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Autore: cabin13    17/01/2020    1 recensioni
[post-The Last Olympian]
Non poteva credere di aver perso quella cosa in un luogo come il Met. Come ci fosse riuscita non lo sapeva nemmeno lei e la cosa di certo non contribuiva a migliorarle l’umore. Tutto il contrario.
Non le importava più di tanto che non avesse tenuto fede a un giuramento sullo Stige, il più potente nell’intero mondo divino – no, figuriamoci, in quel frangente, di maledizioni e fiumi infernali non poteva fregarle di meno.
Lei voleva solo riavere quell’oggetto. Il resto del mondo poteva andare a farsi fottere.
[Storia partecipante a "Il contest degli haiku" indetto da Juriaka sul forum di EFP]
Genere: Azione, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Clarisse La Rue
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scritta per il "contest degli haiku" indetto da Juriaka sul forum di EFP.

Pacchetto #10
Tematica generale: perdita
Luogo: museo/galleria d'arte
Prompt: scritto di un personaggio
Stagione: autunno

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What matters to me

La pioggia di fine novembre le inzuppava i vestiti e le congelava la pelle come infiniti aghi ghiacciati. Il freddo le era penetrato fin dentro le ossa e non accennava ad allentare la presa, la sua intera figura era scossa da violenti brividi. Tuttavia non aveva la minima intenzione di spostarsi e cercare un riparo da quel temporale. Sarebbe potuta anche resistere fino alla mattina seguente, era determinata a farlo.

Il Metropolitan Museum alle sue spalle era chiuso già da un pezzo, ma Clarisse non voleva alzarsi dai gradini dell’ingresso principale. Sarebbe stato come ammettere che aveva fallito su tutta la linea, e il fallimento era qualcosa che non poteva proprio accettare.

Non poteva credere di aver perso quella cosa in un luogo come il Met. Come ci fosse riuscita non lo sapeva nemmeno lei e la cosa di certo non contribuiva a migliorarle l’umore. Tutto il contrario.

Non le importava più di tanto che non avesse tenuto fede a un giuramento sullo Stige, il più potente nell’intero mondo divino – no, figuriamoci, in quel frangente, di maledizioni e fiumi infernali non poteva fregarle di meno.

Lei voleva solo riavere quell’oggetto. Il resto del mondo poteva andare a farsi fottere.

Si era accorta della mancanza soltanto quando erano trascorse parecchie ore dopo che lei e il suo gruppo di studio per il college erano usciti dal museo e subito si era fiondata sul primo treno che l’avrebbe fatta tornare a Manhattan. Aveva avvertito Chris e Chirone, al Campo, che avrebbe fatto più tardi di quanto pianificato inizialmente; entrambi il figlio di Ermes e il centauro avevano chiesto se le serviva aiuto solo per ricevere in risposta un secco “no”.

La ragazza aveva passato al vaglio la zona degli “oggetti smarriti” senza alcun risultato, così si era incaponita nel comprare un altro biglietto e setacciare l’intero museo da cima a fondo. Aveva controllato la sala dell’arte classica almeno cinque volte, girato senza meta nell’ala egizia per più di un’ora e fatto su e giù per i tre piani dedicati alla pittura talmente tanto che alla fine le sembrava di aver appena finito la maratona di New York. I sorveglianti l’avevano praticamente buttata fuori a calci quando era arrivato l’orario di chiusura e la sua ricerca non aveva condotto a nessun risultato utile se non quello di farla sentire una miserabile.

Guerriera benedetta da suo padre Ares. Salvatrice del Campo. Annientatrice di draghi. Clarisse era tutto questo eppure non era stata in grado di mantenere una cavolo di promessa riguardo un dannatissimo coniglietto rosa di pezza.

Soltanto l’universo poteva sapere quanto si sentisse uno schifo in quel momento. Fulminò con lo sguardo una coppia sul punto di avvicinarsi alla sua posizione: non aveva bisogno di venire compatita da qualche sconosciuto né dagli altri al Campo,voleva solo restarsene da sola con le sue elucubrazioni. Quel peluche tutto spelacchiato non poteva essersene andato via per conto suo, e lei era certissima di aver aperto lo zaino che lo conteneva soltanto al museo perciò di sicuro era lì. Magari le serviva solo più tempo per cercarlo in ogni sala.

Poco importava di dover aspettare per molte ore fuori al freddo, di notte, alla mercé di eventuali mostri. Che si facessero pure avanti in massa, le serviva giusto un modo per sfogare tutta la sua rabbia.

Il Fato doveva proprio trovare divertente questa sua ultima constatazione perché, tempo neanche dieci minuti, le venne incontro una donna apparsa da chissà dove. Se avesse camminato sul marciapiede per un lungo tratto come tutte le persone normali, le orecchie allenate della semidea avrebbero potuto udire i suoi passi nonostante la pioggia e le foglie ingiallite che coprivano parte del viale.

– Tutto bene, tesoro? Ti serve una mano?

La ragazza, più giovane di quanto Clarisse avesse pensato inizialmente, parlava con un tono di voce strano. Era un suono gentile e soave, come se si stesse preoccupando davvero  per lei e potesse percepire appieno tutto lo sconforto della mezzosangue. Risultava davvero difficile non accettare il suo aiuto.

La figlia di Ares non riusciva a vederla bene in faccia, ma poteva notare come avesse una corporatura minuta. I suoi vestiti erano ampi e parecchio ridicoli anche per qualcuno dallo stile eccentrico: un giubbotto da sci verde chiaro sopra una gonna a pois bianchi e rossi al ginocchio e degli stivali alti marroni. Sembrava un po’ svitata.

La sconosciuta la invitò ad alzarsi dagli scalini e la riparò sotto un ombrello azzurro mentre si incamminavano lungo la Fifth Avenue. Lì sul momento Clarisse non fece caso al fatto che si stavano allontanando sempre di più dalle strade maggiormente frequentate, la ragazza aveva una parlantina sciolta e la sua mente finiva per concentrarsi sempre su quello. Disse che si chiamava Bethany e l’avrebbe portata a mangiare qualcosa di caldo in un baretto, perché non poteva lasciare che una povera fanciulla restasse da sola a piangere sotto la pioggia.

La castana si convinse che Bethany fosse una persona gentile, nonostante si fossero incontrate appena quindici minuti prima. Solo quando lei glielo fece notare, la figlia di Ares si rese conto di avere davvero freddo per via dei suoi abiti fradici.

– Devi essere stanca, ti peserà portare sulle spalle quello zaino! – esclamò la più bassa. – Che ne dici di darlo a me? Te lo tengo io, tranquilla. Dai qua.

Un angolino razionale del suo cervello ancora opponeva resistenza alle parole persuasive della donna, strillandole che non poteva affidare a una sconosciuta la sacca in cui aveva riposto anche la sua arma principale in caso di attacco. Aveva con sé anche un coltello di bronzo – Chris non l’aveva lasciata uscire dai confini magici fino a quando lei non si era arresa e aveva acconsentito a portarlo –, ma si sentiva più sicura con il lungo pugnale dello zaino.

La giovane donna insisteva, il palmo della mano proteso verso di lei e un sorriso incoraggiante stampato in viso. Clarisse era titubante, continuava a spostare lo sguardo dallo zaino alla figura di fronte a sé. Quella la esortò ancora, tuttavia era sempre più titubante. Qualcosa decisamente non tornava.

Fu la luce tremolante di una scalcinata insegna al neon a farla tornare in sé. Si concentrò sulla luminosità ad intermittenza piuttosto che sull’invito dell’altra a guardarla e ascoltare le sue parole e quel gesto le salvò la vita.

– In nome di… Perché cavolo mi hai portato in questo vicoletto malfamato? – la semidea si mise sulla difensiva. Si allontanò da Bethany di alcuni passi e dopo aver tirato fuori dalla borsa la sua arma se la ributtò in spalla.

La viuzza in cui si trovavano era stretta e soffocante, giusto una striscia di terra tra due alti palazzi. Qualche metro alle spalle della sconosciuta c’erano dei grossi bidoni dell’immondizia, forse appartenenti ad un ristorante, viste la nube di moschini e la puzza nauseabonda che li circondavano. Di certo se fosse finita nei guai non sarebbe passato nessuno che avrebbe potuto aiutarla, nemmeno per sbaglio.

– Non c’è bisogno di essere così scontrosi, ragazza mia. Io ti sono amica, voglio solo aiutarti. Eri uno spettacolo così triste, sola sotto la pioggia, che mi si è stretto il cuore e mi sono detta “non posso non fare niente per lei”!

Di nuovo quel tono suadente e mellifluo che l’aveva fatta cadere in trappola. Clarisse era determinata a non farsi fregare una seconda volta, doveva resistere alla sua magia persuasiva. Portò il pugnale contro il palmo della mano libera e fece scivolare la lama contro la pelle: un rivolo di sangue cominciò a sgorgare dal taglio che si era inflitta. La ferita non era dolorosa, tuttavia il suo cervello non poteva ignorare il fastidio pungente. Esattamente ciò che la guerriera desiderava.

– Oh, andiamo! Voi mezzosangue siete così irritanti. – il viso di Bethany si contorse in una smorfia di disappunto. – Davvero sei arrivata a ferirti da sola per non ascoltare la mia voce?

Avanzò di un passo verso la semidea e solo in quel momento Clarisse si accorse che il suo modo di camminare era un po’ strano: faceva un rumore particolare, diverso per una gamba e l’altra. Inoltre, sembrava che fosse instabile sui suoi stessi piedi.

– E io che speravo in un pasto facile, stasera. – il ghigno sul suo viso era mostruoso, le labbra lasciavano scoperte le gengive da cui scaturivano affilate zanne. – È un po’ che non trovo un semidio maschio di cui cibarmi, speravo di poterti fregare e uccidere in santa pace anche se sei una ragazza. Poco male, vorrà dire che farò un po’ di esercizio fisico prima di cena.

La figlia del dio della guerra digrignò i denti. – Ma bene, fatti pure sotto. Tanto anch’io ho del tempo da buttar via.

– Oh, già, devi aspettare che riapra il museo. – ridacchiò Bethany mentre stiracchiava le braccia con fare annoiato. Le dita si fecero più lunghe e nodose, e le unghie si tramutarono in affilati artigli. Gli occhi luccicarono scarlatti nella penombra del vicolo, desiderosi di assaporare la carne della mezzosangue.

– Devi tornare a cercare quella cosa che hai perso... – finché parlava, con un gesto fulmineo si strappò letteralmente gli stivali e gran parte della gonna, rivelando due gambe mostruose: la prima era una protesi metallica ammaccata in alcuni punti, invece la seconda era la zampa di un asino, la peluria ispida e scura.

– …peccato solo che non la troverai mai.

La castana non si chiese come facesse l’Empusa a sapere del coniglio, si lanciò all’attacco e basta. Mirò la testa del mostro, ma Bethany deviò la lama con gli artigli e ne approfittò per colpirla sul fianco con l’altra mano. Clarisse balzò all’indietro con un colpo di reni, evitando per un soffio di venire sventrata dalla sua avversaria. Era in una posizione sbilanciata, ma caricò comunque un calcio che prese l’Empusa sotto lo sterno e la allontanò da lei.

Bethany si  rialzò subito, fece forza sulle gambe e si scagliò verso di lei. Clarisse si era già rimessa in piedi con una specie di capriola e caricò a sua volta. Bronzo celeste e artigli si incrociarono. Stavolta la figlia di Ares non si fece cogliere alla sprovvista: respinse l’attacco della prima mano e, rapidissima, mulinò l’arma che tranciò di netto tre dita della seconda. Bethany ululò di dolore e riuscì a graffiarle la spalla.

– Tu non sei una figlia di Afrodite, bastarda! – latrò l’Empusa, rabida. – Tu puzzi come l’altro odore che appesta il pupazzo!

Clarisse trovò un’apertura tra i suoi colpi senza sosta e le rifilò il pomello del pugnale sulla guancia, mandandola a schiantarsi contro il muro. Le balzò addosso, pronta per il colpo di grazia, il mostro la prese in pieno petto con lo zoccolo e la spedì contro la parete opposta. Lo zaino sulla schiena attutì solo di poco la botta; la ragazza rimase senza fiato e le si annebbiò la vista. Barcollando, cercò di rialzarsi, tuttavia Bethany la schiacciò con il suo piede metallico.

La testa le pulsava, ma poté comunque mettere a fuoco la figura dell’Empusa davanti a sé. Tra gli artigli della mano sana reggeva un fagotto grande non più di due pugni di Clarisse, anche se non sapeva da dove lo avesse appena tirato fuori.

– Quando ho trovato questo affare al museo, speravo che a riprenderselo sarebbe venuta una figlia di Afrodite. Io odio i figli di Afrodite! – Bethany fece dondolare il peluche con fare scocciato. – Insomma, sono sempre così belli e perfetti da fare schifo. E alcuni di loro osano pure copiare i nostri poteri! Ma che se ne fanno della lingua ammaliatrice se tanto sono inutili?

Alla castana non interessava ascoltare i complessi dell’Empusa contro la progenie della dea dell’amore, ma doveva guadagnare tempo prima che l’altra si ricordasse di ucciderla. – Come fai a… dire che… che è di una figlia di Afrodite? – grugnì, i polmoni e la gola che andavano a fuoco.

Bethany doveva essere parecchio idiota, perché le diede retta e attaccò a parlare. – Stupida mezzosangue, è l’odore di questa cosa. Così orribilmente delicato, proprio come una figlia di Afrodite reale. Anche se, in realtà, c’è un’altra puzza attaccata al coniglio. Che fastidio, solo adesso mi rendo conto che è uguale alla tua…

La ragazza fingeva di ascoltare le lamentele del mostro, mentre teneva un braccio ripiegato dietro la schiena. Il polso e la mano si muovevano appena, tastando la pelle sotto la felpa alla ricerca del coltello di Chris: lo aveva nascosto sotto i vestiti, nell’estremo caso che il pugnale fosse stato fuori dalla sua portata.

Lo stordimento dovuto all’urto stava scemando, la sua visuale stava tornando nitida. I polpastrelli toccarono qualcosa di rigido e freddo. Aveva trovato l’elsa del coltello!

– E quindi… tu speravi di uccidere la semidea figlia di Afrodite che sarebbe venuta a riprendersi il peluche?

L’Empusa batté le palpebre, confusa. – Uh? Te l’ho appena detto, sciocca ragazza. Cos’è, la botta contro il muro ti ha rintontito del tutto? Se è così, allor-

Non terminò mai la frase.

Come una saetta, Clarisse si lanciò in avanti verso il mostro e le affondò il coltello nel ginocchio di metallo, là dove c’erano le giunture. Urtò Bethany e la sbilanciò all’indietro, facendola cadere sulla schiena. Strappò la lama dalla sua gamba e le si avventò contro. Le urla e le imprecazioni dell’Empusa erano assordanti. Le conficcò l’arma nel petto una, due, tre volte, fino a che il suo grido non si spense e di lei non rimasero che un cumulo di polvere e una gonna sbrindellata.

La ragazza si passò le mani sui pantaloni per pulirli dalla polvere, dopodiché rimise a posto sia il coltello che il pugnale; quest’ultimo era finito sul pavimento poco distante da dove l’Empusa l’aveva atterrata. Per ultimo raccolse l’animaletto di pezza. La peluria era scolorita e su uno degli occhi di plastica si ramificavano varie crepe, ma non era niente di diverso dal solito.

Con delicatezza, Clarisse girò il peluche e gli esaminò la schiena. Un angolo sotto la testa era senza pelo ed era stato rammendato con due semplici punti di filo. Anche in questo caso, tutto nella norma – Will Solace, della Capanna Sette, l’aveva ricucito dopo che un novellino di Ermes aveva provato a farle uno stupido scherzo (finito poi con il suddetto novellino in infermeria con un braccio rotto).

Restava da controllare la parte più importante. Con le dita tastò il retro fino a quando non trovò una minuscola cerniera. La aprì con estrema cautela, quasi avesse paura di poterla rompere se avesse esercitato solo un briciolo di forza in più.

Dalla tasta nascosta del coniglio estrasse un biglietto ripiegato a metà. Spostò il peluche sotto braccio e aprì il foglio con mani tremanti: si trattava di una breve lettera scritta in una grafia inclinata ed elegante. Finché la leggeva, non si accorse nemmeno che le si inumidirono gli occhi e piccole lacrime presero a rigarle le guance.

Grazie agli dei il temporale era terminato, la pioggia non avrebbe rovinato quella carta così importante. Terminata la lettura, sistemò di nuovo il foglio all’interno del coniglio e poi pose quest’ultimo al sicuro nello zaino. Cercò di asciugarsi gli occhi e darsi un contegno mentre si incamminava di nuovo verso la Fifth Avenue, pensando a un modo per mandare un messaggio Iride a Chris e tornare di nuovo a casa.

Aveva trovato ciò che cercava.

L’ultimo regalo di Silena Beauregard.

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Ciao, Clarisse.

Forse mi odierai per quello che sto facendo pero, ehi, qualcuno qui doveva pur prendersi questo incarico. Charlie è qui vicino a me che se la sta ridendo e continua a dire “oh vedrai, vedrai come darà di matto” ma io ci tengo a sottolineare che questa idea è per metà anche sua. Il povero Chris non c’entra niente.

Okay, forse è brutto ammetterlo visto che orchestreremo il tutto in modo che sarà lui a darti il regalo, ma lo conosci troppo bene. Non è esattamente il tipo più romantico del mondo.

Beh, nemmeno tu lo sei a dirla tutta, e io credo che insieme state benissimo così, senza nessuna smanceria o che altro.

Però domani è pur sempre il vostro primo anniversario come coppia; è un giorno speciale e quindi in qualche modo bisogna festeggiarlo, perciò ecco qua questo stupido coniglietto rosa. Lo so, è un po’ spelacchiato e mi spiace non aver trovato niente di più carino, vai tu a fidarti dei figli di Ermes (mi preoccupo per la povera Katie, lei dovrà sorbirsi i regali di Travis Stoll – perché io LO SO che quei due finiranno per mettersi insieme).

Mi sto perdendo nel mio stesso discorso. Quello che volevo dire è che spero con tutto il cuore che questo regalo piaccia sia a te che a Chris, e che voi due sia per sempre quella coppia stupenda che siete adesso.

Ti voglio bene,

tua Silena.

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Hola gente
Finalmente, dopo secoli in cui continuavo a buttare giù una bozza, rileggerla e cancellarla perché faceva pena, riesco a pubblicare questa shot! E' ambientata nell'autunno dopo "Lo scontro finale", quindi qui doveva ancora succedere tutto il casino con i semidei romani e Gea e compagnia bella ("L'eroe perduto" mi pare sia ambientato a dicembre e lì è scritto che Percy è scomparso da soli tre giorni)
L'idea del coniglietto rosa mi è stata data - involontariamente, chiariamo che non mi ha aiutato in nessun modo rispetto agli altri, io da sola ci ho fatto su tutto il mio castello di carte - dalla stessa Juriaka, nella sua challenge "Slot machine": il morbido coniglietto di peluche sembra un prompt assurdo per una storia angst e quindi io, masochista e disperata, mi sono bellamente detta "perché no?" Okkei, non è angst, solo alla fine diventa un po' malinconico, ma dettagli.
La stagione del pacchetto non è presente solo come ambientazione generale della storia (fine novembre), ho cercato di renderla anche in senso metaforico: l'autunno, tra le sue tante interpretazioni, ne ha una riguardo alla malinconia e alla tristezza. Spero di averla resa abbastanza bene con la lettera finale, anche se mi sa che è un po' criptica la cosa.
L'Empusa che attacca Clarisse la inganna usando la lingua ammaliatrice (abilità che hanno anche alcuni figli di Afrodite), cioè la ipnotizza con le sue parole. Ha un effetto più debole se la vittima sa che l'avversario sta usando questo incantesimo o se la sua volontà è davvero molto forte.
Ah sì, l'accenno alla Tratie nella lettera di Silena l'ho dovuto mettere per forza, non ho saputo resistere.
E mai come questa volta fu più vero che il titolo mi fa pena e ho dovuto dare di matto per inventarmene uno decente...

Mi pare di aver detto tutto, ringrazio chi recensirà e anche chi leggerà e basta
Alla prossima gente
Adios
   
 
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