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Autore: Mocchan    01/02/2020    5 recensioni
Uenoyama e Sato convivono ormai da mesi. La loro vita amorosa è per lo più tranquilla e armoniosa, ma nemmeno loro sono immuni alle incomprensioni. E Ritsuka è un tipo dalla gelosia facile... e terribilmente paranoico.
♦ Prima classificata al contest “È l'ora del tè” indetto da LuNe_EFP/Asia Dreamcatcher sul forum di Efp ♦
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Mafuyu Satō, Ritsuka Uenoyama
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Storia prima classificata al contest “È l'ora del tè” indetto da LuNe_EFP/Asia Dreamcatcher sul forum di Efp.
Personaggi: Ritsuka Uenoyama, Mafuyu Sato
Pacchetto: Tè Bianco
Note: What if?, future!fic

♥ Dedicata alla dolcissima Juriaka come regalo di compleanno.
Augurissimi, cucciola, spero che possa piacerti~♥



 
SI SCIOLGONO COME FIOCCHI DI NEVE




 
Ritsuka era sul punto di esplodere come un vulcano.
Per un'intera settimana si era scervellato per capire il comportamento di Mafuyu, per scoprire cosa gli stesse nascondendo, ma più aveva provato a far quadrare i pezzi e meno ci aveva capito.
La spiacevole vicenda aveva avuto inizio qualche giorno prima: una fredda serata di gennaio. Ritsuka stava tornando all'appartamento che condivideva con Mafuyu da quattro mesi. Aveva rialzato il colletto del giubbotto per schermarsi dal vento gelido, un leggero nevischio pioveva dal cielo danzando con eterea eleganza. A quell'ora la strada si presentava deserta e silenziosa, soltanto qualche passante ancora si affrettava per raggiungere il confortevole calore di casa o di un locale notturno.
Ritsuka si sfregò le mani per scaldarle. «Che gelo» si lamentò con la sciarpa che gli copriva la bocca, rabbrividendo mentre continuava ad avanzare a passo spedito.
Arrivato al condominio passò oltre svariate porte e si fermò di fronte alla sua destinazione. Le mani erano gelate e insensibili mentre maneggiavano con il mazzetto di chiavi. Aprì l'uscio con calma, indugiando poi qualche secondo sul tappetino per spazzarsi la suola delle scarpe, richiudendosi la porta alle spalle.
La lampada a fiamma calda del salotto rischiarava l'ambiente, gli unici suoni nell'aria provenivano dall'esterno. Ritsuka si beò del piacevole calore di casa; si svestì di sciarpa e giubbotto, che appese all'ingresso, e delle scarpe.
«Mafuyu?» chiamò, insicuro se il ragazzo fosse già andato a dormire. Sbirciò in cucinotto: non c'era. Controllò in bagno passandoci davanti, ma una sinfonia proveniente dalla camera da letto gli tolse ogni dubbio. Girò con cautela la maniglia per non disturbarlo e fece per aprire la porta.
Mafuyu era seduto sul bordo del letto, gli occhi seguivano con attenzione le dita che, sottili e svelte, si muovevano sulle corde creando accordi armoniosi e fluidi.
Ritsuka ne rimase rapito. «Wow» fu tutto ciò che riuscì a dire, non si mosse nemmeno.
Mafuyu si bloccò di colpo, sollevò il capo con uno scatto e sgranò gli occhi. «Ri-Ritsuka? Quando sei...» con tono allarmato, abbandonò la chitarra sul letto «tornato?»
«Perché hai smesso?» domandò genuinamente stupito. «Mi piace molto, è un brano che stai componendo?»
«No! No, non è niente di speciale. Un esercizio che faccio per sciogliere le dita, ma, dimmi, fa tanto freddo fuori?»
Ritsuka corrugò la fronte. Avrebbe voluto ascoltare ancora quella melodia, eppure il ragazzo stava evidentemente cercando di sviare il discorso su altro. «Si crepa dal freddo» rispose, poi indicò la chitarra. «Potresti farmi sentire di nuovo ciò che stavi suonando?»
«Potrei suonarti altro.» Fece per riprendere in mano la chitarra, esitante.
«No, voglio che mi risuoni quel pezzo.»
«Ah. Non si può fare.»
«Perché?»
«P-perché... non è finito!»
«Non importa, suonami fin dove sai.»
«Vorrei davvero farlo ma, ecco...» lo sguardo guizzò tutto intorno alla stanza «devo andare al bagno!» Scattò in piedi e sorpassò Ritsuka, che si scansò di lato per lasciarlo passare.
«Ehi!» gli urlò mentre gli andava dietro. «Perché tanto mistero, ti ho solo chiesto di suonarmi il pezzo.»
Mafuyu si introdusse in bagno e chiuse la porta dietro di sé. A chiave. Ritsuka provò dapprima a girare la maniglia, poi prese a bussare con insistenza. «Fai sul serio? Che ti prende adesso?»
Silenzio dall'interno.
«Vuoi tenerti il brano tutto per te? Va bene, d'accordo, tientelo.»
Nessuna risposta.
«Aaargh!» Ritsuka levò le braccia al cielo e si avviò giù per il corridoio. «Fa’ come vuoi.»



Da quella sera, per Ritsuka divenne un vero e proprio tormento scoprire cosa gli nascondesse Mafuyu. Un pomeriggo lo trovò in soggiorno seduto sul divano. Non prestava alcuna attenzione al televisore acceso, in volto aveva la sua tipica espressione vacua, distante, di quando ha la testa fra le nuvole.
«A cosa pensi?» gli domandò prendendo posto al suo fianco.
Il ragazzo sussultò percettibilmente e si volse verso di lui con aria a metà fra il colpevole e il meravigliato. «A niente in particolare.»
Stava mentendo, Ritsuka glielo lesse in volto, così come era sempre più convinto che gli stesse nascondendo qualcosa.
«Devo essere stanco» riprese Mafuyu «scusami, penso che andrò a farmi un sonnellino.»
Ritsuka l'aveva squadrato alzarsi e dirigersi verso la loro camera, per l'ennesima volta aveva sviato le sue domande. Il fatto che non volesse confidarsi con lui cominciava seriamente a irritarlo, ma decise di lasciare al ragazzo i suoi spazi e i suoi tempi.



Ci provò davvero, ma come gli capitava di solito quando si trovava sotto la doccia e lasciava liberi i pensieri di fluire e scorrazzare, un tremendo sospetto si era palesato con brutale prepotenza: che avesse dei contatti con un agente discografico per un contratto solista e stesse aspettando il momento adatto per confessargli la verità?
Aveva spalancato l'anta della doccia, si era avvolto alla vita un asciugamano ed era piombato fuori dal bagno come un uragano gridando: «Mafuyu!»
Trovò il ragazzo in camera che armeggiava con la chitarra, lo sguardo era attento e vispo.
«Dimmi la verità: hai contatti con un agente e vuoi lasciare la band?»
Mafuyu batté le palpebre un paio di volte, i capelli aranciati gli contornavano il viso in maniera da farlo sembrare un bambino dall'aria spaesata. «Cos—No! Come ti viene in mente un'idea del genere? Non ho alcun contatto con nessuno e soprattutto non ho alcuna intenzione di separarmi dalla band.»
Ritsuka rimase dapprima sorpreso, per una volta aveva risposto a una sua domanda diretta. Lo fissò negli occhi con aria truce, alla ricerca di qualsiasi segno che rivelasse una possibile bugia. Non ne trovò, conoscendolo era certo che gli avesse detto le cose per come stavano.
«Tuttavia c'è qualcosa che mi nascon—»
«Ritsuka! Sei tutto bagnato, torna in bagno! Con questo tempo rischi di prenderti un malanno.»
E anche quella volta non c'era stato modo di prendere in mano l'argomento spinoso che premeva a Ritsuka, quel piccolo segreto che Mafuyu gli nascondeva e che lo stava facendo impazzire.



Successivamente ebbe un'altra occasione per sollevare la questione. Erano sdraiati a letto avvolti nelle coperte. Appoggiati entrambi su un fianco uno di fronte all'altro, si guardavano negli occhi senza dirsi nulla. Ritsuka si sporse e fece combaciare le loro labbra in un bacio lento, soave, caldo. In quei momenti tutte le barriere e le incomprensioni crollavano come muri di fango sotto la pioggia. Si beava di quel contatto e di quelle sensazioni cercandone ancora, sempre di più, più in profondità. E così le lingue si incontravano e danzavano insieme, mentre le dita scorrevano sopra e poi sotto i tessuti esplorando e coccolando la pelle accaldata e sensibile.
Nel mezzo di quell'estasi, un tintinnio smorzato catturò l'attenzione di Ritsuka. A malincuore interruppe le tenerezze per portare lo sguardo accigliato sull'origine del suono: una catenina d'argento al collo di Mafuyu. Non l'aveva mai vista prima. Un vago moto di fastidio lo pervase d'improvviso.
Sfiorò la catenella con la punta delle dita. «E questa?» domandò.
Mafuyu, con gli occhi ancora velati di piacere, esitò qualche secondo, poi si distese lungo la schiena, portando lo sguardo al soffitto. «È un vecchio regalo» si limitò a dire.
Ritsuka si schiaffeggiò mentalmente. Non avrebbe dovuto addossare a Mafuyu una malizia che non gli apparteneva, anche se le cose non dette cominciavano a essere parecchie e a pesare. Si contorse sul materasso fino a voltarsi dalla parte opposta, dandogli le spalle. «Quando avrai voglia di dirmi le cose come stanno, fammelo sapere.»
«Mi dispiace, Ritsuka» fu la risposta sussurrata. «Devi solo avere ancora un po' di pazienza, e fidarti di me.»
E fu ciò che cercò di fare: avere pazienza e fiducia.



Così, come la sera quando tutto ebbe inizio, si trovò di nuovo lì, a percorrere la strada che dal konbini conduceva al loro appartamento. Stesso orario, stesso clima gelido, stesso silenzio. Poteva sentire il battito del cuore martellargli nelle orecchie. Qualsiasi altra cosa o persona lo circondasse veniva completamente tagliata fuori dal suo campo visivo: guardava davanti a sé ma non era realmente presente. I suoi pensieri erano concentrati altrove, al messaggio che Mafuyu gli aveva spedito qualche minuto prima e che diceva: “Vieni a casa, dobbiamo parlare”. Tutto lì, cinque parole che l'avevano fatto tremare, perché – non aveva dubbi a proposito – erano state sicuramente quelle a ghiacciarlo, il freddo invernale non reggeva il confronto.
Giunse di fronte alla porta dell'appartamento. Contrariamente alla volta precedente non era con spensieratezza che inserì la chiave nella toppa. Attese qualche secondo prima di girare, avvolto da una sensazione di terrifica aspettativa. Avrebbe potuto prendersi più tempo e tardare quel tanto atteso confronto, ma non sarebbe servito a molto se non a dilaniarsi ulteriormente l'animo. Inspirò a fondo, quindi girò la chiave ed entrò finalmente nell'appartamento.
«Sono tornato» disse nel silenzio che regnava. Mafuyu non era in vista. «Mafuyu?»
Il capo di folti capelli arancio fece capolino dal fondo del corridoio, oltre il salotto. «Vieni in camera» lo invitò.
Ritsuka si spogliò celermente del cappotto e delle scarpe e lo seguì. Su di lui gravava un senso d'angoscia ingombrante quanto un masso, deglutì prima di varcare la soglia della stanza e non si capacitò di ciò che vide.
Mafuyu si era accomodato sul bordo del letto e imbracciava la chitarra, esattamente come quella sera giorni prima. Chiuse per un istante gli occhi, poi li riaprì e li fissò in quelli dell'altro.
Una nota dopo l'altra, la familiare ma top secret melodia, che da tempo aveva torturato i suoi pensieri, risuonò nella camera. Il suono della chitarra presto venne accompagnato dalla voce del ragazzo, carezzevole e carica di sentimento.
Ritsuka non batteva nemmeno ciglio, era ipnotizzato da ciò che stava vedendo e ascoltando. Una serenata, il ragazzo gli stava cantando una serenata dolce, col cuore. Si portò una mano alla bocca, gli occhi si appannarono in preda all'emozione.
Il ragazzo terminò lasciando vibrare l'ultima nota, un suono libero e già nostalgico. Ritsuka giurò di poterlo ancora avvertire nelle orecchie a minuti di distanza dall'esecuzione.
Mafuyu gli rivolse un sorriso affettuoso, leggermente addolorato. «Ti piace? L'ho composta per te.»
«Se mi piace? È stupenda, io... io non ho parole» lo disse stentando, inciampando nelle parole tanto era rimasto colpito.
«Sono felice di sentirtelo dire.» Carezzò con delicatezza le corde dello strumento. «Lo sai già, a volte per me è complicato se non impossibile comunicare a parole i miei stati d'animo, i miei pensieri. Ho pensato che veicolarli tramite una canzone sarebbe stato il modo più efficace per dimostrarti come mi sento, cosa mi fai provare.» Si bloccò per una manciata di secondi, prima di concludere con voce tremante: «Sono davvero, davvero contento di esserti arrivato.»
Le parole centrarono Ritsuka al cuore, gli contorsero lo stomaco, gli tolsero il fiato. Si affrettò per prendere posto accanto a Mafuyu e lo abbracciò, lo cinse dolcemente fra le sue braccia e rimasero per qualche istante così, in silenzio a godere del contatto, del calore dei loro corpi.
«Mi dispiace averti tenuto all'oscuro» biascicò Mafuyu contro la spalla. «Non volevo che ti preoccupassi, ma ci tenevo che fosse una sorpresa.»
«Ora non importa più» lo tranquillizzò, accarezzandogli la schiena. «Ammetto anzi di essermi lasciato prendere un po' dalla paranoia.»
«Soltanto un po'?»
«Un po' troppo, va bene?» replicò giocosamente stizzito, rifilandogli un pizzicotto nel fianco che lo fece sobbalzare. La sua risata cristallina fu come un colpo di spugna sulle incomprensioni dei giorni precedenti.
Ritsuka intrappolò il suo viso tra le mani, lo scrutò per lunghi secondi negli occhi e sussurrò: «Sei meraviglioso.» Lo baciò con estrema lentezza, assaporando le labbra morbide, indugiando sul calore dei respiri che si mescolavano.
Qualche minuto di effusioni più tardi, Ritsuka si sollevò tempestivamente dal letto, cominciando a sfilarsi il maglioncino. Con tono che non ammetteva repliche disse: «Io. Tu. Letto. Ora!»
  
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