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Autore: Ksyl    17/01/2020    6 recensioni
Alcuni mesi dopo la 2x24
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
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21 Castle

La vide arrivare da lontano, una minuscola figura in rapido avvicinamento.
La stava aspettando seduto su un muretto da qualche minuto, forse di più, sicuramente di più, ma non gli erano pesati.

Un familiare formicolio gli si insinuò sotto la pelle. Esisteva una parte di sé che reagiva in modo istintivo alla sua presenza anche solo appena percepita, bypassando la mente razionale. Una sorta di radar interiore in grado di sentirla ovunque. Spesso l'avvertiva nel sonno, appena prima di svegliarsi.
Aveva smesso di chiedersi se fosse normale. Niente era stato più normale, e insieme, era la cosa più naturale che gli fosse mai capitata.

Era passato molto tempo dall'inizio della loro vacanza, lo stratagemma di poche pretese con cui aveva tentato di convincerla a tenerlo con sé, invece che farsi spedire lontano sul primo aereo disponibile. Ne avrebbe avuto ogni diritto, ma non lo aveva fatto.
Non le aveva mai confessato che quel biglietto di ritorno non l'aveva mai comprato, anche se quel mattino, quando si era presentato alla sua porta provvisto di libagioni di ogni tipo, aveva bluffato, dichiarandosi disposto a mostrarle la prova della sua buona fede.
Ma non aveva mentito, non del tutto. La sera prima, quando le aveva detto addio dopo la loro prima cena, era stato molto consapevole del fatto che lei non gradiva la sua compagnia – lo aveva espresso ripetutamente e in modo molto colorito. Sapeva che la scelta migliore, più rispettosa, sarebbe stata quella di andarsene, ma non ce l'aveva fatta. Non dopo averla abbracciata e averne percepito tutto il dolore represso. Non era riuscito a starle lontano, per quanto egoistico fosse apparso a quel punto il suo comportamento. Era felice di essere rimasto, che gli fosse stato permesso di farlo. Molto più che felice, avrebbe ringraziato in eterno qualsiasi divinità avesse agito in suo favore con ammirevole generosità.

Era stato un viaggio interiore, il loro, fatto di scoperte e nuovi inizi. Moltissimi nuovi inizi. Non c'erano state altre rivelazioni drammatiche e non erano inciampati in nessuna crisi potenzialmente distruttiva. Il baratro era stato lentamente ricucito, con cura e attenzione. Kate non era guarita, non ancora del tutto, forse non lo sarebbe mai stata, ma si era ripresa. Aveva visto tornare la vivacità nei suoi occhi e quel piglio sicuro con cui aveva sempre affrontato le avversità che le si ponevano davanti era gradualmente riemerso. Era ancora fragile, talvolta, ma anche molto meno spigolosa di un tempo. Anzi, con lui spigolosa non lo era affatto. Anche quella era stata una novità stupefacente, quell'incredibile – repentino perfino per lui che se l'era augurato – cambiamento nei suoi confronti.
Aveva sempre intuito, fin da quando l'aveva incontrata, che sotto quella scorza che la proteggeva saldamente ci fosse molto altro, un intero universo. Ed era stato proprio questo mistero ad averlo affascinato, ammaliato e, doveva ammetterlo, fatto velocemente innamorare, anche se se ne era reso conto troppo tardi. Ma quando il velo era stato sollevato e alcuni strati si erano dissolti, quello che ci aveva trovato sotto aveva superato le sue più ardite fantasie.

Per tutto quel tempo, trascorso vagabondando in Europa, tra cieli stellati, città d'arte e villaggi a malapena segnati sulle mappe, l'aveva spiata, protetta, tenuta per mano, pronto a intervenire. Voleva che stesse bene, era in cima alla lista delle sue priorità.
Era stato pieno d'ansia, in principio. Ansia che tentava di camuffare e con cui non voleva contagiarla. Era giusto quello che stavano facendo? C'erano i presupposti per andare avanti e costruire qualcosa di splendente e duraturo, o erano stati sbalzati l'uno contro l'altro da una violenta ondata di marea, che li avrebbe risucchiati e trascinati lontano, distruggendo quel sentimento appena germogliato?
Nonostante si fosse ripromesso di non ipotecare il loro presente con un futuro nebuloso, non aveva potuto fare a meno di essere vittima di qualche incertezza. Non perché non credesse in loro. Ci credeva fermamente. Era solo dolorosamente conscio di quello che significasse, in concreto, fare a meno di lei tanto a lungo da chiedersi se fosse mai esistita davvero. E non aveva nessuna voglia di ripetere l'esperienza, grazie tante.
Kate non aveva mai espresso nessun dubbio a riguardo, anche se lui aveva agito d'anticipo e aveva fatto scorta di motivazioni molto convincenti sul perché avrebbero funzionato come coppia. Qui, altrove, in futuro. Sempre. Era stato pronto a sciorinarle tutte con grande sicurezza. Aveva finito con il tenerle tutte per sé.

Dopo essersi mossi a lungo senza meta, erano finalmente sbarcati su una piccola isola lontana dalle tratte turistiche più classiche, che li aveva accolti a braccia aperte. Vi si erano fermati molto più a lungo di quanto non avessero previsto, conquistati dalla calorosa accoglienza che avevano reciprocato con entusiasmo. Avevano tutto quello che desideravano e che, in fin dei conti, non era molto. Solo se stessi e poco altro.
Avevano fatto lunghi bagni, erano andati a caccia di piccoli ristoranti, si erano rifugiati nel loro minuscola casa sulla spiaggia, tutta bianca e piena di aria e di luce. Avevano fatto l'amore e si erano addormentati all'alba abbracciati, dormendo a lungo nelle tranquille mattine assolate di cui il clima li aveva beneficiati, nonostante la stagione. Avevano vissuto fuori dal tempo e ne avevano amato ogni minuto.

Lui aveva ricominciato a scrivere, traboccante di ispirazione e passione che traeva dal loro rapporto. Vi si dedicava alacremente quando lei aveva bisogno dei suoi spazi in cui stare da sola, lontana da lui. Di solito usciva a passeggiare, qualche volta correva sulla spiaggia, spesso non sapeva dove andasse, che cosa facesse. Era stata restia a parlargliene, anche se lui si era accorto della sua irrequietezza. Quando finalmente l'aveva fatto, un po' impacciata, l'aveva rassicurata che non si sarebbe sentito escluso.
Capiva che la solitudine e il movimento fisico le fossero necessari per riprendere contatto con alcune parti perdute di se stessa, quelle travolte e frantumate dal dramma vissuto. C'erano cose, inspiegabili a parole, che riguardavano solo lei. Non pretendeva di essere tutto il suo mondo, non sarebbe stato sano, e lui non era così meschino da essere geloso di quello che lei non poteva confidargli. C'era un nucleo sacro e inviolabile dentro a ogni persona. Non esporlo agli occhi dell'altro non significava amarlo di meno o nel modo sbagliato. Di questo era molto più che convinto e glielo aveva detto. Gli sarebbe piaciuto tenerla tra le braccia per il resto della vita per evitarle altre esperienze terribili, ma sapeva bene di non poterlo fare. Non sarebbe stato giusto. Nemmeno concretamente possibile.
Qualche volta tornava portandogli in dono qualche oggetto raccolto sulla spiaggia, spesso gli raccontava degli incontri fatti – gatti randagi, di solito – o qualche buffo aneddoto. Se al ritorno lo trovava ancora a letto - le piaceva uscire soprattutto all'alba -gli si sdraiava vicino, lo abbracciava da dietro e tornavano ad addormentarsi, senza essersi scambiati nessuna parola.

Era proprio da una di quelle uscite solitarie che stava tornando. Lui ne aveva approfittato per concludere il capitolo che stava scrivendo e spedirlo via mail al suo editore, con cui era attualmente in ottimi rapporti, visto il fervore con cui si dedicava alla scrittura dopo mesi di inattività. L'isola era un paradiso naturalistico, i telefoni prendevano poco e per avere un buon segnale si doveva raggiungere il paese, un esiguo agglomerato di edifici occupati solo in minima parte da altri turisti come loro.
Si erano dati appuntamento lì, senza specificare l'orario. Lui non aveva nessun altro programma, l'avrebbe aspettata. E lo aveva fatto, assorto in un silenzio meditativo, una volta terminate le sue incombenze, osservando il disco rosso del sole tuffarsi nel mare appena increspato molti metri sotto di lui.

Una rapida accelerazione del ritmo del cuore oscurò ogni altra sensazione mentre gli si fece sempre più vicina.
Gli sorrise radiosa, muovendosi agile e sicura sul numero spropositato di gradini necessari a raggiungerlo. Non credeva sarebbe stato possibile amarla più di quanto non stesse facendo in quel preciso istante, ma era certo che l'indomani e i restanti giorni della sua vita avrebbe pensato la stessa cosa.
Era l'ultima serata che avrebbero trascorso sull'isola. La vita li stava richiamando a sé, insieme a tutti i suoi doveri. I tempi erano maturi, ne era consapevole, e non metteva in discussione la decisione presa. Era quella più giusta. Nondimeno, non riusciva a scacciare una strisciante malinconia che gli appannava l'umore all'idea che sarebbe presto finito tutto. Non tutto quello che avevano, ma l'unica modalità in cui lo avevano vissuto.
Quando finalmente concluse la salita e se la trovò vicina, un po' ansante, allungò un braccio per tirarla verso di sé. Gli era mancata. E non perché volesse stare con lei ogni minuto della sua vita – capiva che c'erano necessità superiori da tenere in considerazione – ma perché era impossibile che non gli mancasse.

La baciò su una guancia e aspirò il profumo della sua pelle abbronzata. Sapeva di sale, doveva aver fatto un bagno in qualche caletta lontana. Le avevano esplorate tutte, era curioso di sapere dove fosse stata a dare l'addio all'isola, perché era sicuro che si fosse trattato di quello.
Aveva un aspetto magnifico. Era serena, rilassata e aveva messo qualche chilo, evenienza che lui non aveva mancato di apprezzare apertamente, nonostante le proteste che riceveva a riguardo.
Era molto cambiata rispetto alla donna che lo aveva accolto all'aeroporto, che era stata così simile e insieme così diversa dalla Beckett che aveva in precedenza conosciuto, da disorientarlo e impensierirlo. Ed era stata così avvilita e infelice in quell'esilio che si era autoimposta senza nessun valido motivo da fargli stringere il cuore nel rammentarlo. Era sempre stata bellissima – ricordava ancora lo shock provato nel trovarsela di fronte senza preavviso – ma adesso c'era qualcosa di più. Qualcosa che non avrebbe saputo spiegare se non tirando in ballo paragoni artificiosi che non le avrebbero fatto onore.
Avrebbe voluto che rimanesse così per sempre, avrebbe fatto qualsiasi cosa perché accadesse e temeva che tornare a casa avrebbe in qualche modo minato l'equilibrio appena raggiunto, anche se sapeva che non si poteva agire diversamente. Non sarebbero potuti rimanere lì in eterno. Era questo che significava essere adulti.

"Va tutto bene?" le domandò tenendola ancora tra le braccia, accarezzandole la schiena sotto la maglietta. Con il tempo si era abituato a potersi permettere di fare quei gesti ogni volta che ne avesse avuto voglia o bisogno. Lei non era un sogno pronto a infrangersi alle prime luci del giorno. Era viva e reale sotto al suo tocco. E voleva stare con lui. Glielo aveva ribadito spesso, nonostante lui non avesse mai esternato nessun timore a riguardo, guardandosi bene dal mostrarsi ingrato con la sorte. Però non poteva negare di aver faticato ad accettare l'idea che lei tenesse al loro rapporto quanto lui. E lei lo aveva capito, in quegli insondabili modi che le appartenevano. Lo comprendeva molto meglio di quanto si aspettasse, molto di più di quanto, all'inizio, avesse ritenuto confortevole. Anche lui aveva avuto paura di esporsi, di mostrarsi nelle sue debolezze, che avrebbe sempre preferito nascondere per continuare a rimandarle l'immagine di un uomo forte e ottimista. Uno che la sostenesse senza cedimenti. Forse era convinto che solo così avrebbe continuato ad amarlo. Lei gli aveva dimostrato il contrario.

Aderì contro di lui, sospirando. Alzò la testa e lo baciò dolcemente sulle labbra. Si staccarono solo dopo qualche minuto. Non gli importava che qualcuno li vedesse, tutti ormai li conoscevano e parevano credere che la loro fosse una sorta di luna di miele, se non proprio quella ufficiale e loro non si erano presi la briga di negare. Perché no? Quello che avevano vissuto – stava già usando il passato, doveva stare attento – poteva essere descritto proprio così.
La prese per mano e la fece accomodare a uno dei tavolini all'aperto di quello che avevano eletto come loro locale preferito. Non era lontano dal loro alloggio – scalinata a parte - era intimo e offriva piatti spettacolari. Era lì che avevano scelto di trascorrere l'ultima sera di quella loro strana, magnifica esistenza. In pubblico, almeno. Perché avevano ancora una lunga notte davanti, prima di imbarcarsi il mattino seguente. Tutta da dedicare a loro due soltanto.

"Io sì, Castle, sto bene. Tu hai superato la tristezza per la partenza?", lo prese in giro. Non aveva perso il vizio di punzecchiarlo, anche se il sarcasmo che le era abituale si era notevolmente addolcito. Inoltre, aveva ragione. Era un po' triste.
"No, sto ancora sperando di riuscire a convincerti a rimanere".
Era stata lei a comunicargli, con grande tatto, che era giunto il termine del loro viaggio. E non perché fosse successo qualcosa, o non volesse stare con lui, i suoi sentimenti non erano affatto cambiati, si era affrettata ad aggiungere. Voleva continuare a stare con lui alle stesse identiche condizioni anche una volta tornati a casa. Non cambierà niente, Castle, te lo prometto.
Ma doveva risolvere alcune questioni importanti, non poteva continuare a evitare di affrontarle, anche se avrebbe preferito vivere per sempre sull'isola insieme a lui. Non sarebbe stato facile tornare nel mondo reale, ma era pronta a farlo, non voleva tirarsi indietro. E le sarebbe piaciuto se lui fosse stato al suo fianco. Vuoi stare con me, Castle?
Era un'ammissione notevole, tenendo conto della sua testardaggine, chiusura e propensione all'indipendenza totale, anche a rischio di esaurire ogni risorsa fisica e mentale a sua disposizione.

Ancora sconvolto dal colpo che gli aveva inferto – sapeva che l'isola non sarebbe durata per sempre, ma aveva continuato a fingere che invece sarebbe andata proprio così - le aveva risposto di sì, avrebbe fatto tutto quello che voleva, l'avrebbe supportata qualsiasi cosa avesse scelto di fare una volta tornata a casa e sarebbe stato disposto a tutto, purché quel tutto riguardasse entrambi. Certo, Kate, che voglio stare con te. Che razza di domanda era? L'aveva sempre voluto, anche quando non sapeva di volerlo.
Il tarlo principale, quello che gli aveva fatto mancare l'aria per qualche brevissimo istante, non era tanto il cambio di scenario, quanto l'incertezza sulla sorte della loro relazione, una volta tornati nel mondo reale, stretti tra ingranaggi su cui non avrebbero avuto il controllo totale. Non aveva dovuto spiegarglielo apertamente, lei lo aveva anticipato grazie a quel misterioso, profondo intuito che aveva sviluppato nei suoi confronti.

La vide farsi un po' più scura in volto e portarsi le mani alle tempie. Non era facile nemmeno per lei, a quanto pareva.
"Lo so. Vorrei rimanere anche io. Lo vorrei più di qualsiasi altra cosa al mondo".
E allora facciamolo. Stiamo qui per sempre. Non disse niente.
Kate fece una pausa e si guardò intorno, come se volesse raccogliere per l'ultima volta tutta la bellezza del luogo, tutto quello che le aveva donato. Le lesse un po' di nostalgia negli occhi velati. "Ma..." Si interruppe, senza trovare le parole giuste, forse per non ferirlo. Le venne in soccorso.
"Ma non possiamo. Dobbiamo tornare a casa". Lei annuì.
"Ma possiamo venire qui in vacanza, qualche volta", propose speranzosa.
"Tutte le volte che vogliamo", la rassicurò. Sarebbe stato bello farla diventare la loro destinazione segreta a cui far ritorno di tanto in tanto.

Non avevano ancora discusso di come avrebbero agito una volta atterrati. Avevano solo prenotato il volo di rientro e iniziato a preparare i bagagli. L'avrebbe accompagnata al suo appartamento e l'avrebbe salutata, lasciandola sola? Sarebbero andati insieme al loft? Avrebbero annunciato al mondo il loro amore? Le cose si sarebbero complicate, inevitabilmente, nonostante i buoni propositi. L'isola li aveva invitati e cullati nella sua pacifica esistenza, creando un mondo fatto su misura per loro. Adesso dovevano affrontare quello reale. Ma non c'era nessun motivo di credere che, dopo un periodo di assestamento, le cose non sarebbero potute andare perfino meglio. Quel pensiero lo confortò, la sua natura ottimista era tornata a riemergere.

Con le dita accarezzò il piccolo cerchietto di metallo che le aveva regalato il giorno stesso in cui erano arrivati, euforici e già innamorati del posto. Il fil di ferro le avrebbe provocato qualche allergia, aveva sentenziato. Cerchiamo qualcosa di meglio, Beckett, prima che tu ti decida ad accettare un anello come si deve. Lei aveva riso, convinta che stesse scherzando. Non stava scherzando, non quando c'erano anelli in ballo da metterle al dito.
Avevano girovagato tra le bancarelle mano nella mano, sentendosi liberi e a loro agio. Avevano infine trovato quello che faceva al caso loro. Le aveva detto di chiudere gli occhi, lei si era rifiutata, come era ovvio immaginare, ma aveva insistito e l'aveva convinta.
Aveva voluto scegliere qualcosa di semplice e luminoso, che parlasse di lei, che mostrasse al mondo quello che lui vedeva. Lei aveva continuato a tempestarlo di commenti sardonici per mascherare l'imbarazzo, ma non le aveva dato retta. Glielo aveva messo al dito più tardi, a letto, durante la loro prima notte sull'isola, ma senza nessuna proposta ufficiale. Era un simbolo, una promessa. Lei lo aveva guardato alla luce tremolante delle candele e aveva risposto "Grazie", baciandolo con passione. Non se l'era più tolto.

Cambiò argomento, non aveva senso indulgere in quelle che sarebbero presto diventate memorie, ma che al momento rappresentavano ancora un presente molto vivo. Non voleva andarsene prima del tempo.
"Hai deciso che cosa fare, una volta tornati negli Stati Uniti?". Sarebbero rimasti a New York, o lei avrebbe deciso per un altro tipo di carriera? Lui avrebbe potuto scrivere ovunque, non c'era nessun ostacolo per quanto lo riguardava. Era però ansioso di iniziare a programmare la vita che li attendeva, almeno da un punto di vista logistico.
Sapeva che ultimamente erano state quelle le questioni cruciali al centro delle sue riflessioni solitarie e di qualche loro discorso. Lui non aveva fatto nessun genere di pressione, né le aveva dato alcun consiglio. Doveva essere una sua scelta. L'avrebbe sostenuta qualsiasi fosse stato l'esito delle sue elucubrazioni, ma non avrebbe espresso nessuna preferenza. Non sarebbe stato facile riprendere la vita dal punto in cui l'aveva lasciata, molti mesi prima. Ci sarebbero stati passi obbligati da compiere che l'avrebbero messa di fronte al dramma che aveva vissuto. C'erano decisioni concrete che avrebbero plasmato il suo futuro. Non poteva dirle che cosa doveva fare. Non sarebbe stato onesto.

"Per prima cosa devo sottopormi di nuovo alla valutazione psicologica. Senza quella non potrò fare proprio niente ".
Si mordicchiò nervosamente il labbro. L'idea non le piaceva per nulla, lo si vedeva benissimo. Nonostante stesse molto meglio, la precedente mancata autorizzazione a farla tornare operativa era stata per lei un fallimento che bruciava ancora. L'aveva resa insicura sulle sue competenze, era normale, poteva capirlo, anche se non era d'accordo.
"E dopo che lo avrai superato a occhi chiusi..."
"E nel caso in cui dovessi superarlo...", lo corresse, integra fino al midollo.
"FBI o polizia di New York?", sbottò impaziente. Il nucleo della questione si riduceva a quello. Aveva ricevuto proposte da entrambe le istituzioni, che la volevano nei loro ranghi al più presto. Lui non ne era stato affatto sorpreso. Era brava, nessun incidente di percorso, di cui non aveva nessuna responsabilità, avrebbe potuto cambiare le cose. "È solo per sapere come dovrò chiamarti. Detective o agente?".
"E se dovessi commettere altri errori?". Improvvisamente sembrò perdere tutta la sua sicurezza. Le ombre erano tornate a infestarla, ma lui era pronto a scacciarle. Facevano a turno a rassicurarsi; quando uno dei due cedeva all'ansia, l'altro era pronto a intervenire. Lo trovava magnifico. Non aveva mai provato una cosa del genere in tutta la sua vita.
"Non hai commesso nessun errore, l'hai sempre ammesso tu stessa ed è scritto sulla relazione ufficiale".
"Ma se non fossi più quella di prima? Lo date tutti per scontato, ma io non sono convinta..."
Intensificò la stretta intorno al suo polso.
"Io, come chiunque altro, sono sicuro che tu sia molto, molto in gamba. La situazione drammatica in cui sei rimasta coinvolta non ha cancellato le tue notevoli doti innate. Il tuo curriculum, la tua esperienza, il tuo intuito. Cercherai sempre la verità a ogni costo, non ti arrenderai finché non l'avrai scovata, ti avvicinerai con sensibilità ai parenti delle vittime per offrire loro giustizia. E lo farai con una maggiore comprensione dell'animo umano, per via di quello che ti è successo e che hai dovuto superare. Da sola. Usando unicamente le tue energie. Sarà questa la tua nuova forza, unita alle tue competenze. Devi solo decidere con quale divisa farlo".

"Vuoi sapere che cosa voglio davvero?"
Annuì. Che razza di domanda era? Si tratteneva a stento dallo scuoterla forte per farselo dire.
"Voglio allevare le api. Con te. In una fattoria sperduta. Voglio anche gli asini e i pony", sbottò senza nessuna esitazione.
Scoppiò a ridere. L'aveva decisamente preso alla sprovvista.
"No, questo sono io a volerlo, e possiamo sempre pensarci quando andremo in pensione. Adesso devi tornare a fare il tuo lavoro, quello in cui sei la migliore".
"Perché hai così tanta fiducia in me?"
"Per lo stesso motivo per cui ti ho scelta come protagonista dei miei romanzi". Fece una pausa a effetto. "Perché sei alta". Fu lei a scoppiare a ridere, dopo aver sgranato gli occhi. Potevano sempre contare su di lui per qualche efficace azione diversiva.
Kate fece un profondo respiro, prima di tornare a parlare.
"D'accordo, visto che sulle api mi hai sempre mentito e non hai mai preso seriamente in considerazione l'idea, ti confesso che voglio tornare a fare la detective. Non sono tagliata per lavorare all'FBI".
"Brutte divise, in effetti", convenne annuendo. Si mantenne composto, ma dentro di lui scoppiarono i fuochi d'artificio del sollievo. Non avrebbe avuto nessun problema a seguirla e a trasferirsi ovunque, ma il distretto era la loro casa. E con un po' di fortuna, forse un giorno avrebbe potuto ricominciare a lavorare con lei. Nessun limite ai suoi sogni, che, per la cronaca, si realizzavano sempre.
"Hanno esteso l'offerta anche a te", gli comunicò. Il sollievo si trasformò in incoercibile entusiasmo.
"Devi essergli mancata moltissimo per accettare una condizione del genere", commentò stupefatto. Le aveva perfino lasciato la mano nella concitazione del momento. Avrebbero dovuto brindare e festeggiare per tutta la notte. Era una notizia strepitosa, la più importante di tutte, se gli era concesso di pensarla così.
"O forse vogliono te e la tua imbattile sagacia e io sono solo uno strumento per riaverti con loro, ci hai mai pensato?"
"Sì, ma non volevo che il tuo orgoglio ne uscisse ammaccato".
"Non potrei mai, Castle, sono la prima a rendere onore all'incalcolabile contributo che hai dato alla giustizia".

Si sorrisero. Sarebbero tornati. Non alla loro vita precedente, ma una versione superiore di quello di cui avevano già fatto esperienza. Perché sarebbero stati insieme. Come partner nella vita, non solo nello sconfiggere il crimine. Forse avrebbero dovuto tenerlo nascosto o comportarsi con discrezione, ma non ci sarebbero mai più state lande desolate da colmare, assenze insopportabili, desideri inappagati, distanze dolorose, nonostante la quotidiana vicinanza. La malinconia era passata, non vedeva l'ora di salire su quell'aereo.

La baciò l'interno del polso.
"E se qualcosa andrà male avremo sempre le api e la fattoria. Te lo prometto. Ma sono sicuro che sapremo far funzionare tutto in modo eccellente. Il tuo lavoro, i miei romanzi, noi".
"Dovrai ripetermelo spesso", disse a bassa voce, facendo emergere di nuovo qualche incertezza. Amava quei momenti di vulnerabilità che un tempo non gli avrebbe mai mostrato. A lui o a chiunque altro.
"Ti ripeterò spesso che ti amo".
Non glielo aveva mai più detto, né apertamente, né con qualche altro brutto giro di parole. Glielo aveva dimostrato moltissime volte, ma mai verbalmente. Kate ammutolì per la sorpresa. Aprì la bocca per dire qualcosa, poi la richiuse. Gli era semplicemente parso il momento giusto per ribadire qualcosa che la prima volta era stato espresso nel peggiore dei modi.
"Grazie", rispose infine con gli occhi che le brillavano, prima di scoppiare a ridere insieme a lui.

The end

(Pistolotto in arrivo, per concludere)

Come ho scritto su Twitter l'altro ieri, quando arrivo alla fine di una fanfiction mi sento stremata, perché significa che ho convissuto a lungo con tutta una serie di variegati tormenti interiori tipo: scrivi, revisiona, revisiona ancora all'infinito, fammi rileggere un'ultima volta pure se vorrei cavarmi gli occhi, controlla i refusi (che scappano sempre e comunque), la trama starà reggendo? Sta deragliando? Ha senso? Ha ancora il senso che volevo darle? Questa cosa devo spiegarla perché la capisco solo io che so la trama o l'ho già detta cinquanta volte? E se mi succede qualcosa e non posso finirla? E se nessuno saprà mai come finisce? E se è tutta un'immane stronzata apocalittica? (Questo è il tarlo principale che li riassume tutti).
Penserete che sto esagerando. Non sto esagerando. Anche se è solo una fanfiction che non legge nessuno.

Dall'altro lato però, quando scrivo la parola fine e appoggio la testa dietro di me chiudendo gli occhi, finalmente in pace con me stessa perché ho portato a termine un lunghissimo impegno, iniziano a mancarmi. Da subito. In modo insopportabile. Non i Caskett, ogni versione di Caskett che ho scritto e che mi ha fatto compagnia. Per mesi. Mi hanno parlato per giorni, si sono intrufolati nella mia vita, mi hanno tenuto sveglia, li ho fatti crescere e ora devo lasciarli andare. Non ricordo mai quanto mi mancheranno, quando inizio una nuova storia. Ci saranno – sperabilmente – altre versioni di Caskett, ma non questi. E non mi sono mai fermata a onorarli, questa volta voglio farlo. Sono le mie creature (non quelli ufficiali), scrivere di loro è duro e appagante, altrimenti non sarei ancora qui a farlo, naturalmente.

Grazie a tutti per tutto, chi ha seguito, chi ha letto, chi è tornato dopo che ho interrotto, chi tornerà più tardi. Sono sempre convinta che un racconto non abbia bisogno del suo autore, una volta finito, perché instaurerà rapporti diversi e insindacabili con ogni lettore, ma è sempre piacevole sapere di non scrivere nel deserto e ricevere affetto e vicinanza.

Alla prossima! Silvia

   
 
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