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Autore: Teo5Astor    27/01/2020    9 recensioni
Il campione NBA Kobe Bryant incontra Goku su un campetto da basket di Los Angeles, cosa succederà?
Omaggio a Kobe Bryant, per provare a ricordare col sorriso lui e sua figlia.
Genere: Malinconico, Slice of life, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Goku | Coppie: Chichi/Goku
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno L.A.
 
 
«Non riuscirai mai a fare canestro se continui a tirare così!» sento ridere alle mie spalle, mentre la palla che ha appena colpito per l’ennesima volta il ferro si allontana mestamente dal canestro e rimbalza fino a raggiungere la recinzione che delimita il campetto in cui ero andato a giocare a basket da solo.
È presto, in giro non c’è praticamente nessuno anche se siamo a Los Angeles. Credo che sia la prima volta che capiti da quando mi sono trasferito qui una decina di giorni fa. Però c’è il sole, e la luce non mi permette di vedere bene in faccia la persona che mi ha appena rivolto la parola. È un uomo sulla quarantina, di colore, sarà alto due metri e ha un fisico atletico e asciutto. Sembra nato per fare sport. Indossa una canotta gialla col numero 24 viola sul petto, un capo che immagino vada di moda qui, dato che l’ho vista uguale addosso a molti in questi giorni. Sorride, e insieme a lui sorride anche una ragazzina che farà le medie e gli somiglia molto. Dev’essere sua figlia.
Ma da dove sono sbucati?! Non li ho visti arrivare.
«Sto cercando di imparare a giocare a basket, io di solito preferisco le arti marziali!» rido a mia volta, grattandomi la nuca.
«Sono stupende le arti marziali, ma il basket è lo sport più bello del mondo secondo me» mi spiega, andando a raccogliere la palla e cominciando a palleggiare così velocemente che quasi mi fa venire il mal di testa. La palla gli passa sotto le gambe e dietro il busto, ma lui non perde mai il controllo. Sembrano una cosa sola. «Sai perché ho scelto il numero 24 tanto tempo fa?» mi domanda, indicandomi le cifre stampate sulla sua canotta. «Perché penso al basket 24 ore su 24».
«Urcaaa! Io, se non combatto, penso a mangiare invece!» gli dico, facendolo scoppiare a ridere, anche se la mia non voleva essere una battuta.
«Anche a me piaceva mangiare quando da bambino vivevo in Italia, lo sai?» ribatte, guardando la palla. La accarezza dolcemente, prima di avvicinarsi a quella che immagino sia sua figlia e accarezzare la testa anche a lei. «Come ti chiami? Non sei di qui, vero?»
«Già, mi sono appena trasferito! Mi chiamo Goku!»
«Papà, abbiamo tempo per fare due tiri con Goku?» domanda la ragazzina. I suoi occhi neri brillano e scacciano via la malinconia che mi sembra di aver scorto per un istante in quelli di suo padre.
«Certo, Gigi! Fagli vedere quello che ti ho insegnato!» risponde, passandole poi la palla.
Lei comincia a correre e palleggiare, è velocissima.
«Goku, prova a fermarla!» mi ordina il mio nuovo e misterioso amico.
Mi metto in posizione di difesa, ma è tutto inutile: vengo ridicolizzato da una ragazzina che avrà tredici anni e sarà alta un terzo di me. Segna un canestro dopo l’altro e io non riesco nemmeno a sfiorarla. Troppo agile, troppo rapida, troppo precisa quando tira.
«Non scoraggiarti, Goku! Adesso ti insegno io qualche trucchetto e vedrai che potrai migliorare anche tu che hai appena iniziato a giocare» interviene l’uomo, facendosi passare la palla dalla figlia. «Se non credi in te stesso, scordati che qualcun altro lo faccia per te. Questo devi sempre tenerlo a mente, qualunque sfida tu debba affrontare» aggiunge, prima di cominciare a palleggiare per poi tirare a canestro.
La palla entra quasi senza nemmeno far muovere la retina. È stato tutto talmente fluido e naturale, armonioso e logico, che quando ho visto la palla volare nel cielo ho pensato che fosse inevitabile che entrasse nel canestro.
Continuo a guardarlo giocare e resto incantato: se la ragazzina è forte, beh, lui è semplicemente un fenomeno. Quando si muove, appare ai miei occhi veloce e letale come un serpente. Non me ne intendo per nulla di basket, ma credo di trovarmi davanti a uno dei giocatori più forti di sempre.
Giochiamo insieme, ci divertiamo, riesco anche a fare qualche canestro, finalmente. Mi ispiro a lui, a quello che gli vedo fare e a ciò che mi ha insegnato. Ma il tempo vola, anche se mi sembrano passati pochi minuti. Ora che ci faccio caso, infatti, il sole sta tramontando.
«Papà, dobbiamo andare» dice in un sussurro a un certo punto la ragazzina. Gianna, detta Gigi.
L’uomo le sorride, mentre smette di palleggiare e stringe tra le mani la palla. La guarda, la accarezza. Mi sembra che abbia gli occhi lucidi.
«Faccio l’ultimo tiro» ribatte, facendo partire una parabola dalla distanza che, ovviamente, finisce nel canestro.
Io corro a raccogliere la palla e mi volto verso di loro, che mi hanno già dato le spalle e si avviano mano nella mano verso l’uscita del campetto.
«Ehi, aspettate! Giochiamo insieme anche domani?!» gli chiedo, rincorrendoli.
«Domani non possiamo» accenna un sorriso l’uomo, voltandosi. Sulla schiena, sopra il numero 24, leggo il nome “Bryant”.
«Dopodomani?» insisto.
«Prima dobbiamo andare un posto» mi spiega la ragazzina, voltandosi anche lei. I suoi occhi neri brillano ancora, ma stavolta mi sembrano pieni di lacrime. O forse è il sudore, devo essermi sbagliato.
«Facciamo così: dammi la palla, Goku» mi dice l’uomo, mentre tira fuori dalla tasca un pennarello indelebile nero.
Faccio quello che mi ha chiesto e lo vedo scriverci sopra… che mi stia facendo una dedica?!
«Ecco, tieni» mi sorride, passandomi poi la palla. Non ho potuto fare a meno di notare che anche stavolta l’ha accarezzata delicatamente, sfiorandola appena coi polpastrelli, prima di stringerla a sé come se volesse abbracciarla. O dirle “grazie”.
Leggo quello che ci ha scritto sopra: “Al mio amico Goku. Kobe Bryant”.
«Ti chiami Kobe?» gli chiedo.
«Sì, ma una volta mi chiamavano anche Black Mamba» risponde, con la voce rotta dall’emozione e dalla nostalgia. «Ascoltami, Goku: non smettere mai di combattere» aggiunge, ritrovando la sua consueta determinazione e regalandomi un sorriso felice, lo stesso che aveva dipinto sul volto mentre stavamo giocando.
«Certo! Grazie per quello che mi hai insegnato oggi! E, a proposito di Black Mamba, io una volta ho corso su una specie di ponte lunghissimo che si chiamava Serpentone!»
«Magari lo vedrò anch'io questo Serpentone, prima o poi... e grazie a te per averci permesso di giocare un’ultima volta» ribatte, guardando poi il canestro che sembra più lontano da noi di quanto dovrebbe essere. Si toglie la sua canotta giallo-viola, su cui  noto solo ora la scritta “Lakers” sul davanti. «Vorrei che la tenessi tu, questa».
«Urca, grazie!» rispondo, stringendola a me. Non so perché, ma questo suo gesto mi ha reso felice. «Allora ti lascio la mia, anche se è un po’ sudata!» aggiungo, forse ingenuamente, sfilandomi la mia maglia arancione con maniche blu e passandogliela.
«Sei una brava persona Goku, sono felice di averti conosciuto. Non cambiare mai» mi sorride, prendendo poi per mano la figlia e voltandosi.
«E-ehi, un attimo! Ma dove state andando?!»
«Non lo sappiamo» risponde Gigi. Hanno appena ripreso a camminare, eppure mi sembrano già tanto lontani da me. Così lontani che comincio a vederli sfocati. «Ma non possiamo davvero più restare qui con te, anche se lo vorremmo».
«Ma… tornerete qui?! Ci rivedremo, vero?!»
«Non lo so quando torneremo, ma sono certo che, da qualche parte, ci rivedremo, Goku» mi spiega Kobe, anche se ormai non sono più in grado di vederlo. «Tu pensa a noi ogni volta che stringerai tra le mani un pallone da basket. E ogni volta che vedrai un bambino provare a fare canestro».
«A-aspettate!» urlo, correndo verso di loro. Ma non ci sono più, sono di nuovo da solo. Con in mano un pallone autografato e una canotta da gioco ancora sudata.
Indosso la maglia e torno nel campetto. Stringo il pallone tra le mani e leggo ancora la dedica che mi ha fatto il mio nuovo amico Kobe. Una goccia ci cade sopra, e subito dopo un’altra. Ma non è sudore, no. Sono io che sto piangendo e non so nemmeno perché, stringendo questa palla tra le mani.
Mi sforzo di sorridere perché penso che sia la cosa giusta da fare.
Sorrido e guardo il canestro.
Tiro la palla e la vedo entrare.
«Gokuuu! Sei ancora qui? Guarda che la cena è pronta!»
«Ciao papà!»
Mi volto verso l’ingresso del campetto e vedo le due persone più importanti della mia vita che mi sorridono. Già, vedo Chichi e Gohan, e mi sento improvvisamente felice.
«Ciao figliolo!» rido, prendendolo in braccio. «Chichi, tesoro, possiamo giocare ancora cinque minuti?!»
«E va bene, ma solo cinque minuti!» mi concede, fintamente imbronciata, dandomi poi uno scappellotto sulla nuca.
«Che bella palla, papà! Giochiamo?!» comincia a correre Gohan, palleggiando istintivamente.
Lo guardo, e per una frazione di secondo mi sembra di vedere di nuovo Kobe accanto al canestro, sorridente.
Sgrano gli occhi, ma non c’è nessuno. Sorrido, scuotendo la testa lentamente.
«Adesso ti faccio vedere un paio di cose che mi hanno insegnato, Gohan!» esclamo, felice, correndo dietro a mio figlio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: ho appena scritto di getto questa storia con le lacrime agli occhi e il cuore pesante, dopo la notizia che, immagino, avrete saputo tutti ieri sera. Il grande campione di basket NBA Kobe Bryant, infatti, ha perso la vita in un incidente in elicottero, e con lui se sono andate anche la figlia tredicenne e le altre persone che, purtroppo, erano a bordo. Fa malissimo pensare che sia stata coinvolta in tutto questo anche la figlia, oltre appunto alle altre persone presenti, questa è una cosa che mi ha devastato ancora di più. Kobe lascia la moglie, altri tre figli e una marea di tifosi in tutto il mondo che gli hanno voluto bene per tutto quello che ha saputo fare sul campo e per la persona che era fuori. Si era ritirato nel 2016, dopo aver vinto 5 titoli NBA, 2 Olimpiadi e addirittura un premio Oscar. Era cresciuto in Italia sul serio, quindi era in qualche modo motivo d’orgoglio anche per noi che uno dei più forti di sempre della storia del basket abbia di fatto iniziare a giocare proprio qui, prima di diventare una leggenda nei Los Angeles Lakers.
Non lo so, quando muore un grande sportivo, soprattutto se ancora giovane, non muore semplicemente uno che in realtà per noi sarebbe un emerito sconosciuto… se ne va un amico, un compagno di squadra, un qualcuno che viveva nei sogni e che pensavamo fosse eterno. Se ne va qualcuno che ci ha accompagnato in qualche modo nella nostra vita. Resta il mito, ovviamente, insieme a quello che ha fatto. Ma resta anche un grande senso di vuoto, lo stesso che avevo provato, anche più intensamente, quando ero un ragazzino e se ne andò per sempre Marco Pantani, scattato sull’ultima salita un po’ come immagino ora Kobe abbia preso il suo ultimo tiro, quello decisivo per far vincere i suoi Lakers.
 
Non ho molto da dire sulla storia in sé. Ho scelto Goku perché è il protagonista di Dragon Ball e spero abbiate apprezzato l’idea e il modo in cui l’ho buttata giù praticamente in tempo reale prima di pubblicarla.
Grazie a chi vorrà lasciarmi il suo parere, a chi la inserirà nelle liste e a chi la leggerà, per il resto io torno mercoledì con il capitolo 50 di “Remember me”.
Grazie a chi ama lo sport, a chi ama Dragon Ball e a chi ama le sfide.
Grazie a chi sa dare emozioni attraverso quello che fa.
 
Rest easy, Kobe, e con te Gigi e tutti gli altri che erano con voi.
 
Teo
 
   
 
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