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Autore: Harriet    07/02/2020    0 recensioni
Una notte delirante, una ricerca tra i luoghi abbandonati di una città assediata da una tempesta di magica. Yassir ha perso il suo amico Ariel, che ha lasciato delle tracce di sé: poesie sui muri. Insieme a un gruppetto di amici, inizia una disperata corsa per scoprire cos'è successo al misterioso poeta sparito senza lasciare tracce...
Genere: Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Attraverso'
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- Scritta per il COW-T di Landedifandom. Missione 2 “Ogni posto è casa mia”, prompt: Pioggia, Sereno, Oscurità.
- TRIGGER WARNING: omofobia, transfobia, tentato suicidio, intolleranza religiosa
 
 
Poesie sui muri
 
            Non lo vedo da un po’ e la cosa mi preoccupa.
            Siamo abituati alla gente che transita per poco e poi sparisce, qui. Qualche volta letteralmente. Tra i poteri che ti rendono incorporeo, il teletrasporto dei risonanti e i buchi dimensionali a tradimento che infestano questa zona, non è strano, sparire. Però non credo sia questo il suo caso.
            Non so che poteri abbia, non l’ho mai capito. Mi faccio un vanto di individuare subito il tipo di poteri che le persone hanno. A volte li ho intuiti persino prima che il possessore stesso si rendesse conto di avere un qualche genere di mutazione o compatibilità magica. Dovrebbero assumermi in qualche ministero o qualche ufficio statale, o roba del genere. Sarei una risorsa pazzesca. Magari potrebbero prendermi nella polizia: mi farebbero vedere i video dei crimini o mi farebbero ascoltare i testimoni, e io capirei subito che razza di poteri hanno i criminali. Sarebbe una cosa spettacolare.
            E invece tiro a campare come posso in una casa occupata con due rincoglioniti e una strega sonnambula. Che ci volete fare. La vita, per la maggior parte, fa schifo.
            Comunque, sono davvero preoccupato per lui, perché è diverso dalla maggior parte della gente, qui, e perché l’ultima volta che abbiamo parlato mi ha fatto davvero paura.
            Lui ha ventitré anni e vive in una zona molto carina, e in generale sembra avere un background di tutt’altro tipo da quelli che di solito vengono qui. Ok, forse non dovrei nemmeno dire “lui”: una volta mi ha detto che pensa di essere non binary e che ancora ci sta riflettendo. Però per il momento mi pareva che gli andasse bene di essere chiamato un po’ in tutti i modi. C’è Aurora Elizabeth Gertrude Rita III che lo ha sempre trattato da ragazza, e non è mai stata corretta al riguardo, quindi boh, fondamentalmente penso che sia una persona libera e in esplorazione, ed è una delle molte cose che ho sempre apprezzato, quando parlavamo.
            Ho scoperto il suo nome dalla firma che ha lasciato quando ci siamo conosciuti, sei mesi fa. Era una notte senza luna come questa, ma meno umida, e avevamo preso di mira un bel muro per le nostre Performance Erranti di Poesia Dissidente – così le chiama Tian Tian, e noi abbiamo accettato il nome perché è figo e perché a nessuno è venuto in mente qualcos’altro. Ariel Amaranth, aveva scritto, sotto una strofa molto poetica e inquietante.
            «L’hai inventata tu?»
            Un cenno della testa. Aveva gli occhi appena visibili, sotto il ciuffo castano con una strisciolina blu che si notava appena, alla luce della torcia che portava appesa al collo.
            «È il tuo vero nome?»
            «È quello che ho scelto. Quindi sì.»
            La risposta mi era piaciuta un sacco. Credo di poter dire che da lì siamo diventati amici.
            Da lì in poi ho saputo tante cose su Ariel. Che è nato a Cuba e ha vissuto lì per dieci anni felici. Che poi suo padre e sua sorella maggiore sono morti in un incidente stradale e sua madre ha affrontato il dolore seguendo una setta religiosa di pazzi fulminati. Che ha girato mezzi Stati Uniti prima di approdare a Seattle. E infine, che sua madre si è risposata con un leader dei fulminati, ha fatto un treno di altri figli e sotto sotto pensa che la colpa dell’incidente sia stata di Ariel, perché non è etero e questo fa piangere Dio. Insomma, io ho una famiglia con i suoi problemi, ma la storia di Ariel mi mette i brividi.
            È un tipo timido e molto letterale, il linguaggio figurato e il sarcasmo lo mandano in tilt, gli fanno seriamente crashare il sistema, e ti guarda con i suoi occhioni neri, sbatte le ciglia e si vede che sta cercando di ragionare e tradurre quello che gli hai detto nella sua personalissima lingua. Però per altre cose è di una intelligenza pazzesca. Ed è uno dei migliori artisti, qui. Ammetto che alcuni di noi sono un po’ pretenziosi, altri sono bravini ma hanno ancora tanto da imparare (io mi metterei in questa seconda categoria.) Ariel è proprio talentuoso e molto umile. Si è fatto apprezzare subito.
            Enmari, la mia coinquilina strega sonnambula, ha deciso di diventare la sua sorella maggiore adottiva e Ariel ne era entusiasta. Hanno lavorato insieme a un disegno: Ariel ha scritto una delle sue poesie, Enmari ha decorato il tutto. Una delle nostre Performance Erranti migliori in assoluto. Anche Tian Tian lo adora, e se la leader vuole bene a qualcuno, è abbastanza probabile che tutti lo prendano in simpatia – lo dico perché funziona così, non perché Tian Tian sia dispotica nei suoi sentimenti. Lei insiste che non è il capo e che dobbiamo essere liberi da lei, ma la realtà è che abbiamo bisogno di un punto di riferimento, e lei lo è, che le piaccia o no.
            Insomma, tutto questo discorso per dire che Ariel era ben inserito e benvoluto. Ma sono otto giorni che non si vede. E l’ultima volta mi ha fatto paura.
            Il muro che abbiamo davanti si sta lentamente tramutando, notte dopo notte. Lavoriamo immersi nel buio, guidati dalla luce delle torce che portiamo appese al collo (o rubando le luci degli altri, come faccio sempre io, perché mi scordo regolarmente di ricomprare le pile per la mia, o anche perché ho lo scrocco nel sangue.) Nessuno ci disturba: è uno degli spazi abandonati della città, uno di quelli distrutti dalla tempesta dimensionale di due anni fa. Non ce ne sono state altre, da allora, ma tutti hanno paura, e poi qui è sparita un bel po’ di gente e nessuno vuole ricostruire questo posto. Però, come sempre succede ai posti molto infestati e carichi di passato, è un ritrovo per outsider e un rifugio per disperati. E quindi noi lo rendiamo bello per tutti quelli che transiteranno qui. Saranno emarginati, ma non per questo devono vivere in un postaccio.
            Ariel ha dato uno dei contributi maggiori, e questa cosa gli piaceva proprio tanto. Ha lasciato una poesia a metà. Non è da lui. Non ci credo, che abbia piantato tutto quanto così. Questo gruppo lo faceva sentire bene, non sarebbe sparito così.
            Sparito.
            Magari si è davvero perduto in qualche buco, qui intorno. Se l’è mangiato un’oscurità che non riusciamo a capire né a combattere.
            O forse è successo qualcos’altro. Forse è ancora in questo mondo. E forse questa non è una buona notizia.
            Quando comincia a piovere ci tiriamo su i cappucci e continuiamo a lavorare, perlomeno quelli di noi che disegnano e scrivono in posti riparati. Enmari fa un paio di incantesimi per asciugare in fretta la vernice e non farla rovinare dall’acqua. Io sono all’aperto, quindi non posso proseguire. Intercetto Tian Tian che ripone le sue bombolette e mi piazzo davanti a lei. Quando solleva la testa dal suo zaino, mi guarda e scuote la testa.
            «Che c’è, Yassir?»
            «Sono preoccupato per Ariel.»
            Lei stringe le labbra e inspira. Guarda un punto imprecisato alle mie spalle e scuote la testa.
            «È strano che non si faccia vivo da così tanto» insisto.
            «Ha anche un’altra vita, sai.»
            «Lo so. La sua famiglia di invasati.»
            «Studia all’università. Psicologia. È un bravo ragazzo.»
            «Sì, ma non è tipo da mollarci così. Ci tiene, a questo lavoro.» Mi fermo, prendo fiato, studio il viso di lei, gli occhi neri allungati e la frangetta bagnata che un po’ li copre. «E poi non è nemmeno un ragazzo, in realtà.»
            «Per noi no. Per la sua famiglia e i suoi professori è proprio questo. E qualche volta deve far finta che abbiano ragione loro.»
            «Proprio per questo è strano che non venga più qui. Con noi è felice. Può essere quello che si sente davvero di essere.»
            «Senti, Yassir, sono preoccupata anch’io, ma non so cosa possiamo fare. Ci ha raccontato tante cose della sua vita, è vero, ma non sappiamo il suo vero nome…»
            «Il suo deadname» la correggo.
            «Sì, scusa. E nemmeno sappiamo il suo cognome.»
            «Ma alcune cose le sappiamo. La setta di invasati di sua madre. La Rocca della Salvezza nella Fede. Possiamo partire da lì.»
            «Vuoi andare da quelli là e chiedere sue notizie? E come pensi di fare? “Scusate, conoscete il nostro amico non binary che si fa chiamare Ariel Amaranth e fa street poetry clandestina insieme al nostro gruppo di freak e gentaglia assortita, che indossa sempre gonne di pelle e stivali alti fino al ginocchio?” Penso proprio che saranno felici di rispondere.»
            «Senti, non capisco se ti interessa di Ariel o no.»
            «Certo. Ma sono rassegnata al fatto che ogni tanto qualcuno sparisce.»
            «Ariel è differente.»
            «Ti sei preso una cotta, Yassir?»
            Scuoto violentemente la testa. È una domanda che mi sono posto anch’io, però.
            «È solo un buon amico. E comunque, ha un ragazzo. Un tizio norvegese.»
            Vedo gli occhi di Tian Tian farsi più larghi per un istante.
            «A me ha detto che il suo compagno è haitiano.»
            Ci scambiamo un lungo sguardo dubbioso.
            «Magari è mezzo norvegese e mezzo haitiano» azzardo io.
            «Magari c’è qualcosa che non va, invece.»
            «O forse è solo che ha due ragazzi» si intromette Enmari, spuntando alle mie spalle. «Siete anche voi in pensiero per Ariel? Credo che dovremmo fare qualcosa. Forse dovremmo trovare questi misteriosi ragazzi.»
            «Partiamo dall’università» insisto io.
            «No» dice Tian Tian. È ancora pensierosa, ma qualcosa in lei si è smosso. Forse si sta arrendendo all’idea che io mi metterò sicuramente a cercarlo, e quindi a questo punto mi aiuterà. O almeno lo spero.
            «Partiamo adesso e partiamo dai nostri posti.»
            «Ma se non lo vede nessuno da un po’, non può essere in nessuno dei nostri posti!»
            «Non voglio cercare Ariel, voglio cercare le sue tracce. Non abbiamo il suo nome ufficiale e non sappiamo nemmeno a quale campus sia iscritto. Non sappiamo se ha un ragazzo, se ne ha due o se ci ha raccontato falsità al riguardo. Come pensi di poterlo cercare là fuori?»
            Quando Tian Tian dice là fuori, intende nel resto del mondo. O qualcosa del genere. Lei è come molti di noi, non ha due vite: ha dedicato tutta la sua esistenza all’arte, alla strada e al creare reti accoglienti per la gente come me, che si ritrova fuori dalle maglie della società per un motivo o per un altro. Abbiamo il nostro universo parallelo e l’unico modo in cui incontriamo quello degli altri generalmente è attraverso l’arte. Dipingiamo le loro strade e i loro muri per dire che esistiamo, e che anche se la loro società ci ha respinti (o noi ci siamo auto-respinti), vogliamo ancora regalare loro un po’ di colore. È un regalo, sì. Così magari affronteranno meglio la vita. E forse, un giorno, tutto sarà abbastanza colorato e libero da poterci di nuovo incontrare.
            Io capisco tutto questo, però ho paura per Ariel e sono disposto a entrare nel suo mondo. Ariel è uno che invece ha due vite. No, più di due: quella con noi, quella in università, quella con la setta della sua famiglia (dalla quale non so bene perché non riesce a sganciarsi, ma credo sia perché vuole proteggere i suoi fratelli minori.) E sono sicuro che ne abbia anche altre, perché Ariel è una di quelle persone che più le conosci, più ti sembrano labirinti infiniti di idee e di identità.
            «Però…» ritento, e Tian Tian scuote la testa.
            «Se Ariel aveva qualche problema, lo avrà affidato di sicuro ai nostri muri.»
            «Questo è molto probabile» concorda Enmari, poi mi mette una mano sulla spalla. «Se cominciamo a cercarlo da qui, possiamo partire subito, invece di perdere chissà quanto tempo e attivarci di giorno.»
            Questo mi convince di più. Annuisco e mi guardo attorno: meglio andare in tanti o in un piccolissimo gruppo?
            «Chi ci portiamo dietro?»
            «Andiamo noi tre» dice Tian Tian. «E Kate.»
            Mi sembra il team giusto. Kate vede nel buio come fosse giorno, è perfetta. Enmari è amica di Ariel, e poi magari ha qualche incantesimo utile. Io… Io sono io, ma non mi farò certo lasciare indietro. Ariel è mio amico. Lo voglio ritrovare a tutti i costi.
            Devo chiedergli spiegazioni per le ultime cose che mi ha detto.
            Kate ci raggiunge dopo che Enmari è andata a chiamarla. Ci dice qualcosa nel linguaggio dei segni, ma io lo capisco malissimo, perché lo sta ancora studiando: dubito che voglia parlare di meloni in un momento come questo. Enmari invece è abbastanza brava. Tian Tian non fa testo: lei lo capisce e lo parla alla perfezione, ma non è che le ci voglia tanto, visto che è il suo potere. Il completo dominio delle lingue. Lo vorrei davvero tantissimo. Ma già avere un’amica che ce l’ha è una cosa bellissima.
            «Andiamo. Kate ci guiderà» dice Tian Tian. Siamo subito un gruppo, una squadra con una missione, e la parte di me che in fondo avrà sempre il rimpianto di non aver intrapreso la carriera di eroe (legale, come agente governativo, o illegale, come vigilantes) si esalta un po’.
            «Aspettate!»
            Ecco Aurora Elizabeth Gertrude Rita III che ci corre dietro, con le sue lunghe gambe scattanti e i capelli biondi che le spuntano dal cappuccio della felpa rosa.
            «Tutto bene?» le chiede Tian Tian.
            «State andando a cercare Ariel, no? Vi prego, fate venire anche me. Per favore. Vi posso aiutare.»
            Tian Tian ci studia per qualche secondo, dubbiosa, poi le fa cenno di sì. Io sono contento. Adoro Aurora. È la prima persona con cui ho fatto amicizia, in questo gruppo. E cominiciammo subito male, con me, delicato come un tir guidato da un ubriaco, che le chiesi:
            «Senti, ma tutti questi nomi dove li hai trovati?»
            «Sono tutti i nomi che ho sognato di avere, fin da piccola. Quando poi finalmente ho potuto cambiare il mio, non sapevo più quale scegliere, così li ho presi tutti.»
            «Perché, il tuo non ti piaceva?»
            «Non era il mio, semplicemente.»
            «Era così brutto?»
            «Era un bellissimo nome, per un ragazzo.»
            «In che senso?»
            Aurora scoppiò a ridere e io continuavo a non capire.
            «Guarda, ti aiuto. Ho aggiunto III alla lista dei miei nomi perché a quanto pare sono la terza ragazza trans della mia famiglia.»
            «Ah. Oddio, scusami, sono un idiota!»
            «Ma no, dai, figurati.»
            «Sul serio, sono stato un cretino.»
            «Non più di quanto lo sia ognuno di noi, a volte.»
            «Sei un po’ una filosofa, tu.»
            «Grazie.»
            «Sul serio hai pensato di chiamarti Gertrude, in un momento della tua vita?»
            «In onore di Gertrude Stein.»
            «E Aurora?»
            «Avevo sette anni e mi piaceva La bella addormentata nel bosco…»
            Niente, ero già cotto di lei.
            Ci ho provato con la mia caratteristica goffaggine e lei mi ha respinto in un modo così carino che me l’ha fatta amare ancora di più. Poi pian piano me la sono fatta passare, ma siamo rimasti molto legati. Aurora mi dà sicurezza come nessun altro.
            Iniziamo il nostro cammino esplorando per primo quel posto che ci accoglie a braccia aperte ormai da tempo, esaminando i nostri muri e rileggendo ogni cosa, percorrendo con lo sguardo ogni simbolo, ogni disegno, ogni tratto. Analizziamo le storie che vi abbiamo tracciato sopra notte dopo notte, combattendo per ricacciare indietro i ricordi e i sentimenti, trasformandoci in freddi agenti di una strana polizia scientifica che deve scoprire tracce di una persona scomparsa dietro le tracce che quella stessa persona ha lasciato sul cemento.
            Le poesie di Ariel sono strane. Alcune sono bellissime, altre buffe, altre ancora sembrano volutamente incompiute o addirittura estratte da qualcos’altro. Non hanno un inizio o una fine. Come
 
            una scia che spezza la rotta
            sicura, ma tracciata da un altro
 
            Gli ho anche chiesto, una volta, se erano citazioni di qualcosa.
            «Sì. Di tutti i poemi nella mia testa. Sono un corpus letterario mastodontico. Non credo riuscirò mai a metterli tutti su carta. Quindi mi avvantaggio e penso al momento in cui verranno perduti e poi ritrovati, in un tempo lontanissimo. Ne resteranno solo dei frammenti. Quindi scrivo solo quei frammenti.»
            Ecco, questa è una delle nostre tipiche conversazioni.
            Ci sono altri frammenti e io cerco di penetrare il significato di tutti, ma è un’impresa senza fine e probabilmente senza alcuna speranza di riuscita.
 
            case piene di luce
            che poi nascondono un cuore
            marcio, malato, ferito, spezzato, segnato per sempre
 
            e il richiamo era forte
            ma noi non siamo andati
 
            l’ultima marcia
            sotto l’ultima neve
 
            meglio non essere più chiamati
            se non deve essere il tuo nome
 
            Poi a un certo punto arriva qualcos’altro. Mi fermo: conosco già quello che sto per leggere, ma faccio finta di no, faccio finta che sia tutto nuovo, che io sia uno studioso di testi antichi e mi sia capitato fra le mani un manoscritto prezioso con l’opera straordinaria di un giovane poeta dei tempi perduti. Adesso sta a me, estrarre il senso nascosto dei versi.
 
            La notte ricopre la terra di sogni
avvolge e trasforma le case e le vie
e lascia i viandanti e le malinconie
parlare commossi di giorni perduti
e luoghi bellissimi e sconosciuti
che esistono ormai soltanto nei sogni
 
La notte mi abbraccia e mi porta i suoi sogni
io sogno e la chiamo per renderle in dono
manciate di versi, la musica, il suono
io sogno e dai sogni poi tesso canzoni
che infrangono leggi, muraglie e prigioni
e toccano i cuori lontani, nei sogni
 
La notte spalanca le porte dei sogni
sussurra tristezze, riporta memorie
raccoglie miriadi di pezzi di storie
intreccia le note per canti e ballate
Io cerco e ascolto per volte stellate
i volti di quelli che vedo nei sogni
 
La notte disegna sentieri di sogni
e strade infinite, orizzonti lontani
promette viaggi che forse domani
saranno scordati, saranno svaniti
eppure stanotte tu li avrai sentiti
chiamare, invitare a entrare nei sogni
 
La notte che è fatta di vento e di sogni
si apre e si svela e si lascia sfogliare
è un libro di mondi, di terre e di mare,
di cielo stellato, di nubi e tempesta,
di nebbia, di roccia, deserto e foresta
un velo, un intreccio di canti e di sogni
 
Stanotte ho ascoltato la voce dei sogni
stanotte ho guardato le vie del destino:
incerto il futuro, incerto il cammino
eppure viaggia una voce col vento
messaggi sicuri mi porta, la sento:
racconta un domani più folle dei sogni
 
            È mentre sto rileggendo quella poesia così musicale e intensa, che ho adorato dalla prima volta in cui l’ho letta, che la pioggerellina fastidiosa che mi s’impigliava nelle ciglia fino a qualche momento prima, all’improvviso si fa scroscio. Mi annebbia la vista, mi fa un’azione di sabotaggio e mi tiene lontana la verità nascosta dietro le parole di Ariel, ma io combatto e resisto e arrivo fino in fondo.
            «Certo che ne ha di fantasia, Ariel» mi dice Enmari, avvicinandosi.
            «Altroché. Certe poesie fanno un po’ paura, eh?»
            «Sì. Però altre sono diverse. Gentili.»
            Gentili è una parola che mi piace tantissimo, per le parole di Ariel. Le indico quella più lunga davanti a noi.
            «Questa non sembra triste come altre.»
            «Ariel non mi è mai sembrato triste, a dire il vero. Sofferente, confuso, arrabbiato, ferito, quello sì. Ma c’è sempre stata una certa serenità, in lui. Come se nonostante tutto avesse capito qualcosa dalla vita. Non lo so, Yassir, sto facendo discorsi sciocchi, forse.»
            «No, En, stai dicendo esattamente quello che penso anch’io. Solo che tu sei in grado di dirlo e io sono scemo.»
            «Non sei scemo. E penso che tu abbia capito Ariel meglio di chiunque altro, qui.»
            «Vorrei solo avergli fatto capire che con me poteva parlare.»
            «Magari non ha avuto tempo di farlo.»
            Serra subito la bocca dopo aver detto quelle parole che lasciano presagire qualcosa di tremendo. Vorrei alleggerire il peso di quel che ha detto, ma non ci riesco. È vero, che sono un po’ scemo. Non ho le parole giuste, come tutti loro.
            Ci ritroviamo più di un’ora dopo. Abbiamo preso appunti e parliamo di quello che abbiamo letto. La pioggia ormai ha deciso di tormentarci ma noi siamo determinati a ignorarla. Nessuno di noi ha trovato l’illuminazione, dietro le parole che Ariel ha regalato al mondo.
            Il ritratto di Ariel che emerge dalle osservazioni di tutti è molto simile: una persona con un mondo complesso dentro di sé, che ambisce alla libertà ma ancora non riesce a permettersela. Eppure, nonostante il dolore, una persona capace di una stabilità e una serenità che in molti, qui, si sognano. Non una sola delle sue poesie è del tutto priva di un guizzo di speranza, un barlume di futuro che si affaccia nell’oscurità del presente.
            E allora? Allora forse dovremmo smettere di angosciarci e credere che se non viene più, ci saranno dei buoni motivi molto banali.
            Eppure tutti e quattro sappiamo che ce lo avrebbe detto, se fosse sparito per una cosa semplice come una vacanza o un viaggio di famiglia o una sessione di esami particolarmente dura. E quindi continuiamo a cercare.
            Ci sono altri due posti che consideriamo nostri: un altro quartiere abbandonato dopo l’ennesimo disastro magico e il ponte in costruzione da decenni, mai ultimato a causa delle correnti dimensionali che lì spirano fortissimo. È un luogo tremendo e non ci va nessuno, e il motivo per cui a noi tutto sommato piace è molto stupido: è una sfida un po’ temeraria.
            Ci immergiamo nella notte e nella pioggia e camminiamo fino alla nostra seconda meta: il piccolo quartiere che un tempo lontano era un posto grazioso per gente benestante e rispettabile. Noi gli abbiamo dato tutt’altro volto, e anche se non riesco a immaginare granché questo luogo quando ancora era abitato, sono sicuro che lo abbiamo migliorato.
            Lì troviamo solo un’opera di Ariel, e anche quella ci conferma ciò che già sapevamo.
 
 Le strade di questo posto,
le strade piene di sole,
le strade notturne piene
di lacrime e di parole,
 le strade stanno annodate
nel cuore buio del mondo,
s'inseguono sotto i ponti
del tempo, girano in tondo.
 Le strade, quelle perdute
in ere dimenticate,
le strade sgusciano via
nel canto di un'altra estate.
 Le strade senza vergogna,
barriere, muri e confini,
e i piedi su quelle strade
più lenti ma più vicini.
 Le strade da tutti i posti
convergono in questo fuoco
incanto degli universi,
frammento di un grande gioco.
 Le strade non hanno fine,
la storia è sempre così -
però questo posto dice
che tutto è cambiato, qui.
 Le strade girano ancora,
le porte sono serrate,
le storie sono in catene,
le voci sono spezzate.
 Le strade non hanno fine
si spandono tutt'attorno
e dentro il prossimo inverno
avrai i semi del ritorno...
 
            I semi del ritorno. Un seme nell’inverno. Le storie possono anche essere in catene e le voci spezzate, ma i semi di qualcosa di buono ci sono comunque, e questo è Ariel. Ci scambiamo uno sguardo frustrato. Comincio a dubitare del senso di ciò che stiamo facendo, anche se non vorrei.
            «Andiamo. Ci resta ancora un posto» dice Tian Tian. Si stringe ancora di più il cappuccio impermeabile della giacca gialla e ricomincia a camminare. Dietro di lei Enmari, un ciuffo rosso che spunta dal cappuccio verde dell’enorme poncho di plastica che copre lei e il suo grosso zaino. Poi Kate, con un ombrellino arcobaleno, che tenta di riparare un po’ anche Aurora, il cui cappuccio della felpa è ormai fradicio. Infine io, che trotterello dietro di loro imbarcando acqua nelle mie scarpe di tela strappate.
            Ci accoglie una parte più luminosa e trafficata della città, che dobbiamo attraversare per arrivare al ponte mai finito. La pioggia però rende tutto più confuso e surreale, e a me sembra che non siamo mai davvero usciti dal nostro mondo e che questa non sia la vera città, ma solo una sua visione onirica condivisa nelle nostre teste.
            «Piove sempre di più» dice Aurora. «È come se…» Apre il palmo di una mano e lascia che le gocce si scatenino contro la sua pelle. «La pioggia stesse diventando più veloce
            Ora che ce lo fa notare, ci rendiamo conto che è così, anche se è strano. Le gocce ci piombano addosso con forza inaudita. Più andiamo avanti, più ci sembra di essere sotto una sassaiola. Io non vedo più niente. A un certo punto la mia torcia va in pezzi: stento a crederci, ma è colpa delle gocce. Mi stringo a Tian Tian, per non rimanere nel buio totale, ma l’unica che non ha problemi di vista in quel momento è Kate, che prende la guida del gruppo e ci dà delle indicazioni con gesti precisi, per impedirci di piombare in qualche fosso o di imboccare per sbaglio strade trafficate dalle auto.
            Eccoci al ponte. L’inquietudine è così forte che mi metto a correre.
            A volte mi sembra che ci siano solo due soluzioni. Scomparire o dare fuoco a tutto.
            Quelle sono le parole che Ariel mi ha detto l’ultima volta. Quelle che mi hanno spaventato. Voleva scriverle, poi ci aveva rinunciato. Mi aveva detto che era solo un pensiero passeggero, una traccia del passato.
            Sapevo che qualche anno prima aveva tentato il suicidio. Non mi aveva detto chiaramente il perché, ma mi ero un po’ fatto un’idea. Penso sia un incubo assoluto, essere queer e avere dei poteri e crescere in una famiglia di religiosi spostati che credono che tutti i mali del mondo siano provocati dalle persone LGBT e dalla magia. La loro setta sostiene che il risveglio del sovrannaturale nel nostro mondo sia un segno dell’apocalisse imminente e che le persone nate con poteri paranormali o con la compatibilità magica sono possedute dal diavolo. Se poi non sei etero e cis, o anche se hai solo delle idee vagamente più aperte sui ruoli di genere rispetto agli schemi tradizionali, aiuto. Questa setta è particolare, perché va a innestarsi su altre religioni già esistenti, quindi la famiglia di Ariel è anche cristiana, ma so che gli stessi spostati hanno avuto successo anche in altri culti.
            Insomma, tra i lutti che ha vissuto e la gente con cui è costretto a vivere, ci credo, che ha avuto dei problemi di salute mentale e ha visitato dei posti molto bui, nella sua testa. Però mi aveva detto più di una volta di aver trovato una specie di equilibrio. Si era fatto aiutare, aveva capito come affrontare certe cose dentro di sé.
            Io lo so che non è facile, guarire da certe cose o anche solo stare meglio, e che con alcuni problemi uno impara a conviverci. Però… Però sono frustrato perché mi sembra di non essere riuscito a cogliere che qualcosa non andava in una persona che reputo mia amica. E forse ho fatto un casino. Forse è anche un po’ colpa mia.
            Finalmente siamo al ponte, e lì, sorpresa, ci sono un paio di persone sotto un ombrello. Sono due poliziotti. Uno si avvicina: è giovane e sembra spaventato.
            «Che ci fate qui?»
            «Cerchiamo un amico» risponde Tian Tian.
            «Non c’è nessuno, qui, ragazzi. Meglio andare da un’altra parte.»
            «C’è un blocco dimensionale in tutta la città a causa di una tempesta in arrivo» spiega l’altra poliziotta. Ci guardiamo: un blocco dimensionale! Quindi il governo cittadino ha chiuso volutamente qualsiasi passaggio verso altri mondi o verso altri luoghi della Terra, in città. Ciò significa anche niente buchi dimensionali improvvisi o roba del genere.
            «Da quanto è attivo il blocco?» chiedo.
            «Da cinque giorni. Qualcosa di grosso sta arrivando. Meglio che ve ne stiate in casa, di notte, eh?»
            Cinque giorni. Quindi Ariel non può essere sparito in qualche altro mondo negli ultimi cinque giorni. Manca da otto, è vero, ma le possibilità che gli sia capitato qualcosa proprio qui sono salite di molti punti.
            «Non si sa cosa stia succedendo?» prova a insistere Aurora.
            «Ragazzi, non è il caso di stare qui» dice la poliziotta, facendosi più severa. «Sul ponte non c’è nessuno. Andate a casa.»
            Ci allontaniamo in fretta ma ci fermiamo poco distanti da lì.
            «C’è una sola cosa da fare» dice Tian Tian, e guarda me. So a cosa sta pensando.
            «Va bene. Datemi tre minuti.»
            Il mio potere è una roba strana e non so bene neppure io cosa sia, esattamente. A volte fa delle cose che mi fanno persino paura. Ma ora è proprio quello che ci vuole.
            Io riesco a separare la mia coscienza dal mio corpo e a spostarmi. La cosa può durare al massimo qualche minuto, poi torno in me e in genere mi gira la testa, e se mi sono sforzato proprio tanto ci sta anche che vomiti (spesso addosso al malcapitato che si era offerto di sorreggermi.)
            È quello che faccio adesso. Serro gli occhi e mi concentro, mentre Aurora mi supporta. Poi faccio una cosa strana che è come lasciarsi andare all’indietro. Solo che non lo faccio davvero. Non con i muscoli, almeno. Lo faccio con un’altra cosa. Forse sono i muscoli della mia anima.
            Eccomi. Ci sono. Volteggio per qualche istante lì sul posto. Percepisco gli altri, più che vederli, all’inizio, poi la vista mi si schiarisce. Mi muovo, nuotando sopra le loro teste, e pian piano aumento la velocità, fino a galleggiare sotto il ponte interrotto.
            È tutto sempre più buio, ma in questo stato la pioggia non mi fa niente. Guardo, scruto tra le scritte, cerco le poesie, implorando il mio corpo e la mia coscienza di rimanere separati ancora per un po’.
            È lì che lo vedo, su uno dei piloni. Mi ricordo di quella strana serata, di quando Ariel venne, la penultima volta, portandosi dietro un amico. Un ragazzino biondo e timido, più piccolo di noi. Scrissero qualcosa insieme, una specie di botta e risposta. Allora non ci avevo fatto molto caso, ma a vederlo adesso, mi sembra tutto molto evidente.
 
            Conosci un buon modo per sparire nel nulla?
           
            conosco altre storie e altre strade. non sparire, resta con me, posso mostrarti le mie mappe
 
            La voce del ragazzino è fragile e spaurita, quella di Ariel è leggera, delicata, confortante. Lo scontro prosegue. Il suo amico sembra proprio privo di qualsiasi speranza, Ariel cerca con tutte le sue forze di aprirgli nuove prospettive.
 
            Vorrei solo annodare questo potere e chiuderlo da qualche parte e non sentirlo mai più.
 
            oppure potremmo trovare un modo per cambiarlo in qualcos’altro e farlo diventare soltanto tuo, un pezzo di te a cui puoi volere bene
 
            Non so perché, ma all’improvviso mi convinco che, qualsiasi cosa sia successa, non riguardi Ariel ma il suo amico. Come si chiamava? Terry, mi ricordo all’improvviso. Sono sempre più sicuro che la faccenda riguardi lui. Quando sono in questo stato ho delle intuizioni. Così guardo quelle scritte, le fisso con tutta la mia forza, pregando di sentire qualcosa, di ricordare qualcosa, di raccogliere almeno un microscopico frammento per capire cosa fare, dove andare…
            E poi sono di nuovo in me. Mi riapproprio del mio corpo con un grido strozzato e mi piego in avanti per rigettare. Aurora è abituata e si scansa in tempo, ma non mi lascia andare. Quando sto meglio sollevo la testa a fatica, mi asciugo gli occhi annebbiati di lacrime e guardo gli altri.
            «È vicino. È dall’altra parte della riva.»
            «Chi?» chiede Aurora. «Ariel? E che ci fa?»
     «Non lo so. È solo… L’ho visto per un secondo. Dobbiamo andarci subito!»
Ma la strada è lunga. La via più breve ci farebbe impiegare comunque almeno un’ora. Li guardo,
nel panico, per capire se qualcuno di loro ha una buona idea. Dentro di me, so che siamo agli
sgoccioli. È allora che Aurora si fa avanti.
     «Posso provarci io.»
     «A fare cosa?» chiede Tian Tian, severa. «Tu sai evocare piccole costruzioni. Che pensi di fare?»
     «Evocare un ponte.»
     «Ma sei matta?»
     «Se Enmari avesse un incantesimo capace di potenziare le mie creazioni solo per un po’…»
     «Ce l’ho» dice lei, ma è seria e preoccupata. «Sicura di riuscirci, però? Non voglio che ti faccia del male, e se ti sforzi troppo…»
     «Mi sto allenando tanto, ultimamente. Sono migliorata. Se Yassir dice che dobbiamo fare in fretta, gli credo. Vi prego, proviamoci.»
            «Abbiamo davvero così poco tempo?» mi domanda Enmari, e io annuisco. Allora annuisce anche lei.
            Eccoci qui, prodotti di quest’epoca strana in cui la magia è eruttata all’improvviso sulla nostra
Vecchia Terra, ma nessuno la conosce davvero del tutto, la maggior parte cerca di approfittarsene e i governi la vogliono oppure la temono al punto di cercare di nasconderla. In pochi aiutano la gente a studiarla, a capirla, a farci amicizia, e noi nasciamo con questi poteri più grandi di noi che non sappiamo dominare, se non a prezzo di fin troppa sofferenza. Per questo a volte ci mettiamo ai margini e cerchiamo altri come noi, che provino, insieme a noi, a dare un senso a questi doni splendidi e spaventosi.
            Aurora unisce le mani e dà vita a una minuscola striscia luminosa, che pian piano si allarga e si ingrandisce. Enmari fa dei disegni per terra con un gesso, poi ripete quei segni sul viso di Aurora, e all’improvviso la linea di luce le sfugge di mano e balza oltre il fiume. Una traccia candida spezza il buio per noi, e noi ci corriamo sopra, e abbiamo l’impressione che i nostri piedi danzino sul nulla. Corriamo pià veloce possibile, per risparmiare Aurora. Ci voglioni dieci minuti, per raggiungere l’altra riva del fiume, quella più desolata e solitaria, e quando finalmente arriviamo, Aurora collassa a terra, ansimante e in lacrime. Kate le si inginocchia accanto, spostandole i capelli dal viso e aiutandola a respirare. Vorrei vedere come sta, ma non abbiamo tempo. Mi lancio nell’oscurità, alla ricerca di Ariel.
            La prima cosa che vedo è il corpo disteso per terra. Piccolo, fragile, con lunghi capelli biondi. È Terry. Ariel sta a gambe inginocchiate accanto a lui. Tutt’intorno a loro si leva un vento turbinoso, percorso da scintille argentee. Non posso entrare. Mi fermo a due passi da loro e Ariel mi vede. Lascia andare una specie di lamento che però sembra pervaso dal sollievo.
            «Siete arrivati! Sono giorni che provo… Non ce la faccio più… Ha bisogno di aiuto!»
            «Giorni?»
            «Il tempo è bloccato, qui dentro. Terry ha combinato un casino. Ha un potere legato allo spaziotempo troppo grosso per lui. Ha cercato di serrarlo dentro di sé, ma gli si è ritorto contro e si è sentito male. Ho bloccato il tempo, perché se lo faccio scorrere di nuovo, lui muore. Sono qui da otto giorni e non è venuto nessuno!»
            «Cosa… Otto giorni? Ma…»
            «L’ho seguito qui, perché avevo capito che stava per combinare qualcosa. Ha scelto davvero il posto giusto. Qui non ci viene mai nessuno.»
            «Oddio, Ariel, ma come hai fatto? Sai manipolare il tempo?»
            «Qualcosa del genere. È complicato. Serve un medico con competenze magiche, subito!»
            Dietro di me c’è Enmari che ha già tirato fuori il telefono per chiamare i soccorsi.
            «Ho provato a mandare un messaggio, ma i miei poteri sono tutti impegnati nel tenere fermo il tempo, e forse non mi avete sentito» dice Ariel. «Ho provato a parlarvi nella pioggia. A farla andare più in fretta. È quello che so fare. Dico alle cose quanto devono andare veloci oppure lente. Non so spiegarlo meglio. Ma non ce la faccio più.» Inizia a piangere. «Speravo che qualcuno mi trovasse. I miei amici di qui o quelli che se ne stanno sparsi per il mondo. Finalmente qualcuno è venuto!»
            «La città è bloccata» gli dice Tian Tian. «Dicono che c’è una tempesta in arrivo. Se hai degli amici sparsi per il mondo, è probabile che non siano potuti passare.»
            «La tempesta di cui parlano è Terry» dice, asciugandosi le lacrime. «Il suo potere rischia di esplodere e portare un tornado magico su Seattle e anche oltre. Ha un’energia devastante, in sé.»
            «Nessuno lo ha mai aiutato a gestirla?» domanda Tian Tian.
            «I suoi genitori sono nella stessa setta dei miei. Hanno represso la sua magia fin da quando era piccolo. Non ce la fa più. Speravo che portarlo da voi bastasse, a fargli trovare un po’ di sfogo e un po’ di pace, ma…»
            «Stanno arrivando» gli dice Enmari. «Resisti ancora un po’, ti prego.»
            «Siamo qui con te» dice Tian Tian, e gli regala uno dei suoi rari sorrisi.
            «Ti voglio bene, Ariel» mi sfugge. «Ce la farai. Ti abbiamo trovato, no?»
            Lui sorride tra le lacrime. Il vento attorno a lui è più forte, mentre la pioggia smette di botto di accanirsi contro di noi e diventa finissima e delicata. Ariel l’ha lasciata andare.
            Poco dopo sentiamo le sirene dell’ambulanza e i soccorsi portano via Terry. Restiamo insieme ad Ariel, abbracciati a lui, senza dirci una parola. Ci stringiamo nella notte, che pian piano diventa giorno, mentre la pioggia svanisce e il cielo si libera dalle nuvole, rivelandoci il suo volto più sereno.
 
            Terry si è salvato per miracolo, a quanto pare. I servizi sociali lo hanno preso in carico. Spero solo che lo rivedremo, e che se gli troveranno una nuova famiglia, non sarà lontano da qui, ma temo che le cose andranno diversamente. Perlomeno c’è qualcuno che si occuperà di lui.
            Di Ariel, invece, continueremo a occuparci noi.
            Sono passati cinque giorni da quella notte delirante e finalmente Ariel si fa vedere. Sembra stanchissimo e dimagrito. Ci dice che i suoi lo hanno cercato per tutto il tempo, e che si è dovuto inventare un incidente e di essere stato privo di coscienza in ospedale, per tenerli buoni. È più o meno riuscito a calmarli – anche perché, all’ospedale ci è andato davvero, dopo aver salvato Terry. Teme che non siano convintissimi, e in pratica gli stanno col fiato sul collo, ma ha evitato deliri e punizioni. Dice che va bene così. Io vorrei davero che fuggisse da lì, ma lui dice che ha cinque buoni motivi per restare: i suoi fratellini.
            «Senti, mi devi togliere una curiosità» gli dico, mentre gli mostro le cose che abbiamo dipinto e scritto negli ultimi tempi. «Ma il tuo ragazzo è haitiano o norvegese?»
            «David è haitiano, Emil è norvegese.»
            «Ah, allora ne hai davvero due!»
            «Beh, è... Insomma… È… Insomma, è una cosa tra tutti e tre, ecco.»
            «Non mi devi dare spiegazioni. Non a me.»
            «Hanno cercato di raggiungermi in tutti i modi, quando sono sparito. David ha fuso il mio telefono, Emil ha cercato persino di prenotare un volo. Ma il mio cellulare si è smagnetizzato, con tutto quel potere. Ho provato anche a mandare qualche indizio magico anche a loro, ma non ci riuscivo: erano troppo lontani. E poi mi dovevo concentrare a bloccare il tempo. O saremmo morti: lui per il casino che aveva fatto, io di fame e sete.»
            «Non farmi pensare al rischio che avete corso…»
            «Ma è andata bene, no?»
            «Sì, ma io ho ancora gli incubi!» Chiudo la bocca, realizzando di essere stato indelicato come al solito. «Beh, tu più di me, immagino.»
            Ariel fa un’alzata di spalle.
            «Io me la cavo.»
            «Davvero i tuoi non ti hanno rotto le palle, per la sparizione?»
            Fa un sospiro profondo e distoglie lo sguardo.
            «Non troppo, dai. Cioè, si sono incazzati, ma hanno più che altro sbraitato minacce di togliermi dall’università e chiudermi in casa. Poi ci hanno ripensato.»
            «Non ti hanno fatto del male?»
            «Mah, dai, nella norma.»
            «Ariel, che cazzo vuol dire nella norma
            «Senti, Yassir.» Mi guarda, finalmente, e ha gli occhi lucidi però è anche serio e determinato. Mi posa le mani sulle spalle. «Arriverà il momento di andarmene. Lo so. La libertà è la mia priorità, solo che non posso essere davvero libero, se i miei fratellini e le mie sorelline rimngono prigionieri. Devo capire come fare a uscire da lì. E non posso usare i canali ufficiali, tipo le forze dell’ordine, perché uno dei leader della setta di spostati è un’alta carica della polizia, e ha già mandato a monte delle segnalazioni fatte in passato da altre persone. È un miracolo che abbiano salvato Terry. So di avere poche possibilità di uscirne bene. Forse una soltanto. Me la devo giocare bene.»
            Rimango in silenzio per qualche momento e lo guardo. È davvero stanco e provato, ma i suoi occhi sono incredibilmente luminosi. Stanotte si è truccato particolarmente bene, ha quel tipico abbigliamento un po’ goth che gli dona davvero, e sembra proprio ciò che dovrebbe: sembra Ariel e nessun altro. Così decido di fidarmi.
            «Quando deciderai di giocarti quella possibilità, però, chiedimi aiuto.»
            «Certo. Lo so, che ci sarai.»
            Ci scambiamo un sorriso, poi lui si rituffa nel ritmo etereo della sua poesia.




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