeno
visto.»
«No-No…»
«No
cosa?»
La
mora prende un forte respiro. «Io n-non me ne va-do da qui.
Tu…»
L’altra
fa un debole sorriso e Takane recupera forza. «Dove hai
portato Arataka? Lo so
che è qui, sotto il tuo controllo… è
da quando siamo arrivati qui la prima
volta che te lo sei preso.»
Lo
Spirito non fa nulla per negare quanto ascoltato, e la giovane striscia
verso
di esso. «Lascialo libero… non puoi
averlo.»
«E
perché? Perché si tratta del tuo
ragazzo?»
L’esper
non replica, la rossa si fa avanti. «Sono dieci anni da
quando ho perso il mio
cuore; morire nel giorno più bello della propria vita
è orrendo… scoprire che
la disperazione mi ha impedito di andarmene completamente è
inspiegabile.
Ed
ecco perché il senpai la sente solamente in questo periodo
dell’anno. Ma…
«Hai
già rapito tanti uomini», tenta di replicare
allora Takane, «che cosa ne hai
fatto?
Tra
di loro non hai trovato nemmeno uno sposo?»
Lo
Spirito rimane un attimo in silenzio. «Loro… loro
muoiono sempre, tutti.» Un’altra
pausa. «Non riescono a rimanere in vita per più di
un giorno. Inizialmente sono
sani, pieni d’energia; ma quando il mio tempo finisce, mi
riaddormento sempre
sola.
Forse…
forse non sono quelli giusti per me.»
La
mora non replica, agghiacciata.
Muoiono
sempre.
Li
sceglie bene, ma qualcosa li uccide. È la sua essenza che li
indebolisce?
Minegishi-senpai
ha detto che non hanno mai ritrovato quegli esper…
può essere così potente da
consumare le persone fino a farle scomparire, ma solamente gli uomini?
E
lei ne è all’oscuro.
Arataka…
ti prego, ti prego, che non sia troppo tardi. Ti prego.
«Ti
addormenti sempre sola», mormora la giovane, «e
questo è il tuo più grande
dolore. Non rimane mai nessuno, ti spegni ogni volta per il silenzio
che ti
circonda.
E
se la morte non ha interrotto il tuo viaggio, da qui non ti puoi
neanche
muovere: sei imprigionata in questa gabbia di rami e foglie, lontana da
chi ami
davvero… perché non è qui che troverai
la pace, non in questa realtà.»
«Non
è vero», replica lo Spirito, «io
troverò la pace qui. Devo solamente continuare
a cercare…»
«E
cosa? Continuare a strappare le persone a chi le ama, a ragazze uguali
a te?»
La
rossa spalanca gli occhi, mentre il sangue inizia a scorrere
più copioso dalle
sue ferite. Allo sguardo stravolto di Takane, quello è il
pianto più doloroso
che abbia mai visto, e lei non può evitarsi di soffrire.
Soffre per quello
Spirito: anche se le ha rapito Reigen, anche se a ogni minuto che passa
i suoi
amici sono sempre più in pericolo, una parte di
sé comprende e prova pena per
quella povera ragazza che non aveva fatto nulla di male, come tante
altre —
solo molto più sfortunata.
Il
suo bisogno di calore e affetto non può essere contato,
sarà durissima averla
vinta contro di lei: non credo che riuscirò a odiarla,
nonostante quello che ha
fatto. Posso provare rabbia, posso condannare le sue azioni; ma
c’è anche tanto
altro.
Questa
ragazza è la prima vittima di sé stessa.
«Ci
hai mai pensato a chi le tue prede lasciano indietro, ai loro genitori,
le loro
donne? Quelle persone non sono molte diverse dai tuoi
genitori, quelle
donne assomigliano a te. A quante future spose come te
hai portato via
il futuro, quante giovani hai privato dell’amore della loro
vita?»
«Io…
non lo so», mormora lo Spirito, «ma loro hanno
ancora speranza, hanno tutta la
vita davanti a sé.»
«Non
è così facile: alcune trovano il coraggio di
andare avanti, altre no.
Alcune
soffrono ma poi scoprono che la vita ha concesso loro
un’altra occasione per
essere felici, altre no.» Takane prende un grande respiro.
«L’uomo che hai
preso è il mio futuro sposo, e se me lo porterai via io
finirò per diventare
come te, con lo stesso dolore, la stessa maledizione e disperazione.
Non
credo proprio che tu sia crudele: hai un cuore che vuole amare e
smettere di
sentirsi vuoto, ed è per esso che agisci… e
quando si compie qualcosa per
bisogno d’amore, non si può essere cattivi.
Per
questo chiedo al tuo cuore: lascia andare l’uomo che amo, per
me e per te
stessa.
Dentro
il tuo animo non sei il mostro che semina terrore; quindi, smetti di
macchiare
la tua bellezza con del sangue che non ti appartiene.»
«Io
non voglio più essere sola», replica lo Spirito,
gli occhi ridotti a fessure ma
la voce incrinata, «non voglio più sentire il
silenzio, e il freddo, e la
stanchezza, e…»
«Non
posso dire di sapere che cosa stai provando», risponde
Takane, «se non in
parte; ma posso comprendere i tuoi desideri. E quindi, non vuoi
riunirti alla
tua famiglia, all’uomo che ti sta attendendo da dieci anni?
Ti
stanno chiamando da dove c’è tutto ciò
che cerchi. Non hai sofferto
abbastanza?»
«Non
posso raggiungerli», replica lo Spirito, «li ho
persi per sempre.»
«Li
perderai se continuerai a credere di dover rimanere qui per liberarti.
Quegli
uomini non potevano ricambiare i tuoi sentimenti e ti hanno portato
solo
maggior tristezza; perché, come hai detto tu, non erano
quelli giusti. Quello
giusto ti sta aspettando al di là di questo mondo, non hai
bisogno di qualcuno
che non sia lui… perché ognuno si merita chi
possa amarlo davvero e per suo
volere, non per paura o incanto. Non lo pensi anche tu?»
L’altra
non replica, ma dopo qualche attimo cade in ginocchio davanti a Takane.
Non è
sangue ma un pianto vero, ora, ad abbandonarla, e la mora tende una
mano
davanti a sé, come per una carezza.
«Non
gli avrei mai fatto del male, puoi credermi. Non ho pensato un solo
istante di
farlo soffrire…»
«Lo
so, lo so. Ti ringrazio.»
La
rossa fissa Takane per lunghi istanti, in silenzio; quindi si alza e fa
segno
alla giovane di fare lo stesso. «Vieni», sussurra,
mentre la guida nel cuore
del bosco, «lui ti starà sicuramente
aspettando.»
La
mora le corre al fianco, senza nascondere la tensione. «Sta
bene, vero?»
«Certo
che sì, è solo addormentato. A dir la
verità, è quello che fra tutti ha
sopportato di più la mia presenza.»
L’altra
sorride, arrossendo. «Ne avevi preso uno speciale»,
commenta in un sussurro.
Lo
Spirito rimane in silenzio, pur accennando un sorriso. Le lacrime non
smettono
di solcarle le guance come perle, mentre la pelle inizia a illuminarsi
di una
luce interna e i capelli splendono come fuoco vivo.
«Io… io non credo che verrò
con te», mormora poi mentre le mostra la direzione da
prendere, «ma puoi benissimo
farcela da sola. Continua ad avanzare fino a quando non arrivi alla
fonte
naturale: lo trovi lì.»
Takane
attende prima di partire. «Tutto quello che ti ho detto lo
penso veramente: non
sei affatto cattiva… e credo che questo lo sappiano anche le
tue vittime.
Dovrai chiedere perdono a molta gente, di là, ma
abbracciarne altrettanta.»
La
rossa annuisce, e così fa la ragazza; questa tende un dito,
ma ancor prima che
possa provare a sfiorarlo lo Spirito si muta in un fascio di luce e un
improvviso sbuffo di vento scuote i capelli della giovane.
«Ma…»
Petali
bianchi, rossi, argentei le scivolano sui capelli e davanti agli occhi,
lasciandola stupita; quindi li prende nelle proprie mani, sorridendo.
Avevi
solamente bisogno di qualcuno come te per ritrovare la via perduta, e
ora puoi
avere tutta la felicità che non hai mai sognato prima. Addio.
Socchiude
gli occhi, in attesa; i suoi poteri attraversano tutto il bosco e
raggiungono
la mente di Serizawa e Minegishi.
Ora
potete raggiungermi, non c’è più alcun
pericolo: è finita.
È
finita.
Takane
si deve appoggiare al tronco di un albero, la testa che inizia a girare
e le
gambe che non reggono più il peso. Ce l’ha fatta,
Reigen è salvo: non ha motivo
di dubitare, dentro di sé sente che è
così. Respira a lungo e a fondo, attende
di sentirsi meglio; quindi incomincia a correre, sempre di
più, fino a
rischiare di cadere e non sentire più il proprio fiato, ma
solamente il sibilo
del vento intorno.
Il
gorgogliare dell’acqua è musica; ma il cuore
è calmo, perché sa già che lui
è
lì, a un secondo dall’alba, a un passo da lei, mai
così lontano da essere
irraggiungibile.
Gli
ultimi alberi si aprono davanti a una radura e lo zampillio della fonte
accoglie la giovane; vicino a essa, con la schiena appoggiata contro un
tronco
solitario, Reigen dorme con l’espressione più
serena che la mora gli abbia mai
visto.
Questi
si sveglia ancor prima che lei lo raggiunga, subito scatta in piedi; se
la
ragazza non fosse lesta a coprire l’ultima distanza e a
prenderlo al volo,
cadrebbe dritto a faccia in terra.
«Ohi,
Takane, ma dove siamo? Non ricordo di esserci arrivato,
qui…»
La
giovane non risponde subito, perché prima lo guarda come per
imprimersi nella
mente i suoi lineamenti, infine gli si slancia addosso e lo stringe
forte a sé.
«È una storia lunga», gli sussurra,
«e prometto che te la racconterò tutta; ma
per ora, amore mio, abbracciami e basta.» Un bacio
all’angolo della bocca,
desiderato e delicato. «Non sai quanto mi sei
mancato…»
Reigen
non dice nulla, sorpreso e confuso, ma obbedisce e la culla a
sé; e la mora si accorge
di aver iniziato a piangere solamente dopo minuti interi, quando anche
Serizawa
e Minegishi raggiungono la radura e si riuniscono a loro.
«È
tutto a posto», sente infatti rispondere da Toshiki a una
domanda che lei non
ha udito, oltre il velo dei singhiozzi, «quel pianto non ha
nulla a che fare
con il dolore.»
♦♦♦
Alla
fine, la camera da letto di Umiko ha ceduto il posto al giardino e a
un’infinita
stellata venuta ad accompagnare la luna, fattasi ora più
sfumata nella sua
figura.
Dopo
aver rivissuto nella memoria gli avvenimenti di quelle giornate, anche
Takane
sta meglio: nonostante ciò che ha pensato fino a qualche ora
prima, la vicenda
dello Spirito non era ancora finita del tutto.
L’atto
finale ha atteso quell’alba per attuarsi, e con lei come
protagonista: perché,
come detto in quel bosco, non c’è mai stata una
grande differenza tra sé stessa
e la sfortunata sposa. Stesso desiderio, stesso impeto e forza dei
sentimenti,
forse la medesima reazione davanti alle vicende; in un qualche modo
è come se
lo Spirito avesse continuato a esistere dentro la sua anima e avesse
mostrato
il costo di questo.
Quel
letto vuoto… e chissà se alla fine ti sei sposata
anche tu, poi.
La
mora sospira e si avvolge nella coperta che ha portato con
sé, gli occhi sempre
fissi al cielo. Una stella solitaria brilla maggiormente quando la
guarda, e la
ragazza decide che quella sia la risposta alla sua domanda.
«Ehi,
ehi, da quando le divinità si mostrano così agli
uomini?»
Lei
sobbalza per la sorpresa e fa scricchiolare il dondolo su cui
è sdraiata,
quindi si mette a sedere con uno sbuffo di finta irritazione.
«Non dovresti
essere qui, tu; ti sei dimenticato che la notte
prima del matrimonio gli
sposi devono restare separati?»
«Me
lo ricordo, ma Kaminami-san potrebbe avermi detto
qualcosa sul fatto che
tu fossi qui, tutta sola… è stata la sua lingua
lunga a condurmi da te.»
«Ora
non incolpare la senpai!»
«No»,
sorride infine Reigen, «stai tranquilla, la colpa me la
prendo tutta io. La
principessa mi concederebbe cinque minuti del suo tempo, per darle la
buona
notte?»
La
ragazza smette l’espressione imbronciata e accenna a sua
volta un sorriso, per
poi tamburellare la mano sul posto accanto a sé.
«Dai, vieni qui. E comunque mi
sembra che prima mi stessi lodando, perché non
continui?»
«Hai
perso la tua occasione», la prende in giro Arataka,
accettando l’invito e
sedendosi al suo fianco, «toccherebbe a te, ora.»
La
ragazza non replica, ma tira il compagno più vicino a
sé e ritorna a fissare la
volta sopra il loro capo.
«Hai fatto bene a venire, sai…
d’altronde non mi hai salutato come avrei meritato,
stamattina, e in qualche
modo dovevi sdebitarti.»
«Non
hai avuto una
giornata come le altre, vero?»
«… Chi te l’ha detto?»
«Nessuno: ma ti conosco, ti
sento, abbastanza per capire quando il tuo animo non
è limpido come
sempre. Queste ore ti hanno aiutato a calmarti,
però.»
Takane annuisce, per poi
rifugiarsi nell’abbraccio del ragazzo quando questi le apre
le braccia. «Arataka…»
«Sì?»
«So tante cose su di te,
su noi due insieme; ma la più importante sta nel fatto che,
se anche dovessimo essere
separati o lontani, o fossi io a perdermi, in qualche modo continuerai
a sentirmi
e mi farai ritrovare la strada di casa. E ciò può
bastarmi.»
«Condividere il destino porta
anche a questo, Takane mia; e se si ha la stessa voce ancora di
più.»
«Sono sicura di aver
sentito parole simili in una poesia», sussurra lei
per
prenderlo in giro, senza nascondere la tenerezza che prova.
È una dolce notte
per pensare, non abbastanza buia per impedire di sognare.
«Non
in questo caso… anche se non sono bravo come tanti
altri.»
Lei
sorride, e non sa che anche i suoi occhi si sono riempiti di stelle.
«Non sai
mentire, affatto… ma va bene così.»
Reigen
ride di cuore e si alza, e Takane lo stringe a sé: forte
come ha fatto
solamente in quel bosco, con ogni fibra di sé.
C’è un termine per definire il
calore che si trova nelle braccia amate, quel senso di appartenenza che
dà una
casa al cuore: non è giapponese, forse europeo — e
alla fine questo neanche
importa, perché certe cose hanno una voce più
forte quando vengono fatte e
sentite, non dette.
«A
domani, mio sposo.» Le parole scivolano via a un tono
più basso, solamente per
loro, e Arataka solleva tra le braccia lo scricciolo che ha per
ragazza,
facendola vorticare. «A domani, mia sposa.»
Rimangono
abbracciati per tanto; un tempo infinito che rimane al fianco di Takane
anche
quando Reigen se n’è ormai andato e la giovane si
è chiusa nuovamente in camera
di Umiko, con i girasoli e lasciando che la notte corra verso il nuovo
mattino.
È bello sapere di avere un domani e un sentiero da
percorrere in due, mano
nella mano.
Riposa
bene e preparati, Arataka, perché non ti liberai mai
più di me: nel mio cuore l’ho
promesso a una brava ragazza, e ho intenzione di mantenere la parola.
Le
devo un dono di nozze; così a te, e a me.
Ti
auguro una notte serena…
…
Di certo, la mia lo sarà.
NOTE
[1]
Esiste
veramente la credenza, diffusa in molte culture europee, che i giorni
che vanno
dal 25 dicembre al 6 gennaio siano pericolosi perché il
confine che separa il
mondo dei vivi da quello dei morti si annulla, e i secondi possono
ritornare in
mezzo ai primi e trascinarli negli Inferi.
Considerazioni:
adoro Takane tanto quanto le mie, di OC; ho decisamente
un debole per i
personaggi femminili dall’aria sinistra, non troppo umani ma
neanche così incomprensibili
nella loro mentalità; la devo smettere di leggere racconti
di mistero fino a
tardi, e farmi venire idee di conseguenza.
Detto
questo, grazie ancora, cara Angie96,
per avermi permesso di
scrivere nuovamente della tua cara bimba, anche se in un contesto
completamente
diverso rispetto a quello che tratto abitualmente.
In
attesa che tu possa giungere a spiegare in prima persona — e
molto meglio di me
— chi sia la tua meravigliosa ragazza e come si leghi a tutto
il mondo di Mob
Psycho 100, accetta questo regalo e goditelo fino in fondo.
Manto.