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Autore: Soul Mancini    27/01/2020    6 recensioni
Frammento dopo frammento, giorno dopo giorno, la vita di Ives scivola via e la sua anima si spegne pian piano. Quell'anima che era così pura e luminosa, ma che come la fiammella di una candela tremola a ogni soffio di vento.
Dai suoi primi giorni di vita, una serie di momenti che l'hanno portato a bucare la sua pelle con l'ultimo, fatale ago.
[Il capitolo "VIII" si è CLASSIFICATO SESTO al contest "November Rain" indetto da MaryLondon e giudicato da Juriaka sul forum di EFP.]
[Il capitolo 'XII - Like a crystal tear' si è CLASSIFICATO SECONDO al contest "This is our place, we make the rules" indetto da mystery_koopa sul forum di EFP.]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Needles'
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I
 
 
 
 
 
I need your arms to welcome me
But a cold stone’s all I see
[Metallica – Mama Said]


 
 
 
Osservo la lapide con sguardo perso. Non so ancora leggere, non capisco quelle scritte che spiccano sul marmo chiaro, però osservo la piccola foto in bianco e nero racchiusa in un’austera cornice: raffigura una ragazza bellissima, dai capelli lunghi e lisci e dagli occhi grandi e profondi, anche se non ne posso definire il colore.
“Questa è tua madre, Ives” mormora zia Maura, posando un nuovo vasetto di fiori sulla tomba.
Getto uno sguardo al cielo plumbeo sopra di noi, poi scruto con attenzione mia zia, l’unica persona che si è presa la briga di farmi da genitore quando mia madre è morta. Zia Maura è un donnone, alta e formosa, dalla pelle olivastra, i capelli scuri e sempre raccolti in una folta coda di capelli e lo sguardo severo; tutto l’opposto di sua sorella.
“Questa pietra è mia madre?” chiedo titubante, posando la mano sulla pietra fredda.
Ho quattro anni, non riesco proprio a capire come una mamma possa essere così dura e fredda, non profumare di niente e stare sempre lontana da me. Nella mia testa, zia Maura è sempre stata mia madre.
 
 
Proprio lei, tante volte, mi ha raccontato la storia della mia famiglia, come se stesse raccontando una qualsiasi favola della buonanotte; non mi nasconde niente, anche quando la verità è dura e dolorosa da accettare.
Mia madre si chiamava Veronica Mancini, nota a tutti come Niki, ed era una ribelle – poteva forse mettere al mondo un bimbo angelico e dal carattere mite? Certo che no, ho preso tutto da lei!
Niki scappò di casa, vagabondò, sopravvisse come le era possibile e qualche volta tornava a casa da Maura, la sua adorata sorella maggiore.
Solo che, in un’afosa serata di fine luglio, Niki bussò alla porta di sua sorella con le lacrime agli occhi e i vestiti spiegazzati, palesemente sconvolta.
“Era pallida, aveva i capelli scompigliati e stopposi, tremava talmente tanto che sembrava sul punto di spezzarsi e in quelle condizioni sembrava ancora più magra e smunta del solito” mi dice sempre zia Maura. Incredibile, nella foto che c’è sulla sua tomba sembra davvero meravigliosa.
Niki, in preda ai singhiozzi, si buttò tra le braccia della sorella e le rivelò che qualche settimana prima era stata stuprata ed era rimasta incinta. “Non voglio uccidere il mio bambino, non voglio abortire, ma non lo posso crescere da sola… aiutami!” supplicava. Aveva soltanto ventidue anni
Zia Maura è una grande donna, questo lo dovete sapere tutti. Infatti, nonostante lavorasse tutti i giorni, avesse una bambina di cinque anni e un marito poco conciliante nei confronti di Niki, si prese cura di sua sorella durante tutto il periodo della gravidanza, accudendola e riportandola sulla giusta via quando si perdeva.
Io venni al mondo l’8 aprile e già allora gridavo come un pazzo, attirando tutte le attenzioni su di me. Mia madre piangeva, mi amava e mi odiava, mi stringeva a sé e l’attimo dopo mi respingeva con disgusto. Le ricordavo quella brutta nottata di luglio, le ricordavo il suo stupratore.
Che fortuna, ci pensate? Nemmeno il mio concepimento è stato frutto di un gesto d’amore, il mio destino era già segnato.
Zia Maura ospitò Niki a casa sua quando lei uscì dall’ospedale, nonostante suo marito Stan storcesse il naso contrariato. “Perché mai dovrei avere una puttana e un figlio di puttana in casa mia?” borbottava. Zia Maura, in tutta risposta, gli mollava uno schiaffo ben assestato e gli intimava di non parlare mai più in quel modo di sua sorella e suo nipote.
Dopo una settimana, Niki uscì di casa e mi lasciò con zia Maura. Non tornò mai più.
Una volta mi hanno detto che io ero la causa del suicidio di mia madre, perché ogni volta che lei mi guardava si ricordava della violenza subita. Forse hanno ragione, forse ero già cattivo, anche se avevo solo una settimana.
“Al funerale di tua madre, ero seduta al primo banco e ti tenevo tra le braccia” mi racconta sempre zia Maura. Non c’era tempo per piangersi addosso, nella sua vita era appena piovuto un neonato bisognoso di cure.
Stan non si lamentò del fatto che fossi il suo nuovo inquilino, anche se mi fulminava con lo sguardo ogni giorno. Comunque presi il cognome di zia perché lui non mi volle riconoscere come suo figlio.
Lo capisco, chi vorrebbe avere in carico il figlio di uno stupro?
 
 
Ora che sono più grande, sono tornato presso la lapide di Veronica Mancini. Non la vengo a trovare spesso, un po’ ce l’ho con lei perché non mi voleva abbracciare quando sono nato.
Accarezzo le parole che spiccano sul marmo chiaro e sussurro: “Però non sei una puttana, mamma. Non è colpa tua se il destino è stato cattivo con te”.
Ora quelle lettere riesco a leggerle bene:
 
Veronica Mancini
30 maggio 1946 – 15 aprile 1968
 
 
   
 
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