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Autore: Koori_chan    19/01/2020    1 recensioni
[L’Ottobre del 1703 era uno dei più caldi che la gente di Londra ricordasse.
Per strada i bambini correvano scalzi schiamazzando senza ritegno, e sul mercato si vendeva ancora la frutta dell’estate; il sole, che già aveva incominciato la sua discesa verso l’orizzonte, illuminava i dock di un’atmosfera tranquilla, pacifica, quasi si fosse trattato di un sogno intrappolato sulla tela di un quadro.]
Quando un'amicizia sincera e più profonda dell'oceano porta due bambine a condividere un sogno, nulla può più fermare il destino che viene a plasmarsi per loro.
Eppure riuscirà Cristal Cooper, la figlia del fabbro, a tenere fede alla promessa fatta a Elizabeth Swann senza dover rinunciare all'amore?
Fino a dove è disposta a spingersi, a cosa è disposta a rinunciare?
Fino a che punto il giovane Tenente James Norrington obbedirà a quella legge che lui stesso rappresenta?
E in tutto ciò, che ruolo hanno Hector Barbossa e Jack Sparrow?
Beh, non vi resta che leggere per scoprirlo!
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Elizabeth Swann, Hector Barbossa, James Norrington, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Ventisettesimo~






Avrebbe dovuto sentire freddo, bagnata fradicia in piedi a prua nel cuore della notte, ma non sentiva nulla.
Né il vento sulla faccia, né la spuma dell’onda. Nulla, se non la sorda vibrazione dell’abisso spaccatosi dentro di lei.
Sapeva di aver nuotato fino a dove la attendeva Elizabeth, sapeva che assieme si erano aggrappate alla corda lanciata dalla murata dell’Imperatrice e che erano state issate a bordo, dove già gli uomini le attendevano, sapeva di aver risposto a qualche domanda, di aver detto di non essere ferita e di aver rifiutato una coperta.
Sapeva di aver fatto tutto quello, ma non lo ricordava. Era come se dal momento in cui l’acqua scura dell’Oceano si era richiusa sopra la sua testa ogni capacità di sentire si fosse in lei prosciugata, ovattata fino a lasciare come unico residuo di coscienza quel rombo sordo dentro la cassa toracica, come un tuono dai più reconditi recessi della sua anima.
Era l’unica cosa che aveva, mentre il sale di lacrime e onde si asciugava lentamente sulle sue guance e gli occhi  rimanevano fissi sul buio, quasi invetrati.
Non avrebbe pianto, non più. Non poteva. Non sentiva nulla, perché piangere? Con quale diritto?
No, non avrebbe pianto.
Socchiuse la bocca per liberare un sospiro e fu in quel momento che si accorse di Elizabeth, in piedi titubante a qualche passo da lei.
Forse avrebbe voluto chiamarla, forse temporeggiava in cerca di parole da dirle per confortarla, ma lei non aveva bisogno di conforto, non sentiva niente, dopotutto.
Ma commise l’errore di guardarla negli occhi e li vide gonfi e arrossati e capì che Elizabeth aveva pianto, e forse già piangeva quando l’aveva raggiunta in acqua. Commise l’errore di guardarla negli occhi e si rese conto che non era vero che non provava nulla, ma il rumore dei suoi sentimenti urlava talmente violento da coprire ogni altra cosa.
La guardò negli occhi, e non riuscì a trattenersi.
- Oh, Cris, no… - sussurrò Elizabeth correndole incontro e stringendola a sé, mentre la ragazza svuotava la sua anima dilaniata piangendo senza ritegno sulla sua spalla, in singhiozzi cupi e disperati, preda dei fremiti più incontrollati.
Elizabeth poggiò la testa sulla sua e anche lei non fu capace di trattenere le lacrime, seppur più composta dell’amica.
Nessuna delle due parlò, nessuna disse nulla, perché non esistevano parole per riempire quel vuoto, per curare quella ferita. Rimasero abbracciate a prua in silenzio per quelle che parvero ore, mentre l’acqua accarezzava i fianchi della nave e placida le conduceva a Shipwreck Cove.
Solo dopo un tempo infinito Cristal trovò il coraggio di rompere il silenzio, gli occhi che le dolevano e la testa che sembrava volersi spaccare in due.
- Avrei dovuto saperlo. - sussurrò pianissimo.
- Anzi no, lo sapevo. Lo sapevo e non ho voluto crederci. - aggiunse.
Elizabeth strinse le labbra, perché anche lei lo sapeva, perché entrambe conoscevano James troppo bene per illudersi che non si sarebbe sacrificato per loro.
- Non potevamo immaginare che si sarebbe arrivati a questo. - mentì in un goffo tentativo di sollevarla dai suoi sensi di colpa.
Cristal rimase in silenzio qualche istante, poi sorrise amara.
- Ci troveremo sempre a procedere lungo due linee parallele. - disse solamente.
La figlia del Governatore si scostò dall’abbraccio per rivolgerle uno sguardo perplesso, e il sorriso sul volto della giovane si fece ancora più sofferto.
- Avevo tredici anni. Dopo l’impiccagione di Gardner, quando scappai. Lui mi inseguì. Per scusarsi. Mi disse che mi ammirava, che ammirava il mio coraggio nel difendere le mie posizioni. Quella fu la mia risposta. - spiegò, il respiro difficile al ricordo dell’ultima frase di James, della risposta che aveva atteso per dieci anni e che mai avrebbe voluto sentire.
- Non lo sapevo. - commentò Elizabeth, confusa eppure completamente consapevole di cosa l’amica stesse cercando di raccontarle.
Cristal annuì piano.
- Non l’ho mai raccontato a nessuno. Non so perché. - ma lo sapeva, lo aveva saputo fin dall’inizio.
Era stato in quell’istante, in quella domanda senza risposta, nelle sue impronte che si allontanavano silenziose sulla sabbia, che Cristal si era accorta di tenere a James.
Era stato quel pomeriggio, rendendosi conto che non avrebbe mai potuto raccontare quella conversazione senza sentirsi spogliata e nuda di fronte al suo prossimo, che aveva capito che quel giovane taciturno e solo era per lei molto più di un nemico.
Non ne aveva mai parlato con nessuno, perché altrimenti avrebbe dovuto spiegare l’origine di quel terrore latente nel capire che le loro strade non si sarebbero unite mai, non ne aveva mai parlato con nessuno perché allora avrebbe dovuto ammettere che lei desiderava l’approvazione di James più di ogni altra cosa al mondo, e assieme alla sua approvazione desiderava il suo rispetto, il suo affetto e la sua felicità.
E non aveva saputo spiegarlo nemmeno a se stessa, mentre gli anni passavano e gli incontri casuali da graditi si mutavano in desiderati, da desiderati diventavano agognati e ogni giornata senza lo sguardo di James ad incontrare il suo era priva di colore.
E lo aveva negato a se stessa, lo aveva giurato ai tramonti solitari su al Forte, aveva opposto resistenza con ogni fibra di sé, perché lei non poteva cedere, perché quel sentimento era sciocco, e frivolo e sprecato e semplicemente non adatto ad una come lei; aveva cercato di ignorarlo perché lei era goffa, e diversa, e sbagliata e il suo nome non era stato plasmato per accostarsi all’amore, perché lei era intrisa di canti di guerra e non avrebbe mai potuto accogliere una forza così antica e potente e disarmante.
Aveva negato, e negato, e negato, e ad ogni diniego il suo cuore cambiava la rotta dei suoi passi e la riportava indietro, deciso, volitivo come una mano sul pomo del timone a contrastare le correnti. Aveva giurato, e giurato e giurato e si era ritrovata a cercare il volto di James dietro a ogni angolo, in ogni riflesso sull’onda, nel luccichio delle stelle prima di coricarsi e fra le pagine di un libro a colazione.
E allora aveva dovuto cedere, e almeno con se stessa essere sincera e ammettere che quell’uomo era diventato per lei imprescindibile e che persino una goffa e diversa e sbagliata come lei aveva dovuto arrendersi all’amore, chinare il capo e acquietare i canti di guerra.
E la cosa più assurda, la scoperta più sconvolgente era stata che non si era trattato di una rinuncia, bensì di una liberazione, e quella sera su al Forte, l’ultima sera, le era sembrato che il mondo vibrasse solo per loro e che ogni dolore o tristezza passati fossero insensati e trascurabili e inutili.
- Ho sprecato così tanto tempo… - sospirò, la voce ridotta ad un soffio.
Elizabeth tornò a cingerle le spalle e le accarezzò piano i capelli ora del tutto asciugati.
- Non darti colpe che non hai, Cris. -
Nemmeno voleva pensare a quello che avrebbe provato se un simile dolore avesse dovuto capitare a lei.
Si chiese come stesse Will, che cosa fosse successo in quel lunghissimo pomeriggio, e si rese conto che se avesse dovuto perderlo per sempre non sarebbe mai stata capace di reagire.
Cristal, invece, trasse un ultimo lungo sospiro e si scostò i capelli da davanti alla faccia, alzandosi in piedi con fatica.
- Coraggio, dobbiamo arrivare a Shipwreck Cove in condizioni di comprendere cosa succede. Avremo tempo dopo per tutto il resto. - ordinò più a se stessa che a Liz.
Quella, ancora seduta sulle assi, le rivolse una lunga occhiata silenziosa carica di ammirazione e compassione. Sapeva benissimo che, appena sola, Cristal sarebbe crollata di nuovo, eppure adesso faceva di tutto per mostrarsi salda, per congelare il suo dolore e non perdere la concentrazione.
Aveva perso la sua famiglia, i suoi amici, Hector e Jack, e adesso perdeva l’uomo che aveva sempre amato e tuttavia stringeva i denti e rimandava la resa dei conti con i suoi sentimenti, ignorava la sua sofferenza e si rimboccava le maniche per farsi coraggio, perché non era ancora finita e non poteva permettersi di gettare la spugna ad un passo dal traguardo.
Perché aveva fatto una promessa e l’avrebbe mantenuta, fino alla fine, nonostante tutto.
- Beckett e Jones la pagheranno cara. - rispose Elizabeth alzandosi a sua volta.
Avrebbero dovuto vincere quella battaglia a tutti i costi.
Anche per James.
Cristal le rivolse un debole sorriso, una mano che saliva incerta a stringere la sua collana.
Aprì la bocca per parlare, ma non aveva nulla da dire. Annuì soltanto, poi scese in coperta: c’era molto lavoro da sbrigare, e non poteva permettersi di fermarsi.
Arrivarono a Shipwreck Cove non meno di due ore dopo, la ciurma di Sao Feng a guidare l’Imperatrice attraverso i tranelli della notte.
- La Baia dei Relitti non porta il suo nome per caso. Acque pericolose, acque infestate. Solo un pilota esperto può condurvi all’approdo. - spiegava il primo ufficiale, che forse avrebbe voluto davvero farli affondare tutti quanti.
Elizabeth lo stava a sentire, incuriosita, ma i suoi occhi erano puntati sulla meraviglia di fronte a sé: un’intera città di navi arenate si innalzava davanti a loro in un continuo tremolio di fiaccole, come tante minuscole stelle a danzare nell’abbraccio dell’Isola.
Doveva essere stata un vulcano, si trovò a considerare Cristal notando la forma quasi perfettamente circolare della baia e i pendii scoscesi che la separavano dal mare aperto. Certo, questa particolarità rendeva il sito inespugnabile ed era semplice comprendere come avesse potuto mantenersi segreto per tutti quegli anni.
E alla fine eccola lì, meta inseguita per tutti quegli anni e raggiunta alla vigilia di una guerra inevitabile, sotto la guida di uno sconosciuto e con l’anima pesante come non mai.
Di tanti modi in cui aveva immaginato il suo arrivo a Shipwreck Cove, quello non era mai stato nemmeno abbozzato e si trovò a domandarsi cosa ne avrebbe pensato Bleizenn.
La Figlia della Tempesta sospirò. Aveva atteso a lungo quel momento, ma non provava nemmeno un grammo dell’eccitazione che avrebbe creduto. Il suo unico desiderio al momento era andarsene a dormire per non doversi risvegliare mai più.
- Non si può dire che non sia imponente. - commentò Elizabeth ad alta voce, sistemando meglio sul capo il tricorno cinese che aveva scelto per completare il suo nuovo abbigliamento.
Cristal le aveva rivolto il primo sorriso sincero di quelle ultime ore terribili.
- Darò un giudizio dopo aver conosciuto gli abitanti. - si limitò a rispondere.
Scesero a terra e vennero condotti verso la sommità della collina di relitti, dove a detta dell’uomo che li stava guidando si trovava la Sala del Consiglio.
Ogni corridoio, ogni stanza o anfratto di quel luogo era composto da relitti, pezzi di navi, elementi rimossi a chissà quale vascello e reimpiegati a nuovo utilizzo, in una creatività pratica che riusciva persino ad avere il suo fascino. Per quanto quella fosse la prima volta che visitava quel luogo labirintico, Cristal si rese conto di trovarlo familiare, fra le polene e le vetrate di poppa che ne costruivano l’anatomia.
- La riunione sarà già incominciata. - osservò sottovoce.
Liz annuì e si avvicinò a lei.
- Spero non abbiano deliberato senza di noi. - confessò, tesa nonostante cercasse di mostrarsi spavalda.
- Non credo che possano, dopotutto manca un Pezzo da Otto fondamentale all’appello. - fece Cristal con un cenno alla collana di Sao Feng che l’amica portava al collo.
- E poi non penso che sia così semplice far andare d’accordo tutti questi pirati… - aggiunse pensierosa.
Elizabeth le accordò la ragione con una lieve alzata di sopracciglia, poi l’uomo che le stava scortando arrestò la sua marcia.
- La Sala del Consiglio è oltre quel ponte. Solo i Pirati Nobili e i loro equipaggi sono ammessi durante un Consiglio. - spiegò, indicando loro la via con un cenno del braccio.
- Grazie. - rispose Elizabeth, mentre Cristal si univa con un cenno del capo.
L’uomo rivolse loro un mezzo sorriso bucato e voltò loro le spalle, incamminandosi da dove era venuto.
- Pronte? - domandò Capitan Tempesta.
Elizabeth trasse un profondo sospiro.
- Pronte. - replicò, puntando lo sguardo dritto avanti a sé e attraversando il ponte.
- Sao Feng è morto! Ucciso dall’Olandese Volante! -
Ecco, se proprio avesse dovuto essere sincera, Cristal non si sarebbe esattamente immaginata un’entrata in scena così plateale. Credeva ingenuamente che si sarebbero limitate ad entrare, chiedere scusa per il ritardo e sedersi al loro posto senza disturbare, unendosi al dibattito solo quando si fossero messe in pari con le argomentazioni, ma conosceva Elizabeth abbastanza bene da sapere benissimo che nulla di tutto quello sarebbe mai successo.
Ed ora erano lì, in piedi davanti ad una tavolata gremita dei più grandi pirati che la storia contemporanea annoverasse, ad annunciare a gran voce che uno dei loro era stato ucciso e che una ragazzina sbucata dal nulla aveva preso il suo posto.
La notizia portò il putiferio nella sala. Alcuni si alzarono in piedi, altri sbatterono le mani sul tavolo e Jack, incredulo di fronte alla figura di Elizabeth che conficcava la sua spada nel grande mappamondo alla sua sinistra proprio come avevano fatto gli altri prima di lei, disse qualcosa che Cristal non capì, fagocitato dal caos.
- Ascoltate! Ascoltatemi! Hanno scoperto dove ci stiamo riunendo. Jones è sotto il comando di Lord Beckett, e stanno venendo qui! - continuò Elizabeth, incurante del marasma.
- Chi ha fatto la spia? - domandò un pirata dalla pelle scura che aveva tutta l’aria di essere un Capitano.
Fu Barbossa, in piedi accanto a Jack e apparentemente nel ruolo di moderatore della tavolata, a rispondergli.
- Non credo che il traditore sia qui tra noi. - lo tranquillizzò, ma la sua frase non ebbe lo stesso effetto su Elizabeth.
- Dov’è Will? - fece, accorgendosi improvvisamente dell’assenza.
Mentre Jack confermava i suoi dubbi, Cristal si avvicinò al mappamondo e titubante conficcò la sua spada nel ritaglio di mare fra Inghilterra, Province Unite e Danimarca. Contro i suoi calcoli, tuttavia, nessuno parlò in quel momento e il suono della lama che si piantava nel legno riecheggiò nel silenzio.
- Chi altri viene a sedersi al nostro tavolo? - fu una voce di donna a porre il quesito, alta e sicura nel silenzio.
Cristal non l’aveva mai udita prima eppure la riconobbe immediatamente: vi era una sola donna fra i Pirati Nobili, e si trattava della Vedova Ching. Sua madre le aveva parlato molto di lei quando era bambina: Capitano temuto e rispettato era completamente cieca, eppure aveva al suo comando una flotta numerosa e letale.
Inutile dire che era stata uno dei suoi modelli di stile, e ritrovarsi ora realmente al suo cospetto la metteva in non poca soggezione.
- Sono Cristal Cooper, Signora. Pirata Nobile del Mare del Nord! - spiegò a voce alta, avvicinandosi lentamente a Barbossa in cerca di supporto e sperando che l’emozione non la facesse tremare troppo.
La replica che ottenne, tuttavia, le fece dimenticare ogni possibile imbarazzo.
- Cristal Cooper? E quindi il Faucon du Nord ha infine passato il testimone? Dimmi, ragazza, che ne è stato della vecchia Marion Hawke? - incalzò.
Elizabeth si voltò di scatto verso di lei, Jack si irrigidì e fece un lentissimo passo indietro.
Un nuovo brusio fagocitò la voce della vecchia, e Cristal, gli occhi sgranati e le pupille minuscole, si voltò verso Hector, nello sguardo un rimprovero che sembrò quasi capace di farlo indietreggiare.
L’uomo abbozzò un sorriso teso e imbarazzato, chiaramente alle strette.
- Beh, non importa! La questione è: ora che ci hanno trovati, che cosa fare? - sviò con scaltrezza l’attenzione dalle domande precedenti.
Cristal, indignata e furente, fece per controbattere, ma Elizabeth la bloccò prima che potesse parlare.
- Combattere! - esclamò, cogliendo l’occasione offertale da Barbossa.
I pirati scoppiarono a ridere sommessamente tutti insieme, causando un gran baccano, ma Cristal non se ne accorse più di tanto.
La sua concentrazione era tutta proiettata su quell’unica informazione, sugli occhi di Hector che puntavano ovunque tranne che a lei, su Jack che, colpevole tanto quanto lui, cercava di evitare di andare a sistemarsi accanto a lei.
Marion Hawke.
Doveva essersi sbagliata.
Marion Hawke!
Come poteva essere?! Come faceva la Vedova Ching a conoscere il nome di sua madre?
Ma era tutto chiaro, tutto scontato, tutto vergognosamente ovvio.
Non esisteva nessun Ancien Marin, nessuna promessa, nessun regalo.
Il Faucon du Nord era sempre stato sotto i suoi occhi, in ogni insegnamento della sua infanzia, in ogni rotta tracciata sulle carte.
Sua madre.
E le vecchie canzoni, le storie per addormentarsi, gli allenamenti di scherma, la malinconia nell’odore del mare e della polvere da sparo.
Tutto assumeva nuova forma e nuovo significato nella voce di quella vecchia che le aveva sbattuto in faccia senza criterio la verità, rendendo chiaro a tutti quanto fosse stupida e sciocca ed ingenua.
Sua madre.
Strinse i pugni, una rabbia cieca a ribollirle nelle vene, ma il richiamo sguaiato di un altro pirata sconosciuto le ricordò che avrebbe avuto tempo dopo di fare chiarezza su quell’enorme e gravissima omissione.
- La Baia dei Relitti è una fortezza. E’ una fortezza assai piena di provviste. Non c’è bisogno di combattere, se non possono arrivare a noi! - si fece sentire nuovamente la Vedova Ching, riscuotendo il consenso generale.
Cristal avrebbe voluto sbattere le mani sul tavolo e urlare in faccia a tutti quanti che Beckett li avrebbe stanati uno ad uno e che non si sarebbe fermato finché ogni singolo abitante di Shipwreck Cove non fosse stato a penzolare da una forca, ma era troppo stanca, confusa e arrabbiata per prendere realmente parte al dibattito e Barbossa fu più svelto di lei nell’ottenere la parola.
- Ci sarebbe una terza… rotta. - esordì, accentrando tutta l’attenzione su di sé.
Cristal roteò gli occhi e l’uomo se ne accorse.
Che cosa poteva mai offrire loro? Altre menzogne? Dopotutto sembrava che fosse questa l’unica lingua che i pirati potessero parlare.
Persino lui.
Persino sua madre.
Hector si schiarì la voce e iniziò a raccontare come solo lui sapeva fare, con le sue parole scelte con cura e le pause ad effetto.
Parlò di un altro Consiglio, molti anni prima, di come Calypso era stata imprigionata e di quanto quell’errore si fosse dimostrato gravissimo.
Il suo discorso ispirato andò a tratteggiare un tempo remoto, in cui il mare era libero e la libertà stessa era frutto di impegni e sacrifici e non di menzogne sussurrate agli abissi, e per un momento quasi Cristal cedette, per un istante sentì anche lei il calore del sole sulla fronte ricoperta di sudore.
Ma quando Hector decretò che Calypso andava liberata, il piccolo mondo di cristallo che l’uomo aveva dipinto per loro si sgretolò in mille frammenti, randellato dalla cruda realtà.
- E quindi è questo il tuo piano? Tutto si spiega! - commentò sprezzante, mentre attorno a lei di nuovo tutti quanti si parlavano addosso, per lo più inveendo contro l’uomo.
- Sao Feng sarebbe stato d’accordo con Barbossa! - esclamò all’improvviso il secondo ufficiale dell’Imperatrice.
- Ecco! - lo ringraziò a modo suo il pirata.
- Ma fammi il piacere! Sao Feng era pronto a venderci tutti quanti a Beckett, Calypso è stata solo una fortuita coincidenza! - berciò Cristal, prendendosi gioco del defunto e ottenendo un’occhiata di stizza da Hector.
- Calypso era nostra nemica, oggi lo sarebbe ancora! - tuonò il pirata dalla pelle scura.
- E dubito sia di migliore umore! - gli diede manforte un uomo dal marcato accento francese.
Accadde tutto in un istante, qualcuno disse qualcosa, partì un colpo di pistola e in men che non si dica tutti i presenti si stavano azzuffando, riversi sul tavolo e pronti a fracassare contro l’avversario qualunque oggetto gli passasse per le mani.
- Questa è follia… - commentò Elizabeth, sconcertata.
- Questa è politica! - fu la replica di Jack, sconcertato quanto lei, seppur in un certo senso divertito dalla situazione.
L’avvilente teatrino andò avanti ancora per una decina di minuti senza che nessuno accennasse a cedere, poi Barbossa, stufo di non essere ascoltato, salì in piedi sul tavolo e sparò un colpo in aria, reclamando il silenzio.
- E’ stato il Primo Consiglio ad imprigionare Calypso! Noi dobbiamo essere quelli che la liberano: ci sarà grata e di sicuro ci vorrà accordare i suoi favori. - spiegò nuovamente.
Cristal sbuffò sonoramente e incrociò le braccia al petto, andando a sedersi sul bordo del tavolo e dandogli appena le spalle.
- Per cortesia… - biascicò, chiaramente in disaccordo.
Conforme a sé stesso, anche Jack diede contro a Barbossa e, incoraggiato proprio dal Pirata Nobile del Mar Caspio, prese ad illustrare il suo piano.
- Sono d’accordo… - esordì a conclusione del suo intricato ragionamento per poi borbottare qualcosa che mise in luce quanto quella dichiarazione gli costasse.
- Con Capitan Swann. -
Ma se per gli altri pirati quella poteva sembrare una qualsiasi presa di posizione, per Barbossa fu troppo.
- Te la sei sempre svignata! - lo accusò.
- No, mai! - esclamò Jack, oltremodo offeso nonostante sapesse benissimo che era la verità.
Accusa e difesa vennero rimpallate fra di loro in un gioco del tutto infantile, finché la parlantina di Sparrow non ebbe la meglio e gli fece guadagnare un coro di volti alla sua causa.
Ma Barbossa non sembrava minimamente in difficoltà.
Con un sorriso saccente che in altre circostanze avrebbe divertito Cristal, ma che ora le faceva solamente venire voglia di fargli saltare tutti i denti con un pugno, l’uomo mise in mostra la sua profonda conoscenza.
- Secondo il nostro Codice, un atto di guerra, di questo infatti si tratta, non può essere dichiarato che dal Pirata Re. - snocciolò quasi a memoria.
- Te lo sei inventato! - fece Jack.
- Ah, inventato? Io chiamo il Capitano Teague, Custode del Codice! - esclamò, in volto un’espressione di pura sfida.
Jack impallidì, ma prima che potesse replicare un pirata dal turbante variopinto decretò quanto tutto quello gli sembrasse pura follia.
Non riuscì tuttavia a terminare la sua invettiva contro il Codice: una pallottola lo stroncò a metà del discorso.
Il silenziò piombò glaciale sulla sala, rotto solamente dai passi di un uomo spaventosamente simile a Jack.
- Il Codice è Legge. - disse solo, intimando con un cenno che altri due uomini portassero al cospetto della Fratellanza un pesantissimo volume protetto da un grande lucchetto.
- Il Codice! - Cristal si lasciò sfuggire un sussurro nel silenzio, cercando con la mano il braccio di Elizabeth per reclamare la sua attenzione.
La ragazza si voltò verso di lei, in volto la stessa espressione stupita ed elettrizzata di una donna che vede davanti ai suoi occhi la reliquia delle sue fantasie di bambina.
L’uomo del Codice, serio e silenzioso, prese a sfogliarlo, gli occhi concentrati alla ricerca dell’informazione di cui necessitava, poi si fermò.
- Ah! Barbossa ha ragione! - sentenziò.
Jack, abbandonata ogni ritrosia, scostò di lato il Capitano Teague e sbirciò senza decenza fra le righe del Codice.
- Parlamentare con gli avversari. - lesse a voce un po’ più alta dopo qualche parola farfugliata fra sé e sé.
- Questo mi piace! - fu poi il suo commento.
- Non c’è stato un Re fin dal Primo Consiglio, e non è facile che si cambi! - fece saggiamente notare il Capitano francese.
- Perché no? - chiese Elizabeth, confusa.
Gibbs e Hector si offrirono di spiegarle, ma Cristal non prestò attenzione: conosceva già la risposta.
Infatti, quando Jack chiese solennemente una votazione, nessuno parve scomporsi: ognuno avrebbe votato per sé, come da norma.
- Cristal Cooper. - esclamò, costretta al voto dalla sua posizione anche se ne avrebbe fatto volentieri a meno, mentre Hector le faceva eco votando per se stesso.
- Elizabeth Swann. - ma a pronunciare quel nome non era stata la sua proprietaria, che aveva votato appena prima di Cristal, bensì Jack Sparrow.
L’uomo se ne stava in piedi di fronte a loro con in volto l’espressione più sfottente che un essere umano potesse esibire.
Fu il delirio, tutti si alzarono in piedi urlando, promettendo favori a chiunque li avesse votati, alcuni urlavano all’illegalità della votazione, altri chiedevano che fosse annullata e rifatta, ma quando Jack solleticò l’ipotesi che qualcuno desiderasse disattendere le regole del Codice il silenzio calò nuovamente, portato dal sol del liuto di Teague, che era prontamente saltato all’insinuazione di Sparrow.
Nessuno osò replicare, e fu la Vedova Ching a prendere la parola per prima.
- Molto bene. - esordì, seria e imperiosa nonostante la sua bassa statura.
- Che dite voi, Capitan Swann, Re del Consiglio della Fratellanza? -
Elizabeth tacque un istante, assaporando quel titolo così inaspettato e tuttavia così significativo, poi un sorriso di pura soddisfazione andò a curvare le sue labbra, non prima di aver lanciato una rapida occhiata a Cristal.
- Preparate ogni nave alla fonda. All’alba saremo in guerra. -
E incredibilmente, come se la nuova carica fosse diventata improvvisamente sacra e insindacabile, tutti i presenti si unirono in un solo grido, pronti a combattere sotto la stessa bandiera.
Era fatta.
Ancora poche ore e le sorti del Mare sarebbero state decise.
Cristal approfittò del marasma per sgusciare via, ma il fodero di una spada la colpì lievemente all’altezza dello stomaco, impedendole la fuga.
- Ho delle domande da porti, Cristal Cooper. - la Vedova Ching se ne stava in piedi accanto a lei, gli occhi velati ma i sensi in allerta.
Le fece cenno di seguirla e si mosse con una sicurezza invidiabile attraverso le sedie e il ciarpame, puntando verso un vecchio scranno come se fosse riuscita a vederlo.
Quando si fu seduta, posò in grembo la sua spada e rivolse a Cristal un sorriso che quasi avrebbe potuto apparire gentile.
- La tua voce ha un suono familiare. Canta per me. - ordinò.
Cristal si sentì arrossire e cercò di indietreggiare, ma la donna la afferrò per le mani e la fece inginocchiare al suo cospetto.
- Signora, non so se è il caso, la mia voce non è… - balbettò, imbarazzata.
Perché anche quel teatrino? Perché non potevano semplicemente lasciarla andare e permettere a quella giornata infernale di giungere a un termine?
Ma comprese che finché non avesse soddisfatto le richieste del pirata non avrebbe avuto scampo, perciò intonò una vecchia canzone, cercando di non pensare che era stata proprio sua madre ad insegnargliela.
- Intonata, sì. Ma Marion aveva una voce più morbida. - fu il decreto che seguì.
Cristal abbassò lo sguardo, pur consapevole di non poter essere vista.
- La conoscevate bene? - domandò, un tremolio nella voce che sperò passasse inosservato.
La donna sorrise e questa volta fu sicura di scorgere affetto nella sua espressione.
- Non navigammo assieme troppo a lungo, ma era una ragazza che sapeva lasciare il segno. - spiegò, criptica.
- Quella di noi donne è una vita difficile, fatta di sacrifici e di rinunce. Dobbiamo aiutarci fra di noi, non farci la guerra. - aggiunse, forse aspettandosi che Cristal comprendesse il perché di quella riflessione.
- Vi chiedo scusa, Madama, ma non vi seguo. - ammise infatti.
La vecchia portò le mani ad accarezzarle il viso, soffermandosi sull’arco delle sopracciglia, sul naso appena all’insù, sulle labbra sottili.
- Io ero una prostituta, Cristal Cooper. Merce da baratto e nulla di più. Ma ho saputo riscattarmi e trovare una nuova libertà. C’è chi dice che la mia sia stata scaltrezza, ma la ritengo solo una grande fortuna. Senza la giusta occasione a quest’ora sarei morta di sifilide in un bordello. - spiegò.
- Ognuna di noi vive la sua vita all’ombra degli uomini, ognuna di noi sfida la sorte costantemente, accontentandosi del male minore o dovendo chinare il capo senza speranza di libertà. Nella mia flotta le donne hanno gli stessi diritti degli uomini e vigono regole ferree. Marion aveva le sue perplessità, ma alla fine sono certa che avesse compreso le mie posizioni. E io le sue. - aggiunse, lasciando intendere una collaborazione più profonda di quanto non fosse apparso in precedenza.
- Mi ero abituata alla sua presenza, mi è dispiaciuto quando è dovuta ripartire. Ma i patti erano patti, e mi sembra di intendere che il suo lascito non sia andato perduto. Mi addolora sapere che tua madre è morta, se non ricordo male doveva essere ancora giovane. - sospirò.
Cristal incassò quella strana conversazione e si fece punto di chiedere di più non appena avesse avuto la mente più lucida, dal momento in cui la Vedova Ching sembrava conoscere sua madre molto meglio di lei, ma alla luce di quell’incomprensione si affrettò a chiarire.
- Oh, no! Mia madre non è morta! Almeno, non credo… - si affrettò a spiegare, sporgendosi appena in avanti.
- Non la vedo da anni, ma quando l’ho lasciata era viva e in salute. E’ stata lei a cedermi la collana, non… non l’ho ereditata. - ammise.
Il volto truccato della donna si contrasse in una smorfia indecifrabile.
- Una mossa curiosa, dopo la fatica che ha fatto per ottenere il suo titolo… - commentò a mezza voce.
Cristal sbuffò e roteò gli occhi, consapevole che quel gesto di stizza non sarebbe stato percepito.
- Sono molte le cose curiose di quella donna. - sibilò.
- Chi era il Pirata Nobile del Mare del Nord prima di lei? Come ha ereditato la posizione? - domandò poi, troppo curiosa per tacere.
Solo allora la Vedova Ching parve comprendere, gli occhi spalancati nonostante non vedessero nulla.
- Oh, mia cara ragazza, non esisteva un Pirata Nobile del Mare del Nord, prima di tua madre. -
- Volete dire che si è… inventata il titolo?! -
- Voglio dire che se lo è guadagnata. Con il sudore della fronte e la forza della sua schiena. - replicò, appropriandosi delle parole usate poco prima da Barbossa.
Cristal avrebbe dovuto sentirsi orgogliosa, eppure era solo nausea a montarle in corpo, era solo rabbia e vergogna.
Menzogne, solo menzogne, su quello e null’altro era basata la sua vita. Sua madre le aveva mentito ogni singolo istante della sua esistenza, le aveva messo al collo la collana come un cappio e l’aveva spedita al macello senza curarsi del suo destino, con l’unico scopo di liberarsi di un fardello ormai indesiderato.
- Percepisco in te il suo stesso talento, il suo stesso coraggio. Siete fatte della stessa pasta, tu e lei. - fece ancora la vecchia, forse con la speranza di esserle di incoraggiamento.
- Vi ringrazio. - mentì Cristal, sciogliendo la stretta delle mani della donna e rialzandosi in piedi.
- Spero che la vostra fiducia in me possa dimostrarsi ben riposta. Adesso, se non vi dispiace, credo sia saggio riposare in vista della battaglia. - suggerì poi.
La donna riprese la sua spada e si puntellò su di essa come fosse un bastone da passeggio, poi si alzò in piedi.
- Che la notte vegli su di te, Cristal Cooper. Domani sarà un onore poter combattere assieme. - decretò con un piccolo inchino, prima di accogliere il suo suggerimento e ritirarsi in cerca del suo equipaggio.
Per la prima volta dopo ore che le erano sembrate millenni, Cristal rimase di nuovo da sola.
Trasse un profondo respiro e si passò una mano sul volto, distrutta, poi approfittò del trambusto generale per defilarsi, scivolando non vista accanto a un Jack che sentì, senza nemmeno troppa sorpresa, appellare il Capitano Teague come padre.
Sbuffò ancora, e a passi pesanti abbandonò la Sala del Consiglio imboccando un corridoio a caso che la portò abbastanza lontano da non sentire più gli schiamazzi dei Pirati Nobili.
Si fermò solamente quando si rese conto che il corridoio l’aveva condotta ad un vicolo cieco, un vecchio terrazzo di poppa incastrato in una chiglia squarciata di modo da tramutarlo in uno scadente belvedere. Ai lati dell’ingresso vi erano persino due panche per chi volesse godere della vista in tranquillità, ma Cristal non era certo dell’umore per ammirare il panorama con calma.
Ancora più stizzita dall’essersi trovata la via sbarrata dalla balaustra, decise che ignorare ogni buon senso e sedervisi a cavalcioni avrebbe potuto essere una valida azione di protesta.
Con una gamba a penzoloni nel vuoto e l’altra a un palmo dal pavimento, poggiò la schiena contro una delle colonne di legno che supportavano il soffitto della balconata e reclinò appena la testa, voltandola pigramente verso la baia.
Al di là della corona di roccia che la circondava, la luna brillava quieta, ignara di essere spettatrice delle ultime ore di calma prima della battaglia.
Cristal chiuse gli occhi e cercò di liberarsi dell’ira che ancora le scuoteva le mani. Inspirò a fondo, fece uscire l’aria dalle narici e si concentrò sui suoni attorno a lei: il crepitio delle fiaccole alle sue spalle, il chiacchiericcio sommesso che saliva dalle vie della città, i cocci rotti di qualche bottiglia in una taverna chissà dove in quel dedalo sconosciuto e laggiù, in fondo alla collina, il cauto sciabordio delle onde contro le palafitte del molo.
Niente, era inutile, tutto inutile! Più cercava di concentrarsi su altro, più il cuore le si stringeva fino a farle mancare il respiro, riproponendole come in una giostra nauseante il tanfo dell’Olandese, Sao Feng, sua madre, James, e il sangue, ancora sangue, sempre sangue di cui mai avrebbe voluto macchiarsi e che invece era diventato il suo unico colore per una scelta che era stata convinta aver preso da sola e che invece era già stata tracciata per lei ancor prima che nascesse.
- Cristal, sei qui! Ti ho cercata ovunque! -
La ragazza aprì gli occhi di scatto, ma non si voltò, nemmeno rispose.
Rimase immobile, sperando che fosse stata solo un’impressione, un’allucinazione data dalla stanchezza.
Ma Barbossa parlò di nuovo e la giovane capì che era tutto reale.
- Cristal? - la chiamò.
- Allora, dimmi, che cosa sei venuto a omettere? - disse freddamente, ancora senza voltarsi.
Non poteva vederlo in volto, ma fu certa che si fosse irrigidito.
- Cristal, io non… - balbettò infatti, colto alla sprovvista.
- Che cosa, non credevi che l’avrei mai scoperto? - lo accusò, finalmente distogliendo lo sguardo dalla luna e puntandolo feroce su di lui.
- Già, un vero peccato che alla fine io sia riuscita ad arrivare a Shipwreck Cove! - aggiunse con astio.
Barbossa aggrottò le sopracciglia e fece un passo avanti.
- Cristal, non è per questo. Non… - ma di nuovo le parole lo tradirono.
- Tu conoscevi mia madre. - sibilò la ragazza.
- Tu la conoscevi e sapevi chi era. Sapevi chi era e non mi hai detto niente! - esclamò scendendo dalla balaustra con un gesto meccanico, i tacchi a schioccare contro il legno quando raggiunsero il pavimento.
- Non era compito mio! Ho pensato che se non te l’aveva mai detto doveva avere i suoi motivi! - replicò l’uomo, alzando impercettibilmente la voce.
Capitan Tempesta rise di una risata finta, una risata che trasudava disprezzo e rancore.
- Certo che li aveva! E’ tutto così dannatamente chiaro, ora! - sbottò.
- Il Faucon du Nord, terrore dei sette mari, si è trovata fra i piedi una bambina che le ha stroncato la carriera e se l’è levata di torno alla prima occasione approfittandone per sbolognarle la causa di tutti i suoi problemi! - aggiunse.
Barbossa serrò i pugni lungo i fianchi e fece un altro passo avanti, in un vago tentativo di intercettare il continuo andare avanti e indietro della giovane, che imprecando aveva incominciato ad agitare le braccia gesticolando per dare enfasi alla furia delle sue parole.
- Cristal, sai che non è vero. Tua madre non avrebbe abbandonato il mare per qualcosa di meno importante, per qualcosa che non fossi tu! Non per costrizione, ma per amore, puoi starne certa! - cercò di farla ragionare.
Ma quelle parole ebbero l’effetto di un fulmine sulle sterpaglie.
- Certa?! Non sono più certa di nulla! Ogni istante della mia vita l’ho trascorso nella menzogna! Tutti gli insegnamenti che ho ricevuto, tutte le storie che mi ha raccontato… Mia madre era il Faucon du Nord! Ti rendi conto?! Non è mai stata a Rouen, non aveva nessuna famiglia in Francia! Questa stramaledetta collana non gliel’ha data nessun Ancien Marin, non esiste nessuno, era tutta una bugia! - urlò con le lacrime agli occhi, sempre più consapevole di quanto la donna l’avesse usata come una pedina nei suoi giochi, l’avesse mantenuta accanto finché le serviva e poi, con una scusa, si fosse disfatta di lei e dei suoi problemi in un colpo solo.
- “Porta alta la bandiera” un corno! Al diavolo! Mi ha spedita a morire al posto suo con questa collana senza nemmeno spiegarmi, mi ha… mi ha mentito! - continuò, fuori di sé.
- Se ha deciso di agire in questo modo è stato per proteggerti! Non eri pronta per affrontare la verità! - ribatté Barbossa, il tono fermo ma un’agitazione fremente a serpeggiare lungo le sue membra.
- Ma ero pronta per morire al suo posto! Ero pronta per affrontare tutto questo nell’ignoranza più totale, come una sprovveduta! E tu! Tu lo hai saputo subito, tu me lo hai tenuto nascosto e mi hai lasciata andare e non me lo hai detto! Non mi hai detto niente! Mi hai dato una verità che non significava nulla! E io imbecille che avevo creduto che il Faucon du Nord fossi tu, che la collana mia madre l’avesse avuta da te! - sbraitò, perché secondo al dolore di sapere sua madre una bugiarda vi era solo quello di scoprire che persino Hector le aveva mentito, persino lui si era preso gioco di lei senza curarsi dei suoi sentimenti.
Barbossa non rispose, un lampo negli occhi che riempì il silenzio più delle parole, una consapevolezza che non osò pronunciare ad alta voce.
A quel punto Cristal si interruppe, folgorata da un’idea inconcepibile che le fece sgranare gli occhi con orrore.
- Se ogni parola era una menzogna… come posso sapere che cosa è vero? Come posso sapere chi sono, come posso sapere se… Dio, lo sono davvero una Cooper o è l’ennesima bugia?! - finì per urlare, l’indignazione a bruciarle la gola e a farle tremare la voce.
Quando alzò gli occhi su Barbossa, lo sguardo dell’uomo era furente di rabbia, di rimprovero e di qualcos’altro che non sapeva riconoscere.
- Cristal Cooper, non osare! Marion Hawke era una donna rispettabile, e se Cooper è il nome che porti, allora dei Cooper è il sangue che scorre nelle tue vene! - sbraitò senza trattenersi, la voce alta e le pupille ridotte a due spilli che sembravano volerle trafiggere l’anima.
La ragazza tacque, spaventata: quella era la prima volta che si rivolgeva a lei urlandole contro in quel modo.
Poi i suoi muscoli si rilassarono appena, il blu del cielo di Giugno si tinse di un sentimento agrodolce, il sorriso sbiadito e lacerato come la sottile cicatrice sulla sua guancia.
Parlò ancora e nonostante l’ira si fosse mitigata le sue parole si susseguivano veloci e ansiose, prede di un trasporto completamente dimentico di ogni stoicismo o impostato distacco.
- Sì, ho amato tua madre davvero, profondamente, come sangue del mio sangue, ma non avrei mai osato sfiorarla nemmeno con un dito, e per quanto ormai io ti consideri mia figlia non potrò mai avere il privilegio di potermi dire tuo padre! -
Le parole lasciarono la coscienza di Hector Barbossa come il faticoso rombo di un tuono, e il silenzio si impadronì del loro significato.
Le spalle dell’uomo si alzavano e si abbassavano, la respirazione alterata dal litigio, i pugni stretti lungo i fianchi; i suoi occhi erano ancora sgranati, proprio come quelli della giovane in piedi di fronte a lui, ora pallida e incredula.
Cristal Cooper aveva la bocca spalancata e la gola serrata dal più stretto dei nodi; le mani tremavano nella sospensione di quell’istante senza senso, senza scopo…
Hector aprì la bocca e le sue labbra si mossero, ma non riuscì a dire nulla, le guance solcate dagli anni e dal mare a tradire l’imbarazzo di essersi mostrato debole, di essersi mostrato umano.
- Che cosa… hai detto? - sussurrò la ragazza, incapace di sciogliere i loro sguardi, aggrappata a quel viso con ogni fibra dell’anima.
- Io… - balbettò Barbossa, senza riuscire a trovare parole migliori.
Ma accadde qualcosa che non avrebbe mai potuto immaginare come seguito a quella conversazione che lo aveva esposto alle intemperie della sincerità, nudo scheletro sotto i raggi della luna.
Cristal tirò su col naso una volta, due, tre, le labbra increspate dal pianto e i singhiozzi che le scuotevano le spalle senza ritegno.
Piangeva, e il suo volto prima così pallido era adesso paonazzo, le lacrime a gocciolare lungo le guance fino alle assi sudicie del pavimento.
Piangeva, e quel pianto le scuoteva il cuore e le puliva l’anima.
- Questa… creatura delle tenebre… - mormorò, la voce spezzata e flebile.
Barbossa, ancora rigido e disarmato da quella reazione, proruppe in un sorriso morbido come la seta, caldo come la sabbia, dolce come le stelle.
- La riconosco mia… - completò.
Non ebbe il tempo di fare nulla, la ragazza gli si gettò al collo e lo strinse in un abbraccio a lungo agognato.
Il Pirata Nobile del Mare del Nord si mostrava ora per quello che era: fragile e delicata, da proteggere e cullare e calmare come una bambina, la sua bambina.
Hector Barbossa portò le braccia a circondare il corpo esile della fanciulla e la strinse a sé, una mano sul capo ad accarezzarle i capelli e il cuore finalmente in pace.
Dopo ventisette lunghi anni, adesso, non sentiva più freddo.
Cristal rimase immobile fra le braccia dell’uomo, le lacrime a inzuppare la sua giacca e a scivolarle sotto il colletto della camicia.
Era stanca, stanca morta. Era confusa, arrabbiata, disperata. Non capiva più nulla, se non che aveva udito parole che mai avrebbe nemmeno sperato di poter udire e lo aveva fatto nel frangente più assurdo del mondo.
- Vieni, sediamoci un attimo. - sussurrò Hector dopo qualche minuto, sciogliendo l’abbraccio e conducendola su una delle due panche.
La ragazza, gli occhi rossi e gonfi, si lasciò guidare, stravolta, e cercò di darsi un contegno, passandosi la manica della camicia sul volto nel tentativo di asciugare lacrime che stavano continuando a scendere senza tregua.
- Non posso perdonarla per questo… - confessò, la voce flebile ma decisa.
Barbossa le scostò una ciocca di capelli dalla fronte in un movimento goffo e poco fluido.
- Non posso costringerti a farlo. - replicò, più calmo di prima, l’amarezza e il rimprovero nella voce sostituiti da una compassione che non gli si addiceva.
- Perché non me l’ha mai detto? Perché ha taciuto una cosa simile? - domandò, quasi una supplica per la verità.
Il pirata trasse un profondo sospiro e non la guardò in viso nel risponderle.
- Conobbi tua madre quando era poco più che una bambina. Rimase solo tre anni con noi, dovetti lasciarla andare. Non potevo più tenerla al sicuro. - spiegò, e in quelle parole Cristal percepì con un brivido una storia a lei familiare, una storia che aveva vissuto in prima persona lei stessa, non molti anni prima, lasciando la Perla durante un arrembaggio.
- Prima che se ne andasse le donai questa, come porta fortuna. Ovunque tu vada… - citò, sfiorando la piccola conchiglia che Cristal portava al collo.
- Ricordati di me… - completò lei con un sussurro.
- Allora la collana era davvero un regalo. L’Ancien Marin… eri tu? Eri davvero tu? - domandò, incredula.
Barbossa esibì un sorriso malinconico e tornò a guardare la luna davanti a loro.
- Come vedi quelle di tua madre non erano tutte bugie. Il Codice è più che altro una traccia, che un vero regolamento. - spiegò a voce bassa.
- Da quando la lasciai andare non è passato giorno in cui non mi sia pentito di non essere andato con lei. Non l’ho mai più rivista. Ma non tutti i mali vengono per nuocere. - aggiunse sotto lo sguardo curioso e confuso della bionda.
- Capii subito che il misterioso Faucon du Nord di cui tanto si parlava era Marion. Non ci incontrammo mai più, ma riuscivo ad avere informazioni su di lei tramite le voci alle locande o nei porti. Seppi che era andata a Shipwreck Cove, che aveva ottenuto un Mare e che aveva scelto come suo Pezzo da Otto la conchiglia. Poi, un giorno, il Faucon du Nord sparì nel nulla. Si disse che era morto in mare. E come tutti gli altri finii per credervi anche io. -
- Ma mia madre è… - intervenne Cristal, ma Hector la zittì immediatamente.
- Non ebbi il coraggio di indagare per tre lunghi anni. Evitai le rotte per la Francia, rimasi lontano dal Mare del Nord e mi spostai nei Caraibi. Poi un giorno finii da Bleizenn e fu lei a darmi la notizia più bella che abbia mai ricevuto. Marion era viva, stava bene e aveva lasciato il mare per qualcosa di molto più grande: una bambina. -
Cristal non lo interruppe. Aveva smesso di piangere, troppo rapita dal racconto per dedicarsi ad altro, e i suoi occhi erano fissi nel volto del pirata, sul quale espressioni nuove e mai immaginate portavano una morbidezza inedita, una dolcezza che altrimenti non avrebbe saputo comprendere.
- Marion non era... Lei e il mare erano un tutt’uno, era come se ce l’avesse nel sangue. Non aveva scelto la pirateria per volontà, era stata costretta a intraprendere questa via, eppure fu chiaro a tutti, immediatamente, che lei apparteneva alle onde. Aveva la stoffa del capitano, dell’ammiraglio persino. Eppure lasciò tutto per te. Per darti una vita serena, sicura, felice. - tacque un istante, si inumidì le labbra e chinò il capo, perso in chissà quale ricordo, poi proseguì.
- Quando ti vidi per la prima volta, in mezzo ai lampi dei moschetti a bordo della Perla, ti riconobbi immediatamente. Avevi il suo stesso sguardo, la sua stessa fierezza. -
- E la collana. - aggiunse Cristal.
Hector sorrise e annuì.
- E la collana. - le diede ragione.
- Capisco il tuo turbamento, Cristal, ma non odiarla. A volte si è costretti a compiere scelte difficili per proteggere coloro che amiamo. E non sempre sono scelte sagge o efficaci. - spiegò, portando una mano a sfiorare la cicatrice lungo la sua guancia.
Cristal sospirò e chiuse gli occhi. Sapeva che Hector aveva ragione, lo aveva provato lei stessa sulla sua pelle un anno prima, cercando disperatamente di salvarlo da se stesso. Forse, si ritrovò a pensare, se gli avesse parlato immediatamente con franchezza, Hector avrebbe capito, forse addirittura per lei avrebbe prestato ascolto alle sue richieste. Sarebbe stato più semplice, più giusto. Ma allora il suo unico obbiettivo era salvare tutti quanti il più in fretta possibile, e per quanto le sue azioni si fossero provate inutili e quasi deleterie, le aveva compiute tutte in buona fede.
- E’ tanto da accettare. - disse solamente, la fatica a filtrare dalle sue labbra.
- Fino a due ore fa credevo che mia madre fosse una qualunque donna rispettabile e adesso… -
- Adesso è un Pirata Nobile. E tu, guadagnandoti la sua eredità, hai potuto sedere alla tavola del Consiglio della Fratellanza come una pari, hai votato con diritto e i Nove ti chiamano Capitano. Persino Shakespeare si toglierebbe il cappello al cospetto della tua storia. - commentò, ironico e incoraggiante.
La giovane sorrise, forse il primo vero sorriso della giornata.
- Se non altro in tutto questo ho potuto incontrare te. - ammise, di nuovo sorprendentemente sincera, poggiando il capo sulla sua spalla.
Barbossa arrossì, ma nessuno poteva vederli su quel lurido belvedere improvvisato.
- Ho una reputazione da mantenere, ragazzina. - borbottò, ma non si scostò. Non se n’era mai accorto davvero, o forse non aveva mai voluto ammetterlo, ma comprendeva ora che quel contatto gentile, quel tipo di quiete, il calore di una persona che gli volesse bene davvero gli erano mancati in tutti quegli anni più di ogni altra cosa.
La maledizione di Cortez lo aveva tenuto in scacco per una vita intera, ma era un altro tipo di catena che doveva spezzare, e quell’assurda ragazzina apparsa dal nulla in una notte come tante, unita a lui da un destino che non conosceva, era stata capace di liberarlo, di salvarlo in modi che nemmeno immaginava.
- E quindi domani intendi liberare Calypso. - osservò Capitan Tempesta dopo qualche minuto di silenzio.
Lo sguardo di Barbossa si fece cupo.
- E’ il prezzo da pagare. E’ il tuo sangue che mi ha permesso di tornare in vita. Ahès ascolta sempre una preghiera sincera. -
Cristal levò la testa di scatto, aveva già sentito quelle parole.
- Ahès e Tia Dalma… - sussurrò.
- La mia vita era reclamata da Ahès, ma il mio corpo era sotto la giurisdizione di Calypso. E’ stato necessario uno scambio. La mia anima per la sua libertà. - spiegò.
- Nove pezzi da otto la confinarono e nove pezzi da otto sono necessari per spezzare la maledizione. Gli stessi nove. Aveva bisogno di te. -  sentenziò, tutti i tasselli che finalmente si confermavano al posto giusto.
- Non ci accorderà mai i suoi favori, lo sai. - aggiunse, la preoccupazione a vibrare nella sua voce.
- Tentar non nuoce. Dopotutto le offriremo la libertà, non è cosa da poco. - cercò di convincerla Hector senza grande enfasi e per la prima volta fu chiaro che nemmeno lui nutriva troppe speranze in quel piano.
Cristal gli rivolse un’occhiata obliqua e impensierita.
- Il Mare non ha condizioni. - disse solamente prima di alzarsi nuovamente in piedi, forse con l’intenzione di tornare finalmente sulla Perla.
Ma se credeva che la loro conversazione fosse terminata, non aveva tenuto in considerazione un altro aspetto di quella giornata sfiancante, una preoccupazione che aveva tenuto Hector con i muscoli in tensione finché non l’aveva vista piantare la sua spada nel cuore del Mare del Nord e unirsi al Consiglio.
- A proposito di Calypso… Che cosa è successo con Sao Feng? Come siete riuscite a sfuggire all’Olandese? - domandò, giustamente curioso e desideroso di porre fine una volta per tutte alle sue angosce.
Cristal si bloccò, il passo a metà con il tacco a terra e la punta dello stivale ancora per aria.
- Noi… - sussurrò, improvvisamente di nuovo pallida come un cencio.
- Noi non siamo sfuggite all’Olandese. Siamo state aiutate a scappare. - rettificò senza osare guardarlo negli occhi.
Barbossa comprese che qualcosa non andava e fu il suo turno di alzarsi in piedi e raggiungerla con un’ampia falcata.
- Come? - incalzò, perché conosceva Sao Feng e temeva che le avesse aiutate a caro prezzo, ad un prezzo per cui lui stesso lo avrebbe resuscitato dai morti per poterlo uccidere con le sue mani.
Ma Cristal sorrise, e in quel sorriso Hector lesse tutto un altro tipo di dolore, un dolore crudele e beffardo che lui stesso aveva conosciuto.
- Ti ricordi di James Norrington? - chiese la giovane, le labbra a tremare appena.
Hector annuì, serio come nessuno l’aveva mai visto.
Per quella serata i racconti non erano ancora conclusi.





Il mattino dopo li aveva svegliati una spessa coltre di nebbia che come una pesante coperta si era sollevata lentamente, a mano a mano che il sole si arrampicava lungo la tela imbrattata del cielo.
Nessuno parlava, a Shipwreck Cove, se non per dare e ricevere ordini.
C’era tensione, c’era paura. L’ignoto li aspettava al largo dell’Isola e nessuno sapeva per certo che cosa sarebbe accaduto, o quando.
I Pirati Nobili avevano preparato le navi e, uno ad uno, erano usciti dalla Baia, seguiti da imbarcazioni più piccole in qualche modo fedeli alla causa.
Cristal aveva dormito poco e male, rigirandosi continuamente nella sua branda, e quando alle prime luci dell’alba Elizabeth era andata a svegliarla le sembrava di aver appena preso sonno.
- Come stai? - le aveva chiesto, sinceramente preoccupata.
- Ieri sera ho pensato preferissi startene un po’ da sola. Insomma, quello che è successo… - aveva poi commentato, titubante e incerta se proseguire.
Cristal si era sfregata gli occhi e si era alzata in piedi, indossando la cintura pigramente e sbadigliando senza decenza.
- Ho parlato con Hector. - aveva detto.
- Va tutto bene. Per lo meno, nei limiti del possibile. - era stata la sua scarna spiegazione, e Liz se l’era fatta bastare.
- Dov’è Will? - si era poi informata, capendo già tutto dallo sguardo dell’amica.
- Fidati, preferisci non saperlo. - era stata la sua replica, e anche Cristal se l’era fatta bastare.
Anche Jack le si era avvicinato, ma non le aveva detto niente, forse nel timore di ricevere lo stesso trattamento che era spettato a Hector, ma la ragazza lo aveva stupito.
- Guai a lasciare un Pirata Nobile con il seggio vacante, dico bene? - gli aveva detto, provocatoria.
Jack aveva compreso immediatamente a cosa si riferisse e aveva ghignato.
- Devi ammettere che il nome di tua madre cambiava tutte le carte in tavola. - aveva replicato con una lieve alzata di spalle.
Erano passati sette anni da quando Jack l’aveva presa con sé ed erano salpati alla ricerca di Marion, ma a volte le sembrava che fosse ancora il primo giorno, sotto il sole battente di Port Royal, quando aveva dovuto convincerlo a unirsi alla sua ricerca.
Cristal gli aveva rivolto un’occhiata fintamente seccata perché sì, avrebbe voluto insultare anche lui, ma a questo punto capiva che forse era andata meglio così, che forse, se all’epoca avesse saputo, davvero non sarebbe stata pronta ad affrontare tutto quello.
Con un’occhiata complice, Jack aveva preso congedo ed era salito fino al timone, dove se ne stava Hector, e i due avevano preso a confabulare.
Forse, aveva pensato l’erede del Faucon du Nord, parlavano di lei.
Schierate come pedine su una scacchiera, le navi avevano atteso fianco a fianco che il nemico facesse la sua comparsa, ma ci era voluta almeno un’ora di agonia prima che qualcosa si mostrasse fra la nebbia.
Cristal Cooper scrutava l’orizzonte ad occhi stretti, alla ricerca della minima variazione nei colori dell’oceano, e fu quando una piccola macchia scura prese pian piano consistenza che si ritrovò a sussultare e stringere appena la manica di Elizabeth, per richiamare la sua attenzione.
- Arrivano! - esclamò.
Dall’alto del sartiame Marty diede l’annuncio a gran voce e tutta la flotta esplose in un urlo tonante, ma qualcosa non andava.
- Non penseranno certo si tratti di una sola nave… - sussurrò Cristal, l’occhio vigile di Barbossa a posarsi su di lei nel sentire quella considerazione.
Fu sufficiente un minuto, e dietro all’ammiraglia fecero capolino cinque, dieci, trenta navi, sempre di più, una flotta intera contro la quale era chiaro a tutti non avrebbero avuto la minima speranza.
Il grido di giubilo si spense in fretta, congelato da quella vista, e Cristal e Liz si scambiarono uno sguardo atterrito.
- Questo è un problema. - sentenziò la figlia del fabbro, mentre l’amica, esterrefatta, annuiva piano.
Tutta la ciurma della Perla si voltò simultaneamente verso Jack, il volto pallido come la morte e un sacro terrore negli occhi.
- Parlay? - azzardò.
Poco dopo, lui, Elizabeth e Hector erano scesi su una sottile lingua di terra, agguerriti e ben decisi a parlamentare la resa incondizionata della flotta di Beckett.
Cristal era rimasta a bordo, incaricata di prendere il comando della Perla se qualcosa fosse andato storto, e proprio come a Isla Cruces il tempo sembrava non passare mai.
Preoccupata, continuava ad andare avanti e indietro per il ponte, incapace di rimanere ferma per più di dieci secondi consecutivi.
- Ho bisogno di rum. - disse a un certo punto ottenendo un’occhiata sconvolta da Gibbs, in ansia tanto quanto lei.
Senza attendere oltre scese sottocoperta, fin nella stiva dove stipavano gli alcolici, ma quando si ritrovò davanti all’ingresso delle sentine fermò i suoi passi.
Una musica lieve, il suono di un carillon, l’aveva distratta.
- Cristal Cooper, Figlia della Tempesta. La notte è stata buia per te. -
La voce di Tia Dalma la raggiunse come il canto di una sirena a cui non riuscì a sottrarsi.
Dimentica del suo iniziale obbiettivo, imboccò il corridoio delle sentine e si fermò di fronte alle sbarre al di là delle quali Tia Dalma rimaneva seduta composta, colma di dignità.
- Devo ringraziarti. Me lo hai restituito, Calypso. - le disse atona, come se fosse stata una parte da imparare a memoria e recitare per un pubblico disattento.
La donna fremette nel sentire il suo nome.
- Quindi tu sai. Sei una ragazza perspicace, Cristal Cooper. - si complimentò con un ghigno, avvicinandosi alle sbarre.
C’era un non so che di intimidatorio nel suo incedere, un qualcosa di strisciante nella sua voce.
Come un incantesimo, un sortilegio.
Ma Cristal, fedele al mare più che all’ambizione, era immune alle sue melodie.
- Il Consiglio è stato crudele con te, ma chi semina vento raccoglie tempesta. - le disse con fermezza, lo sguardo risoluto e convinto di quelle parole.
Tia Dalma, Calypso, inclinò appena la testa di lato, sinceramente confusa.
- Parla, ragazza. Ti ascolto. -
Fu Cristal ad avvicinarsi alle sbarre della cella, ma non vi era alcuna minaccia nel suo incedere, solo stanchezza, solo amarezza.
- Dieci anni in mare e tu non c’eri. Una promessa è una promessa, Calypso. Anche per una dea. Anche se si tratta dell’oceano. - la rimproverò freddamente.
La donna rise, i denti in bella mostra nel suo gesto sprezzante.
- Mi conosci, Cristal, meglio dell’intero Consiglio della Fratellanza. Io non posso essere legata a nessuno. - spiegò, un paternalismo nella voce che fece stringere i pugni al giovane capitano.
- E allora non legarti a nessuno! Hai ingannato Jones, ti sei presa gioco di lui, lo hai usato come avrebbe fatto il più meschino degli uomini e adesso assisti alle conseguenze delle tue azioni! L’ambizione e la vendetta corrodono gli uomini, ti do ragione, ma dea o no non ti puoi sottrarre alla tua responsabilità! Non riesco a provare pietà per nessuno di voi due. - ammise, infischiandosene delle ripercussioni che quelle parole avrebbero potuto avere sul suo destino.
Ma Calypso non si indignò, non mostrò alcun cedimento.
La guardò dall’alto in basso scandagliando ogni centimetro di lei, osservando la sua anima e imprimendosela a fuoco in quelle cornee mortali che presto avrebbe abbandonato.
- Tu ci somigli, Figlia della Tempesta. Parli la nostra lingua. Ho testato lo spessore del tuo sangue. - disse solamente, criptica come sempre.
Cristal fece per ribattere, ma un rumore alla sua destra la fece voltare di scatto: Hector era sulla soglia, lo sguardo torvo posato su di loro.
Erano tornati.
Era il momento.












 
Note:

Buonsalve a tutti!

Eccoci qui, dopo tanta fatica, finalmente sbarcati a Shipwreck Cove.
Se dal punto di vista dei fatti non siamo andati troppo avanti, emotivamente in questo capitolo c'è tantissima carne al fuoco: la morte di James è talmente recente da non aver nemmeno trovato il tempo di essere metabolizzata, ma ho pensato che una piccola riflessione sul legame che lo univa a Cris fosse d'obbligo: mi sono resa conto che, se l'innamoramento di James era stato ampiamente trattato nei capitoli ambientati a Port Royal, lo stesso non si poteva dire di Cristal. Certamente la nostra ragazza ha una visione particolare dell'amore, ma non crediate che abbia imparato tutto ciò che c'è da imparare: il destino ha in serbo per lei ancora qualche sorpresa. Che sia gradita o meno lo scopriremo insieme. ;)
Decisamente più gradita è l'ammissione di Hector nel bel mezzo del loro litigio. Questa sorta di mezza confessione è un peso che Hector si portava sul cuore dal lontano Capitolo 15, quando lasciando andare Cristal si era reso conto di quanto il loro legame fosse diventato per lui importante più di ogni altra cosa.
Confesso che ho sempre avuto un po' di apprensione per questo aspetto della storia (il dialogo al belvedere è stato scritto moltissimo tempo fa, molto prima che uscisse il quinto film e che quindi venisse affrontato il tema "paternità" per quanto riguarda Hector), perché Barbossa non è mai stato un personaggio tenero e in Thunderbolt il suo rapporto con Cristal è di certo una sua enorme debolezza che ho sempre cercato di equilibrare il più possibile.
Iniziano a spiegarsi molte cose e le lacune che costellavano la vita di Capitan Tempesta si stanno colmando una ad una, pur a caro prezzo. Quello che nessuno può immaginare, né Cristal né tantomeno Hector, è che la Battaglia del Maelstrom sarà solo l'inizio della vera avventura.

Ps: voglio così bene a quella pazza sanguinaria della Vedova Ching... presto ne sentiremo parlare di nuovo, non vedo l'ora!

Come sempre, un grazie di cuore a chi legge/segue/recensisce ecc...



Vi rubo ancora due righe per avvisarvi che ho pubblicato una nuova storia in questa sezione, un racconto che si può un po' considerare un prequel, le origini di Thunderbolt.
Perciò, se volete scoprire i segreti del Faucon du Nord, ritrovare vecchi personaggi e incontrarne di nuovi o semplicemente imbarcarvi per una nuova avventura vi aspetto una trentina d'anni fa, proprio qui -->
Mémoires d'Ophélia - Come il Mare del Nord.



Alla prossima!
Kisses,
Koori-chan
  
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