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Autore: DaniNTI    18/01/2020    1 recensioni
Come convivere con la paura generata da quella conturbante incertezza legata alle possibili conseguenze delle azioni?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Chernobyl, nei pressi dell’ex centrale nucleare, si trova oggi un laghetto che di recente è stato destinato a svolgere la funzione di attrazione turistica: una sorta di mini parco acquatico dove bambini e famiglie possono tuffarsi, fare il bagno e dilettarsi seguendo percorsi acquatici.

Mi trovavo lì con un caro amico per visitare la cittadina, ormai completamente bonificata.  Una volta arrivati nei paraggi della vecchia centrale, il mio amico notò le persone sguazzare nell’acqua e si ricordò in quell’istante di aver visto in TV un servizio riguardante una nuova iniziativa promossa a Chernobyl: si parlava appunto di come la cittadina avesse finalmente cercato, una volta per tutte, di lasciarsi alle spalle il proprio passato rianimando di fatto quella che era ormai da decenni una comunità fantasma, sepolta dalla tragedia, partendo proprio dall’attuazione di un progetto volto a risollevare l’economia locale. 

Eravamo entrambi colti dallo stupore, ma nel caso del mio amico lo stupore si mescolava ad un senso di genuino fascino provato non tanto nei confronti dell’attrazione in sè - non era certo la prima volta che vedeva un parco acquatico in vita sua - ma per cosa il parco acquatico effettivamente rappresentasse per una cittadina in quella determinata condizione.

Mi propose dunque di fare il bagno.

Io ero francamente un po’ scettico, e in un primo momento mostrai apertamente le mie perplessità confrontandomi con lui senza troppi indugi, ma successivamente mi lasciai coinvolgere. Mi convinsi anche in considerazione del fatto che, al di là del servizio in TV che poteva rassicurare fino a un certo punto, era comunque evidente che non si trattasse di un’attività gestita abusivamente: era dunque assolutamente legale fare il bagno. Oltretutto,  vi erano tantissime persone, erano tutte spensierate e allegre, e tutti questi segnali mi facevano pensare che effettivamente non vi fossero rischi di alcun tipo.

Mi tuffai dunque nell’acqua torbida e giallastra del lago/stagno, e mi godetti l’esperienza dopo essermi ripromesso di non far sì che questa fosse condizionata nè dai dubbi che avevo nutrito fino a qualche istante prima, nè tantomeno dalle apparenze.

Mi lasciai andare e sentivo in quel momento di star vivendo un’esperienza singolare: l’acqua era semplicemente diversa da quella di un normale corso d’acqua, ma non per ciò mi sentivo minacciato da essa. Anzi, da essa mi sentivo accolto.

L’acqua lasciava delle macchie sulla pelle. Ma non era nulla di irreversibile: le macchie apparivano sulle braccia dopo che la parte superiore del corpo era stata pienamente immersa nell’acqua e scomparivano gradualmente una volta trascorso qualche secondo dalla riemersione. 

Oltre alle macchie, l’acqua lasciava sulla pelle delle impurità leggermente appiccicose che essa trascinava con sè. 

Di fianco alla scala che consentiva di uscire dal lago/stagno vi era un garzone, la cui mansione era essenzialmente quella di "ripulire" le persone appena uscite, servendosi di un aggeggio in grado di emettere getti di acqua “depurante” contenente a quanto pare delle sostanze in grado di contrastare la radioattività. 

“Venga, venga!”, mi disse il ragazzo con enfasi mentre mi vide uscire dal lago.

Il ragazzo notò la mia espressione leggermente perplessa, a quanto pare diversa da quella della maggior parte degli altri visitatori, e mi chiese dunque come mai avevo scelto di fare il bagno nel lago di Chernobyl.

Io gli risposi dicendo che molto semplicemente avevo sentito dire che non si corre alcun rischio. 

Lui mi rispose con disinvoltura facendomi notare come in realtà la situazione fosse leggermente diversa, nel senso che la fiducia verso la sicurezza del lago era a propria discrezione ed entrando nel lago ci si assumeva implicitamente le responsabilità della propria scelta.

Iniziai ad allarmarmi e gli chiesi che cosa intendesse esattamente, invitandolo a fornirmi spiegazioni e chiarimenti sull’effettiva sicurezza del parco.

“Beh, diciamo che la sicurezza del parco dipende dalla propria personale propensione al rischio”, disse il garzone tranquillamente.

“Come sarebbe a dire propensione al rischio? Qui ci sono anche tantissimi bambini e si sa che la loro propensione al rischio è molto alta: li stiamo dunque esponendo a potenziali pericoli?” risposi in maniera abbastanza concitata, ma senza attaccare il garzone.

“I bambini, pur avendo i propri personali desideri, non effettuano la scelta ultima, dunque la loro propensione al rischio è in realtà quella dei loro genitori”, replicò lui.

“Dunque vi sono effettivamente dei pericoli per la salute? Com’è possibile che non vi siano degli avvisi di pericolo prima dell’ingresso? Anzi, com’è possibile che una struttura del genere sia anche solo legale?”, risposi io cominciando a gesticolare e ad agitarmi visibilmente.

“Non si è recato al banchetto informazioni dal gestore del parco a richiedere per l'appunto informazioni prima di entrare?”, chiese il garzone con aria stupita.

“Banchetto informazioni?”, dissi io, “ad un banchetto informazioni mi aspetto di poter chiedere informazioni circa le tariffe o gli orari di apertura, non di certo di discutere delle potenziali ripercussioni irreversibili sulla mia salute!”, e presi ad urlare. 

“Cosa c’entro io?”, disse il garzone, “non faccio io le regole qui: il mio compito, al più, è quello di arginare i possibili impatti futuri sulla salute depurando la sua pelle al meglio delle mie possibilità”.

“Tutto questo è intollerabile”, dissi io urlando mentre i miei occhi cominciavano a lacrimare dalla disperazione.

“Cosa vuole da me?”, rispose urlando  il garzone, ora visibilmente spazientito anche lui. E continuò:

“Io sono qui a ripulirvi tutti dalla merda in cui voi stessi volontariamente avete scelto di tuffarvi, per chissà quale motivo, e ora mi si viene persino a recriminare di avere una qualche sorta di responsabilità in tutto ciò”. 

Il garzone sbatté per terra l’aggeggio di cui si serviva per ripulire le persone e se ne andò indignato senza pensarci troppo.

Mi girai e il mio amico non c’era più: non aveva detto nulla durante tutta la conversazione, e mi chiesi in quel momento quando se ne fosse andato esattamente. Aveva ascoltato almeno parte della conversazione o no? Aveva levato le tende mentre la tensione iniziava a crescere o lo aveva fatto preventivamente prima che iniziasse la discussione? Era troppo tardi per saperlo.

A quel punto mi voltai indietro verso il lago e lo trovai immediatamente deserto. Non vi era più anima alcuna. Conscio di aver fatto un’enorme stupidaggine, ero lì basito e tremante, rimuginando sulle mie azioni. Fisicamente in realtà mi sentivo bene, il mio corpo non aveva nulla di strano, ma sapevo che questo tipo di "potenziali impatti" di cui si vociferava non si rivelano immediatamente e avevo dunque paura che un giorno sarebbero emersi di punto in bianco. Realizzai dunque che questo tipo di paura instaurata dal dubbio era appena iniziata in quell’istante e sarebbe perdurata per sempre, o al più sarebbe stata sostituita dalla rassegnazione una volta percepito un eventuale segnale di effettive ripercussioni sul mio corpo. Quale delle due sensazioni fosse la peggiore è difficile da dirsi. Non sapevo se e quando il lago di Chernobyl mi avrebbe fatto pagare la mia ingenuità e la mia assoluta mancanza di responsabilità. Non ero l’unico colpevole, ma sentivo di avere la mia parte di colpa. E se la mia percentuale di colpa fosse troppo grande o meno per meritare un’assoluzione e uscire indenne dai potenziali impatti sulla mia salute non potevo saperlo.

Ero lì completamente solo, in preda ad una sorta di terrore primordiale, al lago di Chernobyl.

 
   
 
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