When the time will
come
Prologue
Gli individui sudcoreani di sesso
maschile sono tenuti a prestare
un totale di due anni di servizio
militare, che può essere effettuato
tra i 18 e i 28 anni di età.
Jin, 2020, anni 28.
Lo sguardo di intesa tra Jimin e Taehyung
lasciava poco spazio all’immaginazione ormai: Jin
aveva appena rivelato loro la data in cui sarebbe dovuto partire, il momento in
cui avrebbe dovuto abbandonare i Bangtan, i propri
progetti, la propria carriera.
Una fase che ognuno di loro avrebbe dovuto affrontare prima o poi, rimandata
attendendo l’ultimo anno disponibile, così come la legge prevedeva: dovere e
servizio per la patria. Ed i ventotto anni di Jin ormai
erano arrivati. L’espressione apprensiva di Jimin
tradiva una certa tensione, tale da rendere difficile affrontare apertamente un
argomento simile; avrebbe voluto dire qualcosa di confortante ma sentiva
tremare le labbra all’idea di dover dare voce a ciò che stava pensando davvero.
Come avrebbe reagito Jungkook alla notizia?
Tae strinse forte le dita del ragazzo intrecciandole alle sue in una morsa;
inspirò profondamente dal naso decidendo di affrontare finalmente la questione con
uno dei diretti interessati.
«Quando pensi di dirglielo?»
Jin sospirò massaggiandosi le palpebre con i
polpastrelli nel vano tentativo di smaltire il malessere che stava salendo
dalle viscere alla testa. «Non ora.»
Jimin aggrottò le sopracciglia contrariato, non
riteneva corretta la decisione presa e non mancò di esternare la propria
perplessità a riguardo. Perché tardare l’inevitabile, se prima o poi avrebbe
dovuto comunque affrontare la cosa?
«Al momento siete gli unici a saperlo, vi chiedo solo di non parlarne con
nessuno.»
«Ma Jin…»
Taehyung guardò l’altro scuotendo la testa. Dovevano
lasciar stare, non era la loro vita, non avrebbero dovuto immischiarsi in certe
faccende.
«Lasciami parlare.» Il ragazzo prese posizione alzandosi e fronteggiando in
punta di piedi il collega, tentando vanamente di mantenere un contatto pari
occhi negli occhi nonostante la differenza di altezza. «Te lo dico, secondo me
non è la scelta giusta. Cosa ti costa dirgli la verità? Cosa?»
Jin si morse il labbro inferiore scostando lo
sguardo. Effettivamente sarebbe stata la mossa più ovvia, allora perché il solo
pensiero di dover rivelare a Jungkook la data della
partenza gli dava un senso di nausea misto a spaesamento? Avrebbe atteso,
mancava ancora un po’ di tempo in fondo.
«Jimin, lascialo.» La mano di Tae strinse la spalla
spostando il compagno che s’era aggrappato alla maglia dell’altro,
strattonandola con forza.
«Non lo accetto, non è giusto… e se J-»
«Basta!» La voce malferma del maggiore si levò sulle altre, il rifiuto
categorico di continuare la conversazione era palese. Non avrebbe parlato, e
cominciava a dubitare di aver fatto la cosa giusta rivelando ai due la notizia;
«lasciatemi in pace.» Si diresse verso la porta della sala comune, sbattendola
incurante del tonfo sordo prodotto dalla propria ira. Possibile non riuscire a
trovare un solo attimo di quiete tra quelle mura soffocanti? Erano da poco
tornati dal tour, carichi di mesi e mesi di lavoro incessante, prove,
esibizioni, rifacimenti, rielaborazioni.
E non ne poteva più.
Voleva trovare calma, una calma ricercata da parecchio, una calma necessaria dopo
la conclusione di uno dei più impegnativi momenti della sua vita. Tutto
inutile. Tornare a casa di fatto lo stava portando a dover affrontare ciò che che ormai non poteva più essere rimandato. Non che
dispiacesse servire con orgoglio, donando il proprio cuore e le proprie mani
allo Stato di appartenenza, semplicemente avrebbe dovuto farsi forza e
separarsi da loro: una famiglia acquisita che lo aveva portato ad affrontare
non poche difficoltà, molti sorrisi, gioie e malessere.
Pur sempre la sua famiglia.
Amici, compagni, colleghi. Testardi, impiccioni, alle volte immaturi, ma pur
sempre loro, pur sempre le persone più importanti.
E poi lui, Jungkook: avrebbe aperto il proprio cuore andando
da lui, avrebbe detto ciò che pensava da parecchio tempo e poi se ne sarebbe andato
con il petto vuoto da ogni pressione. Certo, fosse stato tanto facile ci
sarebbe già riuscito. Di tempo ne aveva ancora a sufficienza, ma sarebbe
realmente bastato?