Sai, Hachi…
Dopo la morte di Ren il
tempo si era fermato per me.
Nulla di quello che
stava accadendo era vero,
era come se camminassi
nella nebbia.
Mi accorgevo a stento
della tua presenza.
Il giorno del mio ventunesimo
compleanno il tempo si
fermò per me, le lancette tentavano di scattare in avanti,
ma non ci riuscivano
e io credevo di vivere dentro a un sogno.
Un lungo e particolareggiato incubo da cui mi sarei
svegliata presto, non aspettavo altro che questo accadesse. Ero
impaziente di
rivedere le pareti della stanza dell’albergo in cui
alloggiavo a Osaka,
risentire la voce di Gimpei che mi sgridava e poi vedere la porta
spalancarsi.
Prima sarebbe entrata Hachi sorridendo con in mano una
torta, urlando buon compleanno, e poi sarebbe stato il turno di Ren.
Lui mi
avrebbe sorriso e tutto sarebbe andato a posto, non sarebbe
più stato necessario
incontrarsi nei sogni.
Non accadeva mai, la realtà mi lambiva come
un’onda
lontana, ero incapace di accettare che Ren non sarebbe mai tornato e
che tutte
le cose che dovevamo dirci sarebbero rimaste per sempre in sospeso.
Impossibilitata com’ero a vivere nel mondo reale dormivo.
Dormivo tutto il giorno perché almeno lì potevo
vedere
Ren, ma non erano sogni sereni: continuavo a vedere la sua schiena e
solo
metà del suo volto, che si girava a guardarmi per
assicurarmi che lo seguissi.
Camminava nella nostra cittadina natale sotto la neve, io
cercavo di raggiungerlo, ma una forza mi teneva a distanza e la mia
mano
protesa stringeva il nulla. Finivamo per ritrovarci sempre al mare,
prima sulla
spiaggia dove i miei piedi affondavano e poi in acqua. Solo allora Ren
rallentava, io lo afferravo per la giacca e alzavo gli occhi per
incontrare i
suoi, ma tutto diventava buio.
C’erano due possibilità: o il sogno ricominciava o
mi
svegliavo e mangiavo prima che l’inseguimento ricominciasse.
Andò avanti così per un po’, poi dalla
nebbia emerse la
voce di Hachi, la sentivo battibeccare scherzosamente con Shin a
scariche, una
specie di radio non sintonizzata.
Mi venne da ridere e probabilmente rise anche il mio
corpo.
Da allora iniziai a camminare fuori dalla nebbia un passo
alla volta, ma ero ancora lontana dall’accettare che Ren era
andato in un posto
in cui non potevo più raggiungerlo.
La prima volta che tornai in me Shin era in camera mia,
stava suonando la sua chitarra acustica e io mi stavo per accendere una
sigaretta.
“Mi preoccupa. Ho sentito voci e movimenti prima, mi
chiedo perché adesso sia calato il silenzio.”
Disse e poi riprese.
“Potresti chiederlo a Ren.”
Al suo nome reagii tirandogli un accendino, lui si spostò
e mi restituì uno sguardo ostile, il sorriso cancellato dal
mio gesto. Tornai a
letto, il silenzio era calato nella stanza, Shin aveva smesso di
suonare:
l’avevo fatto arrabbiare.
All’epoca non mi importava, non c’era molto di cui
mi
importasse, ma quel silenzio che si allargava come una macchia di
sangue,
pesante di ferro e dolore era opprimente.
Presi il mio cellulare e scrissi a Shin di suonare
qualcosa, qualsiasi cosa pur di riempire quel vuoto, ma lui rispose
lanciando
il suo telefono sulla mia schiena.
Mi voltai.
“Non avrei dovuto alzarmi per te.
Tu non mostri nessun sentimento o compassione per Ren o
per chiunque ti circondi e non consideri come si sentono.”
Per un attimo mi sentii ferita e sbagliata.
Non stavo reagendo nel modo giusto, era quello che mi
stava dicendo una voce, l’altra rispondeva che era solo un
sogno e che presto
Ren sarebbe tornato. Nemmeno in sogno però accettavo le
prediche di qualcuno,
cosa ne sapeva Shin?
Io avevo perso l’amore della mia vita in quel sogno e non
mi ero potuta scusare con lui né dirgli quanto lo amassi,
della nostra storia
rimaneva solo un freddo diamante che luccicava su di un anello.
Non avrei più potuto riabbracciarlo, né dirgli
che lo
volevo sposare e che sarei cambiata, avrei smesso di essere la Nana
egoista che
pensa solo a sé stessa.
Sarei stata la moglie di Ren, pronta a sostenerlo, e non
solo la promessa sposa reticente e spaventata, sarei cambiata
perché
infliggergli dolore non serviva a tenerlo legato a me.
Il giorno che mi sarei svegliata glielo avrei detto, ma
mi sarei mai svegliata?
Shin cambiò espressione all’improvviso, da ostile
divenne
triste e sconvolta, nei sui occhi c’era un accenno di lacrime.
“Non posso averle detto una cosa del genere.”
Mormorò rivolto più a se stesso che a me, di chi
stava
parlando?
Non certo di me, ero sicura che ogni parola che mi aveva
detto poco prima saliva dritta dal suo cuore, probabilmente si riferiva
a qualcosa
avvenuto mentre io vagavo nel mare di nebbia.
Ero così confusa, me ne stavo lì a guardarlo, a
cercare
di ricordare situazioni e persone quando tutto quello che avrei dovuto
fare era
abbracciarlo o almeno allungare una mano verso di lui: Shin stava
piangendo in
silenzio. Glielo dovevo, mi stava rimanendo accanto in questo strano
sogno, ma
il mio corpo era bloccato e la mia mente intorpidita, i pensieri
giravano
troppo rapidi per essere letti e decodificati. Un suono bucò
la cortina della
mia paralisi, Hachi stava singhiozzando nella stanza accanto, le pareti
sottili
come carta mi facevano sentire tutto quello che succedeva lì
dentro.
Scattai in piedi, dimentica di Shin e delle sue lacrime,
senza nemmeno sentirlo mentre chiamava il mio nome ed entrai nella
stanza.
Nobu e Hachi erano accasciati per terra, piangevano tutti
e due e non serviva un indovino per capire cosa fosse successo: Nobu
poteva
scoparsi Yuri dalla mattina alla sera, ma il suo cuore apparteneva ad
Hachi e
Hachiko poteva giocare alla mogliettina accanto a Takumi, ma sapevamo
entrambe
che lo faceva per il bene della figlia che aveva in grembo e che amava
Nobu.
Credo che l’unica persona che Hachi abbia mai amato sia
stata Nobu, ma il destino aveva fatto in modo di dividerli quasi subito
ed io
ero arrabbiata con il destino, all’epoca non gli perdonavo di
aver fatto uscire
la mia amica da quello che chiamavo il mio giardino. In
realtà mi aveva fatto
uno sgambetto ben peggiore e io cercavo di negarlo con tutte le mie
forze.
Loro mi guardavano sorpresi, ma io riuscivo solo a
sentire una sorda rabbia che mi pulsava nelle vene, perché
continuavano a farsi
del male?
Perché lui continuava a incasinare la vita di Hachi?
Non mi piaceva, ma era quello che aveva scelto lei e Nobu
doveva smetterla di fare il ragazzino.
Dio, come sbagliavo! Dio, come era distorta la mia visione!
Decidendo di ignorare la cosa più evidente dovevo
sfogarmi sul resto delle cose che non andavano bene, così
afferrai Nobu per il
colletto della camicia.
“Nobu!”
Iniziai furiosa, ma lui non lo era.
Era felice che io parlassi, ma io non lo stavo registrando.
“Non sei così disperato da avere bisogno di
qualche
moglie incinta di cui prenderti cura, vero?
Tu hai la regina Yuri Kosaka che ti scopa tutte le
notti.”
Perché non stavo zitta?
“Non dovresti parlare, la tua bocca dovrebbe essere
chiusa per sempre.”
Nobu non era arrabbiato, non ancora.
“Scenderesti così in basso per la sua
felicità?
I tuoi sentimenti per lei sono ancora così forti che non
puoi trattenerli?”
Perché continuavo a ferire chi mi stava accanto con gesti e
parole?
Perché non capivo che se avessi continuato così
sarei
rimasta da sola?
In quel sogno, che forse non era un sogno – sussurrava la
solita vocina – rischiavo di perdere tutto per il mio
egoismo. Dicevo di farlo
per Hachi, ma erano le mie manie di controllo la ragione per cui mi
comportavo
così.
“Nana! Ti stai sbagliando, sono io…”
Hachi non finì mai la frase perché Nobu le
rivolse un’occhiata furiosa, era la
prima volta che lo vedevo così ed era colpa mia che lo avevo
accusato.
“Lei non si sbaglia. È logico che io provi ancora
qualcosa
per te.”
E così la verità era scivolata fuori dalla bocca
di Nobu
con naturalezza, facendo scoppiare Hachi in lacrime.
Ebbi un momento di buio in cui probabilmente gli mollai
un pugno, perché ora lui era steso davanti a me con un
taglio sulla guancia in
corrispondenza di dove avevo l’anello.
“Se le stai confessando il tuo amore devi prima curarti
di qualcosa: non devi farla piangere tenendo le situazioni in
sospeso.”
Perché non tacevo?
Io avevo tenuto le cose in sospeso con Ren per mesi e
mesi, ignorando tutti quelli che mi dicevano di fare pace con lui. Chi
ero io
per parlare?
Che cosa stavo facendo?
Mi vedevo staccata dal mio corpo, la ragazza esile dai
capelli neri non ero io.
Chi era?
Hachi naturalmente si preoccupò di Nobu e lui le disse
che non era niente, la ragazza dai capelli neri abbracciò la
mia amica e la
consolò. Shin disse a Ren che ero venuta per lui, ma quella
non ero io, era una
sconosciuta che mi somigliava e che finì per dire una cosa
terribile.
“Tutti gli uomini devono solo morire.” Aveva urlato.
Ma se Ren fosse morto davvero come in quel sogno io sarei
andata in pezzi, Ren doveva vivere perché ormai lui aveva
troppo di me in sé e
viceversa.
Alla fine mi ritrovai a dormire abbracciata alle gambe di
Nobu, nonostante lo avessi insultato e picchiato lui mi era rimasto
accanto.
Non mi meritavo di avere persone così belle intorno, io ero
marcia.
Ero sempre stata marcia, fin dal giorno in cui mia madre
mi aveva abbandonata in quel giorno di neve.
Se non lo fossi stata mi avrebbe tenuta con sé.
E l’inseguimento di Ren riprese nel sogno.
Mi svegliai che era ora di cena,
Hachi aveva cucinato un
sukiyaki di pollo che sembrava squisito, ma la me stessa polemica e
bastarda
che si accaniva sui dettagli per non accettare il grande fatto si
risvegliò.
Volevo un sukiyaki di manzo e Hachi era – come sempre
–
disposta ad accontentarmi.
Si iniziò a parlare del prezzo del manzo e sul fatto che
solo chi lavorava poteva mangiare e fu allora che il mio egoismo si
manifestò
ancora.
“Se significa poter mangiare manzo, inizierò a
cantare
domani!”
Urlai lasciando tutti basiti, ormai avevo completamente perso il
controllo
delle mie reazioni ed ero ancora Nana, non la ragazza che aveva pestato
Nobu.
“Non ti scaldare così all’improvviso!
Soprattutto se si
tratta di cibo.”
Era il povero Nobu, maltrattato da me e impossibilitato a esprimere il
suo
dolore per la morte di Ren, dopo Yasu era quello che lo aveva
conosciuto da più
tempo.
“Voglio cantare! Quanto tempo dovrei restare chiusa qui?
Fatemi cantare!”
Quanto potevo essere orribile in quel momento?
L’urna del mio ragazzo era qualche stanza più in
là e non
avevo mai pregato per la sua anima, non gli parlavo con
regolarità come
facevano tutti. Io me ne ero stata zitta, ignoravo
quell’oggetto e ora
proclamavo di voler cantare: un sogno e un desiderio che erano stati un
regalo
di Ren.
Senza di lui non avrei mai saputo di avere quel dono e
sarei ancora a languire al mio paese natale lavorando in una fabbrica o
nel
ristorante di mia nonna se l’avessi mantenuto.
Invece ero a Tokyo grazie a lui.
Hachi ovviamente si alzò, pronta per esaudire il mio
desiderio, fu ancora una volta Nobu a ricondurre tutti alla ragione e
fu Shin a
proporre di andare al karaoke dopo cena.
Fortuna che almeno loro due arginavano i miei capricci.
Andare al karaoke non fu possibile, c’erano troppi
giornalisti interessati alla “vedova” di Ren Honjo
o almeno così disse Miu e
così Nobu prese la sua chitarra e Hachi recuperò
del sakè.
Vedova, una parola dal suono così strano da risultare
quasi pronunciata in una lingua straniera.
Era questo quello che ero in quel sogno?
Ve-do-va?
Hachi cantava con me vecchie canzoni enka, quelle della
mia infanzia, che ascoltava mia nonna, refrattaria alla maggior parte
delle
novità occidentali. Una ragazza cresciuta a pane e musica
tradizionale aveva
finito per diventare una cantante punk. Era strano anche quello.
Shin invece ci guardava e basta, non so cosa passasse
nella sua testa.
Mi giudicava una ragazza frivola, superficiale ed
egoista?
Una donna che non piangeva per il suo uomo e pensava solo
a cantare?
O semplicemente non conosceva queste canzoni essendo
vissuto quasi tutta la vita in Svezia?
Avrei dovuto chiederglielo, come avrei dovuto chiedere
agli altri come si sentivano invece di stare ripiegata su me stessa e
sulla
convinzione che tutto non fosse reale.
A un certo punto arrivò Yasu, probabilmente
scambiò
qualche parola con Miu prima di essere notato dal bassista.
Smettemmo di cantare, Hachi gli andò incontro, io bevevo
a canna da una bottiglia scrutando il pelatino con sguardo
indecifrabile.
“Oh, bentornato, Yasu.”
“Non dovevi passare la notte a casa tua?”
Nobu fece eco alla mia migliore amica.
“Cos’è successo alla tua
faccia?”
Era tipico di Yasu aggirare una domanda con un’altra domanda.
“Nana gli ha dato un pugno.”
Fu Shin a rispondere, Yasu mi guardò, ma io voltai
dall’altra parte, sempre
bevendo dalla bottiglia.
Sentivo che la sua visita sarebbe stata portatrice di
disgrazie, avevo brutti presentimenti.
“Come mai hai cambiato i tuoi piani?
È successo qualcosa?”
“Ho una cosa importante da dire a Nana.”
Lo sapevo, stava per succedere qualcosa di brutto!
Cosa doveva dirmi?
Che forse eravamo stati scaricati dalla Gaia Record?
Che avrei dovuto fare fagotto e andarmene dal dormitorio
e magari anche da Tokyo e tornare in quel piccolo paese di mare dove
tutto era
iniziato e finito?
“Ma possiamo parlarne più tardi, canta per
ora.”
“Allora canto “Funauta” di
nuovo!”
Sempre le stesse enka, come non aveva mancato di far notare Shin, ma
almeno non
pensavo, cantare era abbastanza.
O almeno fu abbastanza per tre canzoni, durante la quarta
entrò in scena un demone travestito da pornostar: la suprema
Yuri Kosaka, la
donna di Nobu.
Non l’avevo mai sopportata, così zuccherosa e
finta mi
faceva venire voglia di vomitare ogni volta che la vedevo e quel
cretino del
mio amico le stava dietro!
Era palese che quella donna era una sostituta di Hachi,
ma lui – da bravo paladino – si era impegnato a
salvarla dalla sua carriera. Il
problema era che a Yuri la sua carriera piaceva dopotutto e quello
della
ragazza imprigionata in un ruolo impostole da altri era solo un
personaggio che
recitava per lui per tenerselo accanto.
Oh, come la odiavo!
“Bentornata a casa, Yuri-chan!”
Vattene, non sei la benvenuta.
Questa è la festa dei Blast e tu non ne fai parte.
“Sono impressionata, Nana-chan.
Riesci a cantare anche se non riesci a parlare.”
Perché Nobu non se la portava via?
Era la sua piaga, non la nostra.
“Allora ti conviene iniziare a lavorare presto, Sugimura
ha detto che vi caccerà tutti fuori a calci se non
lavorate.”
Eccola la perfidia, nascosta dietro al sorriso.
“Quello stronzo! Non esiste che io glielo permetta!”
Urlai fuori di me.
“Oh, stai bene. Quindi non hai più bisogno della
moglie
di Takumi al tuo fianco, no?”
“Asami!”
Nobu reagì troppo tardi, ormai le sue parole mi erano
entrate dentro gelando tutto.
“Non hai più bisogno di lei al tuo
fianco?”
Avevo disperatamente bisogno di Hachi al mio fianco, ma dopotutto lei
non aveva
scelto me, aveva scelto Takumi il giorno in cui aveva deciso di non
abortire e
di far nascere la creatura che cresceva dentro di lei.
La creatura dentro di lei…
Quella pancia mi ricordava che era ancora presente e che
rimanere con me era pericoloso per una donna in gravidanza.
Presto Hachi se ne sarebbe andata, anche lei aveva scelto
Takumi e i Trapnest.
Ricordi del giorno di neve in cui Ren era andato a Tokyo
cominciarono a riaffiorare impietosi, ero la seconda scelta di tutti,
anche lui
aveva scelto Takumi e i Trapnest fino alla fine, per quanto mi fossi
opposta.
Anche quando eravamo tornati insieme non aveva mai smesso
di impegnarsi per salvaguardare l’immagine di quella band di
merda dalle
cazzate di Reira.
La principessa della canzone era come un buco nero che
attirava al suo interno tutto ciò che amavo.
Piccole crepe si aprirono.
Questo non era un sogno, era la realtà.
Ren era morto, mi aveva abbandonata per sempre. I suoi
pesanti anfibi avevano seguito le orme delle scarpe rosse di mia madre
nella
neve. Entrambi erano corsi via da me.
All’improvviso iniziai a tremare e respirare divenne
sempre più difficile, era come avere qualcosa in gola, solo
che non era
tangibile. Mi strozzava, mi faceva rantolare, mentre chiedevo aiuto e
percepivo
il movimento nella stanza sempre più lontano.
Fluttuavo dalle parti degli anelli di Saturno, una
cosmonauta perduta dentro sé stessa.
A un certo punto la gravità della Terra mi attirò
di
nuovo a sé, ero in luogo buio e desolato sul fondo del mare,
un fantasma mi
guardava con un sorriso colmo d’amore. Doveva essere Ren,
quello era il suo
sorriso, ma non riuscivo a vederlo bene.
Alzò un braccio e io riemersi completamente, tutti i veli
erano caduti ora.
Ero nella mia stanza del comprensorio, sdraiata a letto
al buio, la sveglia sul comodino segnava le tre di notte:
l’ora delle streghe e
dei fantasmi.
Hachi era sdraiata accanto a me, sul mio volto si disegnò
un sorriso amaro.
Ren era morto sul serio, non l’avrei più
abbracciato,
baciato o fatto l’amore con lui, non l’avrei mai
sposato e non saremmo mai
tornati nel primo appartamento che avremmo dovuto condividere da vecchi.
Tutto era cenere.
L’unica cosa che mi rimaneva era la musica.
Mi alzai dal letto e andai nella stanza dove c’era
l’altare dedicato al mio ragazzo: era immersa nella luce
della luna.
Mi inginocchiai e recitai le preghiere tradizionali per i
defunti a occhi chiusi, poi li aprii e mi soffermai sul quel sorriso.
“Ren, mi dispiace di essere stata egoista fino alla fine.
Non ho mai pianto per te, nemmeno al funerale, ti ho solo
guardato.
Guardavo le mani che per te erano state tanto preziose da
salvarle fino alla fine e pensavo che l’avevi fatto per Reira
e non per me.
Mi dispiace di averlo pensato, ma io sono arrabbiata.
Mi hai abbandonato come ha fatto mia madre e io non so
cosa fare.
Tutto ciò che mi rimane di te è la chiave del
lucchetto
che ti ho legato al collo e il tuo regalo di compleanno.”
Rimasi un attimo in silenzio, la fotografia ricambiò
inespressiva il mio
sguardo.
“Lo so che c’è una promessa tra di noi,
quella di morire
insieme e so che tu mi hai preceduto e che tocca a me tenervi fede,
ma…
Ren, io voglio cantare ancora.
Tu mi hai dato questo sogno quando ero una ragazzina che
non aveva nulla, puoi concedermi di tenerlo ancora un po’?
Ti prego, concedimi di vivere ancora un po’, poi…
Poi terrò fede alla promessa.”
Le lacrime cominciarono a scendere, ero in attesa di un segno, qualcosa
che mi
facesse capire che Ren mi aveva ascoltata ed era d’accordo
con me.
Se me ne fossi andata ora avrei distrutto i Blast e gli
sforzi di Yasu di farli andare avanti, i sogni di Nobu e
l’unico punto di
riferimento che Shin avesse mai avuto.
Guardavo la foto tra le lacrime, Ren aveva smesso di
sorridere e mi guardava duro.
Non approvava quello che gli avevo detto, mi sentii
gelare dentro per la seconda volta. Ren voleva che io lo seguissi, che
onorassi
la promessa.
Cosa dovevo fare?
All’improvviso senti una mano grande e calda appoggiarsi
sulla mia spalla, riconobbi subito il tocco di Yasu, come Reira lo
avevo usato
per darmi stabilità in passato, ma ora non potevo
più permettermi di farlo.
“Sono felice di vederti qui.”
Disse con la sua voce profonda.
“Cosa dovevi dirmi, Yasu?”
“Una cosa che riguarda te e una che riguarda i
Blast.”
“Dimmi quella che mi riguarda, per favore.”
Lui annuì e si accese una sigaretta.
“La Shikai Corporation e la Gaia Records non vogliono
più
spendere uno yen sulla tua carriera da solista.
Il progetto è stato abbandonato.”
Annuii, me lo aspettavo.
“Per il resto preferirei parlarne anche davanti a Shin e
Nobu, riguarda anche loro.”
“Va bene.”
“Nana, sono felice di averti visto qui.”
ripetè.
Gli rivolsi una mezza specie di ghigno, non riuscivo a sorridere bene
ora che
sapevo che questa era la realtà.
Yasu uscì dalla stanza e io rimasi a guardare la foto di
Ren, in attesa che mi desse un qualche segno positivo, ma rimase
immobile.
Il suo sorriso era congelato nel tempo e si era incrinato
quando gli avevo chiesto di farmi cantare ancora per un po’.
Doveva essere
stanco dei miei capricci persino nell’altro mondo e non
potevo biasimarlo, da
quando ci eravamo rimessi insieme pressati com’eravamo dalla
stampa e dalle
divergenze dei nostri desideri io non avevo mai provato a capirlo.
Non sul serio almeno, solo mezze intenzioni.
Ero stata una pessima fidanzata, anche se avevo la
sensazione che ci fosse qualcosa che mi tenevano nascosto, non era una
scappatella: era qualcos’altro.
Qualcosa di più profondo e che mi avrebbe ferita
più di
una scopata con un’altra.
Rimasi ancora un po’ lì, poi mormorai una
preghiera di
concedo e mi alzai, tornai in camera mia e mi stesi a letto accanto ad
Hachi
che mugugnò qualcosa nel sonno.
La stanza di Nobu era silenziosa, a quest’ora lui e Yuri
di solito tenevano un concerto privato e poco casto, una cosa che mi
irritava
profondamente.
Forse era successo qualcosa tra di loro, sperai che fosse
così, quella donna non era adatta al mio amico: era troppo
possessiva ed
egoista.
Non voleva un ragazzo, voleva uno schiavo da piegare ai
suoi desideri.
Alla fine mi addormentai e finii per ritrovarmi sulla
solita spiaggia, Ren era in acqua immerso fino alla vita, io feci per
avvicinarmi, lui alzò una mano.
Un segno inequivocabile che lui mi voleva lontana da sé,
sentii il cuore frantumarsi e caddi in ginocchio, lo sguardo rivolto
verso
terra.
Quando trovai il coraggio di alzarlo lui era sparito.
Ero completamente da sola.
Angolo di Layla.
Eccoci qui con l'ultima storia che pubblicherò su EFP, non l'ho ancora finita, ma spero che pubblicarla possa motivarmi.
Riprende alcune parti della fiction "Nana, la storia continua" di 7vite con il suo permesso.
Spero vi piaccia.