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Autore: Roscoe24    15/01/2020    2 recensioni
"Ian era talmente sorpreso di vederlo lì che non riuscì nemmeno a fare un passo per andare ad aiutarlo. Mickey aveva appena scalato una parete di casa sua ed era entrato dalla sua fottuta finestra. Come in quella favola, Rapunzel, dove il principe entra dalla finestra della torre più alta.
Mickey aveva un che di principesco, con i capelli neri e gli occhi azzurri più belli che Ian avesse mai visto, ma forse lui era di parte, perché era totalmente innamorato di quel ragazzo."
Contesto: 10x06
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mickey Milkovich
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Era stata davvero una giornata di merda.
Il suo lavoro era una merda. E lui odiava Paula. Quella stronza lo teneva per le palle e lo obbligava alle sue regole, altrimenti l’avrebbe rispedito in galera.
E quasi quasi, ci sarebbe anche tornato volentieri in gabbia, visto che, dopotutto, era lì che Mickey si trovava.
Gli mancava.
Nonostante i loro continui litigi in prigione, nonostante la divisione della cella e le grida ogni mattina, la lontananza con Mickey gli lasciava un vuoto profondo dentro.
Era stato facile abituarsi a svegliarsi nella stessa stanza con lui, ogni mattina. E ancora più facile era stato abituarsi a scivolare nel suo letto per fare l’amore – sebbene i mezzi che avessero a disposizione (la maionese come lubrificante) non rendessero propriamente romantica l’atmosfera. Ma Ian, in cuor suo, sapeva che in fondo lui e Mickey non erano mai stati due tipi romantici. Erano sempre stati tante cose: violenti, a tratti, forse offensivi, impulsivi, inizialmente restii ad ammettere i propri sentimenti – nel caso di Mickey – e infedeli – nel caso di Ian, comportamento di cui si vergogna, sebbene fosse stato causato da una delle sue fasi maniacali.
Erano stati premurosi. Mickey più di quanto lui lo fosse mai stato. Affettuosi, ogni volta che si accarezzavano e maliziosi, ogni volta che una carezza innocente finiva per trasformarsi in un pretesto per fare sesso.
Ma romantici… quello mai, o raramente.
E ad Ian venne in mente quella volta che Frank aveva deciso di fare il padre e aveva dispensato un consiglio, o una lezione di vita, o una stronzata simile, che si chiami come la si voglia chiamare, e aveva detto che l’amore non deve essere gentile, ma deve essere crudo e violento e forse in un certo senso una versione simile, per quanto possa essere sbagliata sotto alcuni punti di vista, era quella che assomiglia di più a ciò che ha vissuto lui con Mickey. Non c’erano mai state mezze misure tra di loro. O erano stati lontani, o si erano sentiti così vicini l’uno all’altro da avere l’impressione di avere due cuori nel petto.
C’erano sempre stati alti e bassi, sfuriate, liti finite in scopate, o con qualche pugno. Ma c’era sempre stato anche quel senso di appartenenza profondo, quella sensazione di essere sempre al posto giusto, quando erano insieme. C’era sempre stata fiducia, tra di loro e Ian, cazzo, si fidava ciecamente di Mickey, come di nessun altro al mondo.
Ad Ian piaceva pensare che si fossero ritrovati per un motivo. D’altronde, era sempre andata così tra di loro. Si correvano incontro solo per poi separarsi e riavvicinarsi di nuovo. I loro momenti di separazione erano sempre stati più brevi di quelli in cui erano stati insieme.
Si rincorrevano, consapevoli che la direzione giusta da prendere sarebbe sempre stata quella che conduceva l’uno all’altro.
Mickey sarebbe sempre stato la sua unica, sola, direzione. E di questo ne era certo perché nessuno gli faceva provare le stesse cose che provava con lui, nessuno gli aveva mai scatenato la stessa dose di adrenalina, di vitalità.
Lo stesso viscerale amore.
Ian si trovò a sorridere a quel pensiero, mentre, in camera sua, si toglieva la maglietta della divisa da lavoro. Lavoro che odiava, ma che gli serviva per stare fuori di prigione. Paula era la cosa più vicina al menefreghismo e alla corruzione che potesse trovare in un ambito dove, invece, avrebbe dovuto regnare la legalità. La sua divisa da paramedico non era nemmeno la sua. Apparteneva all’ultimo dipendente che era passato sotto le grinfie di Paula-la-stronza, un certo Sparky, che doveva essere stato una cosa come tre volte Ian.  
Ma non era quello l’importante. Sul serio, visto il posto in cui si era trovato, avere una divisa di seconda mano, logora e troppo grossa per la sua fisicità era davvero l’ultimo dei suoi fottuti problemi.
E forse era anche per quello che l’aveva gettata a terra senza farsi troppi scrupoli, e adesso stava cercando una maglietta pulita da mettersi. Chissà se, durante il periodo che aveva passato in prigione, i suoi fratelli avevano spostato la sua roba. Ian constatò che no, non l’avevano fatto. Il suo cassetto era ancora pieno delle sue magliette – un misto di vestiti nuovi e usati, che prima erano stati di Lip e forse un giorno, avrebbe addirittura diviso con Carl.
Trovò una maglietta nera e la afferrò. Era in procinto di infilarsela, quando un rumore forte lo fece sussultare.
“Cazzo!” Esclamò, la maglietta che veniva abbandonata a terra, vicino a quella di Sparky.
Si voltò verso la direzione di quel rumore, trovando la causa di quel frastuono proprio alla sua finestra.
La sua fottuta finestra, dalla quale era appena uscita la testa di Mickey.
“Merda,” imprecò il moro, mentre continuava la sua avanzata, infilando un braccio alla volta mentre si buttava sul letto di Ian. “Porca puttana.” Esalò, quando fu completamente dentro casa.
Ian era talmente sorpreso di vederlo lì che non riuscì nemmeno a fare un passo per andare ad aiutarlo. Mickey aveva appena scalato una parete di casa sua ed era entrato dalla sua fottuta finestra. Come in quella favola, Rapunzel, dove il principe entra dalla finestra della torre più alta.
Mickey aveva un che di principesco, con i capelli neri e gli occhi azzurri più belli che Ian avesse mai visto, ma forse lui era di parte, perché era totalmente innamorato di quel ragazzo.
“Cosa ci fai qui?” furono le uniche parole che riuscì ad articolare, mentre il cuore cominciava a battere di più, solo perché l’aveva visto.
“Sono un uomo libero, Gallagher.” Rispose Mickey, appoggiando un attimo la testa al cuscino, come se avesse voluto prendersi qualche minuto per assaporare quella sensazione. Libertà. Mickey non era mai stato libero un fottuto secondo della sua vita. Non quando doveva fingere di essere chi non era davanti al suo omofobo padre abusivo e violento; e nemmeno quando era finito in prigione con l’accusa di tentato omicidio nei confronti di quella stronza di Sammi; e nemmeno quando era fuggito di prigione per varcare quel cazzo di confine con il Messico.
Mikhailo Aleksandr Milkovich era sempre stato prigioniero. Per tutta la sua vita aveva vissuto in una gabbia, che fosse essa metaforica o fisica.
Le uniche volte in cui era stato davvero libero, erano state quelle in cui aveva vissuto con Ian. In cui aveva amato Ian. E adesso… adesso poteva esserlo totalmente, sotto ogni punto di vista. Agli occhi della legge non era più un criminale e, cosa più importante, aveva smesso di odiarsi per quello che era e aveva cominciato a pensare quanto in realtà Terry fosse nel torto ad inculcargli certe idee a forza di pugni nelle costole.
Fanculo Terry.
“Ah sì?”
Mickey annuì, “Sì,” e si alzò dal letto. “Storia lunga. È finita con un rilascio compassionevole.”
“E allora perché hai scalato la mia fottuta finestra?”
“Perché ci sono un branco di fottuti messicani davanti alla porta!” Ed era questo l’unico inconveniente della sua libertà. A quanto pareva, il cartello che aveva venduto ai federali per seguire Ian prigione, era al corrente del suo rilascio e lo stava aspettando. Mickey sapeva che quelli non erano persone con cui si scherzava, quindi era consapevole che avrebbe dovuto guardarsi le spalle per un po’. “A proposito, perché ci sono dei messicani alla tua porta?” 
“Storia lunga. È finita in un all you can eat versione tamales.” Ian sorrise e Mickey con lui.
Non poteva crederci. Erano di nuovo insieme. Liberi. Niente celle, niente ore d’aria. La loro routine sarebbe stata diversa. Avrebbero fatto tutto ciò che andava loro di fare, insieme. Improvvisamente, anche la sua giornata di merda e il suo nuovo lavoro di merda con un supervisore di merda, sembravano meno… di merda.
Era quello il potere che aveva Mickey Milkovich su Ian Gallagher. Lo faceva stare bene, anche solo con uno sguardo, anche solo con un sorriso.
“Vieni qui,” gli ordinò, perché davvero riteneva che fosse ridicolo che ancora non si fossero baciati. E Mickey, con un sorriso enorme e uno sguardo così innamorato che fece accartocciare la colonna vertebrale di Ian, obbedì. Si avvicinò a lui e sorrise, prima di appoggiare le proprie labbra su quelle di Ian.
Lo faceva spesso, di sorridere prima di baciarlo, aveva notato il rosso, ed era un dettaglio che gli piaceva tantissimo. Ricambiò quel bacio, prendendogli dapprima il viso tra le mani e poi spostando una delle sue braccia per circondargli il collo e tirarlo a sé. Le mani di Mickey si spostarono sui suoi fianchi nudi e Ian percepì le sue dita calde sulla sua pelle. Rabbrividì piacevolmente, mentre il loro bacio si approfondiva sempre di più. Gli era mancato così tanto. Il suo profumo nelle narici, nicotina mischiato all’odore speziato della sua pelle. Le sue labbra morbide e piene, e il modo in cui si muovevano insieme alle sue, ricercando con la solita urgenza la sua lingua.
Ian tendeva ad essere sempre impaziente, se si trattava di baciare Mickey – e questo perché, all’inizio, lui gli aveva negato quasi tutti i baci che, dopo il sesso, Ian gli aveva chiesto. Il rosso sapeva che era tutta colpa di Terry, se Mickey era così, all’inizio. E se ripensa a tutto il male che quell’uomo ha fatto a Mickey, ancora sente lo stomaco che si contorce su se stesso dalla rabbia.
“Mi sei mancato,” sussurrò, tra un bacio e l’altro.
“Mh-mh,” fu la risposta eloquente di Mickey, mentre spostava le mani dai fianchi alla cintura di Ian, tentando di slacciarla. “Fammi vedere quanto.”
“No, aspetta.” Ian afferrò le mani di Mickey e le spostò dai suoi pantaloni. Un gesto che stupì persino se stesso perché davvero l’unica cosa che voleva fare era accontentare Mickey, ma c’erano delle cose da fare, prima.
“Aspetta?” Gli fece eco il maggiore, un sopracciglio alzato in un’espressione risentita. “Sei serio, cazzo?”
“Serissimo. Devi prima mangiare e non pensare che non abbia notato i tagli sul tuo viso. Si può sapere come te li sei fatti?”
“Sul serio? Vuoi sul serio parlarne adesso?” Mickey alzò gli occhi al cielo, frustrato.  
Ian appoggiò le braccia sulle spalle di Mickey, congiungendo le mani dietro al suo collo. Gli accarezzò delicatamente la nuca, prima di lasciargli un bacio sulla fronte. “Adesso, sì.”
Mickey sbuffò, nonostante quel contatto l’avesse ammorbidito un po’. “Mi sono buttato da un autobus in corsa.”
“Che cazzo, Mick?” Ian sciolse la sua presa e fece un passo indietro per osservare meglio i danni di quel gesto. Notò con sollievo che i tagli sul viso sembravano l’unico danno e ad una prima occhiata non sembravano nemmeno tanto gravi.
“Il mio fottuto autobus era inseguito da una macchina, che cazzo avrei dovuto fare?”
Ian aggrottò le sopracciglia, immagazzinando quell’informazione ed elaborandola. “Perché una macchina che segue il tuo autobus dovrebbe preoccuparti?”
Mickey sostenne il suo sguardo, ma cominciò a mordersi il labbro nervosamente. Sembrava stesse ponderando se dirgli qualcosa oppure no e Ian si preoccupò all’istante.
“Mick,” lo esortò.
Mickey si morse ancora il labbro e fece passare l’indice su un sopracciglio. “Pensavo mi stessero seguendo quelli del cartello. Era una cazzo di auto nera con i finestrini oscurati, cosa avrei dovuto pensare?”
Ian si passò una mano sulla faccia. “Pensi davvero ti cercheranno?”
“Non lo so. È probabile, come è probabile di no. Devo solo tenere un profilo basso per un po’.”
“D’accordo. Profilo basso, niente cazzate.”
“Quello è il piano.”
Ian annuì. Era preoccupato, ma non voleva darlo a vedere. L’idea che dei messicani stessero cercando il culo di Mickey per farlo a pezzetti lo terrorizzava a morte, ma non era il caso di scaricare le sue preoccupazioni su Mickey, che era già preoccupato di suo, anche se non voleva darlo a vedere. Ian lo conosceva troppo bene.
“Devi mangiare qualcosa di decente, dopo tutta la merda che hai mangiato in prigione.” Disse quindi, cercando di cambiare argomento e di riportare le cose su un piano normale. Le coppie normali parlano di cibo e non di cartelli della droga che cercano vendetta. “Ma prima, disinfettiamo quei tagli.”
Mickey, nonostante tutto, sorrise. “Sei di nuovo un paramedico da nemmeno due settimane, e già ti comporti come una fottuta infermiera?”
“Chiudi quella cazzo di bocca, Mick.” Ian non riuscì a trattenere un sorriso, mentre prendeva il suo ragazzo per mano e lo trascinava in bagno.
Gli era mancato.
E adesso erano di nuovo insieme.
Ian era felice.



“Siediti.”
Mickey fece come gli venne detto. Abbassò il coperchio del water e si sedette, in attesa. Osservò Ian, che prima di uscire dalla sua camera si era messo una maglietta addosso, e adesso stava armeggiando con l’armadietto dei medicinali.
I ricordi di Mickey vagarono a qualche anno prima, quando era lui quello che cercava dei medicinali in quell’armadietto, non riuscendo a trovare quello che davvero gli serviva. Le vitamine B per Ian. Erano finite e, dal momento che si era alzato prima del rosso, era uscito presto per andarle a comprare, finendo per comprarle tutte perché non sapeva quale fosse la vitamina B che servisse al suo ragazzo con disturbo bipolare.
Mickey ricorda come fosse spaventato, in quel periodo. Non dalla malattia di Ian, quanto piuttosto dall’effetto che essa avrebbe potuto avere su di lui. I pensieri suicidi erano la cosa che lo terrorizzava di più. E il fatto che potessero balenargli alla mente quando lui non c’era gli facevano sprofondare il cuore in una morsa ghiacciata di paura. L’idea di non poterlo salvare, di non poterlo proteggere da quei demoni che gli masticavano il cervello, facendogli pensare cose che non erano vere e che l’avrebbero portato a commettere una tragedia.
Quello spaventava Mickey da morire.
Ma adesso Ian stava bene, era stabile.
“Eccoli!” Esclamò, distogliendo Mickey dai suoi pensieri, estraendo dal fondo del mobiletto dei medicinali dei batuffoli di cotone. Ne prese uno e lo bagnò con del disinfettante incolore, prima di appoggiarlo delicatamente sul taglio che Mickey aveva sulla guancia. Non appena l’aveva visto avvicinarsi, Mickey aveva istintivamente aperto le gambe, per fare in modo che Ian potesse stare tra di esse mentre si occupava del suo viso.
Mickey alzò gli occhi su di lui, guardando l’espressione concentrata che attraversava i tratti di Ian, il modo in cui una ruga di espressione si era formata al centro delle sue sopracciglia ramate e come i suoi occhi verdi percorressero ogni centimetro del viso di Mickey alla ricerca di ogni taglio da curare.
Le mani del rosso si muovevano delicate sopra alla sua pelle, tamponando i tagli e lavando via il sangue secco.
E Mickey… Mickey lo guardava perché non riusciva a farne a meno.
Non poteva fare a meno di lui. Lo amava. Con i suoi pregi, i suoi difetti, il suo essere un po’ un cazzone, a volte, e il suo fare protettivo.
Si erano protetti a vicenda da sempre e Mickey aveva la sensazione che l’avrebbero fatto sempre perché veniva naturale ad entrambi.
“Sai che sono solo dei taglietti superficiali, vero?” Interruppe quel silenzio, nel quale la premura che Ian metteva nel sistemargli le ferite faceva da padrona, “Ho avuto ferite peggiori, nella mia vita, di cui nessuno si è mai occupato.”  
“Lo so,” Rispose, appoggiandogli due dita sotto al mento per fargli alzare il viso e tamponargli con particolare attenzione il taglio sopra al sopracciglio. Lo pulì dal sangue che aveva cominciato a diventare una crosta. “Voglio solo… prendermi cura di te, per una volta.”
Ian si fermò e si voltò verso il lavandino, dove aveva sistemato i batuffoli di cotone puliti e la bottiglietta di disinfettante. Dava le spalle a Mickey, mentre bagnava un altro batuffolo. “Ti sei sempre preso cura di me. Quando mi hai portato in clinica, quando insistevi perché prendessi le medicine, quando hai venduto un cazzo di cartello messicano ai federali pur di seguirmi in prigione e assicurarti che fossi al sicuro.” Ian deglutì, ma ancora non si voltava e Mickey odiava non poterlo guardare in faccia. Si alzò, dimenticandosi dei suoi taglietti e di tutto ciò che non fossero le parole che stavano uscendo dalla bocca di Ian. “Hai rinunciato alla tua libertà, per me.” Concluse il rosso e solo allora Mickey lo spronò a guardarlo, mettendogli una mano tatuata sul viso e voltandolo verso se stesso.
“Quello che io e te abbiamo mi rende libero. Pensavo di avertelo già detto, ma a quanto pare sei duro d’orecchi e devo ripetermi.”
Un sorriso comparve sul viso di Ian e Mickey glielo baciò, appropriandosene. Avrebbe voluto dirgli tante cose, cominciando con un mi hai salvato da me stesso e dalle mie paure, e finendo con un rifarei tutto, per te, perché ti amo e sei la persona più importante della mia fottuta vita, ma Mickey non era capace a fare grandi discorsi emotivi. Non lo era mai stato. Così, afferrò il viso di Ian con entrambe le mani e lo fece voltare completamente verso se stesso, prima di baciarlo. Ian gli circondò la vita con un braccio, tirandolo a sé, mentre Mickey approfondiva quel bacio sempre di più, cercando la bocca di Ian come se ne andasse della sua capacità respiratoria. Era come se riuscisse a prendere ossigeno solo baciandolo, il che avrebbe dovuto essere impossibile, ma era così. Mickey riusciva a respirare davvero solo se Ian era nelle vicinanze. Lui era aria pura, e se lui non c’era era come se i suoi polmoni si riempissero di smog.
“Mi sembrava anche di averti già detto che sei sotto la mia pelle e non posso farci un cazzo. È così e basta.” Gli disse, guardandolo dritto negli occhi, quando si separarono, e accarezzandogli una guancia con l’indice.
Ian sentì il cuore martellargli nel petto ad una velocità disumana. Lo guardò, consapevole di esserne completamente innamorato, e sorrise.
“Ho fame,” Esordì Mickey, perché era pur sempre Mickey e non aveva troppi fronzoli, “Mi hai promesso del cibo, o sbaglio?”
Ian rise e annuì. “Torna di là, vado io a prenderti da mangiare.”



Ian aveva recuperato di nascosto un paio di tamales e le aveva portate su, in camera sua, dove Mickey stava seduto sul suo letto, la schiena appoggiata al muro e le gambe a penzoloni.  
“Credo che se la nonna di Anne ci scoprisse, ci taglierebbe le mani.”
Ti taglierebbe le mani, sei tu il ladro, non io.” Rispose Mickey, agguantando una tamale. Ci diede un morso e il suo stomaco gorgogliò in approvazione. “Cazzo, è buonissima.”
Ian rise e si sedette di fronte a lui sul letto, le gambe incrociate. Mickey lo imitò, in modo che fossero faccia a faccia.
“Le hai mangiate, in Messico?” domandò Ian, dopo aver ingoiato il suo primo boccone. Mickey spostò lo sguardo dal cibo al ragazzo di fronte a sé.
“Che cazzo di domanda è?”
“È una domanda, sono solo curioso.”
“Curioso di quello che facevo in Messico?”
Ian sostenne il suo sguardo. E poi annuì.
“Spacciavo, per lo più. Altrimenti non avrei un fottuto cartello che cerca il mio culo.” Mickey prese un altro morso della sua tamale. “E scopavo, quando avevo bisogno di scaricare la tensione.”
Il rosso lo guardò e avrebbe davvero voluto non sembrare geloso, o ferito da quell’affermazione, ma non ci riuscì. E si sentì un fottuto egoista, perché non aveva nessun diritto di provare quelle emozioni, dal momento che in quel periodo si era comportato da stronzo, con Mickey.
“Un po’ come facevi tu con… come si chiamava?”
“Trevor.”
“Trevor,” Ripeté Mickey, la voce che grondava sarcasmo. “Già, il tuo ragazzo.” Concluse, non preoccupandosi di nascondere la propria gelosia. Finì di mangiare e rimase in silenzio. Ian lo imitò, finendo di mangiare a sua volta in silenzio. Nella testa gli vorticavano un sacco di pensieri. Non sapeva che forma dargli, non sapeva come fare a tramutarli in parole. Erano così tanti che si accavallavano tra di loro, quasi pretendendo di essere i primi ad uscire dalla sua bocca, con la conseguenza che l’unica cosa che abitava la testa di Ian, in quel momento, era solo tanta confusione.
Alla fine, decise di riassumere il tutto in un’unica, semplice, frase.
“Mi dispiace, Mick.” Affermò, prima di continuare: “Di averti ferito, di non essere venuto a trovarti in prigione, di averti lasciato andare in Messico da solo. Non c’è stato un singolo giorno in cui non ti ho pensato. Non riuscivo a toglierti dalla testa, insieme alla consapevolezza che eri, e sei, e sempre sarai, l’unico per me. Io… io ti amo.”
Mickey si avvicinò a lui. “Lo so.” Non aggiunse altro, perché non ce n’era bisogno. Era stato arrabbiato con Ian? Certo.
Si era arrabbiato con lui quando l’unica volta che era andato a fargli visita in prigione gli aveva mentito, dicendogli che l’avrebbe aspettato.
Si era arrabbiato quando non si era più fatto vivo, quando l’aveva lasciato a marcire in galera da solo, come se fosse uno stronzo qualsiasi.
E si era arrabbiato quando l’aveva lasciato salire in macchina verso il confine da solo.
Ma era anche riuscito a perdonarlo.
Lui e Ian si appartenevano, era una certezza che si era radicata nel suo cuore con il tempo e che era stata confermata dal fatto che Ian fosse andato al porto, quella sera prima della partenza. Nonostante avesse un ragazzo, nonostante la sua vita fosse andata avanti, Ian aveva scelto Mickey. Avrebbe sempre scelto Mickey, come Mickey avrebbe sempre scelto Ian.
Il moro si sporse verso il suo ragazzo, gli appoggiò una mano sul collo, e gli accarezzo la pelle candida con la punta dei polpastrelli, prima di cercare la sua bocca. Con la punta della lingua andò a solleticare leggermente il labbro superiore, prima di insinuarsi nella sua bocca. Gli leccò il palato, prima di cercare la sua lingua.
E Ian… Ian lo lasciò fare perché gli piaceva da morire essere baciato in quel modo. Piazzò una mano dietro la testa di Mickey per fare in modo che si avvicinasse di più e lo baciò con urgenza, con foga, con tutto l’amore di cui era capace. Labbra contro labbra, lingua contro lingua e cuore contro cuore.
Le mani di Mickey vagarono fino al bordo della maglietta di Ian, tirandola su. Si staccò da lui quel tanto necessario a sfilargliela dalla testa, lanciandola chissà dove nella stanza, e poi cominciò a baciarlo di nuovo, prima di percorrere con le labbra il perimetro della sua mascella, scendendo fino al collo, dove succhiò la pelle diafana con l’intenzione di lasciarci un segno.
“Mick,” esalò Ian, il respiro mozzato e il cuore a mille.
“Se mi dici di nuovo di aspettare, ti do un pugno.” Mickey quasi ringhiò, in preda alla frustrazione che quel pensiero gli provocava.
Ian non riuscì a trattenere una risata, mentre ancora teneva il collo incurvato per lasciare a Mickey più spazio d’azione. Afferrò il suo ragazzo per i capelli e lo tirò leggermente, per fare in modo che i loro sguardi si incrociassero. Gli occhi azzurri di Mickey lo facevano sempre tremare dentro, fino al midollo, nelle ossa, nel cuore. Fino alle profondità più recondite della sua anima.
“In realtà, volevo chiederti di spogliarti. Ma se non vuoi…”
“Sta’ zitto,” gli intimò Mickey, lasciando un fugace morso sulla sua pelle, prima di alzarsi dal letto e cominciare a spogliarsi. Ian fece prima, dal momento che doveva solo togliersi i pantaloni, e quando entrambi furono completamente nudi uno di fronte all’altro, fissarono di nuovo il letto.
“Sdraiati a pancia in su, voglio guardarti negli occhi.”
Mickey alzò gli occhi al cielo, ma obbedì. “Sei così gay, Gallagher.”
Ian si sdraiò sopra di lui, facendosi spazio tra le sue gambe. “Il che è una fortuna per te, non pensi? Altrimenti avresti dovuto rinunciare alle migliori scopate della tua vita.”
Mickey gli diede uno schiaffetto sul braccio. “Coglione.”
Ian rise, appoggiando la fronte a quella di Mickey. “E nonostante questo, mi ami lo stesso.”
“È vero, il che mi fa pensare chi sia più coglione di noi due.”
Ian rise di nuovo e ridusse la già minima distanza che c’era tra di loro per baciarlo. “Basta parlare.” Sussurrò, tra un bacio e l’altro.
“Finalmente hai detto qualcosa di sensato.” Concordò Mickey, allacciando le gambe alla sua vita.
Lo amava.
E quel sentimento non gli faceva più paura. Non c’era più la voce di Terry nelle sue orecchie che gli urlava quanto fosse sbagliato. Non sentiva più l’ombra dei suoi pugni sul corpo, o il fantasma del sapore metallico del sangue in bocca.
Mickey era felice. Ed era in pace con se stesso. Amava ed era amato. E probabilmente, era questa l’unica cosa che contasse davvero.





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Ciao a tutti! Se siete arrivati a leggere fino in fondo vi ringrazio immensamente!
Ammetto che sono un po’ nervosa, perché non scrivo qualcosa sui Gallavich da tantissimo e non pubblico spesso in questa sezione, ma questa cosa mi frullava in testa da quando ho visto su Internet le immagini di alcune scene tagliate della 10x06 dove i protagonisti avrebbero dovuto essere Ian e Mickey e quindi, in base a quelle, ho scritto questa OS andando totalmente di fantasia. Non escludo che in alcuni casi tutto, Ian e Mickey compresi, possa essere OOC! In questo caso mi scuso e spero comunque che la storia sia risultata piacevole!
Se si va, fatemi sapere cosa ne pensate!
Vi ringrazio ancora per aver letto, alla prossima! :D 
   
 
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