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Autore: ToscaSam    22/01/2020    2 recensioni
Ispirato da "I Fisici" di Dürrenmatt.
Ambientato in piena Guerra Fredda: in una clinica psichiatrica sono ricoverati tre strani pazienti. Tutti e tre erano grandi fisici, un tempo. Fra di loro ce n'è uno, Johan Möbius, che ha lavorato tutta la vita per trovare la "formula universale", quella che risolverà ogni domanda sull'universo e sulla fisica. Tutte sciocchezze deliranti di un malato di nervi.
O forse no.
Nel prestigioso sanatorio cominciano ad accadere fatti disturbanti: due infermiere trovate morte sono solo l'inizio della vicenda.
Una storia grottesca, farcita di dark humor e temi filosofici.
Cosa è giusto/sbagliato? Cosa è il bene/il male? Chi sono i buoni/i cattivi?
Genere: Dark, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Sir Isaac Newton
 
Voss affondò nella stoffa morbida del divano.
Era una roba da matti.
Si passò una mano sulla fronte sudata e controllò con un dito le pulsazioni del cuore sulla giugulare.
Attorno a lui tutto taceva, se non per quella snervante eppure bellissima musica lontana.
Il salotto era come un sogno, pieno di tante bellissime cianfrusaglie. Un mondo onirico che al primo tocco si sarebbe spezzato. Lì erano stati compiuti due efferati omicidi. Due giovani donne avevano esalato il loro ultimo respiro in quella stanza dallo splendore spettrale.
 
« Permette? »
Soffiò forte una voce a un centimetro dal suo orecchio.
Voss schizzò in piedi, sudato mezzo.
Davanti a lui stava un ometto smilzo, dinoccolato e piuttosto alto. Aveva profonde occhiaie violacee che gli circondavano le palpebre e occhi vispi come un gatto.
Sulla testa, si era cacciato uno straccio orribile, qualcosa che poteva essere un pezzo di pelliccia, tutta infarinata e impomatata per somigliare a una parrucca del Settecento.
Voss stava per unire il disgusto allo stupore, fare uno più uno e scoprire l'identità di quell'uomo. Ma lui si presentò da sé:
« Sono Sir Isaac Newton» dichiarò.
Sorrise debolmente.
Voss cercò di contenersi, si schiarì la gola e disse:
« Piacere. Commissario Richard Voss»
« Molto lieto, molto lieto. Sa? Ho udito del fracasso: gemiti, rantoli, poi un viavai di gente. Posso chiederle cosa succede, se non sono indiscreto?»
Voss si asciugò il sudore con un fazzoletto.
« L'infermiera Irene Strauss. È stata strangolata»
« La campionessa nazionale di judo?»
« Proprio lei»
« Terribile! Era così carina. E chi diavolo è stato?»
« È stato Ernst Ernesti»
« Ma se sta suonando il violino»
« È che deve riacquistare la calma»
« Giusto. E sarà anche affaticato dalla lotta».
L'uomo sembrava veramente genuino, nella sua malattia. Gli occhi gli schizzavano fuori dalle orbite di continuo. “Costui è proprio pazzo” pensava Voss. Ecco l'uomo che non gli avevano fatto incontrare ad agosto. Ora girava libero per la clinica, mentre lui avrebbe dovuto accompagnarlo dietro le sbarre. Il procuratore di stato aveva dovuto affrontare un'infinità di grane, scartoffie e litigi per mantenere quel povero diavolo in libertà. Era stato obbligato dalla dirigente della casa di cura.
D'un tratto, Newton tirò fuori da una tasca della sua vestaglia di satin una bottiglia di liquore.
« Sambuca!» esclamò Voss, colpito.
« Si. È italiana. È un liquore, sa? Lei non dovrebbe bere in servizio, ma le dispiace se io mi faccio un bicchierino?»
« Faccia pure»
« Ne vuole uno?»
Gli chiese Newton, offrendogli un gran bicchiere di cristallo colmo di Sambuca fino all'orlo.
Voss, accigliato, l'afferrò e lo sorseggiò.
« Come ha fatto Ernesti a uccidere Irene Strauss?» chiese l'uomo imparruccato, scolandosi a sua volta una generosa porzione di Sambuca.
« Col cordone della tenda» rispose Voss.
« Accidenti. In effetti è una possibilità, certo. Il cordone della tenda. Che brutta fine. Non me lo sarei mai aspettato da Ernesti, sa? Ma come ha potuto fare una cosa simile! Uccidere una povera infermiera»
« Eppure, anche lei ha strangolato un'infermiera, signor Beutler»
« Io?» fece lui, smarrito. La parrucca si scosse tutta, disperdendo nell'aria la sua polverosa imbiancatura.
« Eh si, signor Beutler. Dorothea Moser»
« La lottatrice?»
« La lottatrice. Il dodici agosto, proprio in questo salotto, col filo della lampada»
« Ah! Ma questa è tutta un'altra cosa, commissario! E io che la stavo anche ad ascoltare. La differenza è che non sono pazzo, signore. Salute!»
E si scolò un altro bicchiere di Sambuca.
Quando ne riemerse era stralunato, gli occhi di fuori, l'espressione fuori controllo. Eppure parlò con calma e dolcezza. Un contrasto che Voss trovò terrificante.
« Ah, l'infermiera Dorothea … se ci ripenso: bionda come il grano, straordinariamente robusta ma flessuosa, malgrado le forme abbondanti. Mi amava, e io l’amavo. Era un dilemma che si poteva risolvere solo con il filo della lampada»
« Un dilemma?» chiese Voss, a disagio
« Certo. Signore, io sono un fisico. Il mio compito è riflettere sulla gravitazione, non amare una donna»
« Ah. Capisco»
« E poi c'era l'enorme differenza di età»
« Eh certo, lei deve avere almeno duecento anni»
« Duecento? E perché?»
Beutler era davvero folle: le occhiaie scure con quegli occhietti roteanti all'interno gli conferivano un aspetto da indemoniato.
« No, dicevo … in quanto Newton, lei deve avere … »
« Ma lei è matto, commissario? Lei crede davvero che io sia Newton?»
« Ma se è lei che ci crede!»
« Oh, ma io faccio solo finta di esserlo».
Prese un altro bicchiere e si sedette su un pouf di chintz. Si rigirò il prezioso cristallo fra le mani, pensieroso.
Voss stava diventando insofferente:
« E perché fa finta, se posso chiedere?»
« Per non confondere Ernesti» concluse Beutler, grave.
« Che c'entra Enresti?»
« Vede, lui crede davvero di essere Einstein. Lui è pazzo, poveretto».
Voss si avvicinò e si sedette su un simile pouf.
« Che c'entra Ernesti con questo?»
Beutler alzò i suoi occhi forsennati sul commissario e, con naturalezza, esclamò:
« Se Ernesti venisse a sapere che il vero Einstein sono io, scoppierebbe il finimondo»
« Ah. Dunque lei ...»
« Proprio così. Sono io che ho creato la teoria della relatività, che sono nato a Ulma il 14 marzo 1879»
« Molto onorato»
« Può chiamarmi Albert»
« E lei mi chiami Richard»
« Vero che le secca di non potermi arrestare, Richard?»
« Non voglio proprio arrestare nessuno, Albert».
Sciolsero la stretta di mano.
Beutler si allontanò, portando con sé la boccia di Sambuca.
Poggiò la dita ossute sulla maniglia in ottone di una delle porte del salotto, poi si voltò e disse con aria grave:
« Farebbe meglio ad arrestare sé stesso, Richard».
  
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